FASCISTI SINISTRATI
BAMBINI DESPOTTATI
DISOBBEDIENTI OBBEDIENTI
MONDOCANE FUORILINEA
28/09/03
FULVIO GRIMALDI
Tre sono al momento le categorie di fascisti. Fascisti in senso lato,
biblico ma “moderno”, alla Bush, Sharon, Berlusconi, Fini, Bossi,
D’Amato, esplosi alla grande con lo schianto dell’11 settembre;
fascisti repubblichini manifesti e a braccio teso, tipo Forza Nuova,
MSI-Fiamma Tricolore, Le Pen, Deutsche National Partei, National Front;
fascisti “oltre la dicotomia destra-sinistra”, antiamericanisti, ma
imperialisti nazionaleuropei con nostalgie carolingie, comunitaristi,
socialibertari, impegnati nella pratica dell’infiltrazione tra tutto
quello che si muove nella sinistra autentica, movimenti, organizzazioni
extraparlamentari, settori radicali di partiti comunisti. Hanno tutti
in comune due aspetti costitutivi: l’essere pappa e ciccia con i
servizi segreti, con le agenzie di operazioni sporche e di guerra
psicologica, a volte come datori di lavoro, a volte come dipendenti, a
volte ancora come terminali inconsapevoli; e l’essere discepoli
laureati di Leopoldo Fregoli (1867-1936), che aveva nel DNA la
diabolica capacità di passare da un personaggio all’altro, cambiando
radicalmente stile di recitazione, costume e trucco con rapidità
straordinaria.
Nella categoria dei Bush (che comprende i soci d’affari e di macelleria
Perle, Wolfowitz, Abrahms, Ashcroft, Condoleezza, Cheney, Rumsfeld e
altri), quest’arte si avvale di un armadio rotante nella Casa Bianca in
cui si entra con l’abito scuro e cravatta del politico
democratico-borghese e se ne esce, mezzo giro dopo, con la divisa e il
ra-ta-ta-ta-stonff di Robocop-Terminator e, dopo altra girata, con la
tunica gialla degli Hara Krishna, il bastone di Ghandi e il canto dei
diritti umani. Invisibile resta sotto, in ogni caso, la biancheria
intima fornita dalla ditta Al Capone-Licio Gelli & Brothers.
Lo schieramento FN-Le Pen riserva curiosità minori: non possiede che un
cambio, indossato molti anni fa, mai lavato e portato a pelle, sotto
giubbotti di cuoio e zazzere rasate, pronto a essere esibito una volta
che se ne è dileguato il fetore. E’ vuoi di colore nero, vuoi bruno. A
volte verde con tanto di sole padano.
Coloro che qui interessano di più sono quelli della terza posizione,
bravi come nessuno a trasformarsi da bombaroli stragisti di ascendenza
statale in scorreggioni di periferia con in testa una runa, in mano una
spranga e nella strozza un sole che sorgi. O, ancora, in studiosi
compunti di un Marx da riscattare dal suo rintronamento ottocentesco e
da proiettare verso l’abbraccio-fine della storia e dell’arcaica
differenza destra-sinistra, con Julius Evola, Dino Grandi e Bombacci.
Insomma, sono i paggetti che reggono lo strascico al matrimonio tra il
vecchio Marx e il giovane Mussolini.
Hanno case editrici, riviste, quotidiani, siti-web, mailing-list, ma
anche covi, labari e inni a Thor, e, dopo De Benoist e Thiriart in
Francia, un famoso filosofo italiano di Torino, teorico, anche
abbastanza rancoroso, del superamento dell’ idiota (termine suo)
contrapposizione destra-sinistra.
Non oserei mai misurarmi con l’eletto accademico, con in capo tanti bei
testi di acuta analisi storica, con Marx su una spalla, D’Annunzio
sull’altra e il duo Pericle-Plotino sulla terza. Qui voglio soltanto
pizzicare alcune delle vibranti corde di un suo grande concerto
sinfonico, eseguito giorni fa in rete, per ridurlo a canzonetta,
accessibile alle moltitudini assetate di nuove e definitive verità.
Parla, dunque, così, il vate di tanti piccoli corifei che, spiazzati ed
emarginati a ruoli di pura testimonianza dall’Estrema Destra Moderna,
dotata di FMI, piantagioni d’oppio, carabinieri, Banche, F-16 e Bombe
all’uranio, cercano di guadagnare numeri e funzione mescolandosi,
sorridenti e con spilla di Lenin, in qualunque assembramento
antagonista si presenti in piazza:
“(La) questione del mantenimento e/o superamento della polarità di
Destra e Sinistra…In realtà non è affatto una bestemmia. In linguaggio
filosofico (!), si tratta solo di una sorta di dubbio iperbolico cui
far seguire una catena di dubbi metodici(!)… Tenterò una doppia ipotesi
filosofica, per cui la patologia comune delle due posizioni polari e in
entrambi i casi un deficit di universalismo… E questo ci costringe a
ricercare un nuovo terreno universalistico”.
Quanto ragiona bene il filosofo piemontese! Infatti, la destra coltiva
una visione davvero riduttiva e localistica: il nazismo in un solo
paese e, se fosse stato per Hitler, lo avrebbe fatto solo a Salisburgo,
il fascismo in un solo paese, il franchismo in un solo paese, il
papadopulismo in un solo paese, il pinochettismo in un solo paese e via
sminuzzando. Tutto il resto, o colonie o hic sunt leones. Nella
società, poi, piuttosto che far produrre a tutte le fabbriche solo
camicie brune o camicie nere, colori da universalizzare fin dal primo
pannolino, tollerava, almeno in salotto e camera da letto, pigiami e
guepiere di svariati altri colori.
Invece la sinistra, quella comunista (non ce ne sono davvero altre),
limitava il suo messaggio, pur proiettandolo in un onirico futuro senza
classi e senza stato per tutti, alle minoranze povere, deboli,
sfruttate, a una classe operaia in estinzione, a qualche studente
problematico, fuori ed entro i propri confini. Un atteggiamento
strutturalmente minoritaristico, travolto e superato dal nuovo, unico e
definitivo “universalismo umanistico” del filosofo.
“Perché feticizzare la dicotomia fra destra e sinistra – si chiede
angosciato il pensatore – quando i gruppi fondamentali della sinistra
di tipo politico-elettorale ed intellettuale-culturale hanno cessato di
rappresentare…un punto di vista conflittualista ed emancipazionista ed
hanno variamente adottato un punto di vista di aperta integrazione
politico-culturale e di gestione sistemica?”
E qui, se mi è consentita questa impertinenza dal basso, ho
l’improntitudine di notare una lieve contraddizione nel ragionamento
del vate: invoca a ogni piè sospinto la sacrosanta panacea
universalista, sfuggita a una sinistra miope e gruppettara, ma poi
ammette di aver guardato solo all’Europa. E, come ipnotizzato dalla
visione di Fassino, Blair, Schroeder o Chirac (gente che, tuttavia,
prima di coricarsi, si netta con getti d’aria a 1000 atmosfere di ogni
contaminazione, anche solo verbale, di sinistra), trascura di
evidenziare come nel resto del mondo miliardi di persone abbiano
ugualmente “cessato di rappresentare un punto di vista conflittualista
ed emancipazionista” e si siano sistemicamente integrati. E penso a
quei fasulloni dei bolivariani in Venezuela, regressivamente tornati a
Marx, Bolivar e culture indie, al formicolio di Senza Terra in Brasile
che hanno pensato di fare la rivoluzione rosicchiando qualche ettaro
agli agrari; a quegli 11 milioni di cubani che credono di aver fatto
cose epocali nella loro isoletta, universalizzando l’alfabeto e
Schopenhauer a tutti, come anche l’aspirina, la casa, l’acqua, gli
alberi, e in più sono andati a diffondere queste cose tra qualche
capanna dall’Angola al Congo alla Bolivia. Penso anche a quegli
irriducibili localisti di palestinesi e iracheni che insistono a
dissanguarsi per cose loro, particolaristiche, come il recupero della
dignità nazionale, delle conquiste sociali, della sovranità dei loro
minimalisti statarelli, ignorando l’ampio e possente respiro che gli ha
portato l’universalismo imperiale sionista-statunitense, l’unico in
atto, almeno fino a quando le genti del pianeta non saranno
affratellate dall’Umanesimo Universalista – o è l’Universalismo
Umanista? – di Costanzo Preve.
Prosegue il Nostro:” La dicotomia opposizionale fra destra e sinistra
risponde a un bisogno primario, antropologico prima ancora che
politico, che ha l’uomo moderno in alcune, non tutte, le parti del
mondo (certo non nell’amato Tibet, dove il dominio assoluto dei monaci
sull’indistinto brulichio rurale di vivi e morti, passato, presente e
futuro, ha liberato quel popolo da ogni dicotomia. FG) di conseguire
un’identità e una appartenenza che strutturi simbolicamente la propria
percezione, quasi sempre intuitiva e prerazionale, della totalità
sociale in cui vive…Alla vecchia dicotomia Ortodossia/Eresia si
sostituisce la nuova dicotomia destra/sinistra”.
E qui siamo davvero a una potenza dialettica da “shock and awe”. C’è da
arrossire a continuare a spilucchiarci attorno. In ogni caso, è balsamo
per il deviante e miscredente, appiccicato a vecchie categorie della
ragion pura e di quella pratica, con preoccupante pencolamento verso la
seconda. Pensate, m’ero illuso, da “uomo moderno”, per quanto ancorato
al pretenzioso leguleismo dell’illuminismo, di aver fatto un, seppur
piccolo, ragionamento, magari primario, magari antropologico, quando,
scivolando fuori da bibliche subalternità gerarchiche, ho cercato di
conseguire “un’identità e un’appartenenza che strutturasse
simbolicamente”, ma anche molto materialmente, la mia percezione della
totalità sociale in cui vivevo. Mi avevano fatto credere – e come se ci
avevo creduto! – che a sinistra mi ero schierato perché, scendendo i
gradini della chiesa, uscendo dal portone della scuola e facendo
ciao-ciao ai miei genitori, avevo incontrato persone perbene e, dunque
quasi sempre povere e sempre lavoratrici, cui il padrone
screstava l’80% del frutto del loro lavoro, cattolici irlandesi
falciati da parà a Derry, arabi palestinesi e iracheni seduti tra le
macerie con il Kalachnikov in mano, indios, chicanos e neri delle
Americhe alla ricerca di un orto, o di un facchinaggio. Nonché,
decisivo, perché certe magliette a strisce, nel 1960 di Tambroni, avevo
visto emergere dal porto di Genova e tenere per un po’ teste di
celerini dentro la fontana di Piazza De Ferrari.
Quella mia “percezione”, ho imparato, era “largamente intuitiva e
prefazionale”. Come dire che avrei potuto benissimo stare dalla parte
degli americani che mi avevano incenerito città e compagni di scuola,
anziché dietro a una mitragliatrice a tentare (avevo 10 anni) di
sparargli sul muso. O a fianco di un bravo pilota di F-16 con le
insegne israeliane.
