"UNA EUROPA COME PARADIGMA POST-STATUALE E POST-NAZIONALE, COME SPAZIO
IN CUI DOVREBBE ESSERE POSSIBILE REINVENTARE LA FORMA POLITICA SUL
MODELLO DELLA RETE"
Traduzione in lingua italiana: "Una Europa contro le sovranita'
nazionali e decomposta in gabbie etno-salariali, in cui il potere sia
autocratico e nello spettacolo mediatico l'individuo -- non piu'
cittadino -- abbia l'impressione di avere la facolta' di disobbedire
facendosi le seghe dinanzi alla webcam"
Ma, soprattutto, una Europa che sia allo stesso tempo anti-comunista ed
anti-socialdemocratica. Pare sia questo il progetto politico dei
Disobbedienti:
> Da: "luca" <lucacasarini@...>
> Data: Thu, 6 May 2004 15:22:59 +0200
> A: "mov\. movimento" <Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.>
> Oggetto: [listadisobbedienti] Fwd:[Fwd: Bifo-Formenti_verdi europei]
>
> -------------------------- Messaggio originale
> ---------------------------
> Oggetto: Bifo-Formenti_verdi europei
> Da: francesco raparelli <rifo78@...>
> Data: Mar, 4 Maggio 2004, 6:42 pm
> A: luca.casarini@...
> -----------------------------------------------------------------------
> ---
>
> una proposta di discussione
> franco berardi carlo formenti - Europa 29.04.2004
> Un'ipotesi verde-europea perché emerga anche a livello
> politico-elettorale
> un'alternativa sociale al regime della devastazione e della guerra.
>
> I. La lezione dei movimenti
>
> Ai movimenti sociali che hanno accompagnato il volgere di millennio in
> Occidente (pacifisti e new global in primis) dobbiamo fondamentali
> novità
> ideologiche, culturali e organizzative: il superamento del mito della
> violenza rivoluzionaria, la capacità di federare identità e soggetti
> collettivi portatori di radicali differenze reciproche, un
> mediattivismo
> che, grazie all'appropriazione di massa di Internet e delle nuove
> tecnologie di comunicazione, si è dimostrato capace di tenere testa ai
> media mainstream sul loro terreno, la creazione di una sfera di
> condivisione di conoscenze sofisticate tanto sul piano
> scientitico-tecnologico quanto su quello linguistico-comunicativo. In
> breve, i movimenti hanno elaborato una cultura assai più avanzata e
> raffinata di quella del ceto politico professionale. Al tempo stesso,
> si
> sono dimostrati incapaci di trasferire l'alternativa sociale e
> culturale
> sul terreno della politica. Non sono riusciti, cioè, a liberare la
> sinistra dal fardello di quel ceto burocratico che continua a tenere in
> pugno le redini dei partiti.
>
> La situazione italiana è, da questo punto di vista, esemplare: la
> sinistra
> è ostaggio dell'eredità culturale ed elettorale del PCI che, per quanto
> ridistribuita fra tre partiti (con la prospettiva tutt'altro che
> inverosimile che diventino quattro), riesce a imporre la continuità del
> paradigma novecentesco - lavoristae autoritario -, condiviso tanto
> dalle
> componenti che rivendicano un'identità resistenziale, quanto da quelle
> convertite al liberismo. Del resto, ampliando il punto di vista al
> panorama europeo, non si vedono scenari diversi: nei Paesi in cui le
> differenze fra partiti socialdemocratici e partiti post o neocomunisti
> sono più sfumate se non cancellate ci troviamo di fronte allo stesso
> miscuglio di resistenzialismo e subalternità, caratterizzato dalla
> paradossale, continua oscillazione (ritmata dalle scadenze elettorali)
> fra
> difesa delle ultime trincee del welfare (con un occhio di riguardo per
> gli
> interessi degli strati di classe autoctonie garantiti) ed esaltazione
> (vedi il caso Blair) del modello di sviluppo capitalistico americano.
