IL MANIFESTO DEI RESISTENTI

by I RESISTENTI
Wednesday April 23, 2003 at 12:19 PM (Fonte: Indymedia)



La nostra storia non è cominciata adesso. Le Resistenze
come alternativa possibile. Un Manifesto comune per tutti i Resistenti


Noi Resistenti abbiamo cominciato presto a guardare in faccia
il nostro vero nemico. Eravamo già attivi nella resistenza spagnola
che mise in fuga i mamelucchi di Murat e fece impazzire i generali di
Napoleone. Ci riconoscerete dipinti da Goya ne "La fucilazione alla
montagna del Principe Pio" e nella urla di gioia che accompagnarono la
fuga dei francesi nel 1813. Nasce da qui l'onda lunga che ha portato
alla Repubblica del '36 e alla resistenza antifranchista fino ai
nostri giorni.
Ci siamo aperti la strada con le armi in pugno insieme a
Garibaldi, mentre cadeva la Repubblica romana ed Antonio Brunetti -
Ciceruacchio per il suo popolo - insieme al figlio Lorenzo cadeva
sotto il plotone di esecuzione. Ma, come fece Gasparazzo contadino
indomito, non ci siamo fidati dei garibaldini di Nino Bixio che in
Sicilia fucilarono la nostra gente a Bronte, ed insieme a Gasparazzo
ci siamo dati alla macchia rendendo per anni la vita difficile ai
piemontesi, ai nuovi padroni e ai proprietari terrieri.
A metà dell'ottocento ebbero tanto paura delle nostre
barricate che il prefetto Haussman dovette rifare Parigi da capo a
piedi. Sventrarono i vicoli e costruirono i grandi boulevard come
"strade di una caserma opportunamente ampliata" perché i padroni
temevano di incontrare in strade troppo strette i Resistenti come
Charles Delescluze o Flourens. Venti anni dopo le barricate
infiammarono di nuovo la Parigi della Comune e noi Resistenti fummo
conosciuti come "Communards". I soldati del gen. Lacombe furono
mandati contro di noi a Montmartre, ma si rifiutarono di sparare sul
popolo ed alla fine rivolsero i fucili contro il generale stesso, sono
formidabili Resistenti coloro che sanno comprendere chi è il vero
nemico.
Ci scatenarono contro altri soldati e i cannoni messi a
disposizione dai prussiani, ci fucilarono a migliaia o ci deportarono
alla Cayenna. Eppure, come disse l'uomo di Treviri - la testa migliore
degli ultimi due secoli - "dopo la Pentecoste del 1871 non ci può
essere né pace né tregua tra gli operai francesi e gli appropriatori
del prodotto del loro lavoro". Capite adesso perchè lo sciopero dei
lavoratori in Francia andò così bene anche nel 1995?
Ma noi Resistenti non siamo e non eravamo solo sulle barricate
e nelle officine delle grandi metropoli. Nascevamo e crescevamo anche
nelle nuove colonie di quello che diventerà l'imperialismo moderno.
Eravamo nel deserto algerino e sui Monti dell'Atlante con Abd el Kader
che tenne alla larga i turchi e umiliò per anni i legionari del
generale francese Bugeaud.
Eravamo nascosti nel pubblico e ci tormentavamo le mani,
impotenti in quella occasione, quando gli invasori italiani,
nell'ottobre del 1912, fucilarono a Tripoli l'arabo Husein. Ci vollero
tre scariche della fucileria del plotone d'esecuzione per vederlo
cadere a terra. Husein e i suoi Resistenti avevano fatto impazzire i
militari italiani nelle uadi o sulle strade carovaniere. Per rabbia e
per rappresaglia gli italiani fucilarono centinaia di persone e ne
deportarono 3.053 nelle isole Tremiti, a Ustica, a Favignana, a Ponza
e a Gaeta.
"Non ci inganna che si dica un'epoca di progresso. Quel che
dicono è invero la peggiore delle menzogne" tuonavano i versi del
poeta arabo Macruf ar Rusufi " Non li vedi tra l'Egitto e la Tunisia
violare con stragi e massacri il sacro suolo dell'Islam? E non sia
addossata la colpa ai soli italiani ma tutto l'occidente sia
considerato colpevole".
Nelle colonie pensavano di aver vinto, legando i sepoys alle
bocche dei cannoni e facendo fuoco come fecero gli inglesi in India o
fucilando e impiccandoci a decine come fecero gli italiani in Libia.