Del resto, quella erratica dicotomia “non è affatto originaria, ha solo
circa due secoli di vita”. Cioè da quando i giacobini si sono messi a
sinistra per l’esigenza “primaria ed antropologica” di stare vicino ai
termosifoni. Spartaco, Cola di Rienzo, le guerre contadine, Voltaire, i
pigmei con tutta la foresta in comune e l’ultimo dei mohicani chissà
dove si trovano, ora che non c’è più l’infernale dicotomia. E pure
Torquemada, Luigi XIV, Silla, Carlomagno e Giulio II. La loro,
poverini, era solo una “vecchia dicotomia spaziale religiosa” e, più
tardi, squallidamente laicizzata e secolarizzata (vedete che
vocabolario: paghi uno e prendi due!). Come l’hanno difesa, questa
dicotomia? In “modo feroce e talvolta irrazionale”.
E non finisce qui. Anzi, c’è un piatto forte. Da quanto sopra discende
che è “potenzialmente paranoico quello che chiamo il paradigma
dell’infiltrazione che è, a sua volta, una modalità della difesa della
purezza, e considera ogni sconvolgimento del rassicurante modello
dicotomico di strutturazione identitaria del mondo come un pericoloso
complotto di infiltrati. Così, se l’originariamente “sinistro” Adriano
Sofri è schierato per i massacri sionisti ed americani e per i
bombardamenti umanitari, mentre l’originariamente “destro” Alain De
Benoist è schierato contro, questo fatto non è interpretato
dialetticamente come normale evoluzione di posizioni, ma come un’astuta
e perfida manovra della destra eterna di infiltrarsi nelle pure fila
della parte sana della società politica…. Si tratta di una stupidità
tale…di una modalità patologica di difesa psicologica della propria
identità minacciata.”
Che stupidoni! Se il ministro di polizia Fouchè era passato
elegantemente dal difendere la ragioni di principi, duchi e banchieri a
quelle dei sanscoulottes e poi, de retour, a quelle dei Bonaparte, non
di infiltrato dell’aristocrazia, prima, della borghesia poi e
dell’impero, dopo, si trattava, bensì di evoluzione verso il
superamento della dicotomia! E io che avevo sempre pensato che Sofri
fosse un infiltrato! Prima il PCI come nemico principale, il
socialimperialismo sovietico, le imprese editoriali realizzate insieme
a un rampollo della CIA, passato poi a sopprimere tutta Lotta Continua
(comprese molte vite) e a rivelarsi facinoroso pannelliano, bombarolo,
provocatore, sionista, iperatlantico, uomo d’ordine, bambolotto di
Giuliano Ferrara. Aveva superato la dicotomia. Difatti le ovazioni si
sprecavano, da Berlusconi a Rossana Rossanda! Si è evoluto, Adriano,
guadagnandosi non solo la grazia, ma il ruolo di portalabari dell’era
della nuova dicotomia fascismo/ riformismo, sicuramente a Preve un
po’meno ostica di quella vecchia, anche perché assai più
“universalistica” della precedente.
Quando 50 milioni di sovietici si fecero ammazzare da Wehrmacht,
Gestapo e SS, nonchè dalle scarpe di cartone di Mussolini,e chissà
quanti partigiani serbi e italiani, e un milione di “dissidenti”
tedeschi, pensando di buttar giù regimi di destra per salvare popoli di
sinistra, che “stupidità” manifestavano. Era solo una “modalità
patologica di difesa psicologica della propria identità minacciata”.
Ah, se si fossero levati dalla dicotomia destra/sinistra!
E qui, temo, il Professore polemizza col sottoscritto e altri “quattro
gatti” (è il nome d’arte che ci hanno attribuito), quando allude ai
paranoici dell’infiltrazione, infiltrazione di gente che, invece, si è
solo evoluta. Cademmo nella paranoia dell’infiltrato quando ci
accorgemmo che, da un capo all’altro dell’Europa, giusto nel momento
del fiorire di una grande movimento di incazzati e vogliosi, ma
ritenentisi, grazie alla maledetta dicotomia, a sinistra o
sinistrissima, vecchi arnesi dell’estremismo di destra, che avevamo
intravisto tra spranghe e fumi di bombe, in librerie con svastiche ad
abatjour e fasci a montanti di scaffali, stavano iscrivendosi a liste,
gruppi, manifestazioni e orizzonti antimperialisti. Nello specifico
antiamericani ed antisionisti. Ci condizionava pesantemente il ricordo
di Sofri, Liguori, Cicchitto-P2, di Brandirali, servitore del popolo
rifiorito in Cielle, perfino di D’Alema, comunista e poi sul balcone
dell’Opus Dei e, all’incontro, di Lotta di Popolo e dei nazimaoisti,
vincitori dell’infame dicotomia grazie alla camicia nera con alamari
rossi. Ancora una volta non avevamo visto transitare il Pendolino
dell’evoluzione.
Liberiamoci anche – così sollecita l’accademico – dell’idea che il
nazifascismo, il “totalitarismo sovietico” e lo stesso fordismo
fossero, più o meno equivalenti, tentativi di eternizzare lo
sfruttamento dell’uomo sull’uomo (economia) e la disparità nella
cultura, nei finanziamenti, eserciti, comunicazione, rango sociale
(politica). Macchè, l’economia non contava nulla e Krupp, Agnelli e i
latifondisti di Stroessner in Paraguay facevano le Veline. Quelle che
dirigevano il balletto erano forze che misero “in opera alcuni
tentativi di imporre il primato della politica sull’economia”.
Tentativi falliti. Tra questi, lo scrittore evidenzia il nazifascismo,
di cui considera “particolarmente imperdonabili il colonialismo
razzista e il razzismo di sterminio” (se lo sentono Claudio Mutti, o
Franco Freda, o Maurizio Neri…). Eh già, Mussolini non uccideva nessuno
e al confino si andava in vacanza. E meno male che c’è poi stata la
“doppia e convergente dissoluzione, non della destra e della
sinistra metafisiche (sic) in generale, ma della concreta Destra
Novecentesca e Sinistra Novecentesca”. Tutti ormai “storia passata”. E
tutti bigi, come i gatti che, evitando ogni differenziazione razzista,
passano sul davanzale di Preve nelle lunghe e preferite ore del suo
affanno notturno.
C’è poi un capoverso dedicato alla panna montata del ’68. S’è visto
come è finita, dunque! “C’è da capire – ci invita il maestro – se
questa contestazione scambiata infantilmente per rivoluzione
corrispondesse alla realtà, o fosse solo una forma particolarmente
elaborata e ingannatoria di falsa coscienza in senso marxiano”. Ah, se
c’è il senso marxiano chi osa più parlare di infiltrati! Non si deve
confondere, ci si ammonisce, “lo spinnellaggio e la scopata
generalizzata con l’anticamera della rivoluzione comunista”. Mi piange
il cuore per non aver avuto Preve, per motivi anagrafici, la
possibilità di dire queste cose ai ragazzi che si fecero spaccare la
testa a Chicago, o a farsi fucilare a Berkeley, a Malcom X e alle sue
pantere nere, a Rudi Dutschke (al quale una pistolettata fece seguire
il comprensivo verso la guerra umanitaria Cohn Bendit), ai miei
compagni in Lotta Continua Saltarelli, Bruno, Serantini, Ribecchi,
Varalli, gli altri. Si fossero limitati allo “spinnellaggio” e alla
“scopata generalizzata”, il vero motore del ’68 e seguenti, sarebbero
ancora tra noi, a fraternizzare con gli ultimi boccioli del grande
albero di Evola, Drieu La Rochelle, Alain De Benoist, Freda e Ventura,
Delle Chiaie, Merlino, Signorelli, ben oltre la fatiscente dicotomia.
Dopo tutte queste macerie del Novecento, con la “sconfitta storica,
epocale (c’è del trionfalismo? FG) del “partito della politica” contro
il “partito dell’economia, cioè delle tendenze di sviluppo strategico
della produzione capitalistica, che non è mai in quanto tale né di
destra (ohibò!), né di centro (ohibo!), né di sinistra…”, quale è il
messaggio che scaglia la nostra anima oltre l’ostacolo della putrida
dicotomia (“al cui superamento, giura il peripatetico filosofo, “è in
generale più sensibile la destra della sinistra”. Brava, la destra!)?
Visto che ci hanno fatto un mazzo così a tutti e due, constata il
Nostro, visto che “la sconfitta è stata comune”, mettiamoci insieme là
dove non potrà che esserci la Terza Posizione. “Alla fine di questa
autocritica radicale, la sinistra non sarà più propriamente sinistra,
ma comincerà a essere un’altra cosa (La “Cosa”? Mi batte il cuore) e
cioè una componente essenziale di una nuova sintesi futura.” E l’altra
componente? Non la dice? Ma allora è infiltrata…Per carità, vaneggio.
Dulcis in fundo. La rivelazione ci viene incontro a braccia aperte
dalle ultime righe. C’è solo una risposta: ci vuole un nuovo
universalismo. Quelli della dicotomia sono fottuti, come si sono
fottuti i “totalitarismi del XX secolo”; comunismo e nazifascismo,
naturalmente sullo stesso piano, identicamente depravati e insieme
sciocchi, proprio come il lager e il gulag (un’eco di Bushlusconi?) E
questo nuovo universalismo è l’Universalismo Umanistico”. Cos’è? “Prima
di poter diventare una filosofia articolata e complessa (ci sta
lavorando. FG), è una sorta di punto di vista quotidiano intuitivo
dell’intelletto razionalmente educato” Facile, no? Senza starsi a
sfrucugliare se di destra o di sinistra, eccoci tutti quanto a guardare
il mondo dal “punto di vista quotidiano intuitivo dell’intelletto
razionalmente educato”: io, il mio vicino gioielliere, lo scopino,
Emanuele Filiberto, Benetton e la sua filatrice nel sottoscala di
Calcutta, Del Piero e Zanna Bianca-Moggi, Asor Rosa e Galli della
Loggia, l’amiantato di Porto Marghera e l’ex-ministro Bersani, Oriana
Fallaci tra una crisi epilettica e l’altra, Romoletto di Forza Nuova e
Emiliano di Rifondazione Comunista. E cosa vediamo laggiù in fondo,
luminoso all’orizzonte dove, un tempo, sorgeva il sol dell’avvenir?
Cosa se non “l’universalismo umanistico”.
Sono convinto che non alle sparute schiere del Partito Umanista si
riferisce l’apostolo della nuova sintesi. No, il suo ripescaggio del
futuro dal passato arriva fino ai primi secoli del 2° millennio,
appunto l’umanesimo, antistoricamente e irrazionalmente creduto
superato dal pretenzioso illuminismo, dalla sanguinaria rivoluzione
francese (inauguratrice della dicotomia destra/sinistra), dal
materialone ed antispiritualista capitalismo e
dall’antiuniversalistico, seppure livellatore, socialismo.
Universalismo umanistico, con tanto – presumo in mancanza di
indicazioni – di torri d’avorio, castelli e palazzi animati da mecenati
delle lettere e delle arti, incuranti delle beghe e seghe dei villici,
laggiù nel borgo, con il suo mondo delle idee resuscitato dall’Atene
dei Fidia e degli schiavi. Universalismo umanistico di grande respiro,
cui certo non rende giustizia la riduttiva e derogatoria colonnina
dell’enciclopedia:”Con il termine “umanesimo” si è spesso indicato ogni
tendenza di pensiero… che affermi di esaltare il valore e la dignità
dell’individuo e di volere realizzare compiutamente la sua vera natura.