> Finché non ci saremo sbarazzati di questo retaggio ideologico, non sarà
> possibile fondare una sinistra all'altezza delle sfide del XXI secolo
> (globalizzazione economica, integrazione planetaria dei flussi
> finanziari
> e comunicativi, catastrofi ecologiche, migrazioni di massa, stato di
> guerra permanente fra Nord e Sud del mondo). Sui movimenti grava dunque
> la responsabilità di far emergere una soluzione politica (da sviluppare
> sul piano elettorale non meno che su quello culturale) che si lasci
> alle
> spalle l'eredità del comunismo novecentesco.
>
>
> II. L'equivoco del neoliberismo
>
> A rendere arduo il compito, non sono solo le contraddizioni fra ala
> moderata-pacifista e ala radicale-antagonista dei movimenti, ma anche
> il
> persistere di certi equivoci terminologici. Primo fra tutti, quel
> riflesso
> condizionato che, in nome della necessità di opporsi al neoliberismo,
> spinge l'ala radicale a identificarsi - o almeno a stringere alleanza
> con
> le componenti resistenziali della sinistra tradizionale. In realtà,
> nulla
> appare meno adeguato dell'etichetta liberista (per tacere degli ideali
> liberaldemocratici e/o libertari, che a tale etichetta vengono
> impropriamente associati) per connotare la realtà del capitalismo
> globale
> all'inizio del terzo millennio. Linsieme di accordi, regole e procedure
> promossi e gestiti nellambito di organismi come il WTO, il FMI e la
> Banca
> Mondiale, il vertice non eletto della Comunità Europea, ecc. coincide
> infatti con una cultura inequivocabilmente protezionista, la quale,
> mentre
> sbandiera i principi del libero mercato, mira a difendere con qualsiasi
> mezzo gli interessi delle grandi corporation occidentali (e/o
> degli strati sociali che le garantiscono il consenso elettorale). Basti
> pensare all'introduzione di leggi sempre più restrittive in materia di
> proprietà intellettuale e al loro impatto (con conseguenze devastanti
> per
> l'innovazione tecnologica, i diritti dei consumatori, la salute delle
> popolazioni dei paesi poveri) in settori trainanti delleconomia
> (informatica, biotecnologie, industria culturale, telecomunicazioni,
> ecc.), o alla strenua resistenza opposta da Usa ed UE alla
> liberalizzazione dei mercati agricoli. Non ha dunque senso parlare di
> lotta contro il liberismo, laddove è sempre più urgente lottare per
> difendere le libertà individuali e collettive dalla cultura dirigista e
> tecnocratica del tardo capitalismo. Occorre piuttosto denunciare la
> totale discontinuità fra tradizione degli ideali liberaldemocratici (a
> destra) e liberisti (a sinistra) nei confronti di un liberismo che
> (anche
> sul piano economico!) non ha più nulla da spartire con quelle
> tradizioni.
> Ma soprattutto occorre avere il coraggio di superare certe dicotomie
> (pubblico-privato; deregulation-dirigismo statalista, ecc.),
> riconoscendo
> che oggi non è più su di esse che si fonda la contrapposizione
> destra-sinistra. Chiedere nuove regole o sostenere la deregulation,
> rivendicare il ruolo dellintervento pubblico o promuovere la
> sussidiarietà dell'iniziativa privata, non sono opzioni definibili
> apriori come di destra o di sinistra, ma assumono significati diversi
> in
> contesti diversi. La verità di questa affermazione si è manifestata
> chiaramente nel quadro del ciclo espansivo della Net Economy negli anni
> 90 e della successiva crisi, maturata all'inizio del nuovo millennio.
>
>
> III. Splendori e miserie della Net Economy
>
> La transizione verso un'economia della conoscenza che negli anni 90 è
> progredita con eccezionale rapidità, sull'onda della rivoluzione
> digitale
> e della fulminea espansione di Internet ha trasformato radicalmente
> identità e valori del mondo del lavoro. Alla vecchia composizione di
> classe resa omogenea dall'organizzazione produttiva dellimpresa
> fordista-taylorista è subentrato una sorta di Quinto Stato, un
> variegato
> blocco sociale che, attorno a un nucleo centrale di lavoratori della
> conoscenza (dotati di elevate competenze tecnologiche e comunicative),
> ha
> visto l'aggregazione di una galassia di soggetti professionisti
> freelance,
> microimprenditori, management di piccole e medie imprese
> tecnologicamente
> avanzate (startup), addetti del terzo settore e delle imprese sociali
> ecc.
