Convegno CNJ 16/11/2002
4: Anelli

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Trieste / Trst, 16 novembre 2002, Convegno:
"...PASSANDO SEMPRE PER LA JUGOSLAVIA..."

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INTERVENTO DI LINO ANELLI
(CGIL Lombardia)

Il caso Zastava
 

Parliamo di Zastava ma in realta' la Zastava può essere un buon
pretesto per parlare della Jugoslavia e delle condizioni attuali della
sua classe operaia e dei suoi sindacati, delle politiche economiche con
cui il nuovo potere sta oggi cercando di imporre a questi soggetti
sociali più pesanti livelli di
subordinazione per sostenere le esigenze di quell'interesse conomico e
di mercato che sta oggi occupando, tramite la guerra, quel territorio.
La storia della Zastava, la situazione, le contraddizioni che attorno
al caso Zastava si stanno sviluppando, per certi versi intersecano gran
parte delle cose che avete sentito nelle precedenti comunicazioni.
Perche' la Zastava e' un soggetto sociale, e' uno snodo di diverse
contraddizioni - politiche,
sindacali ed economiche.
Noi cerchiamo di capire come relazionarci con una situazione (la
disgregazione della Jugoslavia) che, come diceva anche l'intervento di
Kapuralin, sembra non avere spiegazione, sembra illogica, anche se
illogica non e', perche' per tutti i processi storici, per tutte le
cose che avvengono esistono delle cause, ed esistono percorsi che ne
hanno determinato lo sviluppo. Non tocca a me sviluppare questa
analisi, già
presente nelle comunicazioni precedenti, e su come l'interesse
occidentale ha lavorato coscientemente per produrre in modo coercitivo
la disgregazione di una esperienza che, per il modello che
rappresentava, non rientrava (era quindi da ostacolo) nel tipo di
egemonia e controllo economico, politico e territoriale a cui
l'Occidente guarda tutt'ora.

Siamo entrati in contatto con la Zastava gia' durante i bombardamenti
mentre in Italia cercava di svilupparsi, con una evidente debolezza
sopratutto dentro ai sindacati, un movimento "contro la guerra".
Debole, perche' in quel momento sono mancate le tradizionali sponde
istituzionali,
politiche e sindacali . E' mancata una opposizione alla guerra da parte
delle forze di sinistra che anzi si sono lasciate immischiare in una
guerra assurda, giustificandola in nome di una "razionalità" e di un
"pragmatismo" con cui in molti hanno creduto di potersi accreditare tra
i patner fiduciari nel nuovo ordine mondiale.
Allora c'era in carica il governo D'Alema, sostenuto anche dai Verdi e
dal PdCI. La preoccupazione principale era difendere il Governo e ciò
ha irrigidito i comportamenti del centro sinistra e degli stessi
sindacati. In difesa del Governo di centro sinistra si sono sprecate le
azioni tese a condizionare lo sviluppo di una critica organizzata alla
guerra. Si è sostenuta una colpevole campagna di disinformazione con
cui si è cercato di
giustificare l'ineluttabilità della guerra, fino a cercare di
criminalizzare l'opinione di chi, non condividendo tutto ciò, cercava
di contrastare questa politica.
E' anche da ciò che si può spiegare la debolezza del movimento contro
la guerra, soprattutto dentro il sindacato, tra i lavoratori. Ha pesato
non poco il controllo, la disinformazione degli apparati sindacali
sostanzialmente organizzati dietro alla posizione della "dolorosa ma
contingente necessita'", che altro non era se non la giustificazione
delle scelte del governo di centro-sinistra. Governo che comunque
"andava sostenuto", che comunque "andava difeso" o perlomeno "compreso"
nella difficile e complicata situazione in cui si trovava.
Quindi un movimento contro la guerra debole, che pero' e' riuscito in
qualche modo a muoversi, anche se non ha avuto la capacita' aggregativa
che invece avrebbe potuto o dovuto avere.

Ecco: noi in quel frangente - subito dopo l'aprile 1999, ossia subito
dopo che i missili Cruise hanno distrutto la fabbrica della Zastava -
abbiamo cominciato a cercare rapporti con questi lavoratori. A dire il
vero ci hanno anche cercato loro. Essi stessi sono stati promotori di
una iniziativa tesa a
cercare la solidarieta' del mondo sindacale europeo, contattando anche
i tedeschi, i francesi, perche' dal mondo del lavoro venisse un
messaggio che manifestasse un chiaro rifiuto della guerra e perlomeno
forme di solidarieta' concrete, capaci di sostenere i lavoratori
jugoslavi in quel difficile impegno che era il dopoguerra e la
necessità di dare risposte ad un rischio di disgregazione sociale a cui
il mondo del lavoro jugoslavo andava incontro.

Accanto all'assurdità della guerra ed alla conoscenza delle sue
immediate conseguenze, il confronto con i lavoratori della Zastava si è
quindi subito spostato anche sul dopoguerra ossia sul fatto che questa
guerra avrebbe avuto sicuramente una azione disgregatrice del tessuto
sociale. Coscienti che senza la sopravvivenza o la difesa di un
soggetto sociale forte, come
potevano essere i lavoratori, il dopoguerra sarebbe stato altrettanto
catastrofico quanto la guerra stessa.
Abbiamo quindi avviato  rapporti con questi lavoratori partendo dalla
necessità di produrre una adeguata conoscenza della situazione in modo
da contrastare la forte disinformazione che attorno a questa guerra era
stata costruita, nel tentativo di costruire un percorso di conoscenza e
di comprensione su quanto stava veramente avvenendo. Era questo un
passaggio fondamentale anche per sostenere la proposta di un vasto
impegno solidale del mondo del lavoro italiano verso questi lavoratori.