Ed è appunto in questa accezione, facilmente suscettibile delle
interpretazioni più diverse e contrastanti, che l’U. è stato
appropriato da molte filosofie, presentatesi di volta in volta, come le
genuine rappresentanti delle esigenze perenni dell’umanità….Così, anche
in tempi recenti, i sostenitori di un U. cristiano, di un U.
esistenzialista, di un U. marxista, di un U. fascista, hanno rinnovato
e rese ancora attuale una disputa che affonda le sue radici nelle
origini della cultura moderna”.
L’enciclopedia, meschina, non aveva saputo intravedere il nuovo U.
universalista, quello supremo, da farla finita con tutti gli altri U.
Chi lo incorpora oggi questo “universalismo umanistico? Il filosofo non
si sbilancia. Fa avanzare la fiaccola nella mani dei corifei.
Prima si stabilisce, con Gianfranco La Grassa (il cenacolo dove gli
intelletti previani, “razionalmente educati” da Pico della Mirandola,
fanno crocchio e formulano “il punto di vista quotidiano intuitivo” è
la rivista “Rosso XXI”), che le “tesi capaci di sostenere che un quinto
della popolazione mondiale si arricchisce, mentre quattro quinti sono
destinati a morire di fame e malattie” vengono ormai sostenute solo
dalla “superficiale ideologia dei buonisti di sinistra, che credono di
far la rivoluzione convincendo piccole torme di sfigati che si sta
avvicinando er ggiorno del Giudizio”.Poi si piazza il colpo forte, con
Miguel Martinez e altri: l’umanesimo universalista, o l’universalismo
umanistico è… l’Islam. Tant’è vero che in Iraq oggi il laicismo è lo
“strumento dell’imperialismo che combatte contro le masse raccolte
sotto la bandiera dell’Islam. In queste condizioni esprimersi in modo
frontale contro lo stato islamico significherebbe per i nazionalisti
laici agire in sostanza negli interessi degli Stati Uniti…”(Willi
Langthaler, “Rosso XXI” sett. 2003). L’Islam di cui qui si parla è
ovviamente quello politico, cioè quello scita.
Ed è la solita perfida disinformazione della grande stampa occidentale
ad averci fatto credere che, se nella gerarchia scita c’era molta
disponibilità a collaborare con gli occupanti, come già c’era nei
confronti dei colonialisti britannici, la massima resistenza veniva
invece dai laici, sunniti o agnostici, perlopiù saddamisti, nei due
terzi del paese che va da Bagdad a Kirkuk e Mossul, dove vivono 8,7
milioni di sunniti, 4 milioni di kurdi e una spruzzata di assiri e
turcomanni (con 8 milioni di sciti tra Bagdad e Bassora). Saranno
sicuramente servigi offerti agli occupanti se, sempre più spesso, a
Mossul e a Kirkuk i laici sunniti attaccano a bazookate gli uffici
dello scita SCIRI. Il Supremo Consiglio scita, accusato di
collaborazionismo per via dei suoi che, nel Consiglio Governativo
nominato dal proconsole Paul Bremer, si adoperano invece indefessamente
per sabotare il controllo USA sul paese e la sua manomorta su tutte le
ricchezze del paese, mentre astutamente fingono il contrario.
Dice lo SCIRI: sono saddamisti e Al Qaida. E Al Qaida, di cui tutti
erano sicuri fosse un ufficio-collocamento CIA nel mondo musulmano,
viene invece annoverato tra i partigiani iracheni, anche dai superatori
del “bipolarismo destra/sinistra e, guarda un po’, da Bush e Sharon.
Dunque è l’Islam la nostra salvezza. Come l’altro ieri Mosè e ieri
Gesù. L’essenziale è che ci siano elite, gerarchia, dogma e disciplina.
Altrimenti che universalismo sarebbe? Ne è convinto anche il noto
psicoterapeuta di Sharon e vindice di Sofri, Mario Pirani (La
Repubblica), che ci informa come siano stati maledetti laici arabi
nazionalisti a rovinare tutto e a fregare sul filo di lana
dell’universalismo i fondamentalisti islamici che, se non fossero stati
trattenuti dai laici, sarebbero al governo in molti paesi. E, sotto
sotto, lo sanno anche gli USA, che hanno incentivato l’estremismo
islamico politico e terroristico dappertutto, a scapito dei laici. Pur
di avere un nuovo nemico, naturalmente universalistico. Per esempio
creando l’organizzazione Al Qaida, con i suoi terminali planetari,
armandola economicamente con miliardi, militarmente con missili Stinger
e tritolo, culturalmente e ideologicamente, stampandogli e diffondendo
in tutti i loro istituti d’istruzione il manualetti della Jihad. Con
tanto di “nemici” da far saltare in aria.
Ci siamo chiariti tante idee in questo nostro viaggio nell’intelletto
razionalmente educato dei post-destra/sinistra. E abbiamo potuto
concluderlo con una schiarita davvero rasserenante in quella che è
risultata essere solo una nostra paranoica nevrosi: il complotto degli
infiltrati. “E’ vero che trent’anni fa, in pieno scontro sociale, ci
furono alcuni neofascisti infiltrati nella sinistra…Oggi, diciamolo, il
problema semplicemente non esiste. Cosa consigliereste a un neofascista
che desiderasse avere successo nella vita? Infiltrarsi nel mondo
piccolo e povero di una sinistra in piena sconfitta, oppure entrare in
un partito che sta al governo, come Alleanza Nazionale” (Miguel
Martinez, “Rosso XXI” sett. 03). E’ vero. E noi che avevamo pensato che
una sinistra stava emergendo dalla tarantolata bancarotta del
capitalismo, come il magma sotto la crosta! E che i nazifascisti si
infiltrassero a sinistra per il gusto di corromperla, perché gli
venivano concesse ampie impunità - e altro - dai servizi, perché non
gli va più di masturbarsi, perché, forse, vorrebbero stare vicini a
qualcuno di vivo.
BAMBINI DESPOTTATI
Un emendamento di Rifondazione Comunista ha inflitto alla Legge sulle
Comunicazioni (Gasparri) un vulnus grave: via dalla pubblicità i
bambini sotto i 14 anni.
Sconcerto, indignazione, clamori da parte dei pubblicitari. Ovvio, gli
hanno tirato via un osso di niente! Meno ovvio, la faccia di
pastafrolla Mulino Bianco che hanno esibito quando hanno piagnucolato:
“Impedire ai bambini di essere protagonisti dei messaggi pubblicitari
vuol dire impedirgli di venire a contatto con una situazione positiva,
anzi una sorta di esperienza nella quale non c’è nessun pericolo”. E
perdipiù: ”I bambini che fanno gli spot sono seguiti e controllati
durante la realizzazione, sono in mani sicure”. Già, chè non se li
vorrebbero fa sfuggire, come la strega di Haensel e Gretel.
Sullo sfondo il battibecco tra due signore che sembrano essersi
scambiati i ruoli: la nipote del papà dei Figli della Lupa plaude
rumorosamente e spiega:”So che c’è chi si arricchisce sulla pelle dei
bambini che vengono usati per la pubblicità. Per non dire dei
pedofili…” L’ex-ministra nel governo dei cugini di quarto grado di
Gramsci, all’opposto, contesta l’emendamento dicendo ghignando:”Allora
buttiamo anche lo Zecchino d’oro, mago Zurlì e Topo Gigio. Quella della
Mussolini è posizione anarco-clericale. Tra l’altro, le regole
sull’utilizzo dei bambini nella pubblicità ci sono da tempo e presumo
che siano rispettate”. Alla faccia della Belillo! Presume, forse a
ragione, che ai bimbetti né si tocchi il pisello negli studi, né gli si
faccia cadere addosso un faretto e che nessuno spia le bimbette nel
bagno.
Il punto è un altro. Punto grosso come il Monte Bianco. E non vogliamo
qui ripetere la sacrosanta tiritera della mercificazione, dei bambini
ridotti a consumatori nani e a imbonitori gnomi, al valore di scambio
assegnato a esseri viventi, per quanto rintronati dai propri genitori
in transfert narcisistico con sfruttamento della prostituzione. I
pubblicitari sono quelli che, nel sondaggio tivù che ha fatto
schiantare Berlusconi peggio e molto più meritatamente della statua di
Saddam davanti all’Hotel Palestine, quello del “a chi dici basta?”,
avrebbero dovuto avere il doppio delle preferenze-record del
chansonnier piduista. Se lui mente dieci volte al giorno, loro mentono
a ogni sbatter di palpebre. Le pubblicità dei bambini inebetiti di
felicità col nuovo pannolino sono responsabili di almeno una delle
quattro ulcere che mi hanno trovato in pancia.
Il punto è che gli spot sono idioti e oscenamente brutti. Impongono
nella testa dei bambini – unici umani sani su piazza – un’estetica del
cretino e dell’orrendo. Di più: la migliore parte dei prodotti
reclamizzati dai minorenni fa schifo, inquina, produce obesità,
sostituisce il sangue con la chimica. Spesso, con quella moda stronza
del “ti frego”, i quattro disastri in padella “me li mangi tutto io”,
stimolano competitività patologiche e egoismo allo stato puro. Di più
ancora: i pubblicitari mentono per la gola. Tutto quello che dicono è
inficiato di falsità, esagerazioni, iperboli volgari e infondate. Con i
bambini che se ne devono fare portavoce – e capiscono benissimo che
verniciano d’oro, con le loro guance paffutelle e l’occhietto
innocente, l’essenza escrementale dei prodotti – si creano e
manipolano con abuso di autorità e di morale, bambini ipocriti,
bugiardi, corrotti. Che, per sovraprezzo, si convincono che solo a
essere tali si viene ammirati, premiati, applauditi, ricompensati,
lanciati in una vita di spassi e buoni-premio. Come dire,
tanti berlusconini fardati che dilagano, come gli insetti assassini di
quel film dell’orrore. E domani sfasceranno spensieratamente, con bombe
a grappolo, quei bambini tra l’Eufrate e il Rio Bravo che rompono i
coglioni non mangiando merendine.
DISOBBEDIENTI OBBEDIENTI
L’ultimo corteo è stato vivace. Un vecchio compagno del Leoncavallo,
Riccardino, mi ha abbracciato, nonostante fossi da anni in dura
polemica con i Disobbedienti. Una signora che camminava dietro allo
striscione “Ebrei contro l’occupazione”, ha visto in tralice la mia
bandiera irachena, ha fiutato l’aria con fare nauseato e mi ha intimato
di allontanarmi. Frammenti di sionismo nei luoghi più sorprendenti. Del
resto è gente che ti spara “antisemita” (ne hanno una bandoliera piena)
se soltanto osi riferirti a Perle, Wolfowitz, Abrahms, Brezezinski,
Kissinger, Libby come a una lobby ebraica e non dici “terroristi” ogni
volta che vedi una kefiah. Sul finire, per raggiungere il Palazzo dei
Congressi con i costituenti europei, una moltitudine di 100 non è
passata da dietro, per varchi dimenticati, infiltrandosi un po’ per
volta, ma è andata a schiacciarsi proprio dove i poliziotti parevano lo
schieramento delle legioni in Gallia. E’ lì che stavano anche le
telecamere. Però i leoncavallini, che non avevano scudi e caschi, ma
delle fiammeggianti felpe rosse, se n’erano già andati. E il giorno
dopo ne hanno detto di tutti i colori ai Disobbedienti, obbedientemente
mediatici. Fine di un sodalizio?
