IRAQ = JUGOSLAVIJA / 9
Anno: 2004
FALLUJA COME ORADOUR, LIDICE, KRAGUJEVAC, MARZABOTTO, GHETTO DI VARSAVIA
Roma, aprile - Mentre il mondo commemora un genocidio di dieci anni fa,
quello del Ruanda, si assiste a un altro massacro a cui non si reagisce
con lo sdegno dovuto.
Evidentemente e' piu' facile istituire Giorni della memoria e dedicare
un minuto di silenzio in memoria delle vittime a distanza di tanti
anni, che non intervenire per far cessare un crimine che si svolge in
diretta, per di piu' commesso dal Paese piu' potente del pianeta con
cui molti governanti del mondo si dichiarano solidali.
Ma d'altronde, quando la barbarie imperversava per l'Europa, la sorte
del Ghetto di Varsavia, i settemila studenti e insegnanti sterminati a
Kragujevac (Jugoslavia), il massacro di Lidice (Cecoslovacchia), per
punire la citta' che ha reso il mondo un posto migliore eliminando un
tal Heydrich, l'esecuzione in una chiesa di Oradour sur Glane (Francia)
di 250 tra studenti e insegnanti, oppure la carneficina di Marzabotto,
avevano forse suscitato immediatamente rifiuto e sdegno per quello che
era stato commesso?
Certo che no.
Scandalizzarsi, rivoltarsi, solidarizzare, denunciare e commemorare
quanto e' accaduto, e' molto piu' comodo quando il responsabile del
crimine non e' piu' in grado di nuocere.
Per questa ragione i crimini continuano ad essere commessi e anche in
un'epoca in cui l'informazione permette di avere un quadro immediato di
quello che sta succedendo anche dall'altra parte del mondo, si
preferisce esporsi il meno possibile.
Quello che sta accadendo da alcuni giorni a Falluja per mano delle
forze americane, non e' un'operazione militare, anche se si vuole
presentarla come tale, ma e' un'operazione terroristica.
Quando si prende in ostaggio una citta' di oltre centocinquantamila
abitanti, le si tagliano acqua e luce e si va all'attacco con tutti i
mezzi militari disponibili, senza rispetto nemmeno per i luoghi di
culto, per piegare alla propria volonta' una comunita', si commette un
atto terroristico.
Nel caso di Falluja possiamo parlare di rappresaglia terroristica,
proprio come nel caso di quelle localita' europee appena ricordate,
dove bisognava infliggere una lezione alla popolazione, dopo che quella
aveva manifestato ostilita', perche' non osasse piu' opporsi ai disegni
del conquistatore.
Che cosa puo' interessare al bambino iracheno assassinato da una
pallottola di un marine o da un razzo lanciato da un Apache, se la
coalizione ha portato la liberta' e la democrazia sulle rive del Tigri
e dell'Eufrate: a lui ha saputo regalare solo la morte.
E che nessuno osi parlare di operazione di pace: non si va in un altro
Paese armati a imporre una volonta' che non e' mai stata legittimata
ne' dalla comunita' internazionale, ne' dal popolo occupato. Come
nessuno ha il diritto di nascondersi dietro la scusa che terroristi e
assassini usano donne e bambini per ripararsi dietro e sparare sui
bravi militari giunti in Iraq per creare un futuro migliore agli
iracheni. Il militare, anche se deve rispettare gli ordini, ha una
propria coscienza e deve sapere che quello non e' il suo Paese e se
rischia di scalfire anche un solo civile, ha il dovere di non farlo.
Nel secondo dopoguerra si e' voluto spesso ricordare quei soldati
tedeschi i quali, a rischio della propria vita, hanno detto no, quando
si trattava di commettere dei crimini. Di recente diversi ufficiali
israeliani hanno avuto il coraggio e la rettitudine morale, rifiutando
di partecipare alle campagne criminali contro il popolo palestinese.
Gli esempi quindi non mancano.
E' una straordinaria coincidenza che esattamente a un anno dalla caduta
di Saddam Hussein, la coalizione della prepotenza si trovi a
fronteggiare una popolazione irachena decisamente insoddisfatta, per
non usare un altro termine. Una popolazione che sta superando le
divisioni religiose, vista la colonna di aiuti inviata alla gente di
Falluja dalle moschee sciite e sunnite di Baghdad. Si fa presto a dire
che coloro che si sono rivoltati a Baghdad, a Mosul, a Bassora, a Kut,
a Najaf, a Falluja, a Ramadi, a Karbala, a Tikrit, a Samarra, a Kirkuk,
a Kufa, sono una minoranza di assassini e terroristi con i quali non ci
sara' mai nessuna trattativa. Se questa posizione dell'amministrazione
americana non dovesse cambiare: gli Stati Uniti sono gia' a un nuovo
Vietnam.