Siamo quindi partiti dalla fabbrica, dal fatto che questa guerra
umanitaria si era in realtà smascherata per quello che era. Siamo
partiti dai dati sulla distruzione delle fabbriche, delle scuole, delle
strutture sanitarie ecc. ad opera dei bombardamenti della NATO, sulle
centinaia di migliaia di
lavoratori che hanno perduto il loro posto di lavoro, il reddito, ogni
tutela previdenziale, sociale e sanitaria.

Per questo la prima azione decisa assieme è stata quella di organizzare
in tutta Italia una serie di riunioni, di assemblee con i lavoratori
nelle fabbriche, che ha coinvolto diversi territori dal Sud al Nord,
portando in Italia una delegazione di lavoratori della Zastava. Questa
controinformazione, questa loro presenza in Italia e' sicuramente stata
utile perche' ha aperto concretamente delle contraddizioni in quel muro
di gomma che si era formato intorno alla questione della guerra.
Tanto e' vero che diverse strutture sindacali, di fronte ad un
confronto diretto con le contraddizioni e con le problematiche che
questi lavoratori ponevano, hanno messo in discussione un po' da subito
la posizione della "contingente necessita'". Mi riferisco non solo alla
sinistra sindacale, che pur con le sue articolazioni, con le sue
contraddizioni interne, comunque si era espressa contro la guerra, ma
anche alle strutture
sindacali nel loro complesso, soprattutto della Cgil.

E' bene ricordare che la CGIL Lombardia, la CGIL di Brescia in modo
particolare, che non e' una struttura da poco, si e' schierata da
subito contro la guerra. E che sulle varie iniziative di solidarieta'
successive che si sono poi determinate altre strutture della CGIL,
compresa la CGIL di Trieste, hanno avuto occasione di muoversi in
controtendenza rispetto ad una struttura nazionale che - lo posso
assicurare - e' stata
pesantissima all'interno, verso le proprie strutture, contro ed in
polemica con quelle posizioni che considerava cedimenti rispetto ad una
linea nazionale. Voglio solo ricordare che il segretario generale della
CGIL Lombardia, Agostinelli, e' stato dimissionato con la forza dalla
CGIL nazionale, tra le altre cose anche perchè ha immediatamente
criticato le posizioni nazionali sulla guerra, sostenendo e promuovendo
mobilitazioni in questo senso. In una lettera in cui lo si accusava di
inadeguatezza rispetto ai compiti di rappresentanza della linea della
CGIL nazionale in Lombardia gli veniva imputata, oltre la sua posizione
sulla guerra, anche il rapporto diretto che aveva costruito con i
lavoratori della Zastava.

Ciononostante, grazie a queste contraddizioni, e soprattutto grazie
alla coscienza che era importante - durante e dopo la guerra - lavorare
sulla soggettivita' sociale piu' rilevante, quella con la quale i
sindacati avrebbero dovuto confrontarsi direttamente ossia il mondo del
lavoro della Jugoslavia, e' nata quella rete di solidarieta' nella
forma che oggi molti di voi conoscono.
Una struttura di solidarieta' che poggia essenzialmente attorno ad
alcune, poche, strutture sindacali, ed a una rete di delegati di
fabbrica delle RSU che va dal Sud al Nord, con presenze significative
in alcune situazioni importanti. Una rete che poi ha coinvolto, anche
fuori dal mondo del lavoro, altre situazioni, associazioni ecc. Una
rete importante anche dal punto di vista quantitativo: non e' poca cosa
la solidarieta' che si e' riusciti a determinare e che si sta ancora
determinando. Anche se purtroppo, come qualcuno prima ricordava,
benche' essa non sia poca cosa rispetto alle nostre capacita'
operative, resta comunque troppo poca cosa rispetto al bisogno enorme
che esiste in quella situazione.

E' bene ricordare comunque che l'azione di solidarieta' che stiamo
portando avanti non e' di tipo caritatevole. Non consiste nel fatto che
se mi chiedono da bere io gli do da bere, se mi chiedono da mangiare io
gli do da mangiare... Questa rete e' "pensata", e'  "ragionante": e'
una iniziativa di solidarieta' che ha come obbiettivo l'intercettazione
di diverse problematiche, le stesse che sono emerse anche nella
discussione di oggi.
Ossia il fatto che oggi in Jugoslavia c'e' bisogno di difendere un
soggetto sociale - la classe operaia e di sostenerla non solo sul
fronte di una lotta per il reddito e per l'occupazione ma anche nel
ruolo che questa può svolgere in difesa della democrazia sociale,
contro l'imbarbarimento istituzionale ed economico che si sta
affermando in quella regione

Per questo, fin dall'inizio abbiamo cercato di allargare i nostri
rapporti al maggior numero di situazioni sindacali della Jugoslavia
Tuttavia, nonostante gli sforzi che abbiamo fatto, ci troviamo ad avere
come unico riferimento sindacale, per questa iniziativa, la Zastava. I
bombardamenti, e quello che e' successo dopo, hanno praticamente
maciullato l'organizzazione sindacale. Quando tu distruggi una fabbrica
distruggi un luogo di organizzazione; quando tu distruggi un
territorio, distruggi i referenti sociali che ci sono su quel
territorio. Praticamente, e' come se avessi svuotato quel territorio.
Non e' un caso che, purtroppo, la nostra iniziativa si sia fermata alla
Zastava: perche' la Zastava, dopo i bombardamenti e nonostante i
bombardamenti, e' stata una delle poche realta' sindacali, tra quelle
colpite dalla guerra, ad aver mantenuto - grazie allo sforzo non
piccolo dei lavoratori e dei loro delegati - una sua propria capacita'
organizzativa sindacale. Pur non avendo lavoratori in fabbrica, la
struttura sindacale si e' sforzata di resistere, anche solo dal punto
di vista formale: quindi ha continuato a funzionare come soggetto di
riferimento per il territorio, per i lavoratori. Continuando comunque a
convocare assemblee, organizzare manifestazioni e, anche se sembra
assurdo a fronte della situazione, anche scioperi.