Ma gli arabi hanno un cuore indomito e venti anni dopo il Leone del
deserto, Omar Al Muktar tornò a seminare il panico tra i soldati e le
camicie nere che occupavano la Libia. Il generale fascista Graziani,
quello che aveva massacrato con i gas gli etiopi, fece impiccare Omar
Al Muktar. Ma il suo fantasma inquieta così tanto gli eredi di
Graziani da impedire che in Italia si possa vedere il film che parla
della sua storia. Fanno paura anche da morti i Resistenti!!!
Mentre il capitalismo si annunciava con i mercanti, noi
Resistenti eravamo già dovunque e da tempo. Avevamo viaggiato sulle
loro navi con le catene ai piedi e ai polsi. A cominciare la
resistenza furono proprio gli schiavi neri deportati in Brasile che
fondarono la loro repubblica a Quilombo e resistettero fino al 1697
contro i colonialisti portoghesi. Cento anni dopo, i nipoti di quegli
schiavi, diventati creoli o rimasti neri come i loro antenati, si
ribellarono a Bahia, la disinibita città degli incanti e del candomblé
cantata dalle pagine di Jorge Amado. Ma eravamo anche più a Nord,
eravamo nella selva e sulle Ande con la resistenza di Tupac Amaru. Gli
spagnoli lo hanno squartato con i cavalli per smembrarne il corpo ma
duecento anni dopo il suo nome ha fatto tremare i governanti corrotti
di Lima e Montevideo chiamando alla lotta nella selva e nelle città.
Eravamo a cavalcare al fianco di Artigas nelle grandi pianure
della Banda Oriental ed eravamo al fianco del creolo Simon Bolivàr tra
selve e paludi per gridare a schiavi, creoli, indigeni e popoli che
volevamo una sola nazione, "la Nuestra America. E potevate vederci
insieme a José, Antonio e Felipe, senza scarpe e senza saper leggere
quando a Morelos Emiliano Zapata lesse il programma che scosse le
montagne e mise i brividi ai latifondisti. Tante volte abbiamo
resistito, accerchiati dai rurales e dai federales, tante volte li
abbiamo umiliati trasformando le sconfitte in vittorie. E ci avete
visto anche sessanta anni dopo. Eravamo di nuovo là, nel Guerrero, a
Oaxaca, nei Loxichas a fare scudo a Lucio Gutierrez, vendicando con la
coerenza tra parole e fatti gli studenti massacrati a Città del
Messico o il lento genocidio di indios e campesinos. E venti anni più
tardi eravamo tra quelli che dopo il massacro di Aguas Blancas
giurarono di fargliela pagare agli assassini.
Eravamo in Bolivia con l'acqua fino alla cintura al guado del
Yeso quando l'imboscata dei militari uccise sette di noi tra cui
Tamara Burke "Tania". Diciotto giorni dopo nel canalone di "El Yuro"
veniva ferito e poi assassinato Ernesto Guevara detto "Il Che" insieme
al Chino e a Willy. Quando due anni fa ci siamo rivoltati a Cochabamba
contro la privatizzazione dell'acqua, avevano la sua immagine sulle
nostre bandiere, la stessa immagine e le stesse bandiere che
sventolano sulle terre occupate del Brasile dei Sem Terra, nelle zone
liberate dalla FARC in Colombia tra i piqueteros in Argentina. I
militari, gli jacuncos o quei perros degli "aucisti", sentono un
brivido lungo la schiena quando invece di indios e campesinos
impauriti si trovano di fronte i Resistenti.
Ci avrete visto anche più a Nord, ma non ci avete
riconosciuto. Eravamo sulle sponde del Rosebud ed avevamo il viso
pitturato con i colori di guerra quando insieme al capo Gall abbiamo
difeso i teepee degli Hunkpapa e dei Santee dai soldati in giacca blu
del colonnello Reno. Li abbiamo battuti e messi in fuga nel giugno del
1876 permettendo così alle altre tribù di sconfiggere il generale
Custer a Little Big Horn. Nelle riserve o nella cella di Leonard
Peltier ancora si racconta della nostra resistenza.
Ed eravamo ben presenti tra i siderugici dello sciopero di
Homestead quando furono messi in fuga gli agenti assoldati
dall'agenzia Pinkerton e i padroni dell'acciaio scoprirono che gli
immigrati, diventati operai, sapevano unirsi e tenere duro.
E quasi settanta anni dopo i poliziotti bianchi impallidirono
quando i nostri fratelli neri opposero resistenza nel ghetto di Wyatt
o misero a soqquadro il tribunale di Soledad e le celle di Attica e S.