> accomunati da una cultura profondamente innovativa:
>
> 1) etica hacker: abbandonata l'etica lavorista(il lavoro come
> giustificazione morale di una vita e come fonte esclusiva dei diritti
> di
> cittadinanza, a prescindere dal suo contenuto e dalla sua capacità di
> offrire soddisfazione) si è iniziato a pensare al lavoro come
> opportunità
> di tradurre relazioni sociali, competenze comunicative e interessi
> individuali in conoscenze, e di tradurre tali conoscenze in fonti di
> reddito
>
> 2) una paradossale miscela di individualismo e comunitarismo, di
> voglia di
> libertà individuale e di desiderio di comunità, di creatività
> personale e
> di saperi condivisi. Una miscela che era parsa in grado di superare la
> contrapposizione fra leggi del mercato e valori di solidarietà
> sociale, e
> che annunciava la fine del principio di scarsità. Economia di rete
> sembrava voler dire: tutti competono, tutti cooperano, tutti vincono.
> Una
> economia del dono incarnata dalla comunità del software free e open
> source, in cui la gara per essere i primi o i più bravi non è in
> conflitto
> con l'obiettivo di regalare condizioni di vita e di lavoro migliori a
> tutti, non solo ai più abili, aggressivi o fortunati.
>
> Questa visione è entrata in crisi con il crollo dei titoli tecnologici
> iniziato nella primavera del 2000, e successivamente è stata colpita
> con
> lucida e spietata ferocia dall'amministrazione Bush, che ha sfruttato
> l'onda emotiva degli attentati terroristici dell'11 settembre 2001. E'
> iniziato un attacco combinato: gli oligopoli dell'industria culturale e
> del settore high tech hanno usato l'arma del copyright per
> riconquistare
> il controllo assoluto del mercato, e scrollarsi di dosso la pressione
> competitiva dell'arcipelago di startup, professionisti e lavoratori
> della
> conoscenza che per un decennio erano stati i protagonisti
> dell'innovazione
> tecnologico-culturale e di una inedita globalizzazione dal basso. Il
> governo americano in nome della guerra al terrorismo ha militarizzato
> Internet, riducendo drasticamente i diritti di privacy e la libertà di
> comunicazione in rete ed ha così fatto compiere un enorme balzo
> indietro
> alle speranze rivoluzionarie del Quinto Stato.
>
> In questa situazione, il rischio è quello di appiattirsi sulla diagnosi
> neocomunista: l'illusione è finita, l'economia capitalista mostra il
> suo
> vero volto tentando, come aveva sempre fatto nel corso del secolo
> precedente, di risolvere la crisi con la guerra. Ma la verità è che
> nessuna crisi, dopo la rivoluzione culturale che ha messo le
> tecnologie di
> comunicazione e il linguaggio al centro del modo di produzione, potrà
> mai
> più essere risolta con la guerra. Lo conferma il permanente ristagno
> dell'economia europea, lo conferma la ripresa dell'economia americana
> incapace di recuperare i posti di lavoro perduti (e quindi
> costantemente è
> a rischio di risprofondare in una crisi di sottoconsumo). Lo conferma,
> infine, la tenace resistenza di centinaia di milioni di
> utenti-consumatori
> che continuano a scambiare conoscenze e informazioni gratuite, che si
> oppongono alle violazioni della propria privacy, che insistono
> nell'usare
> Internet per comunicare, socializzare e divertirsi invece che
> per comprare.
> Insomma: dalla crisi non si esce con il keynesismo di guerra
> dell'amministrazione Bush, bensì con un nuovo New Deal, evento che solo
> un radicale rinnovamento della sinistra può regalarci. Ma al di là
> delle
> innovazioni culturali introdotte dai movimenti, in quale direzione
> occorre cercare per trovare indizi di un simile rinnovamento?