E grazie al lavoro di solidarieta' di molti lavoratori e fabbriche
italiane, abbiamo contribuito a rendere possibile tutto ciò. Anche
senza la fabbrica, grazie all'organizzazione sindacale Zastava ed alla
solidarietà dei lavoratori italiani, i lavoratori della Zastava hanno
potuto continuare a vivere il loro luogo di lavoro come punto di
incontro, di snodo, anche solo perchè si poteva continuare per lo meno
a distribuire quel poco che c'era da distribuire. Quindi, quando
parliamo di una guerra e degli effetti che questa guerra ha sulla
capacita' di risposta della gente, dei lavoratori, delle persone, dei
soggetti sociali presenti su quel territorio, dobbiamo considerare che
la guerra e' prima di tutto una operazione distruttiva, che non
distrugge solo le vite individuali o le fabbriche o i ponti… ma
distrugge un tessuto sociale, le organizzazioni ed i loro riferimenti,
che mina alla base praticamente le condizioni sociali su cui
preesistevano le rappresentanze, sociali e politiche.

E' bene osservare la situazione anche da questo punto di vista: il
bombardamento della Zastava e' significativo del carattere che questa
guerra ha avuto. Essa non e' stata una guerra "umanitaria", una guerra
di liberazione. E' stata una guerra scientificamente organizzata con
l'obbiettivo di bruciare e distruggere un territorio, di smantellare
qualsiasi rappresentanza sociale, politica, economica, per favorire poi
sostanzialmente l'ingresso di interessi altri, che avrebbero dovuto
prendere in mano questa situazione, e trasformarla, manipolarla secondo
i propri interessi.

Dati certi, esatti, non se ne hanno. Pero', a chi e' andato in
Jugoslavia in questi ultimi tempi e' chiaro come questa guerra
abbia colpito soprattutto infrastrutture, centrali elettriche, scuole,
strade, ferrovie, ospedali, e soprattutto come abbia colpito il tessuto
produttivo. Oggi la Jugoslavia non ha piu' una industria farmaceutica,
non ha piu' una industria pesante, non ha piu' una industria
tecnologicamente in grado di competere; cio' che e' rimasto in piedi e'
la piccola e media industria, destinata a scomparire di fronte alla
distruzione del mercato, alla pesante contrazione dei consumi (dovuta
alla caduta dei redditi da lavoro), alla crisi economica che oggi la
Jugoslavia attraversa.

Quindi è stata una guerra mirata a creare il terreno utile per
realizzare ed affermare quello che, sostanzialmente, era alla base
dell'intervento, cioe' la conquista di una egemonia economica,
politica, territoriale, rispetto ad una zona che era di interesse 
strategico per il capitale occidentale. Adesso e' inutile soffermarsi
sulla guerra all'Iraq, sull'interesse dell'Occidente rispetto alla zona
asiatica, perchè è sostanzialmente tutto collegato. Oggi, di fronte
alla crisi con cui il capitale si trova a dover fare i conti, esiste la
necessità da parte del capitale di aumentare la propria pervasività sul
territorio, sulle economie altre, per garantirsi praticamente la
propria sopravvivenza.

Che questo obbiettivo sia stato poi perseguito senza badare alle spese
ed alle conseguenze lo dimostrano anche le altre cose che sono state
dette prima di me. Quando si parla di danni ambientali, nel senso di
crimini di guerra, parliamo di cose che sono sotto gli occhi di tutti e
non si dovrebbe fare fatica a dimostrarle.
Ha ragione Vlaic quando dice che bisognerebbe fare delle indagini
epidemiologiche: ma la NATO e l'Occidente non le faranno mai. Il
governo jugoslavo attuale probabilmente non ha interesse che su queste
cose si indaghi, perchè tutto deve sembrare come tornato alla normalità
rispetto alla confusione precedente.

Ma tutti sanno che non è così. Basta pensare agli effetti ambientali e
sociali dei bombardamenti. Oggi - lo rivela anche una indagine dell'ONU
- metà della popolazione jugoslava (parlo di Serbia) è praticamente
sotto la soglia di povertà e quella che risulterebbe ancora sopra la
soglia di povertà lo è solo grazie agli aiuti economici, alle mance,
alle regalie che le istituzioni possono ancora in parte permettersi di
distribuire grazie a certi aiuti, ad introiti avuti in cambio di certi
atteggiamenti di fedeltà alla NATO e all'Occidente.
Se mancassero anche questi introiti sarebbe un problema dal punto di
vista della stabilità interna. Quando si dice "soglia di poverta'" non
si intendono i 400 euro cui si riferiva prima la compagna di Belgrado,
ma si intendono i 225 euro che l'ONU considera come soglia di povertà;
225 euro praticamente non raggiungibili dalla metà della popolazione.

Ci sono poi situazioni ancora peggiori. Se consideriamo alcune
particolari isole come le cosiddette città operaie - Pancevo,
Kragujevac, Nis, ossia le classiche città nate intorno ad una fabbrica
- il livello di povertà coinvolge tutta la popolazione, perchè i
bombardamenti delle fabbriche hanno fatto mancare l'unica fonte di
reddito.  E' come se nella Torino degli anni '50, dove c'era solo la
FIAT, avessero bombardato la FIAT. Avrebbero messo in ginocchio tutta
la città, non solo i lavoratori. La devastazione sociale che è stata
prodotta è di per sè gia' un crimine di guerra.

Ma se poi ragioniamo da un punto di vista ambientale, distruggere una
fabbrica non è come buttare giù una cabina su una spiaggia.
Distruggere una fabbrica vuol dire produrre tutta una serie di
conseguenze a catena. Solamente a Kragujevac la distruzione
della fabbrica ha di fatto causato l'incendio di tutti i depositi di
solventi e di tutti i depositi di olio combustibile e lubrificante che
servivano per la fabbrica. Questo vuol dire che per settimane intere
nella zona di Kragujevac è girato PCB in quantità enorme, è volata
diossina in quantità enorme.

