FULVIO GRIMALDI

MONDOCANEFUORILINEA

17/6/3

Corsi e ricorsi

Aprile 1999. Un gruppo di Tute Bianche (già Melting Pot, già
Invisibili, già Centri Sociali del Nord Est, già Autonomia Padovana,
ogni tanto “Verdi”, poi civettuoli con RC, più spesso municipalisti,
ora Disobbedienti) si affaccia sulla scena internazionale e prende la
testa di tutto un movimento di pacifisti, Terzo Settore, buonisti,
preti, nonviolenti, che si precipita a Sarajevo a suonare la grancassa
umanitaria che ottunda la nostra percezione delle bombe e dei
secessionismi etnico-mafiosi in procinto di squartare una grande e
nobile paese, la Jugoslavia. Inalberano i vessilli della civiltà
interetnica e multiculturale che abbaglia le moltitudini e gli
impedisce di accorgersi di un milione di profughi serbi, sopravvissuti
alle carneficine etniche, cacciati dalle loro terre in Croazia, Bosnia,
Kosovo. Diffondono lo slogan CIA del “despota sanguinario” Milosevic,
accreditano invenzioni delle agenzie di disinformazione USA (Knowles
&Hill, Ruder & Finn), come i campi di sterminio serbi, gli eccidi di
Sebrenica e Racak e la pulizia etnica, poi smentita dagli stessi
investigatori ONU e Nato e, in piena guerra di sterminio Nato contro la
Serbia si presentano in 4 a Belgrado per blaterare alla Tv di Stato
stereotipi diffamatori contro il governo. Vengono rispediti al confine.
E gli è andata bene. Vorrei vedere negli USA…

Ad Aviano, nella grande manifestazione contro la guerra Nato del 6
giugno 1999, assaltano un gruppetto di compagni che alzavano una
bandiera jugoslava. Altri gli tengono bordone, vietando ai propri
associati o iscritti di invitare le comunità serbe in Italia alle
manifestazioni contro l’aggressione. In piena guerra e dopo, scambiano
inviti e stringono rapporti con l’opposizione capitalista e
filoamericana, capeggiata dall’organizzazione dei fighetti e
sottoproletari serbi “Otpor”, messa in piedi e addestrata dalla CIA
(Vedi BBC e “Il Diario”). I loro amici più stretti sono quelli della
Radio B92, radio del circuito CIA “Free Europe”, che organizza pogrom
contro gli operai e i contadini che ricordano Tito (vedi il filmatino
B92 che circola nei centri sociali dei Disobbedienti).

Sono i fulgidi corifei del partito del “né-né”.

Quando le elezioni presidenziali decretano la sconfitta di Milosevic
(un presidente che aveva tollerato in piena emergenza bellica e
cospiratoria imperialista oltre 18 partiti avversi, prezzolati e
diretti dalla CIA e dai servizi tedeschi, e una stampa al 90% ostile e
pure pagata dagli USA, (come da verbali delle relative commissioni del
Congresso), e una vera teppaglia guidata da Otpor assalta armata il
Parlamento e brucia le schede che avevano decretato la vittoria di
comunisti e socialisti alle parlamentari, questo conglomerato dei
diritti umani inneggia a “Belgrado che ride” e alla “Rivoluzione
Democratica” (grave anche la caduta dell’altrimenti preciso Tommaso De
Francesco del Manifesto).

Quando dopo un po’ Milosevic viene rapito e venduto per 30 milioni di
dollari al tribunale USA della Del Ponte, dove disintegra tutte le
accuse e i testimoni addestrati da CIA e MI5 e le ribalta sui veri
criminali di guerra; quando a Belgrado si insedia la mafia della spia
Zoran Djindjic e il paese va a catafascio tra svendite del patrimonio
industriale e smantellamento di uno stato discretamente sociale che
aveva resistito a guerre e embarghi, tutto tace. Della Jugoslavia e,
dunque, del terribile errore storico compiuto, non parla più nessuno.
Tanto meno i, consapevoli o inconsapevoli, fiancheggiatori della
dissoluzione della Jugoslavia.

Giugno 2003.