E’ finito anche un altro sodalizio: quello di Disobbedienti con Giovani
Comunisti, anzi con tutta RC. Lo ha sepolto, con un lieve inciampo
tattico, il Disobbediente-capo-a-vita, Luca Casarini, quando, con un
nugolo di provetti castigamatti, collaudati in cento aggressioni a
“concorrenti” di sinistra, nonché nell’autodafè di Genova, ha impartito
una lezione a Venezia ad alcuni rifondaroli che non la pensavano come
lui sulle foibe e loro “martiri” fascisti. “Che questi stalinisti, o
addirittura comunisti, imparino un po’ di democrazia”, pare abbia
sibilato Casarini, dopo aver lanciato i suoi pretoriani all’assalto in
obbedienza a un paio di capoversi dal “Libro nero del comunismo”.
Casarini, visto l’ambaradan scatenato tra i suoi sostenitori
istituzionali, ha poi chiesto a Marcos se poteva scrivere una risposta,
da far passare come sua, dato che una manganellata gli aveva fatto
scordare tutto quello che aveva imparato dalla Terza elementare in poi.
Marcos si esibì in quella prosa che aveva abbagliato, fatto piangere,
fatto ridere, fatto ballare e fatto camminare domandando un’intera
generazione di mona dei centri sociali. “Rivolta” a Venezia e “Pedro” a
Padova. Pianti e risi di cui aveva reso puntualmente
testimonianza Radio Sherwood. Era tutto uno sfarfalleggiare di “caro”
di “vite, scazzi, esperienze, abbracci, sguardi, emozioni,
pensieri…umanità”, da togliere il respiro e mettere i singhiozzi. Un
florilegio di “camminare” e “domandare” (tacendo pudicamente
l’occasionale “picchiare”), di “folli che ogni giorno rischiano la
galera” e hanno già perso l’onorario dell’amica-dei-migranti Livia,
cara agli stessi per la famosa “Turco-Napoletano”. Spunta, a
interloquire, l’irresistibile Vecchio Antonio (ah, Marcos, ti sei
scoperto!) per “spiegare come pazzia, normalità, sinistra, destra
(ohibò! Vedi sopra), verità e falsità, violenza e pace, siano tutte
parole e concetti in realtà piegabili a proprio piacimento, se non si
ha niente di folle nel cuore e nella mente, se si sta fermi, se ci si
accontenta”.
Diavolo di un Marcos, i compagni di RC, con le cinque dita ancor ben
visibili sulla guancia e la punta dell’anfibio marchiata sullo stinco,
si sono precipitati, commossi, a chiedere scusa a Casarini.
Mi picco di essere un antesignano, quasi un veggente. Correva l’anno
1999, correva la primavera e correvano dall’alto in basso anche le
bombe su una Jugoslavia in corso di democratico e liberista
smantellamento. Tutto l’Occidente assediava i serbi, tutto l’Oriente se
ne stava in disparte. Milosevic e i suoi operai, che volevano limitare
il ricatto dell’FMI a non più di un 25% di privatizzazioni e il ruolo
della Nato al di là dell’Adriatico, erano soli come i compagni di RC
nella Piazza Tommaseo da ridedicare ai “martiri delle foibe”. La
sinistra biascicava “né con la Nato, né con Milosevic” e, guardando i
tiggì che raccontavano di grandi manifestazioni a Belgrado (mai
picchiate tipo G-8), di elezioni amministrative vinte dall’opposizione,
di partiti in massima parte ostili al governo, stigmatizzava inorridita
la “dittatura” del despota.
Noi ci aggirammo tra macerie e schianti su scuole, famiglie e ospedali
per raccontare (niente censura) da dove arrivava la pulizia etnica.
Loro, Casarini, Vitaliano, Beppe Caccia e il noto Bettin vennero a
Belgrado, furono ingenuamente ospitati dalla televisione di Stato,
ancora non polverizzata con i 16 giornalisti e tecnici dentro,
allietarono la Nato sparando a zero contro Milosevic e le sue
nefandezze e furono, non arrestati come provocatori e
collaborazionisti, ma cortesemente riaccompagnati al confine irredento.
Non prima, però, che fossero riusciti a stringere affettuosi rapporti,
saldi nel tempo, con i “giovani democratici” anti-Milosevic e
sostenitori del futuro presidente liberista e Nato Zoran Djindjic.
Quelli della formazione “Otpor”.
Grande e profonda divenne subito l’amicizia tra chi camminava verso “un
altro mondo possibile”, e chi, nel suo programma ufficiale, aveva già
risolto quella possibilità con un altro mondo del tutto americano e
multinazionale, “ visto – come mi disse Otpor – che i capitali
stranieri qui troveranno, caduta la “dittatura”, “mano d’opera
qualificata, lavoratrice e a basso costo e disposizioni fiscali che
neanche i condoni tombali”.
Altra grande amicizia venne stretta tra la radio padovana dei
Disobbedienti (allora “Tute Bianche”), Radio Sherwood, e quella che,
per merito loro, in Italia passò come l’emittente della giovane
sinistra anti-Milosevic serba: “Radio B-92”.
Su Radio B-92 mi venne qualche dubbio, quando, tornato a Roma, fui
invitato a una proiezione dai “compagni” del CSA romano dei
Disobbedienti, “Corto Circuito”. Candidi come nubi-pecorelle, i
“compagni” mi mostrarono un video di B-92, in cui si glorificava
un’aggressione di fighetti alla moda, vuoi alternativi, vuoi
manageriali, a un corteo di operai e contadini, perlopiù anziani,
convenuti a Belgrado per l’anniversario della morte (o nascita) di
Tito. Ruppero la testa a vecchie teste partigiane e misero fiori negli
occhielli dei poliziotti. Chi, accanto a me, vedeva questa porcheria,
commentava compiaciuto:”Hai visto cosa fanno i compagni serbi a quegli
stalinisti?” Le recenti mazzate “disobbedienti” agli esponenti di RC a
Venezia, mi hanno riproposto quelle immagini e quelle valutazioni.
Radio B-92 risultò poi a me e a cento mezzi d’informazione emittente
del circuito Radio Free Europe – Radio Liberty. Un circuito messo in
piedi a Monaco dalla CIA, all’inizio della guerra fredda, per lanciare
propaganda USA oltre la cortina di ferro e, dopo il crollo del Muro,
spostata a Praga, sotto la protezione di quel democratico presidente
Havel che ebbe modo di offrire alla bellezza ebreo-cecoslovacca
Madeleine Albright la presidenza del suo paese. Infatti, a seguirne il
palinsesto, si potevano riascoltare programmi e notiziari già trasmessi
dalle emittenti statunitensi. Per chi volesse sincerarsi, è ad
Amsterdam la sede della società editoriale che gestisce il circuito CIA.
La Serbian connection delle Tute Bianche-Disobbedienti-Ya Basta fiorì
rigogliosa negli anni. Otpor e Radio B-92 venivano invitati a convegni
in Italia e i “compagni” italiani accettavano, a loro volta, scambi e
inviti in Serbia. Nel frattempo dirigenti e militanti di Otpor venivano
addestrati a Budapest e Sofia, da generali USA, a quell’insurrezione
che poi misero in atto il 5 ottobre 2000, con il pogrom contro
sindacalisti, giornalisti, funzionari, militanti di sinistra e con
l’incendio del parlamento che incenerì le schede elettorali dalle quali
risultava la vittoria delle sinistre nelle elezioni parlamentari. Da me
intervistati, due dirigenti Otpor mi dissero di essere “orgogliosi di
essere aiutati dalla CIA, il servizio d’intelligence di un grande paese
che ammiriamo”. Enrico De Aglio pubblicò nel “Diario” una lunga
inchiesta sul “capolavoro della CIA in Serbia” con la creazione di una
quinta colonna collaborazionista fatta passare per organizzazione di
sinistra. Analoga inchiesta trasmise la BBC.
Del resto, madrine di questa formazione erano le anziane agitatrici
anti-Milosevic della defunta “Alleanza Civica”: Sonia Licht, presidente
della Fondazione George Soros a Belgrado e Vesna Pesic. La Pesic è una
diplomata della Fondazione di Washington National Endowment for
Democracy” (NED)una vetrina culturale creata nel 1974 dalla CIA ai fini
della “diffusione della democrazia nei paesi comunisti”. E’ la NED che
ha finanziato gran parte delle eversioni di destra nei paesi
latinoamericani e asiatici e, recentemente, il complotto anticubano dei
cosiddetti “dissidenti”, effettivi mercenari dell’agente USA James
Cason e membri di una rete terroristica che, con dirottamenti e
sequestri, si proponeva di creare le condizioni per un’invasione USA
(per aver detto queste cose, comprovate, sono stato cacciato dal
“quotidiano comunista” Liberazione)
E’ proprio su questo quotidiano, coerentemente, che la versione di
“Otpor”- giovani democratici e di sinistra, che liberano Belgrado dalla
dittatura di Milosevic, fu sposata con entusiasmo, al punto che
Salvatore Cannavò invitò i “compagni” di Otpor a partecipare agli
appuntamenti del Movimento dei Movimenti. Ai disvelamenti inconfutabili
su “Otpor” - articolazione della CIA, Cannavò e il giornale opposero un
silenzio abissale e atemporale. Del resto, cosa ci poteva essere di più
imbarazzante per chi aveva riconosciuto gli amichetti italiani di
“Otpor” (e, con interessante simultaneità, i Disobbedienti, PR in
Italia di Marcos-uomo mascherato - nonviolento) battistrada dell’altro
mondo possibile.
Venezia non pare aver posto fine a tale matrimonio davvero morganatico,
oggi confermato nella vasta cattedrale dell’Ulivo. Disobbedienti a chi?
Obbedienti a chi? Poiché quando l’imperialismo, cosiddetto liberista e
globalizzante, guerreggia per la distruzione degli Stati (altri) e la
loro frantumazione in piccole entità etniche inoffensive, non vi
percuote l’udito l’eco della “democrazia municipale” dei Disobbedienti,
del loro rifiuto di questo “arcaico Stato” ai palestinesi (vedi
comunicato di “Ya Basta” il 9 novembre del 2001), della loro scelta di
una “scuola muncipale” contro la nostra difesa “di retroguardia” della
scuola pubblica? E il proclama del topgun Bush, che la guerra in Iraq
era stata trionfalmente finita e vinta, non ha trovato una formidabile
risonanza nell’infinito silenzio attuale dei (dis)obbedienti sullo
stupro continuato del popolo iracheno e sulla sua formidabile
resistenza (stesso discorso sulla Palestina della “soluzione finale”)?
Dal movimento Antiamericanisti ci sono stati rifilati, travestiti da
sciti iracheni e da patrioti palestinesi, stragisti, neofascisti,
nazisti, comunitaristi. Dai “compagni” di Casarini gli infiltrati CIA
di “Otpor”. Tutti molto obbedienti.