>
>
> IV. L'alternativa ecologista
>
> Molti dei contenuti che consentono di prefigurare un'alternativa
> politica
> sono stati elaborati, negli ultimi vent'anni, da quel vasto e ricco
> filone
> di ricerca che coincide con l'area culturale ambientalista. La fine del
> paradigma della crescita illimitata costituisce l'orizzonte di un nuovo
> progetto sociale in cui la ricchezza non è più identificata con la
> quantità dei beni consumabili bensì con la qualità del tempo vissuto.
> Il
> che dischiude l'opportunità di collocare in una nuova prospettiva i
> sogni
> della Net Economy: da un lato, la transizione all'economia immateriale,
> pur conservando la promessa della fine del principio di scarsità, non
> verrebbe più identificata con illusioni di crescita infinita di
> un'economia non più limitata da vincoli materiali, dall'altro, l'etica
> hacker verrebbe liberata dal paradosso di una passione che si rivolge
> contro se stessa, generando la cancellazione fra tempo di vita e tempo
> di
> lavoro. L'ultimo aspetto è di rilievo decisivo per affrontare il
> problema della sofferenza mentale del lavoro cognitivo, problema
> legato
> alle forme di proiezione dell'infosfera mediatica, alle modalità di
> organizzazione del lavoro comunicativo, alle condizioni di
> socializzazione della creatività individuale e dell'energia psichica,
> in
> una parola all'ecologia della mente. Il riferimento al pensiero di
> Gregory Bateson implicito nell'ultimo termine non è casuale: l'incontro
> fra cultura ecologista e tecnologie digitali è infatti un paradosso
> apparente, se pensiamo al ruolo che Bateson e gli altri padri fondatori
> della cibernetica hanno svolto nell'estendere i concetti di equilibrio
> e
> interazione sistemica dalla scienza dei computer agli altri campi della
> cultura contemporanea (ivi compreso quello politico). Su questo piano,
> l'unico che consenta di integrare il problema della felicità ai
> problemi
> dell'organizzazione sociale del lavoro e della comunicazione - si
> giocano
> la comprensione e il governo di una società complessa di fronte alla
> quale la vecchia cultura politica di sinistra come di destra si sta
> rivelando impotente. Dalla crisi non si esce con la riscoperta di
> politiche espansive sul genere di quelle che consentirono al
> capitalismo
> di superare la Grande Depressione degli anni Trenta. Il New Deal del
> futuro dovrà scommettere su scenari diversi: il decongestionamento, il
> rallentamento, la liberazione dallo stress del lavoro, lamicizia e la
> cooperazione fra diversi al posto della paranoia securitaria. Sono
> punti
> sui quali ha ben poco da dire il pensiero socialista novecentesco,
> nelle
> sue varianti rivoluzionarie e riformiste, nelle sue declinazioni
> stataliste o liberali. Solo nell'area politica europea che si è
> definita
> a partire dall'esperienza dei Grunen tedeschi chi desidera opporsi ai
> disegni di globalizzazione della guerra e dello sfruttamento può
> trovare
> lo spazio per avviare il progetto di costruzione di una sinistra
> all'altezza dei tempi. A partire dal superamento del mito della
> contrapposizione antagonista al modo di produzione capitalista e della
> fuoruscita rivoluzionaria dalla società su di esso fondata.
>
>
> V. Per proteggersi dalla seconda natura
>
> L'imprinting culturale storicista impedisce di capire al ceto politico
> post-comunista che il capitalismo non è, come sottintende la nozione
> marxista di modo di produzione, un sistema totalizzante, bensì uno
> strato
> di pratiche, valori, comportamenti, segni che si sovrappone a un
> complesso
> ambiente culturale e antropologico il quale conserva la propria
> dimensione
> plurima e resiste tenacemente a qualsiasi sovradeterminazione
> totalizzante. Contro le letture deterministe-economiciste del
> veteromarxismo, occorre riscoprire la lezione di Karl Polanyi, l'unico
> critico novecentesco del capitalismo che abbia saputo valorizzare
> l'irriducibile autonomia di società e cultura nei confronti del sistema
> economico. La cultura ambientalista ha le carte in regola per
> raccogliere
> l'eredità di questa lezione, grazie a una genealogia filosofica che è
> evoluzionista-sistemica piuttosto che storicista-dialettica. Genealogia
> che le consente di elaborare strategie di autonomia dal capitale senza
> evocare scenari di totalizzazione alternativa.