Disorientamento totale di fronte a una resistenza irachena guidata dai
vecchi dirigenti del Baath, un Partito Comunista Iracheno che, in
contrasto duro con altri due partiti comunisti, accetta l’occupazione
come necessaria, una guerriglia condotta essenzialmente non dagli
sciti, che si limitano all’autogoverno e alle rivalità tra i tre loro
gruppi(uno filoamericano, uno nazionalista, uno così così e
filoiraniano), ma dai sunniti laici del centro-nord, come era stato
annunciato da Saddam Hussein. La resistenza all’occupazione è sacra, ma
quelli sono i seguaci del “boia”. Che fare? Che dire? Ancora una volta
questi cazzoni di iracheni fanno la lotta antimperialista nel nome del
Baath e dei suoi alleati progressisti (comunisti veri, nasseriani,
socialisti della Coalizione Nazionale) e non nel nome della democrazia
partecipativa e municipale. Potevano ben chiedere la Tobin Tax e venire
a contestare il G8 e il WTO (mai si contesta l’FMI, la Nato, o la Banca
Mondiale che, d’altronde, è buona perché finanzia Porto Alegre e stampa
e distribuisce i libri dell’ex-sindaco Tarso Genro). Staremo a vedere.
Intanto ci sarà pure chi si schiera con la Resistenza irachena, come
con l’Intifada, senza se e senza ma.

Quanto all’Iran, il pensiero corre alla Belgrado degli anni ’90, quando
si succedevano le manifestazioni antiMilosevic da parte degli
“studenti” e “giovani democratici” dell’Alleanza Civica (ah, la
“società civile”!) guidate da Vesna Pesic, laureata all’Istituto Cia di
Washington “National Endowment for Democracy” (ripetutamente invitata
da Radio Sherwood di Padova), e da Sonia Licht, presidentessa della
Fondazione Soros (e interlocutrice privilegiata di alcune Donne in Nero
che vanno a Podgorica, sotto l’ala del bandito narcotrafficante
Djukanovic, a discettere di “fascismo serbo”. Quelle manifestazioni e
il sostegno ricevuto dalla “società civile” in Italia, con per
imbonitori il santone monarchico Draskovic e la spia Djindjic, fecero
da lubrificante alla successiva aggressione Nato.

Stessa scena oggi a Teheran. Il paese è sotto tiro dai vampiri
scatenati di Washington che un giorno sì e l’altro pure minacciano,
inventandosi bombe atomiche iraniane e folle di seguaci di Osama sotto
i mantelli degli ayatollah. E’ il momento migliore per scatenare una
piazza, assetata di McDonalds e mafia e mercato delle
multinazionali, sui diritti umani soppressi dagli oscurantisti
integralisti. Su loro vegliano, a uno sputo dalle coste iraniane, gli
F16 e i missili della più grande forza militare oggi concentrata nel
mondo. A loro offre incitamento e solidarietà nientemeno che il Diritto
Umano personificato, Gorge.W. Bush. E non nego che ci sarà pure tra
costoro qualcuno in buona fede, donne in testa, che s’illude che
buttando giù i mullah si apra la via per l’”altro mondo possibile”,
magari anche socialista, e non una neocolonizzazione USA che riprenda
il discorso dei colonialisti britannici e dello Shah, imposta dopo gli
opportuni sfoltimenti demografici a suon di uranio e ordigni
infanticidi a grappolo.

Contemporaneamente si torna a intensificare la polemica contro lo
“stato-nazione finito e superato” dalla globalizzazione, partecipativa,
nonviolenta, no.profit, municipale, ovviamente. L’Impero per Toni
Negri, il determinista, è una necessità storica evolutiva, come la
democrazia borghese (magari!), e a fronte dell’impero globalizzato, o
scegli l’esodo (nelle Maldive o nel Centro Sociale, a seconda delle
disponibilità), o scegli la diplomazia dal basso, quella municipale e
globale al tempo stesso: glocal, appunto.Sai che notti insonni per
l’imperatore! Questi retrogradi e conservatori che in Iraq, Iran, Cuba,
Venezuela, Brasile, Argentina, Siria, Palestina, Irlanda, Zimbabwe (W
Mugabe!), Congo (anche lì i “pacifisti” hanno fatto la loro Sarajevo, a
supporto di invasori e cospiratori imperialisti) si ostinano a vedere
nello Stato-nazione la garanzia della molteplicità, unità, sovranità
(Patria o muerte) e, soprattutto, la barriere giuridica e, se
necessario, armata contro coloro che dello Stato USA hanno fatto altro
che un Leviatano (loro sì, Stato Nazione, gli altri meglio di no)! Fare
un po’ di casino intorno alle basi americane, OK, ma disconoscere che
solo lo Stato, oggi come oggi (chè nessun comunismo lo ha ancora
dissolto), ha gli strumenti politici, giuridici, militari, magari in
coalizione con altri Stati, per riaffermare la sovranità del suo popolo
e il rifiuto della colonizzazione, non può che far piacere ai
disintegratori di Stati per eccellenza, gli USA.