Se poi facciamo l'esempio di Pancevo è tutto ancora più eclatante. Per
spiegare cosa è Pancevo basta dire che è il petrolchimico gemello di
Porto Marghera. In breve a Pancevo c'è la stessa linea del Cloro che
c'è a Marghera!
Se io bombardo Marghera, potete immaginarvi cosa succede. Oggi, quando
a Marghera per il problema di una valvola, di una guarnizione che non
tiene fuoriescono 2 o 3 ppm di roba, scatta l'allarme in laguna, con
interventi di magistrati, blocco delle produzioni eccetera. Ma a
Pancevo è uscito ben altro che non 2 o 3 ppm di roba. Lì hanno
completamente bombardato una fabbrica con tutto quello che c'era dentro
- è uscito TUTTO!

Senza contare gli operai morti sotto il bombardamento. Dalle
informazioni che abbiamo raccolto noi, quasi tutto il turno di
notte di Pancevo ci ha perso la vita. Lavoravano, mica si aspettavano
che li bombardassero: operai che erano sul di lavoro e che non sono
stati neppure avvisati, neanche invitati ad evacuare rispetto ad un
rischio di bombardamento. Nessuno proprio immaginava che qualcuno
avesse in testa di bombardare un petrolchimico come quello di Pancevo -
eppure lo hanno fatto, sapendo perfettamente le conseguenze.

Anche senza indagine epidemiologica (che nessuno si sogna di fare sulla
popolazione di Pancevo), basta andare a vedere un bellissimo lavoro -
penso che molti di voi lo hanno gia' potuto leggere - redatto non dal
medico tal-dei-tali di fama internazionale bensi' da una veterinaria di
Pancevo che, vista l'impossibilita' di fare una indagine epidemiologica
sulla popolazione, ha fatto una cosa semplicissima: ha tenuto sotto
osservazione i piccoli animali domestici per un certo periodo di tempo.
Questi animali, avendo un metabolismo breve,
manifestano prima dell'uomo determinate disfunzioni. Da questa analisi
è venuto fuori che, in misura diversa, tra cani, gatti, agnelli,
pecore, cavalli, già un anno dopo il bombardamento si sono manifestate
- nelle nascite o nei decorsi normali di alcune fasi di crescita -
tutta una serie di problemi che (stando a quello che si puo' presumere)
avranno effetti negli anni anche sugli esseri umani, visto che il tempo
di metabolismo dell'uomo e' diverso (è più lungo) di quello dei piccoli
animali. Un po' quello che e' successo a Seveso, insomma. Cosi' hanno
valutato i rischi che la fuoriuscita di diossina a Seveso avrebbe avuto
sugli umani, e che poi si sono confermati con gli aborti, con le
nascite malformate, successivamente. Anche per Seveso parliamo sempre
di pochi ppm, perche' a Seveso non è uscito neanche mezzo etto di roba.
Seveso non è stata mica bombardata: avevano dimenticato una valvola
aperta per due minuti. A Seveso hanno capito la situazione e i rischi
per la popolazione analizzando i conigli, e hanno scoperto che quello
che nei conigli succedeva dopo sei mesi dalla fuoriuscita si e' poi
riprodotto sugli uomini, in scala e dimensione diversa.

Quindi questa è la situazione. La Zastava dimostra quanto si diceva
prima sulle caratteristiche proprie di questa guerra di aggressione,
che aveva in realtà tutta una serie di motivazioni ben particolari.
Motivazioni così forti dal punto di vista economico e dal punto di
vista egemonico che non si è guardato in faccia a nulla.
Avevano ragione i compagni della Zastava quando dicevano, già sotto le
bombe: "Questi hanno intenzione di vincerla, questa guerra". Però non
si trattava di una occupazione di territori: questi avevano proprio
intenzione di ottenere una resa, la resa sociale, politica, economica
rispetto al programma dell'Occidente.
 

Il calvario della Zastava

La Zastava era la piu' grande azienda dei Balcani. Prima ancora del
disfacimento della Jugoslavia essa era ovviamente molto più grande di
quanto non sia adesso. Si concentrava sostanzialmente sulla produzione
di camion e di auto per conto e in società con la FIAT. Aveva 36.000
dipendenti. Aveva un mercato garantito dalla Grecia e dagli altri paesi
dell'Est perché, pur non producendo macchine qualitativamente
eccezionali, rappresentava comunque la possibilità
di immettere sui mercati di quei paesi macchine a basso prezzo, ad un
prezzo accessibile, il che poteva garantire la continuità della
produzione nonostante la necessità di una ristrutturazione che comunque
era in discussione anche prima dei bombardamenti.

I bombardamenti l'hanno distrutta completamente. Nelle notti
del 9 e 12 aprile 1999 la bellezza di una quarantina di missili
Cruise l'hanno sventrata, soprattutto nei suoi elementi forti:
il centro di calcolo e progettazione è stato completamente
distrutto - quindi tutta la rete informatica, tutta la memoria
storica della fabbrica; la progettazione è andata praticamente a
pezzi; le linee di produzione delle auto sono state completamente
distrutte, quelle dei camion pure, poi gli uffici.
La devastazione è stata tale da far pensare all'impossibilità di un
qualsiasi tipo di ripresa.
Ovviamente, il bombardamento della fabbrica non ha coinvolto
solo i lavoratori. Quando dico "città operaia" voglio dire che alla
Zastava c'erano 36.000 lavoratori, di cui almeno 22.000 residenti in
città, a Kragujevac.
Se considerate che l'indotto in Kragujevac era rappresentato da altre
40.000 persone, e se considerate che la città ha poco più di 200.000
abitanti, avete presto fatto i conti... Non c'era in tutta Kragujevac
una sola famiglia che non vivesse del lavoro della Zastava. Quindi, il
bombardamento della Zastava è stato visto con ansia da tutta quanta la
popolazione: tanto è vero che, in uno scatto di orgoglio, sotto i
bombardamenti come anche prima dei bombardamenti, molti lavoratori
hanno occupato la fabbrica, quasi pensando, illudendosi,che facendo da
scudi umani il bombardamento sarebbe stato impedito. Il sindacato ha
pure avvisato la NATO con e-mail e fax che in fabbrica c'erano gli
operai che occupavano. Nonostante questo i bombardamenti sono andati
avanti fino alla distruzione completa della fabbrica.