BAMBINI DESPOTTATI
DISOBBEDIENTI OBBEDIENTI
MONDOCANE FUORILINEA
28/09/03
FULVIO GRIMALDI
Tre sono al momento le categorie di fascisti. Fascisti in senso lato,
biblico ma “moderno”, alla Bush, Sharon, Berlusconi, Fini, Bossi,
D’Amato, esplosi alla grande con lo schianto dell’11 settembre;
fascisti repubblichini manifesti e a braccio teso, tipo Forza Nuova,
MSI-Fiamma Tricolore, Le Pen, Deutsche National Partei, National Front;
fascisti “oltre la dicotomia destra-sinistra”, antiamericanisti, ma
imperialisti nazionaleuropei con nostalgie carolingie, comunitaristi,
socialibertari, impegnati nella pratica dell’infiltrazione tra tutto
quello che si muove nella sinistra autentica, movimenti, organizzazioni
extraparlamentari, settori radicali di partiti comunisti. Hanno tutti
in comune due aspetti costitutivi: l’essere pappa e ciccia con i
servizi segreti, con le agenzie di operazioni sporche e di guerra
psicologica, a volte come datori di lavoro, a volte come dipendenti, a
volte ancora come terminali inconsapevoli; e l’essere discepoli
laureati di Leopoldo Fregoli (1867-1936), che aveva nel DNA la
diabolica capacità di passare da un personaggio all’altro, cambiando
radicalmente stile di recitazione, costume e trucco con rapidità
straordinaria.
Nella categoria dei Bush (che comprende i soci d’affari e di macelleria
Perle, Wolfowitz, Abrahms, Ashcroft, Condoleezza, Cheney, Rumsfeld e
altri), quest’arte si avvale di un armadio rotante nella Casa Bianca in
cui si entra con l’abito scuro e cravatta del politico
democratico-borghese e se ne esce, mezzo giro dopo, con la divisa e il
ra-ta-ta-ta-stonff di Robocop-Terminator e, dopo altra girata, con la
tunica gialla degli Hara Krishna, il bastone di Ghandi e il canto dei
diritti umani. Invisibile resta sotto, in ogni caso, la biancheria
intima fornita dalla ditta Al Capone-Licio Gelli & Brothers.
Lo schieramento FN-Le Pen riserva curiosità minori: non possiede che un
cambio, indossato molti anni fa, mai lavato e portato a pelle, sotto
giubbotti di cuoio e zazzere rasate, pronto a essere esibito una volta
che se ne è dileguato il fetore. E’ vuoi di colore nero, vuoi bruno. A
volte verde con tanto di sole padano.
Coloro che qui interessano di più sono quelli della terza posizione,
bravi come nessuno a trasformarsi da bombaroli stragisti di ascendenza
statale in scorreggioni di periferia con in testa una runa, in mano una
spranga e nella strozza un sole che sorgi. O, ancora, in studiosi
compunti di un Marx da riscattare dal suo rintronamento ottocentesco e
da proiettare verso l’abbraccio-fine della storia e dell’arcaica
differenza destra-sinistra, con Julius Evola, Dino Grandi e Bombacci.
Insomma, sono i paggetti che reggono lo strascico al matrimonio tra il
vecchio Marx e il giovane Mussolini.
Hanno case editrici, riviste, quotidiani, siti-web, mailing-list, ma
anche covi, labari e inni a Thor, e, dopo De Benoist e Thiriart in
Francia, un famoso filosofo italiano di Torino, teorico, anche
abbastanza rancoroso, del superamento dell’ idiota (termine suo)
contrapposizione destra-sinistra.
Non oserei mai misurarmi con l’eletto accademico, con in capo tanti bei
testi di acuta analisi storica, con Marx su una spalla, D’Annunzio
sull’altra e il duo Pericle-Plotino sulla terza. Qui voglio soltanto
pizzicare alcune delle vibranti corde di un suo grande concerto
sinfonico, eseguito giorni fa in rete, per ridurlo a canzonetta,
accessibile alle moltitudini assetate di nuove e definitive verità.
Parla, dunque, così, il vate di tanti piccoli corifei che, spiazzati ed
emarginati a ruoli di pura testimonianza dall’Estrema Destra Moderna,
dotata di FMI, piantagioni d’oppio, carabinieri, Banche, F-16 e Bombe
all’uranio, cercano di guadagnare numeri e funzione mescolandosi,
sorridenti e con spilla di Lenin, in qualunque assembramento
antagonista si presenti in piazza:
“(La) questione del mantenimento e/o superamento della polarità di
Destra e Sinistra…In realtà non è affatto una bestemmia. In linguaggio
filosofico (!), si tratta solo di una sorta di dubbio iperbolico cui
far seguire una catena di dubbi metodici(!)… Tenterò una doppia ipotesi
filosofica, per cui la patologia comune delle due posizioni polari e in
entrambi i casi un deficit di universalismo… E questo ci costringe a
ricercare un nuovo terreno universalistico”.
Quanto ragiona bene il filosofo piemontese! Infatti, la destra coltiva
una visione davvero riduttiva e localistica: il nazismo in un solo
paese e, se fosse stato per Hitler, lo avrebbe fatto solo a Salisburgo,
il fascismo in un solo paese, il franchismo in un solo paese, il
papadopulismo in un solo paese, il pinochettismo in un solo paese e via
sminuzzando. Tutto il resto, o colonie o hic sunt leones. Nella
società, poi, piuttosto che far produrre a tutte le fabbriche solo
camicie brune o camicie nere, colori da universalizzare fin dal primo
pannolino, tollerava, almeno in salotto e camera da letto, pigiami e
guepiere di svariati altri colori.
Invece la sinistra, quella comunista (non ce ne sono davvero altre),
limitava il suo messaggio, pur proiettandolo in un onirico futuro senza
classi e senza stato per tutti, alle minoranze povere, deboli,
sfruttate, a una classe operaia in estinzione, a qualche studente
problematico, fuori ed entro i propri confini. Un atteggiamento
strutturalmente minoritaristico, travolto e superato dal nuovo, unico e
definitivo “universalismo umanistico” del filosofo.
“Perché feticizzare la dicotomia fra destra e sinistra – si chiede
angosciato il pensatore – quando i gruppi fondamentali della sinistra
di tipo politico-elettorale ed intellettuale-culturale hanno cessato di
rappresentare…un punto di vista conflittualista ed emancipazionista ed
hanno variamente adottato un punto di vista di aperta integrazione
politico-culturale e di gestione sistemica?”
E qui, se mi è consentita questa impertinenza dal basso, ho
l’improntitudine di notare una lieve contraddizione nel ragionamento
del vate: invoca a ogni piè sospinto la sacrosanta panacea
universalista, sfuggita a una sinistra miope e gruppettara, ma poi
ammette di aver guardato solo all’Europa. E, come ipnotizzato dalla
visione di Fassino, Blair, Schroeder o Chirac (gente che, tuttavia,
prima di coricarsi, si netta con getti d’aria a 1000 atmosfere di ogni
contaminazione, anche solo verbale, di sinistra), trascura di
evidenziare come nel resto del mondo miliardi di persone abbiano
ugualmente “cessato di rappresentare un punto di vista conflittualista
ed emancipazionista” e si siano sistemicamente integrati. E penso a
quei fasulloni dei bolivariani in Venezuela, regressivamente tornati a
Marx, Bolivar e culture indie, al formicolio di Senza Terra in Brasile
che hanno pensato di fare la rivoluzione rosicchiando qualche ettaro
agli agrari; a quegli 11 milioni di cubani che credono di aver fatto
cose epocali nella loro isoletta, universalizzando l’alfabeto e
Schopenhauer a tutti, come anche l’aspirina, la casa, l’acqua, gli
alberi, e in più sono andati a diffondere queste cose tra qualche
capanna dall’Angola al Congo alla Bolivia. Penso anche a quegli
irriducibili localisti di palestinesi e iracheni che insistono a
dissanguarsi per cose loro, particolaristiche, come il recupero della
dignità nazionale, delle conquiste sociali, della sovranità dei loro
minimalisti statarelli, ignorando l’ampio e possente respiro che gli ha
portato l’universalismo imperiale sionista-statunitense, l’unico in
atto, almeno fino a quando le genti del pianeta non saranno
affratellate dall’Umanesimo Universalista – o è l’Universalismo
Umanista? – di Costanzo Preve.
Prosegue il Nostro:” La dicotomia opposizionale fra destra e sinistra
risponde a un bisogno primario, antropologico prima ancora che
politico, che ha l’uomo moderno in alcune, non tutte, le parti del
mondo (certo non nell’amato Tibet, dove il dominio assoluto dei monaci
sull’indistinto brulichio rurale di vivi e morti, passato, presente e
futuro, ha liberato quel popolo da ogni dicotomia. FG) di conseguire
un’identità e una appartenenza che strutturi simbolicamente la propria
percezione, quasi sempre intuitiva e prerazionale, della totalità
sociale in cui vive…Alla vecchia dicotomia Ortodossia/Eresia si
sostituisce la nuova dicotomia destra/sinistra”.
E qui siamo davvero a una potenza dialettica da “shock and awe”. C’è da
arrossire a continuare a spilucchiarci attorno. In ogni caso, è balsamo
per il deviante e miscredente, appiccicato a vecchie categorie della
ragion pura e di quella pratica, con preoccupante pencolamento verso la
seconda. Pensate, m’ero illuso, da “uomo moderno”, per quanto ancorato
al pretenzioso leguleismo dell’illuminismo, di aver fatto un, seppur
piccolo, ragionamento, magari primario, magari antropologico, quando,
scivolando fuori da bibliche subalternità gerarchiche, ho cercato di
conseguire “un’identità e un’appartenenza che strutturasse
simbolicamente”, ma anche molto materialmente, la mia percezione della
totalità sociale in cui vivevo. Mi avevano fatto credere – e come se ci
avevo creduto! – che a sinistra mi ero schierato perché, scendendo i
gradini della chiesa, uscendo dal portone della scuola e facendo
ciao-ciao ai miei genitori, avevo incontrato persone perbene e, dunque
quasi sempre povere e sempre lavoratrici, cui il padrone
screstava l’80% del frutto del loro lavoro, cattolici irlandesi
falciati da parà a Derry, arabi palestinesi e iracheni seduti tra le
macerie con il Kalachnikov in mano, indios, chicanos e neri delle
Americhe alla ricerca di un orto, o di un facchinaggio. Nonché,
decisivo, perché certe magliette a strisce, nel 1960 di Tambroni, avevo
visto emergere dal porto di Genova e tenere per un po’ teste di
celerini dentro la fontana di Piazza De Ferrari.
Quella mia “percezione”, ho imparato, era “largamente intuitiva e
prefazionale”. Come dire che avrei potuto benissimo stare dalla parte
degli americani che mi avevano incenerito città e compagni di scuola,
anziché dietro a una mitragliatrice a tentare (avevo 10 anni) di
sparargli sul muso. O a fianco di un bravo pilota di F-16 con le
insegne israeliane.