Alla rabbia dei sunniti, che hanno visto tramontare il loro potere,
alla paura dei cristiani, che hanno visto crescere e rendersi
aggressiva la militanza islamica, all'ansia dei turcomanni, che vivono
nel terrore di diventare sudditi di un'amministrazione curda, si e'
aggiunta la determinazione degli sciiti di scegliere da soli il futuro
e non accettare intromissioni americane. Non ci vuole nulla, perche' il
diffuso malcontento si sommi.
Moqtada al Sadr sicuramente non rappresenta la maggioranza degli sciiti
iracheni, ma il grande ayatollah Ali al Sistani si. Quest'ultimo ha
chiesto a piu' riprese elezioni generali il piu' velocemente possibile
e l'amministrazione del Paese da affidare, nel frattempo, alle Nazioni
unite.
Certamente l'esito del voto gli Usa non lo potranno influenzare e
tantomeno esigere garanzie per il futuro, ne' per se stessi, ne' per
gli "amici". Che gli Stati Uniti facciano fatica ad accettare questo,
dopo il prezzo pagato per l'invasione del Paese e senza la certezza che
l'Iraq possa diventare una base per Washington e un partner per Tel
Aviv, particolare assai importante, e' piu' che comprensibile.
Ma sarebbe proprio compito degli alleati degli Stati Uniti, europei in
testa, a far comprendere alla Casa Bianca che il danno e' stato fatto:
il calcolo si e' rivelato sbagliato, come l'intelligence sulle armi di
distruzione di massa o la presenza di al Qaeda, il livello di ostilita'
dell'opinione pubblica irachena ha raggiunto livelli di guardia, un
autentico cortile del terrore e' emerso in Medio Oriente in quel Paese
che sarebbe stato liberato, destabilizzando ulteriormente la regione, e
che per la salvaguardia della stabilita' internazionale, la sovranita'
va restituita subito agli iracheni.
La redazione di Arabmonitor
http://www.arabmonitor.info
Anno: 2004
FALLUJA COME ORADOUR, LIDICE, KRAGUJEVAC, MARZABOTTO, GHETTO DI VARSAVIA
Roma, aprile - Mentre il mondo commemora un genocidio di dieci anni fa,
quello del Ruanda, si assiste a un altro massacro a cui non si reagisce
con lo sdegno dovuto.
Evidentemente e' piu' facile istituire Giorni della memoria e dedicare
un minuto di silenzio in memoria delle vittime a distanza di tanti
anni, che non intervenire per far cessare un crimine che si svolge in
diretta, per di piu' commesso dal Paese piu' potente del pianeta con
cui molti governanti del mondo si dichiarano solidali.
Ma d'altronde, quando la barbarie imperversava per l'Europa, la sorte
del Ghetto di Varsavia, i settemila studenti e insegnanti sterminati a
Kragujevac (Jugoslavia), il massacro di Lidice (Cecoslovacchia), per
punire la citta' che ha reso il mondo un posto migliore eliminando un
tal Heydrich, l'esecuzione in una chiesa di Oradour sur Glane (Francia)
di 250 tra studenti e insegnanti, oppure la carneficina di Marzabotto,
avevano forse suscitato immediatamente rifiuto e sdegno per quello che
era stato commesso?
Certo che no.
Scandalizzarsi, rivoltarsi, solidarizzare, denunciare e commemorare
quanto e' accaduto, e' molto piu' comodo quando il responsabile del
crimine non e' piu' in grado di nuocere.
Per questa ragione i crimini continuano ad essere commessi e anche in
un'epoca in cui l'informazione permette di avere un quadro immediato di
quello che sta succedendo anche dall'altra parte del mondo, si
preferisce esporsi il meno possibile.
Quello che sta accadendo da alcuni giorni a Falluja per mano delle
forze americane, non e' un'operazione militare, anche se si vuole
presentarla come tale, ma e' un'operazione terroristica.
Quando si prende in ostaggio una citta' di oltre centocinquantamila
abitanti, le si tagliano acqua e luce e si va all'attacco con tutti i
mezzi militari disponibili, senza rispetto nemmeno per i luoghi di
culto, per piegare alla propria volonta' una comunita', si commette un
atto terroristico.