A questa situazione i lavoratori, d'accordo con la direzione dello
stabilimento hanno cercato di dare una prima ed immediata risposta con
l'avvio del lavoro di spostamento delle macerie. E' bene sottolineare
come la direzione Zastava, quella precedente, ancora legata all'assetto
societario precedente, ossia a quello tipico dell'esperienza jugoslava:
non rappresentava più una vera e propria autogestione, perchè era da
tempo che l'autogestione in Jugoslavia era stata ripensata sopratutto
nelle grandi aziende industriali. Permaneva comunque  la forte presenza
pubblica, con un evidente interesse pubblico nella gestione della
fabbrica
che aveva nella salvaguardia dell'occupazione uno degli elementi
qualificanti e discriminanti.

In questa situazione, dicevo, i lavoratori della Zastava hanno
iniziato subito, quasi per rabbia, il lavoro di pulizia delle macerie!
E recuperando quel poco che si era riusciti a recuperare dalle macerie
erano riusciti a mettere in moto due linee di produzione che andavano
manualmente - mancando la corrente era impossibile pensare a livelli di
automazione come quelli precedenti. Era un atto simbolico importante.
Con quell'atto loro volevano dire che, nonostante i bombardamenti, la
fabbrica doveva continuare a vivere.

C'è da dire che in quella fase, e soprattutto in quella fase, la
solidarietà dal mondo del lavoro italiano è stata preziosissima:
i lavoratori Zastava manifestavano da un lato l'orgoglio e la
voglia di ricostruire, ma dall'altra parte c'era la paura di non
avere sostegno sufficiente per reggere uno sforzo del genere.
Quando infatti parlo di rimozione delle macerie e di rimessa in
moto delle due linee parlo di una  fase in cui i lavoratori non
percepivano reddito, neppure la misera indennità di disoccupazione che
molti di loro ora percepiscono. Era praticamente quasi tutto lavoro
volontario, organizzato, coordinato, diretto in qualche modo
all'obbiettivo di dare ai lavoratori una prospettiva e di evitare
l'emigrazione, di evitare lo sconforto.
Di evitare praticamente che i lavoratori se ne andassero.
Da questo punto di vista diciamo che l'aiuto che è stato chiesto
esplicitamente dai lavoratori della Zastava al mondo del lavoro,
italiano e tedesco soprattutto, in quella fase è consistito in:
"aiutateci a tenere la gente in fabbrica". Quindi: "aiutateci a fare in
modo che la gente, se ha bisogno di qualcosa, si abitui a venire sempre
in fabbrica a vedere cosa su può fare, cosa c'è e cosa non c'è."
In effetti, questa è stata una cosa che ha aiutato psicologicamente, ma
anche materialmente, in primo luogo diverse famiglie; ha aiutato a
sostenere la loro prima reazione, la voglia di ricostruire la fabbrica.

Il problema è che, con il cambio del governo che c'è stato in
Jugoslavia il 5 ottobre 2000, sono venuti meno di colpo quei
pochi ma utili finanziamenti che, nel frattempo, il governo della
Repubblica aveva cominciato a stanziare per la rimessa in moto della
fabbrica. Venendo meno questi investimenti è divenuta palese
l'impossibilità di continuare. Mancavano le materie prime, mancava la
possibilità di completare la rimessa in piedi dei capannoni, e
praticamente tutto si è fermato.
Anche quella simbolica ripresa produttiva ha dovuto sostanzialmente
fermarsi.
C'è da dire che la FIOM ha fatto un tentativo, anche piuttosto
esplicito e pesante, nei confronti della FIAT che era proprietaria del
48% della Zastava, affinchè la FIAT investisse in qualche modo, desse
una mano a rimettere in piedi la situazione. Ma si  e' constatato alla
fine l'assoluto disinteresse della FIAT ad investire in quella
direzione, come se avesse già programmato da tempo il suo abbandono di
interessi sulla Zastava. Così si è praticamente bloccato il tentativo
di riaprire la fabbrica, salvo che per due reparti, la fucina e
l'utensileria,
che oggi occupano in totale non più di 1300 lavoratori. Reparti che
però vivacchiano, nel senso che la fucina produce, se ha mercato,
poichè non produce più per la produzione interna della Zastava.

Ma anche l'utensileria, nonostante lo sforzo che hanno fatto, produce
materiale di qualità non competitiva, che può essere destinato a
Bulgaria o Romania, ma che non può di per sé, senza ulteriori
investimenti, rappresentare una soluzione stabile.