>
> Il capitalismo, in quanto marcatura semiotica della storia evolutiva
> della
> nostra specie, non è cancellabile. Ma ciò non significa che se ne
> debbano
> accettare passivamente le conseguente devastanti, né tanto meno
> significa
> che la società sia destinata a modellare i propri valori, desideri,
> bisogni e comportamenti sulle sue imposizioni ideologiche. Detto
> altrimenti: il fatto che il capitale operi, in una certa misura, come
> una
> sorta di seconda natura, non implica che occorra subire le sue leggi, e
> adeguarsi agli imperativi normativi che ne discendono. Così come il
> genere
> umano ha imparato a proteggersi dalla natura e dalla morte, pur
> sapendo di
> non potersene liberare, una cultura di sinistra fondata sulla filosofia
> ecologista potrebbe insegnare alla società a proteggersi dal capitale,
> pur
> sapendo di non potersene liberare.
>
> Lo spazio in cui un simile rovesciamento di tendenza può e deve
> avvenire è
> l'Europa. Non l'Europa intesa come potenza da contrapporre alle altre
> potenze, in primis quella americana. Non l'Europa come stato
> sopranazionale. Bensì l'Europa come paradigma post-statuale e
> post-nazionale, come spazio in cui dovrebbe essere possibile
> reinventare
> la forma della politica sul modello della rete. Di stato a rete parla,
> fra
> gli altri, Manuel Castells, analizzando la peculiarità di un processo
> di
> unificazione che si è sviluppato fra continue contraddizioni e
> incoerenze,
> contrassegnato dalla forbice che è venuta progressivamente aprendosi
> fra
> integrazione culturale agevolata dalla formazione di uno spazio
> audiovisuale europeo promosso dai processi di convergenza e
> integrazione
> fra media e reazioni localiste alle decisioni di una politica
> governata da
> vertici tecnocratici privi di legittimazione democratica. Tuttavia è
> proprio il deficit democratico di cui soffrono istituzioni come il
> Consiglio e la Commissione Europea che, paradossalmente, costringe
> il vertice a recuperare legittimità attraverso quel principio di
> sussidiarietà
> che delega alle istituzioni regionali e locali una quantità crescente
> di
> decisioni. Così le nuove tecnologie di comunicazione vengono usate, da
> un
> lato, per accentrare il flusso delle informazioni nelle mani del
> vertice,
> dall'altro per ridistribuire tale flusso a livello regionale,
> promovendo
> la partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche delle
> istituzioni locali. Lo stato a rete si configura dunque come
> condivisione
> di autorità da parte di una serie di nodi. E benché ognuno di essi
> appaia
> dotato di peso e dimensioni diverse, la stratificazione di poteri
> sovrapposti e in competizione reciproca genera legami di
> interdipendenza
> che ridimensionano il potere del centro. Castells definisce questa
> situazione una sorta di neo-mediavalismo istituzionale, ma la si
> potrebbe
> anche definire come un possibile primo passo verso nuove forme di
> partecipazione dal basso - di tipo postdemocratico? - alla politica.
>
> Un contesto in cui alle minoranze attive potrebbe essere offerta
> l'opportunità di contare in misura superiore al proprio peso
> elettorale.