Del resto, quella erratica dicotomia “non è affatto originaria, ha solo
circa due secoli di vita”. Cioè da quando i giacobini si sono messi a
sinistra per l’esigenza “primaria ed antropologica” di stare vicino ai
termosifoni. Spartaco, Cola di Rienzo, le guerre contadine, Voltaire, i
pigmei con tutta la foresta in comune e l’ultimo dei mohicani chissà
dove si trovano, ora che non c’è più l’infernale dicotomia. E pure
Torquemada, Luigi XIV, Silla, Carlomagno e Giulio II. La loro,
poverini, era solo una “vecchia dicotomia spaziale religiosa” e, più
tardi, squallidamente laicizzata e secolarizzata (vedete che
vocabolario: paghi uno e prendi due!). Come l’hanno difesa, questa
dicotomia? In “modo feroce e talvolta irrazionale”.
E non finisce qui. Anzi, c’è un piatto forte. Da quanto sopra discende
che è “potenzialmente paranoico quello che chiamo il paradigma
dell’infiltrazione che è, a sua volta, una modalità della difesa della
purezza, e considera ogni sconvolgimento del rassicurante modello
dicotomico di strutturazione identitaria del mondo come un pericoloso
complotto di infiltrati. Così, se l’originariamente “sinistro” Adriano
Sofri è schierato per i massacri sionisti ed americani e per i
bombardamenti umanitari, mentre l’originariamente “destro” Alain De
Benoist è schierato contro, questo fatto non è interpretato
dialetticamente come normale evoluzione di posizioni, ma come un’astuta
e perfida manovra della destra eterna di infiltrarsi nelle pure fila
della parte sana della società politica…. Si tratta di una stupidità
tale…di una modalità patologica di difesa psicologica della propria
identità minacciata.”
Che stupidoni! Se il ministro di polizia Fouchè era passato
elegantemente dal difendere la ragioni di principi, duchi e banchieri a
quelle dei sanscoulottes e poi, de retour, a quelle dei Bonaparte, non
di infiltrato dell’aristocrazia, prima, della borghesia poi e
dell’impero, dopo, si trattava, bensì di evoluzione verso il
superamento della dicotomia! E io che avevo sempre pensato che Sofri
fosse un infiltrato! Prima il PCI come nemico principale, il
socialimperialismo sovietico, le imprese editoriali realizzate insieme
a un rampollo della CIA, passato poi a sopprimere tutta Lotta Continua
(comprese molte vite) e a rivelarsi facinoroso pannelliano, bombarolo,
provocatore, sionista, iperatlantico, uomo d’ordine, bambolotto di
Giuliano Ferrara. Aveva superato la dicotomia. Difatti le ovazioni si
sprecavano, da Berlusconi a Rossana Rossanda! Si è evoluto, Adriano,
guadagnandosi non solo la grazia, ma il ruolo di portalabari dell’era
della nuova dicotomia fascismo/ riformismo, sicuramente a Preve un
po’meno ostica di quella vecchia, anche perché assai più
“universalistica” della precedente.
Quando 50 milioni di sovietici si fecero ammazzare da Wehrmacht,
Gestapo e SS, nonchè dalle scarpe di cartone di Mussolini,e chissà
quanti partigiani serbi e italiani, e un milione di “dissidenti”
tedeschi, pensando di buttar giù regimi di destra per salvare popoli di
sinistra, che “stupidità” manifestavano. Era solo una “modalità
patologica di difesa psicologica della propria identità minacciata”.
Ah, se si fossero levati dalla dicotomia destra/sinistra!
E qui, temo, il Professore polemizza col sottoscritto e altri “quattro
gatti” (è il nome d’arte che ci hanno attribuito), quando allude ai
paranoici dell’infiltrazione, infiltrazione di gente che, invece, si è
solo evoluta. Cademmo nella paranoia dell’infiltrato quando ci
accorgemmo che, da un capo all’altro dell’Europa, giusto nel momento
del fiorire di una grande movimento di incazzati e vogliosi, ma
ritenentisi, grazie alla maledetta dicotomia, a sinistra o
sinistrissima, vecchi arnesi dell’estremismo di destra, che avevamo
intravisto tra spranghe e fumi di bombe, in librerie con svastiche ad
abatjour e fasci a montanti di scaffali, stavano iscrivendosi a liste,
gruppi, manifestazioni e orizzonti antimperialisti. Nello specifico
antiamericani ed antisionisti. Ci condizionava pesantemente il ricordo
di Sofri, Liguori, Cicchitto-P2, di Brandirali, servitore del popolo
rifiorito in Cielle, perfino di D’Alema, comunista e poi sul balcone
dell’Opus Dei e, all’incontro, di Lotta di Popolo e dei nazimaoisti,
vincitori dell’infame dicotomia grazie alla camicia nera con alamari
rossi. Ancora una volta non avevamo visto transitare il Pendolino
dell’evoluzione.
Liberiamoci anche – così sollecita l’accademico – dell’idea che il
nazifascismo, il “totalitarismo sovietico” e lo stesso fordismo
fossero, più o meno equivalenti, tentativi di eternizzare lo
sfruttamento dell’uomo sull’uomo (economia) e la disparità nella
cultura, nei finanziamenti, eserciti, comunicazione, rango sociale
(politica). Macchè, l’economia non contava nulla e Krupp, Agnelli e i
latifondisti di Stroessner in Paraguay facevano le Veline. Quelle che
dirigevano il balletto erano forze che misero “in opera alcuni
tentativi di imporre il primato della politica sull’economia”.
Tentativi falliti. Tra questi, lo scrittore evidenzia il nazifascismo,
di cui considera “particolarmente imperdonabili il colonialismo
razzista e il razzismo di sterminio” (se lo sentono Claudio Mutti, o
Franco Freda, o Maurizio Neri…). Eh già, Mussolini non uccideva nessuno
e al confino si andava in vacanza. E meno male che c’è poi stata la
“doppia e convergente dissoluzione, non della destra e della
sinistra metafisiche (sic) in generale, ma della concreta Destra
Novecentesca e Sinistra Novecentesca”. Tutti ormai “storia passata”. E
tutti bigi, come i gatti che, evitando ogni differenziazione razzista,
passano sul davanzale di Preve nelle lunghe e preferite ore del suo
affanno notturno.
C’è poi un capoverso dedicato alla panna montata del ’68. S’è visto
come è finita, dunque! “C’è da capire – ci invita il maestro – se
questa contestazione scambiata infantilmente per rivoluzione
corrispondesse alla realtà, o fosse solo una forma particolarmente
elaborata e ingannatoria di falsa coscienza in senso marxiano”. Ah, se
c’è il senso marxiano chi osa più parlare di infiltrati! Non si deve
confondere, ci si ammonisce, “lo spinnellaggio e la scopata
generalizzata con l’anticamera della rivoluzione comunista”. Mi piange
il cuore per non aver avuto Preve, per motivi anagrafici, la
possibilità di dire queste cose ai ragazzi che si fecero spaccare la
testa a Chicago, o a farsi fucilare a Berkeley, a Malcom X e alle sue
pantere nere, a Rudi Dutschke (al quale una pistolettata fece seguire
il comprensivo verso la guerra umanitaria Cohn Bendit), ai miei
compagni in Lotta Continua Saltarelli, Bruno, Serantini, Ribecchi,
Varalli, gli altri. Si fossero limitati allo “spinnellaggio” e alla
“scopata generalizzata”, il vero motore del ’68 e seguenti, sarebbero
ancora tra noi, a fraternizzare con gli ultimi boccioli del grande
albero di Evola, Drieu La Rochelle, Alain De Benoist, Freda e Ventura,
Delle Chiaie, Merlino, Signorelli, ben oltre la fatiscente dicotomia.
Dopo tutte queste macerie del Novecento, con la “sconfitta storica,
epocale (c’è del trionfalismo? FG) del “partito della politica” contro
il “partito dell’economia, cioè delle tendenze di sviluppo strategico
della produzione capitalistica, che non è mai in quanto tale né di
destra (ohibò!), né di centro (ohibo!), né di sinistra…”, quale è il
messaggio che scaglia la nostra anima oltre l’ostacolo della putrida
dicotomia (“al cui superamento, giura il peripatetico filosofo, “è in
generale più sensibile la destra della sinistra”. Brava, la destra!)?
Visto che ci hanno fatto un mazzo così a tutti e due, constata il
Nostro, visto che “la sconfitta è stata comune”, mettiamoci insieme là
dove non potrà che esserci la Terza Posizione. “Alla fine di questa
autocritica radicale, la sinistra non sarà più propriamente sinistra,
ma comincerà a essere un’altra cosa (La “Cosa”? Mi batte il cuore) e
cioè una componente essenziale di una nuova sintesi futura.” E l’altra
componente? Non la dice? Ma allora è infiltrata…Per carità, vaneggio.
Dulcis in fundo. La rivelazione ci viene incontro a braccia aperte
dalle ultime righe. C’è solo una risposta: ci vuole un nuovo
universalismo. Quelli della dicotomia sono fottuti, come si sono
fottuti i “totalitarismi del XX secolo”; comunismo e nazifascismo,
naturalmente sullo stesso piano, identicamente depravati e insieme
sciocchi, proprio come il lager e il gulag (un’eco di Bushlusconi?) E
questo nuovo universalismo è l’Universalismo Umanistico”. Cos’è? “Prima
di poter diventare una filosofia articolata e complessa (ci sta
lavorando. FG), è una sorta di punto di vista quotidiano intuitivo
dell’intelletto razionalmente educato” Facile, no? Senza starsi a
sfrucugliare se di destra o di sinistra, eccoci tutti quanto a guardare
il mondo dal “punto di vista quotidiano intuitivo dell’intelletto
razionalmente educato”: io, il mio vicino gioielliere, lo scopino,
Emanuele Filiberto, Benetton e la sua filatrice nel sottoscala di
Calcutta, Del Piero e Zanna Bianca-Moggi, Asor Rosa e Galli della
Loggia, l’amiantato di Porto Marghera e l’ex-ministro Bersani, Oriana
Fallaci tra una crisi epilettica e l’altra, Romoletto di Forza Nuova e
Emiliano di Rifondazione Comunista. E cosa vediamo laggiù in fondo,
luminoso all’orizzonte dove, un tempo, sorgeva il sol dell’avvenir?
Cosa se non “l’universalismo umanistico”.
Sono convinto che non alle sparute schiere del Partito Umanista si
riferisce l’apostolo della nuova sintesi. No, il suo ripescaggio del
futuro dal passato arriva fino ai primi secoli del 2° millennio,
appunto l’umanesimo, antistoricamente e irrazionalmente creduto
superato dal pretenzioso illuminismo, dalla sanguinaria rivoluzione
francese (inauguratrice della dicotomia destra/sinistra), dal
materialone ed antispiritualista capitalismo e
dall’antiuniversalistico, seppure livellatore, socialismo.
Universalismo umanistico, con tanto – presumo in mancanza di
indicazioni – di torri d’avorio, castelli e palazzi animati da mecenati
delle lettere e delle arti, incuranti delle beghe e seghe dei villici,
laggiù nel borgo, con il suo mondo delle idee resuscitato dall’Atene
dei Fidia e degli schiavi. Universalismo umanistico di grande respiro,
cui certo non rende giustizia la riduttiva e derogatoria colonnina
dell’enciclopedia:”Con il termine “umanesimo” si è spesso indicato ogni
tendenza di pensiero… che affermi di esaltare il valore e la dignità
dell’individuo e di volere realizzare compiutamente la sua vera natura.