Al di là di questi due reparti, che comunque lavoricchiano, in realtà
oggi la fabbrica è ferma. Delle migliaia di lavoratori di cui si diceva
prima solo 17.000, a rotazione, hanno oggi un qualche rapporto con la
produzione, ma per effetto della saltuarietà della loro prestazione il
loro reddito non supera i 120 euro al mese. Se questi lavoratori
rimangono in qualche modo impiegati all'interno dell'attività, altri
9000 sono finiti in esubero - una specie di mobilità lunga come quella
che c'è da noi, una cassa integrazione speciale senza alcun dirito al
reintegro. Allo stato attuale essi percepiscono non più di 50
euro al mese. Di questi 9000 già molti hanno scelto la strada
dell'emigrazione, tanto è vero che oggi risultano iscritti alla lista
solo 7000 lavoratori. Molti hanno firmato per andarsene, in cambio di
un piccolo incentivo, prendendo la strada di altri paesi, in cerca di
altro lavoro. A questi vanno aggiunti gli 8000 lavoratori che sono
stati licenziati, e che non sono quindi neppure in mobilità, e gli 800
lavoratori serbi di Pec in Kosovo che sono stati cacciati e che oggi
sopravvivono grazie alla solidarietà del sindacato Zastava, senza il
quale non saprebbero a chi rivolgersi ne' dove andare a parare.
 

La svendita

In questa situazione il rapporto tra la rete di solidarietà e il
sindacato Zastava va avanti. Ma se prima il problema era
sostanzialmente come riprendere l'attività della fabbrica, oggi si
tratta piuttosto di sostenere questi lavoratori in una prospettiva
molto più lunga. Sulla Zastava permane - e con il nuovo governo è stato
dichiarato subito - l'interesse a vendere, ossia a non impegnarsi per
una ripresa dell'attività e viceversa a trattare la Zastava come un
supermercato composto da tanti piccoli reparti che possono essere
venduti, ceduti in cambio di poco o di niente. Ma fino ad oggi neanche
questo nuovo
atteggiamento del governo nazionale ha suscitato interesse da parte di
acquisitori stranieri.
Finita la guerra, la Jugoslavia è diventata terra di conquista per
tutta una serie di piccoli truffatori, di piccoli capitalisti che
pensano di andare lì e tirare su palate di soldi approfittando di una
economia in ginocchio e della ricattabilità dei soggetti sociali
(lavoratori in primo luogo) a cui offrire una "occasione" in cambio
però di livelli di subordinazione del lavoro che mai prima questi
lavoratori avevano conosciuto.
Tutta l'attuale amministrazione pubblica jugoslava si è strutturata per
intercettare queste "occasioni",  tanto è vero che mai come in questa
ultima fase, credo, tra camere di commercio italiane e amministrazioni
comunali jugoslave si e' sviluppato un fitto rapporto di scambi, di
informazioni, di visite. A noi è capitato spesse volte, essendo lì a
Kragujevac, di vedere - una volta proprio in diretta, in un
telegiornale locale, una intervista a imprenditori veneti che dicevano
pressapoco: "Noi siamo venuti qui oggi perchè vogliamo vedere alcuni
reparti, alcuni capannoni dismessi. Il comune ci ha promesso
mari e monti, noi veniamo qui, investiamo..." Però tutti questi
imprenditori ponevano la stessa questione: noi veniamo, quindi siamo
dei benefattori; e così come stanno le cose ancora non ci basta,
bisogna cambiare le regole... Oltre ai terreni gratis, ai capannoni
gratis, al non pagamento delle tasse per 5 o 10 anni, bisogna che anche
la manodopera sia gratis!

Una vera e propria speculazione che sta investendo soprattutto le
piccole e medie aziende dell'indotto, ormai senza lavoro a causa del
bombardamento della Zastava, sulle quali si intende trasferire
produzioni attualmente fatte in Italia puntando sul costo zero
dell'investimento e sulla disponibilità di avere mano d'opera affamata
a cui imporre qualsiasi condizione di lavoro e retributiva.

Sulla Zastava questo tipo di speculazioni non sono riuscite perchè la
Zastava, a differenza di tutte le altre unità produttive, aveva al suo
interno una forte organizzazione sindacale, che rendeva meno fattibile
la svendita al capitale estero che arrivava e si dichiarava interessato
a quel tipo di soluzione. Operazioni di questo tipo sono invece andate
avanti alla grande altrove. Come diceva prima la compagna di Belgrado,
stanno privatizzando tutto, cioè tutto è vendibile, oggi, in
Jugoslavia. Va giù una immobiliare e si compra appartamenti, case. Va
giù una camera di commercio e concorda l'arrivo di faccendieri che
comprano piccole fabbriche, capannoni
vuoti, tutto quello che è buono, e anche i gioielli di famiglia.

E' notizia di pochi mesi fa che tutta la catena dei cementifici (che
erano una perla dell'economia pubblica jugoslvava) è stata spezzettata
e svenduta a imprenditori francesi e tedeschi che con tutti i problemi
di ricostruzione che ci sono non possono che aspettarsi profitti
allettanti. Adesso si parla anche di privatizzare le miniere.
Una linea, quella di svendere, di privatizzare tutto, che adesso è
arrivata anche alla Zastava Però, per svendere la Zastava bisognava
prima incrinare la sua capacità di tenuta. Voi sapete che per comprare
la Zastava si è fatto avanti ora questo Malcom Briklin, il quale in
realtà, anche se si presenta come un grande imprenditore, non è altro
che un poveraccio, nel senso che si è fatto una fortuna  unicamente
mettendo in piedi una
rete di concessionarie in America per vendere auto giapponesi. Ha
tentato due operazioni industriali, una producendo una macchina che
portava il suo nome, che però è fallita subito, e un'altra mettendo in
piedi una compagnia elettrica, che non è sopravvissuta. Briklin si
appoggia su delle banche che hanno la debolezza strutturale ricordata
dalla compagna di Belgrado. Adesso, di colpo, si compra la Zastava,
mettendo lì una barca di soldi che non si sa dove andrà a prendere.
Ha presentato un piano industriale che è a dir poco industriale che è a
dir poco fantasioso, vale a dire: io ti compro e ti prometto l'America
- pur sapendo bene quali difficoltà ci siano a rimettere in piedi la
Zastava.
Questo Briklin promette di assumere 9000 persone nel giro di cinque
anni, di produrre 220.000 auto l'anno, e - notate bene - non punta sul
mercato dei Balcani o sul mercato dei paesi dell'Est, dove quelle
macchine a basso prezzo avrebbero un mercato. Punta piuttosto ad
esportarle in America ed in Europa, intendendo competere con il mercato
dell'usato, nel senso che a quei prezzi e a quelle condizioni in Europa
e in America ormai il mercato dell'usato fornisce materiale
equivalente.
La situazione è paradossale. Per dirla tutta, condividendo il parere
che anche il sindacato metalmeccanici italiano ha espresso, conoscendo
il tizio e parlando anche con quelli della Zastava, più che una
operazione industriale l'arrivo di questo Briklin è la classica
operazione speculativa che punta a comprare a determinate condizioni
per poi manipolarla, rivenderla a pezzi, a suo uso e consumo. E' fuor
di dubbio, vista la sua storia, che Briklin sia molto più interessato
ad acquisire la rete concessionaria della Zastava piuttosto che la
fabbrica di produzione delle auto. Infatti, grazie a quella rete
concessionaria egli può piazzare in tutti i Balcani e nell'Est Europeo
tutto il suo enorme giro di auto usate, di cui già dispone. Grazie al
nome Zastava, alle concessionarie ed
alla rete Zastava di assistenza, egli potra' guadagnare, con risultati
sull'occupazione nulli.
 