> Un contesto in cui un processo di aggregazione federativa fra
> movimenti,
> partito ecologista europeo e culture del mediattivismo potrebbe dare un
> contributo decisivo per dirottare l'Europa dalla fallimentare rincorsa
> al
> modello americano in cui appare attualmente impegnata. Del resto,
> l'esperienza della piccola Finlandia e più in generale quella di molti
> Paesi del Nord Europa ha già dimostrato che non è affatto vero che
> rivoluzione digitale e sviluppo dell'economia di rete debbano essere
> necessariamente figlie della deregulation e dello smantellamento del
> welfare: il più garantista (e costoso) sistema di welfare europeo ha
> prodotto un'economia e una cultura capaci di generare il fenomeno
> Nokia e
> l'entusiasmante esperienza della comunità open source. Quanto alla
> cultura
> politica ecologista, nulla impedisce come dimostrano le efficaci
> battaglie
> condotte in Parlamento Europeo in opposizione alla brevettabilità del
> software e all'inasprimento delle sanzioni contro le violazioni della
> proprietà intellettuale di coniugare la tutela dell'ambiente, della
> cultura e del territorio locali con la cooperazione e la solidarietà
> generati dalle esperienze sociali deterritorializzate che si sviluppano
> in rete. Per svolgere un ruolo tanto ambizioso, i verdi europei
> dovranno
> tuttavia sbarazzarsi di ogni residua soggezione nei confronti dell'area
> politico-culturale socialdemocratica e postcomunista. Per progredire
> occorre rovesciare progressivamente, anche sul piano elettorale, il
> rapporto di forza fra componenti innovative e componenti novecentesche
> della sinistra europea. Una sinistra capace di indicare alla società la
> via del superamento della sofferenza mentale, dell'insicurezza, della
> paura nei confronti dell'altro, la via di uno sviluppo compatibile con
> l'ambiente naturale e con l'ecologia della mente, della valorizzazione
> di
> nuove forme di cooperazione e solidarietà sociale assieme (e non in
> alternativa!) alla tutela delle libertà individuali e (perché no?)
> delle
> stesse libertà economiche, avrebbe molta più forza di convinzione di
> una
> sinistra che difende valori storici ormai sconfitti o, peggio ancora,
> si
> adegua all'egemonia culturale dell'avversario.
>
>
> VI. Per concludere, due parole sullo scenario italiano
>
> L'Italia è il luogo in cui questa operazione di rinnovamento politico è
> più urgente, perché tutte le contraddizioni finora analizzate vi si
> presentano in forma esasperata: la cultura neoliberista smentisce in
> modo
> più paradossale che altrove il contenuto semantico della propria
> etichetta, incarnandosi in un regime illiberale fondato su un'inedita
> forma di populismo che sfrutta il controllo monopolistico sul sistema
> dei
> media; la sinistra post comunista oscilla in modo più evidente che
> altrove
> fra velleità neo-resistenziali e subordinazione culturale nei confronti
> dell'ideologia dell'avversario; i movimenti di alternativa e
> sperimentazione sociale che pure hanno qui raggiunto un massimo di
> intensità, potenza e ampiezza si sono rivelati meno capaci che altrove
> di
> configurare una vera alternativa politica; infine il partito verde
> appare
> oltre che numericamente ed elettoralmente più debole di omologhe
> formazioni europee, più esposto al rischio di ridursi ad appendice di
> un
> centro-sinistra perdente o subalterno.
>
> Malgrado queste condizioni tutt'altro che favorevoli, non è escluso che
> analogamente a quanto è successo in Spagna, dove l'elettorato ha
> punito la
> politica di guerra e le menzogne del governo Aznar, e in Francia, dove
> l'elettorato ha respinto l'assalto alla spesa sociale, anche in Italia
> possa verificarsi una sconfitta elettorale del centro-destra alle
> prossime
> elezioni europee. Ma non ci sarebbe ugualmente da stare allegri, perché
> sull'orizzonte politico non si intravede alcuna reale alternativa. Non
> esiste un programma alternativo all'assolutismo del profitto
> monopolista,
> non esiste un progetto culturale capace di coniugare l'innovazione
> tecnologica ed economica con il benessere sociale. Così il fallimento
> del
> centro-destra sta maturando nel quadro di uno scenario inquietante:
> occupato a gestire gli interessi privati del suo leader e a garantire
> gli
> equilibri fra lobby di ogni tipo, il governo non ha fatto nulla per
> trovare vie d'uscita dal processo di disfacimento economico del
> paese. Il tessuto sociale, economico e culturale che si era costruito
> nei
> decenni precedenti si sta lacerando, scontando il tramonto di una
> competitività fondata quasi esclusivamente su flessibilità del lavoro e
> bassi salari. Oggi la globalizzazione sta facendo sentire i suoi
> effetti
> devastanti anche sui settori più dinamici, mentre l'Italia sembra avere
> perso qualsiasi capacità di innovazione culturale e tecnologica (in
> barba
> alle retoriche celebrazioni della nostra creatività, leggi arte di
> arrangiarsi). Il salario reale si è eroso in maniera impressionante
> mentre la politica di privatizzazione dei servizi ha reso il costo
> della
> vita insostenibile.