Ed è appunto in questa accezione, facilmente suscettibile delle
interpretazioni più diverse e contrastanti, che l’U. è stato
appropriato da molte filosofie, presentatesi di volta in volta, come le
genuine rappresentanti delle esigenze perenni dell’umanità….Così, anche
in tempi recenti, i sostenitori di un U. cristiano, di un U.
esistenzialista, di un U. marxista, di un U. fascista, hanno rinnovato
e rese ancora attuale una disputa che affonda le sue radici nelle
origini della cultura moderna”.
L’enciclopedia, meschina, non aveva saputo intravedere il nuovo U.
universalista, quello supremo, da farla finita con tutti gli altri U.
Chi lo incorpora oggi questo “universalismo umanistico? Il filosofo non
si sbilancia. Fa avanzare la fiaccola nella mani dei corifei.
Prima si stabilisce, con Gianfranco La Grassa (il cenacolo dove gli
intelletti previani, “razionalmente educati” da Pico della Mirandola,
fanno crocchio e formulano “il punto di vista quotidiano intuitivo” è
la rivista “Rosso XXI”), che le “tesi capaci di sostenere che un quinto
della popolazione mondiale si arricchisce, mentre quattro quinti sono
destinati a morire di fame e malattie” vengono ormai sostenute solo
dalla “superficiale ideologia dei buonisti di sinistra, che credono di
far la rivoluzione convincendo piccole torme di sfigati che si sta
avvicinando er ggiorno del Giudizio”.Poi si piazza il colpo forte, con
Miguel Martinez e altri: l’umanesimo universalista, o l’universalismo
umanistico è… l’Islam. Tant’è vero che in Iraq oggi il laicismo è lo
“strumento dell’imperialismo che combatte contro le masse raccolte
sotto la bandiera dell’Islam. In queste condizioni esprimersi in modo
frontale contro lo stato islamico significherebbe per i nazionalisti
laici agire in sostanza negli interessi degli Stati Uniti…”(Willi
Langthaler, “Rosso XXI” sett. 2003). L’Islam di cui qui si parla è
ovviamente quello politico, cioè quello scita.
Ed è la solita perfida disinformazione della grande stampa occidentale
ad averci fatto credere che, se nella gerarchia scita c’era molta
disponibilità a collaborare con gli occupanti, come già c’era nei
confronti dei colonialisti britannici, la massima resistenza veniva
invece dai laici, sunniti o agnostici, perlopiù saddamisti, nei due
terzi del paese che va da Bagdad a Kirkuk e Mossul, dove vivono 8,7
milioni di sunniti, 4 milioni di kurdi e una spruzzata di assiri e
turcomanni (con 8 milioni di sciti tra Bagdad e Bassora). Saranno
sicuramente servigi offerti agli occupanti se, sempre più spesso, a
Mossul e a Kirkuk i laici sunniti attaccano a bazookate gli uffici
dello scita SCIRI. Il Supremo Consiglio scita, accusato di
collaborazionismo per via dei suoi che, nel Consiglio Governativo
nominato dal proconsole Paul Bremer, si adoperano invece indefessamente
per sabotare il controllo USA sul paese e la sua manomorta su tutte le
ricchezze del paese, mentre astutamente fingono il contrario.
Dice lo SCIRI: sono saddamisti e Al Qaida. E Al Qaida, di cui tutti
erano sicuri fosse un ufficio-collocamento CIA nel mondo musulmano,
viene invece annoverato tra i partigiani iracheni, anche dai superatori
del “bipolarismo destra/sinistra e, guarda un po’, da Bush e Sharon.
Dunque è l’Islam la nostra salvezza. Come l’altro ieri Mosè e ieri
Gesù. L’essenziale è che ci siano elite, gerarchia, dogma e disciplina.
Altrimenti che universalismo sarebbe? Ne è convinto anche il noto
psicoterapeuta di Sharon e vindice di Sofri, Mario Pirani (La
Repubblica), che ci informa come siano stati maledetti laici arabi
nazionalisti a rovinare tutto e a fregare sul filo di lana
dell’universalismo i fondamentalisti islamici che, se non fossero stati
trattenuti dai laici, sarebbero al governo in molti paesi. E, sotto
sotto, lo sanno anche gli USA, che hanno incentivato l’estremismo
islamico politico e terroristico dappertutto, a scapito dei laici. Pur
di avere un nuovo nemico, naturalmente universalistico. Per esempio
creando l’organizzazione Al Qaida, con i suoi terminali planetari,
armandola economicamente con miliardi, militarmente con missili Stinger
e tritolo, culturalmente e ideologicamente, stampandogli e diffondendo
in tutti i loro istituti d’istruzione il manualetti della Jihad. Con
tanto di “nemici” da far saltare in aria.
Ci siamo chiariti tante idee in questo nostro viaggio nell’intelletto
razionalmente educato dei post-destra/sinistra. E abbiamo potuto
concluderlo con una schiarita davvero rasserenante in quella che è
risultata essere solo una nostra paranoica nevrosi: il complotto degli
infiltrati. “E’ vero che trent’anni fa, in pieno scontro sociale, ci
furono alcuni neofascisti infiltrati nella sinistra…Oggi, diciamolo, il
problema semplicemente non esiste. Cosa consigliereste a un neofascista
che desiderasse avere successo nella vita? Infiltrarsi nel mondo
piccolo e povero di una sinistra in piena sconfitta, oppure entrare in
un partito che sta al governo, come Alleanza Nazionale” (Miguel
Martinez, “Rosso XXI” sett. 03). E’ vero. E noi che avevamo pensato che
una sinistra stava emergendo dalla tarantolata bancarotta del
capitalismo, come il magma sotto la crosta! E che i nazifascisti si
infiltrassero a sinistra per il gusto di corromperla, perché gli
venivano concesse ampie impunità - e altro - dai servizi, perché non
gli va più di masturbarsi, perché, forse, vorrebbero stare vicini a
qualcuno di vivo.
BAMBINI DESPOTTATI
Un emendamento di Rifondazione Comunista ha inflitto alla Legge sulle
Comunicazioni (Gasparri) un vulnus grave: via dalla pubblicità i
bambini sotto i 14 anni.
Sconcerto, indignazione, clamori da parte dei pubblicitari. Ovvio, gli
hanno tirato via un osso di niente! Meno ovvio, la faccia di
pastafrolla Mulino Bianco che hanno esibito quando hanno piagnucolato:
“Impedire ai bambini di essere protagonisti dei messaggi pubblicitari
vuol dire impedirgli di venire a contatto con una situazione positiva,
anzi una sorta di esperienza nella quale non c’è nessun pericolo”. E
perdipiù: ”I bambini che fanno gli spot sono seguiti e controllati
durante la realizzazione, sono in mani sicure”. Già, chè non se li
vorrebbero fa sfuggire, come la strega di Haensel e Gretel.
Sullo sfondo il battibecco tra due signore che sembrano essersi
scambiati i ruoli: la nipote del papà dei Figli della Lupa plaude
rumorosamente e spiega:”So che c’è chi si arricchisce sulla pelle dei
bambini che vengono usati per la pubblicità. Per non dire dei
pedofili…” L’ex-ministra nel governo dei cugini di quarto grado di
Gramsci, all’opposto, contesta l’emendamento dicendo ghignando:”Allora
buttiamo anche lo Zecchino d’oro, mago Zurlì e Topo Gigio. Quella della
Mussolini è posizione anarco-clericale. Tra l’altro, le regole
sull’utilizzo dei bambini nella pubblicità ci sono da tempo e presumo
che siano rispettate”. Alla faccia della Belillo! Presume, forse a
ragione, che ai bimbetti né si tocchi il pisello negli studi, né gli si
faccia cadere addosso un faretto e che nessuno spia le bimbette nel
bagno.
Il punto è un altro. Punto grosso come il Monte Bianco. E non vogliamo
qui ripetere la sacrosanta tiritera della mercificazione, dei bambini
ridotti a consumatori nani e a imbonitori gnomi, al valore di scambio
assegnato a esseri viventi, per quanto rintronati dai propri genitori
in transfert narcisistico con sfruttamento della prostituzione. I
pubblicitari sono quelli che, nel sondaggio tivù che ha fatto
schiantare Berlusconi peggio e molto più meritatamente della statua di
Saddam davanti all’Hotel Palestine, quello del “a chi dici basta?”,
avrebbero dovuto avere il doppio delle preferenze-record del
chansonnier piduista. Se lui mente dieci volte al giorno, loro mentono
a ogni sbatter di palpebre. Le pubblicità dei bambini inebetiti di
felicità col nuovo pannolino sono responsabili di almeno una delle
quattro ulcere che mi hanno trovato in pancia.
Il punto è che gli spot sono idioti e oscenamente brutti. Impongono
nella testa dei bambini – unici umani sani su piazza – un’estetica del
cretino e dell’orrendo. Di più: la migliore parte dei prodotti
reclamizzati dai minorenni fa schifo, inquina, produce obesità,
sostituisce il sangue con la chimica. Spesso, con quella moda stronza
del “ti frego”, i quattro disastri in padella “me li mangi tutto io”,
stimolano competitività patologiche e egoismo allo stato puro. Di più
ancora: i pubblicitari mentono per la gola. Tutto quello che dicono è
inficiato di falsità, esagerazioni, iperboli volgari e infondate. Con i
bambini che se ne devono fare portavoce – e capiscono benissimo che
verniciano d’oro, con le loro guance paffutelle e l’occhietto
innocente, l’essenza escrementale dei prodotti – si creano e
manipolano con abuso di autorità e di morale, bambini ipocriti,
bugiardi, corrotti. Che, per sovraprezzo, si convincono che solo a
essere tali si viene ammirati, premiati, applauditi, ricompensati,
lanciati in una vita di spassi e buoni-premio. Come dire,
tanti berlusconini fardati che dilagano, come gli insetti assassini di
quel film dell’orrore. E domani sfasceranno spensieratamente, con bombe
a grappolo, quei bambini tra l’Eufrate e il Rio Bravo che rompono i
coglioni non mangiando merendine.
DISOBBEDIENTI OBBEDIENTI
L’ultimo corteo è stato vivace. Un vecchio compagno del Leoncavallo,
Riccardino, mi ha abbracciato, nonostante fossi da anni in dura
polemica con i Disobbedienti. Una signora che camminava dietro allo
striscione “Ebrei contro l’occupazione”, ha visto in tralice la mia
bandiera irachena, ha fiutato l’aria con fare nauseato e mi ha intimato
di allontanarmi. Frammenti di sionismo nei luoghi più sorprendenti. Del
resto è gente che ti spara “antisemita” (ne hanno una bandoliera piena)
se soltanto osi riferirti a Perle, Wolfowitz, Abrahms, Brezezinski,
Kissinger, Libby come a una lobby ebraica e non dici “terroristi” ogni
volta che vedi una kefiah. Sul finire, per raggiungere il Palazzo dei
Congressi con i costituenti europei, una moltitudine di 100 non è
passata da dietro, per varchi dimenticati, infiltrandosi un po’ per
volta, ma è andata a schiacciarsi proprio dove i poliziotti parevano lo
schieramento delle legioni in Gallia. E’ lì che stavano anche le
telecamere. Però i leoncavallini, che non avevano scudi e caschi, ma
delle fiammeggianti felpe rosse, se n’erano già andati. E il giorno
dopo ne hanno detto di tutti i colori ai Disobbedienti, obbedientemente
mediatici. Fine di un sodalizio?