I rapporti tra i sindacati

Ciò che si presenta agli occhi dei lavoratori della Zastava non è
assolutamente confortante. Tanto è vero che il sindacato della Zastava
- almeno il più grosso dei tre sindacati presenti - intende opporsi a
questo piano industriale.
Detto tra noi: quando tu sei impiccato, come fai a dire di no a uno che
viene lì e ti dice che assume 9000 persone. Non ci crede nessuno, ma
ciononostante ci vuole una bella tenuta per opporsi! Comunque, i limiti
di questa operazione sono oggi chiari a tutti.

Un piccolo inciso: noi stiamo sostenendo la tenuta del sindacato della
Zastava anche attraverso l'inserimento dello stesso dentro il Forum
europeo della sinistra sindacale, non tanto perchè questo risolva
qualche problema a loro, ma perchè almeno apporta una visibilità
europea al problema. In questo senso dovevano essere presenti il 7
novembre scorso al Social Forum di Firenze anche due delegati della
Zastava e un esponente del sindacato metalmeccanici nazionale
jugoslavo. Ma l'Ambasciata italiana di Belgrado non ha
concesso per tempo i visti, benche' fossero stati chiesti direttamente
dalla CGIL di Brescia.
Sicuramente c'è stato un intervento negativo da parte dell'Ambasciata
italiana di Belgrado; sicuramente non c'è stata, da parte del Ministero
degli Esteri, alcuna intenzione di forzare la mano, di lasciare che i
visti venissero sbloccati. Ma pare quasi sicuro che lo zampino che ha
portato all'impedimento del rilascio dei visti venga proprio da
Briklin, preoccupato che in occasione del Social Forum qualcuno venisse
in Italia a denunciare la stupidità dell'operazione che il governo
jugoslavo sta mettendo in piedi con lui. Questo solo per la cronaca,
per sottolineare l'importanza delle cose che si stanno discutendo e
decidendo in questi giorni, in questi prossimi mesi, alla Zastava di
Kragujevac.
 

Altri aspetti della situazione sociale
 
La capacità di risposta del mondo del lavoro è in larga misura
compromessa, per la situazione difficoltosa in cui oggi i sindacati
jugoslavi si trovano. Dobbiamo considerare che la guerra ha indebolito
la capacità organizzativa della rappresentanza sindacale in Jugoslavia.
Le condizioni della classe operaia sono paurosamente peggiorate,
aumentando la frantumazione di cui prima si parlava. L'embargo prima,
la guerra, l'aumento dei prezzi, la caduta dello stato sociale, il
venire meno di una serie di servizi, l'inflazione, producono  una
situazione di sfaldamento della capacità di tenuta della classe operaia
e delle famiglie. Non va dimenticato che   anche la situazione dei
pensionati è drammatica, nel senso che le pensioni acquisite di diritto
non vengono pagate ovvero vengono pagate in una misura che non supera i
50 euro al mese e chi va in pensione oggi sa
che non prenderà niente. E chi pensava di andare in pensione tra
due-tre anni sa già che non ci andrà, perchè tutto il sistema
previdenziale è saltato, non c'è più nessuna garanzia da quel punto di
vista.
Le condizioni materiali della classe operaia sono peggiorate, e questo
accelera, aumenta il peso delle difficoltà organizzative da parte del
sindacato.