>
> In questa situazione, diventa sempre più probabile una esplosione
> sociale
> del resto preannunciata da segnali come gli scioperi selvaggi di
> autoferrotranviari e aeroportuali. Un'opposizione degna del nome
> avrebbe
> cercato di dare sbocco politico a queste agitazioni spontanee (così
> come
> ai girotondi che manifestano la propria indignazione per il degrado
> morale
> della vita nazionale e al movimento contro la guerra in Irak), ma ciò
> non
> è accaduto, anzi sembra probabile che un eventuale, futuro governo di
> centro-sinistra possa continuare alcune delle politiche antisociali
> dell'attuale governo di centro-destra. Il rischio è che, in una
> situazione
> del genere, quella stessa destra che non ha saputo governare si
> prepari a
> divenire una forza di opposizione eversiva, decisa a guidare esplosioni
> sociali di stampo populista da parte dei ceti medi impoveriti. Ecco
> perché
> il compito più urgente non è quello di accentuare una crisi del
> centro-destra che procede ormai per forza propria, ma semmai
> quello di investire energie e immaginazione politica dei movimenti
> sociali nella elaborazione di un programma alternativo e nella
> costruzione di un personale politico capace di gestirlo in modo
> spregiudicato, moderno, radicale. Uno scenario in cui l'area verde
> concepita in termini più ampi del partito che oggi la incarna è
> chiamata
> a svolgere un ruolo decisivo, a condizione che non si lasci ridurre ad
> appendice di un centro-sinistra perdente o subalterno, ma assuma i
> connotati di una forza indipendente impegnata a promuovere uno
> schieramento votato a trasformare radicalmente la vocazione governativa
> di un centro-sinistra rinnovato nella cultura e nellatteggiamento. Se
> riuscissimo ad andare in questa direzione, lItalia potrebbe
> rappresentare
> un segmento importante assieme agli altri paesi neolatini di un
> progetto
> di ridefinizione della prospettiva europea secondo linee di identità
> postnazionale e di costruzione di una alternativa all'egemonia
> politico-culturale del modello americano.
>
>
>
> il potere non è
> solo dove si prendono
> decisioni orrende
> ma ovunque il discorso
> rimuove il corpo la rabbia
> l'urlo il gesto di vivere
>
> alice è il diavolo
>
> ---------------------------------
IN CUI DOVREBBE ESSERE POSSIBILE REINVENTARE LA FORMA POLITICA SUL
MODELLO DELLA RETE"
Traduzione in lingua italiana: "Una Europa contro le sovranita'
nazionali e decomposta in gabbie etno-salariali, in cui il potere sia
autocratico e nello spettacolo mediatico l'individuo -- non piu'
cittadino -- abbia l'impressione di avere la facolta' di disobbedire
facendosi le seghe dinanzi alla webcam"
Ma, soprattutto, una Europa che sia allo stesso tempo anti-comunista ed
anti-socialdemocratica. Pare sia questo il progetto politico dei
Disobbedienti:
> Da: "luca" <lucacasarini@...>
> Data: Thu, 6 May 2004 15:22:59 +0200
> A: "mov\. movimento" <Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.>
> Oggetto: [listadisobbedienti] Fwd:[Fwd: Bifo-Formenti_verdi europei]
>
> -------------------------- Messaggio originale
> ---------------------------
> Oggetto: Bifo-Formenti_verdi europei
> Da: francesco raparelli <rifo78@...>
> Data: Mar, 4 Maggio 2004, 6:42 pm
> A: luca.casarini@...
> -----------------------------------------------------------------------
> ---
>
> una proposta di discussione
> franco berardi carlo formenti - Europa 29.04.2004
> Un'ipotesi verde-europea perché emerga anche a livello
> politico-elettorale
> un'alternativa sociale al regime della devastazione e della guerra.