E’ finito anche un altro sodalizio: quello di Disobbedienti con Giovani
Comunisti, anzi con tutta RC. Lo ha sepolto, con un lieve inciampo
tattico, il Disobbediente-capo-a-vita, Luca Casarini, quando, con un
nugolo di provetti castigamatti, collaudati in cento aggressioni a
“concorrenti” di sinistra, nonché nell’autodafè di Genova, ha impartito
una lezione a Venezia ad alcuni rifondaroli che non la pensavano come
lui sulle foibe e loro “martiri” fascisti. “Che questi stalinisti, o
addirittura comunisti, imparino un po’ di democrazia”, pare abbia
sibilato Casarini, dopo aver lanciato i suoi pretoriani all’assalto in
obbedienza a un paio di capoversi dal “Libro nero del comunismo”.
Casarini, visto l’ambaradan scatenato tra i suoi sostenitori
istituzionali, ha poi chiesto a Marcos se poteva scrivere una risposta,
da far passare come sua, dato che una manganellata gli aveva fatto
scordare tutto quello che aveva imparato dalla Terza elementare in poi.
Marcos si esibì in quella prosa che aveva abbagliato, fatto piangere,
fatto ridere, fatto ballare e fatto camminare domandando un’intera
generazione di mona dei centri sociali. “Rivolta” a Venezia e “Pedro” a
Padova. Pianti e risi di cui aveva reso puntualmente
testimonianza Radio Sherwood. Era tutto uno sfarfalleggiare di “caro”
di “vite, scazzi, esperienze, abbracci, sguardi, emozioni,
pensieri…umanità”, da togliere il respiro e mettere i singhiozzi. Un
florilegio di “camminare” e “domandare” (tacendo pudicamente
l’occasionale “picchiare”), di “folli che ogni giorno rischiano la
galera” e hanno già perso l’onorario dell’amica-dei-migranti Livia,
cara agli stessi per la famosa “Turco-Napoletano”. Spunta, a
interloquire, l’irresistibile Vecchio Antonio (ah, Marcos, ti sei
scoperto!) per “spiegare come pazzia, normalità, sinistra, destra
(ohibò! Vedi sopra), verità e falsità, violenza e pace, siano tutte
parole e concetti in realtà piegabili a proprio piacimento, se non si
ha niente di folle nel cuore e nella mente, se si sta fermi, se ci si
accontenta”.
Diavolo di un Marcos, i compagni di RC, con le cinque dita ancor ben
visibili sulla guancia e la punta dell’anfibio marchiata sullo stinco,
si sono precipitati, commossi, a chiedere scusa a Casarini.
Mi picco di essere un antesignano, quasi un veggente. Correva l’anno
1999, correva la primavera e correvano dall’alto in basso anche le
bombe su una Jugoslavia in corso di democratico e liberista
smantellamento. Tutto l’Occidente assediava i serbi, tutto l’Oriente se
ne stava in disparte. Milosevic e i suoi operai, che volevano limitare
il ricatto dell’FMI a non più di un 25% di privatizzazioni e il ruolo
della Nato al di là dell’Adriatico, erano soli come i compagni di RC
nella Piazza Tommaseo da ridedicare ai “martiri delle foibe”. La
sinistra biascicava “né con la Nato, né con Milosevic” e, guardando i
tiggì che raccontavano di grandi manifestazioni a Belgrado (mai
picchiate tipo G-8), di elezioni amministrative vinte dall’opposizione,
di partiti in massima parte ostili al governo, stigmatizzava inorridita
la “dittatura” del despota.
Noi ci aggirammo tra macerie e schianti su scuole, famiglie e ospedali
per raccontare (niente censura) da dove arrivava la pulizia etnica.
Loro, Casarini, Vitaliano, Beppe Caccia e il noto Bettin vennero a
Belgrado, furono ingenuamente ospitati dalla televisione di Stato,
ancora non polverizzata con i 16 giornalisti e tecnici dentro,
allietarono la Nato sparando a zero contro Milosevic e le sue
nefandezze e furono, non arrestati come provocatori e
collaborazionisti, ma cortesemente riaccompagnati al confine irredento.
Non prima, però, che fossero riusciti a stringere affettuosi rapporti,
saldi nel tempo, con i “giovani democratici” anti-Milosevic e
sostenitori del futuro presidente liberista e Nato Zoran Djindjic.
Quelli della formazione “Otpor”.
Grande e profonda divenne subito l’amicizia tra chi camminava verso “un
altro mondo possibile”, e chi, nel suo programma ufficiale, aveva già
risolto quella possibilità con un altro mondo del tutto americano e
multinazionale, “ visto – come mi disse Otpor – che i capitali
stranieri qui troveranno, caduta la “dittatura”, “mano d’opera
qualificata, lavoratrice e a basso costo e disposizioni fiscali che
neanche i condoni tombali”.
Altra grande amicizia venne stretta tra la radio padovana dei
Disobbedienti (allora “Tute Bianche”), Radio Sherwood, e quella che,
per merito loro, in Italia passò come l’emittente della giovane
sinistra anti-Milosevic serba: “Radio B-92”.
Su Radio B-92 mi venne qualche dubbio, quando, tornato a Roma, fui
invitato a una proiezione dai “compagni” del CSA romano dei
Disobbedienti, “Corto Circuito”. Candidi come nubi-pecorelle, i
“compagni” mi mostrarono un video di B-92, in cui si glorificava
un’aggressione di fighetti alla moda, vuoi alternativi, vuoi
manageriali, a un corteo di operai e contadini, perlopiù anziani,
convenuti a Belgrado per l’anniversario della morte (o nascita) di
Tito. Ruppero la testa a vecchie teste partigiane e misero fiori negli
occhielli dei poliziotti. Chi, accanto a me, vedeva questa porcheria,
commentava compiaciuto:”Hai visto cosa fanno i compagni serbi a quegli
stalinisti?” Le recenti mazzate “disobbedienti” agli esponenti di RC a
Venezia, mi hanno riproposto quelle immagini e quelle valutazioni.
Radio B-92 risultò poi a me e a cento mezzi d’informazione emittente
del circuito Radio Free Europe – Radio Liberty. Un circuito messo in
piedi a Monaco dalla CIA, all’inizio della guerra fredda, per lanciare
propaganda USA oltre la cortina di ferro e, dopo il crollo del Muro,
spostata a Praga, sotto la protezione di quel democratico presidente
Havel che ebbe modo di offrire alla bellezza ebreo-cecoslovacca
Madeleine Albright la presidenza del suo paese. Infatti, a seguirne il
palinsesto, si potevano riascoltare programmi e notiziari già trasmessi
dalle emittenti statunitensi. Per chi volesse sincerarsi, è ad
Amsterdam la sede della società editoriale che gestisce il circuito CIA.
La Serbian connection delle Tute Bianche-Disobbedienti-Ya Basta fiorì
rigogliosa negli anni. Otpor e Radio B-92 venivano invitati a convegni
in Italia e i “compagni” italiani accettavano, a loro volta, scambi e
inviti in Serbia. Nel frattempo dirigenti e militanti di Otpor venivano
addestrati a Budapest e Sofia, da generali USA, a quell’insurrezione
che poi misero in atto il 5 ottobre 2000, con il pogrom contro
sindacalisti, giornalisti, funzionari, militanti di sinistra e con
l’incendio del parlamento che incenerì le schede elettorali dalle quali
risultava la vittoria delle sinistre nelle elezioni parlamentari. Da me
intervistati, due dirigenti Otpor mi dissero di essere “orgogliosi di
essere aiutati dalla CIA, il servizio d’intelligence di un grande paese
che ammiriamo”. Enrico De Aglio pubblicò nel “Diario” una lunga
inchiesta sul “capolavoro della CIA in Serbia” con la creazione di una
quinta colonna collaborazionista fatta passare per organizzazione di
sinistra. Analoga inchiesta trasmise la BBC.
Del resto, madrine di questa formazione erano le anziane agitatrici
anti-Milosevic della defunta “Alleanza Civica”: Sonia Licht, presidente
della Fondazione George Soros a Belgrado e Vesna Pesic. La Pesic è una
diplomata della Fondazione di Washington National Endowment for
Democracy” (NED)una vetrina culturale creata nel 1974 dalla CIA ai fini
della “diffusione della democrazia nei paesi comunisti”. E’ la NED che
ha finanziato gran parte delle eversioni di destra nei paesi
latinoamericani e asiatici e, recentemente, il complotto anticubano dei
cosiddetti “dissidenti”, effettivi mercenari dell’agente USA James
Cason e membri di una rete terroristica che, con dirottamenti e
sequestri, si proponeva di creare le condizioni per un’invasione USA
(per aver detto queste cose, comprovate, sono stato cacciato dal
“quotidiano comunista” Liberazione)
E’ proprio su questo quotidiano, coerentemente, che la versione di
“Otpor”- giovani democratici e di sinistra, che liberano Belgrado dalla
dittatura di Milosevic, fu sposata con entusiasmo, al punto che
Salvatore Cannavò invitò i “compagni” di Otpor a partecipare agli
appuntamenti del Movimento dei Movimenti. Ai disvelamenti inconfutabili
su “Otpor” - articolazione della CIA, Cannavò e il giornale opposero un
silenzio abissale e atemporale. Del resto, cosa ci poteva essere di più
imbarazzante per chi aveva riconosciuto gli amichetti italiani di
“Otpor” (e, con interessante simultaneità, i Disobbedienti, PR in
Italia di Marcos-uomo mascherato - nonviolento) battistrada dell’altro
mondo possibile.
Venezia non pare aver posto fine a tale matrimonio davvero morganatico,
oggi confermato nella vasta cattedrale dell’Ulivo. Disobbedienti a chi?
Obbedienti a chi? Poiché quando l’imperialismo, cosiddetto liberista e
globalizzante, guerreggia per la distruzione degli Stati (altri) e la
loro frantumazione in piccole entità etniche inoffensive, non vi
percuote l’udito l’eco della “democrazia municipale” dei Disobbedienti,
del loro rifiuto di questo “arcaico Stato” ai palestinesi (vedi
comunicato di “Ya Basta” il 9 novembre del 2001), della loro scelta di
una “scuola muncipale” contro la nostra difesa “di retroguardia” della
scuola pubblica? E il proclama del topgun Bush, che la guerra in Iraq
era stata trionfalmente finita e vinta, non ha trovato una formidabile
risonanza nell’infinito silenzio attuale dei (dis)obbedienti sullo
stupro continuato del popolo iracheno e sulla sua formidabile
resistenza (stesso discorso sulla Palestina della “soluzione finale”)?
Dal movimento Antiamericanisti ci sono stati rifilati, travestiti da
sciti iracheni e da patrioti palestinesi, stragisti, neofascisti,
nazisti, comunitaristi. Dai “compagni” di Casarini gli infiltrati CIA
di “Otpor”. Tutti molto obbedienti.