Nel caso di Falluja possiamo parlare di rappresaglia terroristica,
proprio come nel caso di quelle localita' europee appena ricordate,
dove bisognava infliggere una lezione alla popolazione, dopo che quella
aveva manifestato ostilita', perche' non osasse piu' opporsi ai disegni
del conquistatore.
Che cosa puo' interessare al bambino iracheno assassinato da una
pallottola di un marine o da un razzo lanciato da un Apache, se la
coalizione ha portato la liberta' e la democrazia sulle rive del Tigri
e dell'Eufrate: a lui ha saputo regalare solo la morte.
E che nessuno osi parlare di operazione di pace: non si va in un altro
Paese armati a imporre una volonta' che non e' mai stata legittimata
ne' dalla comunita' internazionale, ne' dal popolo occupato. Come
nessuno ha il diritto di nascondersi dietro la scusa che terroristi e
assassini usano donne e bambini per ripararsi dietro e sparare sui
bravi militari giunti in Iraq per creare un futuro migliore agli
iracheni. Il militare, anche se deve rispettare gli ordini, ha una
propria coscienza e deve sapere che quello non e' il suo Paese e se
rischia di scalfire anche un solo civile, ha il dovere di non farlo.
Nel secondo dopoguerra si e' voluto spesso ricordare quei soldati
tedeschi i quali, a rischio della propria vita, hanno detto no, quando
si trattava di commettere dei crimini. Di recente diversi ufficiali
israeliani hanno avuto il coraggio e la rettitudine morale, rifiutando
di partecipare alle campagne criminali contro il popolo palestinese.
Gli esempi quindi non mancano.
E' una straordinaria coincidenza che esattamente a un anno dalla caduta
di Saddam Hussein, la coalizione della prepotenza si trovi a
fronteggiare una popolazione irachena decisamente insoddisfatta, per
non usare un altro termine. Una popolazione che sta superando le
divisioni religiose, vista la colonna di aiuti inviata alla gente di
Falluja dalle moschee sciite e sunnite di Baghdad. Si fa presto a dire
che coloro che si sono rivoltati a Baghdad, a Mosul, a Bassora, a Kut,
a Najaf, a Falluja, a Ramadi, a Karbala, a Tikrit, a Samarra, a Kirkuk,
a Kufa, sono una minoranza di assassini e terroristi con i quali non ci
sara' mai nessuna trattativa. Se questa posizione dell'amministrazione
americana non dovesse cambiare: gli Stati Uniti sono gia' a un nuovo
Vietnam.
Alla rabbia dei sunniti, che hanno visto tramontare il loro potere,
alla paura dei cristiani, che hanno visto crescere e rendersi
aggressiva la militanza islamica, all'ansia dei turcomanni, che vivono
nel terrore di diventare sudditi di un'amministrazione curda, si e'
aggiunta la determinazione degli sciiti di scegliere da soli il futuro
e non accettare intromissioni americane. Non ci vuole nulla, perche' il
diffuso malcontento si sommi.
Moqtada al Sadr sicuramente non rappresenta la maggioranza degli sciiti
iracheni, ma il grande ayatollah Ali al Sistani si. Quest'ultimo ha
chiesto a piu' riprese elezioni generali il piu' velocemente possibile
e l'amministrazione del Paese da affidare, nel frattempo, alle Nazioni
unite.
Certamente l'esito del voto gli Usa non lo potranno influenzare e
tantomeno esigere garanzie per il futuro, ne' per se stessi, ne' per
gli "amici". Che gli Stati Uniti facciano fatica ad accettare questo,
dopo il prezzo pagato per l'invasione del Paese e senza la certezza che
l'Iraq possa diventare una base per Washington e un partner per Tel
Aviv, particolare assai importante, e' piu' che comprensibile.
Ma sarebbe proprio compito degli alleati degli Stati Uniti, europei in
testa, a far comprendere alla Casa Bianca che il danno e' stato fatto:
il calcolo si e' rivelato sbagliato, come l'intelligence sulle armi di
distruzione di massa o la presenza di al Qaeda, il livello di ostilita'
dell'opinione pubblica irachena ha raggiunto livelli di guardia, un
autentico cortile del terrore e' emerso in Medio Oriente in quel Paese
che sarebbe stato liberato, destabilizzando ulteriormente la regione, e
che per la salvaguardia della stabilita' internazionale, la sovranita'
va restituita subito agli iracheni.
La redazione di Arabmonitor
http://www.arabmonitor.info