O vogliamo ricorrere al Municipio?

Il che ci riporta a una debolezza storica dello Stato italiano rispetto
agli altri Stati europei e extraeuropei, nati in contrapposizione
all’Impero. Dal tempo dei Comuni, costituitisi ovviamente sotto
l’ombrello dell’Impero, seppure con qualche libertà da “esodo” (è il
quadro tracciato con mille anni di ritardo da Negri), famiglia,
particolare e locale hanno dominato il tessuto della società italiana:
tutti elementi contrastanti con la più vasta aggregazione
multiculturale, multiconfessionale, multiidentitaria conquistata con le
rivoluzioni francese, inglese, americana, russa, che ci avrebbe tratti
da un retaggio tribalistico e di fazioni che si macellano fra di loro
nel nome, appunto, del campanile e del clan. Non per nulla qui si
insiste sul modello del Chiapas e sul pensiero debolissimo di Marcos,
entrambi ispirati a familismi, particolarismi, tribalismi,
identitarismi, localismi, il massimo del privilegio per la classe
dirigente messicana che vedi frantumarsi in mille rivoli quella che
potrebbe essere una travolgente alluvione di lotte insurrezionali
coordinate dei vari soggetti antagonisti messicani per il rovesciamento
di un potere oligarchico in tutto il paese e la conquista dello Stato.

Quale sarebbe in questa prospettiva di liquidazione dello Stato
“l’altro mondo possibile”? Quello di comunità “a rete” che si scontrano
al loro interno su che cosa si possa consigliare al sindaco di fare con
una minifrazione del bilancio “partecipativo”, spostando così
astutamente il conflitto tra governati e governanti a conflitto tra
governati, guerra tra poveri che esime l’istituzione dalla
responsabilità di provvedere al bene collettivo? Questa del bilancio
partecipativo e consultatorio per un minimo degli stanziamenti è
davvero la presa per il culo del secolo: a Cuba, nel Venezuela
bolivariano l’assemblea cittadina, o di quartiere decide (non esprime
pareri) su tutto il bilancio e su tutta la gestione della comunità e
gli amministratori che non hanno funzionato vengono revocati. Con lo
Stato deperito, chi si assume la responsabilità del bene collettivo,
della ridistribuzione della ricchezza tra aree povere e aree ricche,
dell’ecologia dove il battito di una farfalla a Bolzano suscita un
maremoto a Trapani, dell’eguaglianza davanti alla legge, del sistema
dei trasporti armonizzato, della rappresentanza nei rapporti e nei
conflitti con altre entità, della sanità collettiva? Corollario
dell’estinzione dello Stato è infatti la scomparsa dell’intervento
pubblico generale ed equo e il diffondersi della frenesia egoistica del
particolarismo localista ad opera di ceti e lobbies egemoni.

A me pare che l’Italia, la cui unità nazionale era vaticinata da Dante
Alighieri fin dalla da lui vituperata epoca fratricida e
local-oligarchica dei Comuni e poi delle Signorie, abbia avuto solo tre
moti verso una nazione di cittadini uguali e uniti: nel Risorgimento,
frutto di una minoranza ma diretto verso un obiettivo collettivo,
sequestrato e umiliato dalla monarchia; quello del fascismo, stato
unitario pervertito dall’ideologia tirannica di razza e di classe
(chiamata “popolo”) e dall’imperialismo capitalista; e, soprattutto,
quello dei 240.000 partigiani che si battevano, sull’onda di un
sentimento, a larghissima maggioranza di classe, di unità e
indipendenza nazionale, nella prospettiva del socialismo e, intanto di
uno Stato unitario a costituzione democratica.

Leghisti e federalisti (non decentratori!) di ogni risma e
criptoleghisti del campanile hanno in mente un “altro mondo possibile”
che viene descritto nei documenti della strategia “del Secolo
Americano” come l’obiettivo fondamentale per realizzare il dominio
dell’unico Stato Nazionale sulle macerie degli Stati da frantumare.
Vanno smascherati.