Quintino. George, Dramgo e Jonathan Jackson sono stati un incubo per
l'America dei Wasp, bianchi, anglosassoni e protestanti, di
conseguenza....razzisti. Mumia Abu Jamal é ancora vivo perchè i
Resistenti non mollano tanto facilmente, hanno la pelle dura e sanno
guardare ben oltre le sbarre della loro cella.
Ma le pagine più belle della nostra storia di Resistenti le
abbiamo scritte nel cuore dell'Europa messa a ferro e fuoco dal
nazifascismo. Le abbiamo scritte tra le macerie della fabbrica di
Trattori a Stalingrado. "I nazisti, non potendo prenderci vivi
volevano ridurci in cenere" ha scritto Aleksej Ockin il più giovane di
noi. Insieme a lui ed a noi c'erano Stepan Kukhta e il vecchio
Pivoravov veterano cinquantenne. Li abbiamo tenuti in scacco per mesi
e mesi e alla fine li abbiamo battuti. La nostra resistenza diede
coraggio a tutti gli altri e accese il fuoco che portò le nostre
bandiere a sventolare fin sopra il tetto del Reichstag di Berlino.
Eravamo invincibili, eravamo gli eredi di Kamo, che fece impazzire la
polizia zarista e fornì quanto serviva alla rivoluzione dell'Ottobre.
"Il mio insostituibile Kamo" diceva Ulianov preparando il primo
assalto al cielo.
Ma eravamo anche a Varsavia, nascosti dopo aver esaurito le
munizioni nelle fogne e nelle cantine del ghetto. Eravamo anche lì,
insieme a Emmanuel Ringelbaum e a Mordechai Anielewicz che si suicidò
per non arrendersi ai nazisti che stavano rastrellando il ghetto in
rivolta. Resistenti per sopravvivere alla deportazione e ai campi di
concentramento ma anche per riscattare la vergogna dei
collaborazionisti dello Judenrat.
Ma eravamo anche nel cuore della Jugoslavia quando sulla
Neretva abbiamo umiliato le armate dei nazisti, dei fascisti e degli
ustascia croati mandate ad annientarci. Ivo Lola Ribar hanno dovuto
ucciderlo e così Joakim Rakovac, ma i Resistenti jugoslavi
dimostrarono ai nemici e agli amici che sapevano farcela da soli.
Per anni serbi, croati, sloveni, bosniaci hanno saputo
combattere fianco a fianco, per anni abbiamo sfidato la storia tenendo
insieme un paese che volevano lacerato. Eravamo pronti anche alla fine
del secolo scorso a resistere contro i contingenti inviati dalla NATO
ma i dirigenti scelsero altre strade, scelsero la strada che porta in
occidente, la stessa che ha mandato in frantumi il nostro paese.
"Banditi" così ci chiamavano in Italia i nazisti e i fascisti
ma la gente era con noi Resistenti. Erano con noi i ferrovieri e gli
operai di Milano, Genova e Torino, erano con noi i popolani della
periferia romana e i contadini emiliani o dell'Oltrepò pavese. C'è una
canzone che narra di come ancora oggi i fascisti temano il fantasma
del partigiano Dante Di Nanni che gira fischiettando per Milano.
"Cammina frut" scriveva Amerigo che fu Resistente sul fronte difficile
della frontiera con l'Est. E piano piano eravamo ovunque: Maquis in
Francia, partigiani nella pianura belga e olandese o sulle montagne
greche.
Tanti di noi si erano "fatti le ossa" nella guerra di Spagna,
affrontando le armate franchiste, i legionari fascisti e i
bombardamenti tedeschi. Con l'immagine delle rovine di Guernica negli
occhi, abbiamo resistito oltre ogni limite, lasciati soli dalle
democrazie europee che temevano il nazifascismo ma temevano ancora di
più la rivoluzione popolare e l'onda lunga dell'ottobre sovietico.
Quando finì la guerra non eravamo tutti convinti che fosse finita
veramente. In Emilia-Romagna - come dice Vitaliano che fu partigiano e
vietcong- non consentimmo ai fascisti di cavaresela a buon mercato e
in Grecia resistemmo con le armi in pugno contro gli inglesi e gli
americani che ci volevano, noi che avevamo combattuto contro i
tedeschi e gli italiani, servi di un nuovo padrone. I Resistenti di
Euskadi non considerano ancora chiusa la partita con gli eredi del
franchismo in Spagna. Vi meravigliate ancora perchè in Italia, in
Spagna e in Grecia ci sono ancora i movimenti di lotta più forti e
decisi d'Europa?