Ma non bisogna dimenticare un'altra cosa importante, e cioe' che con il
cambio di governo è partito, all'interno della Jugoslavia, un forte
attacco contro la tenuta sindacale attraverso il finanziamento di vere
e proprie operazioni di scissione sindacale, attacco che ha avuto un
certo successo. Grazie ai grandi aiuti economici che sono arrivati
dall'Occidente è stata inventata questa sigla filo-governativa
che si chiama Associazione dei Sindacati Indipendenti, che è entrata
immediatamente in competizione con il sindacato maggioritario
producendo qua e là delle scissioni.
Alla Zastava - badate bene - queste scissioni non sono riuscite.
Alla Zastava ancora alle ultime elezioni il 92-93% dei lavoratori
ha riconfermato la fiducia al sindacato maggioritario; e questo
spiega perchè proprio alla Zastava la tensione sindacale sia arrivata
alle stelle, con pestaggi, pedinamenti, minacce. Non so se vi sia
arrivata all'orecchio voce di alcuni eventi recenti. Il clima si è
notevolmente esasperato verso il Sindaco di Kragujevac, che è un
filo-Dijndijc, che organizza una manifestazione di operai della Zastava
contro il sindacato, e poi si scopre - noi siamo arrivati sul posto due
giorni dopo - che in realtà le "masse dei lavoratori" che hanno
manifestato erano arrivate con i pullman da Belgrado, e di lavoratori
della Zastava non ce n'era quasi nessuno! Oppure i picchettaggi ed i
blocchi delle elezioni dei delegati sindacali, nel senso che quando
sono state aperte le urne questi sindacati indipendenti sono entrati,
hanno impedito che si tenessero le elezioni, secondo l'assunto che i
posti nel sindacato dovevano
essere ripartiti in funzione delle percentuali elettorali che nelle
ultime elezioni politiche i singoli partiti avevano ottenuto: ben
sapendo che se si fosse andati al voto tra i lavoratori essi non
avrebbero preso gran che, rivendicavano una rappresentanza di tipo
politico.
Tutte queste situazioni hanno ulteriormente aggravato il clima
alla Zastava, ma sono anche testimonianza di come il controllo
dei sindacati sia elemento indispensabile, per chi vuole controllare
gli sviluppi politici ed economici del paese nei prossimi mesi.
Anche in questo la Zastava rappresenta un elemento di
controtendenza, perchè proprio nel punto più importante, la'
dove la scissione doveva sortire dei grossi risultati, questi non
si sono prodotti, e questo anche grazie alla capacità di resistenza e
di tenuta della struttura sindacale attuale.
 

La contro-riforma del mercato del lavoro

E' difficile, in questa situazione di concorrenza sindacale e di
operazioni scissionistiche filo governative, per il sindacato jugoslavo
reggere, oltre allo scontro sulla difesa del posto di lavoro anche
l'offensiva governativa in materia di diritti e di distruzione del
piano normativo in materia di mercato del lavoro.
Una riforma che il governo federale ha già presentato, e che in queste
settimane sta realizzando, con la contrarietà di alcuni sindacati e con
l'assenso di questa Associazione dei Sindacati Indipendenti il cui
segretario generale è addirittura l'attuale Ministro del Lavoro.
Quindi il proponente di questa legge sul lavoro!
Una legge che a noi non suona tanto strana, perchè pur essendo stata
scritta in modo diverso, partendo da una situazione precedente diversa,
è praticamente identica al Libro Bianco ed alla riforma del mercato del
lavoro che stiamo contrastando in Italia.
C'è la riduzione del contatto nazionale di lavoro a mero riferimento
normativo. Praticamente, salta il salario minimo nazionale, si propone
una sorta di sistema a gabbie salariali, legate al territorio ed alla
tipologia industriale - quindi con gabbie e sotto-gabbie. Poi c'e'
l'aumento del lavoro precario, con l'introduzione di un contratto a
termine che, in confronto, la proposta di Maroni è acqua di rose. Ed
inoltre altri punti da non sottovalutare, tra cui uno simbolico, che
dovrebbe far gridare
allo scandalo. Pur di risparmiare, con la scusa che si devono trovare
risorse per il rilancio dell'economia (che pero', come sapete, non
avviene perchè il governo ha demandato il rilancio dell'economia agli
interessi degli speculatori stranieri e non al suo intervento diretto),
è stata ridotta la copertura per la tutela delle lavoratrici incinte;
ed inoltre è stata inserita una norma, che non è proprio uguale alla
nostra sull'articolo 18, ma che
da' sostanzialmente alle aziende la libertà di licenziare senza giusta
causa se la tipologia del lavoratore non corrisponde più alle esigenze
dell'azienda.
Una riforma che punta inoltre, elemento non secondario, alla riduzione
della rappresentatività sindacale. Si chiede che il singolo lavoratore,
se interessato, possa anche firmare contratti di assunzione
individuali, scavalcando quindi la mediazione contrattuale e sindacale.

Voglio dire, per concludere: la questione della Zastava è
significativa, perchè a mio parere apre una discussione che altri hanno
posto in modo diverso qui dentro. Noi siamo convinti tutti che la
situazione in Jugoslavia, così come è, è destinata allo sfacelo perchè
la Jugoslavia è diventata terra
di conquista di speculatori. Non esiste oggi in Jugoslavia una
rappresentanza politica in grado di programmare, di dirigere, di
mantenere, di tutelare al minimo neanche quelli che sono gli interessi
nazionali, neanche quelli della borghesia nazionale. Non c'è nessuna
preoccupazione in questo senso.
Che cosa si può fare? Si può fare molto, sapendo che naturalmente sarà
solo la nascita e la determinazione di condizioni oggettive a favorire
poi uno sbocco piuttosto che un altro. Ma noi come compagni, come
italiani, come vicini, come solidali a un punto di vista che comunque
dentro a quei territori ancora sta lottando per sopravvivere possiamo
lavorare
soprattutto per favorire la tenuta di quello che è l'unico soggetto
sociale che può effettivamente contrastare questi processi.
Questo soggetto sociale è la classe lavoratrice in tutte le sue
articolazioni: lavoro dipendente, disoccupati, pensionati. E quindi,
come già diceva Vlaic stamattina nella sua introduzione e come altri
hanno ricordato, noi dovremo, oltre che ascoltare, fare domande,
chiedere, dovremo saper sviluppare un lavoro capace di una solidarietà
concreta, fortemente indirizzata al sostegno di una lotta di resistenza
che la classe lavoratrice
jugoslava, in completa solitudine sta cercando di fare contro i
tentativi di chi la vorrebbe silenziosa ed asservita al nuovo potere
economico e politico.

Saremo utili ed efficaci se sapremo produrre iniziativa utili a far si
che la classe lavoratrice jugoslava riesca a incidere sulle condizioni
oggettive dentro le quali è oggi costretta a muoversi.
Per esperienza nostra, questo sbocco per noi vuol dire rafforzamento
del peso, del ruolo sociale, della  capacità di organizzazione e della
capacità di rappresentanza sociale della classe operaia.