Ma noi Resistenti ci siamo diffusi in tutto il mondo. Eravamo
Umkomto We Sizwe, la Lancia della Nazione che i negri sudafricani
hanno impugnato per decenni contro il regime razzista, siamo stati i
Mau Mau e i fratelli di Lumumba, abbiamo saputo essere poeti come
Amilcare Cabral, colpendo, subendo e vincendo il dominio coloniale
degli inglesi, dei portoghesi e dei belgi. Ce l'hanno fatta pagare
lasciandoci un continente devastato dalle epidemie, dalla fame, dai
saccheggi delle nostre risorse, ma nelle terre dell'Africa siamo
arrivati dopo, ci prenderemo tutto il tempo che ci serve e poi ci
riprenderemo tutto ciò che é nostro, a cominciare dalla dignità.
E poi avete cominciati a vederci ovunque, noi Resistenti.
L'arrivo della televisione ci ha mostrato come "barbudos" a Cuba, con
la kefija dei feddayn in Palestina e in Libano, piccoli e veloci
contro i giganteschi marines, il loro napalm e i loro B 52 nelle
giungle del Vietnam. L'immagine del piccolo Truong che scorta
prigioniero un marines grande come una montagna ha tormentato i sonni
degli uomini della Casa Bianca per decenni. I Resistenti non hanno mai
molte cose a loro disposizione, ma per noi, come dice Truong Son "il
poco diviene molto, la debolezza si trasforma in forza e un vantaggio
si moltiplica per dieci".
Per cancellare questa immagine sono quindici anni che gli
americani scatenano guerre contro avversari immensamente più deboli e
vincono guerre facili.
Ad Al Karameh, nel 1965, eravamo molti di meno e peggio armati
dei soldati israeliani ma li abbiamo sconfitti perchè noi Resistenti
siamo fortemente motivati e loro non lo erano. Non lo erano neanche
gli eserciti arabi messi in piedi da governi indecisi e spesso
corrotti che riuscirono perdere due guerre in sette anni.
A Beirut, ad esempio, nonostante le cannonate della corazzata
americana New Jersey abbiamo resistito e abbiamo cacciato via prima
gli israeliani e poi gli americani, i francesi e gli italiani e poi lo
hanno fatto quelli di noi che erano a Mogadiscio. In Nicaragua eravamo
giovanissimi e stavamo mangiando carne di scimmia quando abbattemmo un
elicottero e prendemmo prigioniero il consigliere della CIA Hasenfus
rivelando al mondo l'aggressione statunitense contro un piccolo e
coraggioso paese.
E poi sono arrivate le nuove generazioni di Resistenti, come
quelli che hanno cacciato dal Libano del sud gli israeliani o che
hanno animato la prima e la seconda Intifada. Le loro pietre pesano
come macigni sull'occupazione israeliana e sulla cattiva coscienza
dell'occidente. C'erano dei giovani e giovanissimi Resistenti nelle
giornate di Napoli e di Genova, uno di essi, Carlo Giuliani, è caduto
ma il suo volto da ragazzo si è moltiplicato su quelli di migliaia di
ragazzi come lui, nuovi Resistenti che hanno bisogno di sapere, di
conoscere, di mettere fine agli inganni e alle rimozioni che li
circondano, che sfidano i potenti con la determinazione di Rachel
Corrie.
Infine, ed è straordinario, sono sorti dei Resistenti anche in
Iraq. Hanno sorpreso molti, soprattutto i loro nemici. Il vecchio
Pietro ha riscattato in dieci righe la sua vita di tentennamenti
scrivendo che la "Resistenza contro l'invasione è la prima condizione
per la pace". I Resistenti sono ormai dovunque, sono diffusi in questo
mondo reso più piccolo dalla globalizzazione e più insicuro
dall'imperialismo e dalla guerra. E' arrivato il momento di unirli, di
dargli una identità comune e condivisa, di riconoscerli e farli
riconoscere a chi - da Bogotà a Manila, da Nablus a Salonicco, da
Seattle a Durban - si è rimesso in marcia per rendere possibile un
altro mondo. Fin quando ha agito la legalità formale delle democrazie
è stato possibile disobbedire, ma alla guerra e all'imperialismo
occorre resistere, improvvisare e disobbedire non basta più, oltre ai
corpi serve la testa e una visione aggiornata della nostra storia.
Alla democrazia fondata sulle bombe noi opponiamo il regno della
libertà, all'idea di libertà fondata sull'homo economicus noi
proponiamo all'umanità il passo avanti della liberazione. Per noi, il
poco sta diventando molto, la debolezza si sta trasformando in forza,
un vantaggio si sta moltiplicando per dieci. L'epoca delle Resistenze
è cominciata.
Aprile 2003, terzo anno della guerra infinita
I Resistenti