>
> I. La lezione dei movimenti
>
> Ai movimenti sociali che hanno accompagnato il volgere di millennio in
> Occidente (pacifisti e new global in primis) dobbiamo fondamentali
> novità
> ideologiche, culturali e organizzative: il superamento del mito della
> violenza rivoluzionaria, la capacità di federare identità e soggetti
> collettivi portatori di radicali differenze reciproche, un
> mediattivismo
> che, grazie all'appropriazione di massa di Internet e delle nuove
> tecnologie di comunicazione, si è dimostrato capace di tenere testa ai
> media mainstream sul loro terreno, la creazione di una sfera di
> condivisione di conoscenze sofisticate tanto sul piano
> scientitico-tecnologico quanto su quello linguistico-comunicativo. In
> breve, i movimenti hanno elaborato una cultura assai più avanzata e
> raffinata di quella del ceto politico professionale. Al tempo stesso,
> si
> sono dimostrati incapaci di trasferire l'alternativa sociale e
> culturale
> sul terreno della politica. Non sono riusciti, cioè, a liberare la
> sinistra dal fardello di quel ceto burocratico che continua a tenere in
> pugno le redini dei partiti.
>
> La situazione italiana è, da questo punto di vista, esemplare: la
> sinistra
> è ostaggio dell'eredità culturale ed elettorale del PCI che, per quanto
> ridistribuita fra tre partiti (con la prospettiva tutt'altro che
> inverosimile che diventino quattro), riesce a imporre la continuità del
> paradigma novecentesco - lavoristae autoritario -, condiviso tanto
> dalle
> componenti che rivendicano un'identità resistenziale, quanto da quelle
> convertite al liberismo. Del resto, ampliando il punto di vista al
> panorama europeo, non si vedono scenari diversi: nei Paesi in cui le
> differenze fra partiti socialdemocratici e partiti post o neocomunisti
> sono più sfumate se non cancellate ci troviamo di fronte allo stesso
> miscuglio di resistenzialismo e subalternità, caratterizzato dalla
> paradossale, continua oscillazione (ritmata dalle scadenze elettorali)
> fra
> difesa delle ultime trincee del welfare (con un occhio di riguardo per
> gli
> interessi degli strati di classe autoctonie garantiti) ed esaltazione
> (vedi il caso Blair) del modello di sviluppo capitalistico americano.
> Finché non ci saremo sbarazzati di questo retaggio ideologico, non sarà
> possibile fondare una sinistra all'altezza delle sfide del XXI secolo
> (globalizzazione economica, integrazione planetaria dei flussi
> finanziari
> e comunicativi, catastrofi ecologiche, migrazioni di massa, stato di
> guerra permanente fra Nord e Sud del mondo). Sui movimenti grava dunque
> la responsabilità di far emergere una soluzione politica (da sviluppare
> sul piano elettorale non meno che su quello culturale) che si lasci
> alle
> spalle l'eredità del comunismo novecentesco.
>
>
> II. L'equivoco del neoliberismo
>
> A rendere arduo il compito, non sono solo le contraddizioni fra ala
> moderata-pacifista e ala radicale-antagonista dei movimenti, ma anche
> il
> persistere di certi equivoci terminologici. Primo fra tutti, quel
> riflesso
> condizionato che, in nome della necessità di opporsi al neoliberismo,
> spinge l'ala radicale a identificarsi - o almeno a stringere alleanza
> con
> le componenti resistenziali della sinistra tradizionale. In realtà,
> nulla
> appare meno adeguato dell'etichetta liberista (per tacere degli ideali
> liberaldemocratici e/o libertari, che a tale etichetta vengono
> impropriamente associati) per connotare la realtà del capitalismo
> globale
> all'inizio del terzo millennio. Linsieme di accordi, regole e procedure
> promossi e gestiti nellambito di organismi come il WTO, il FMI e la
> Banca
> Mondiale, il vertice non eletto della Comunità Europea, ecc. coincide
> infatti con una cultura inequivocabilmente protezionista, la quale,
> mentre
> sbandiera i principi del libero mercato, mira a difendere con qualsiasi
> mezzo gli interessi delle grandi corporation occidentali (e/o
> degli strati sociali che le garantiscono il consenso elettorale). Basti
> pensare all'introduzione di leggi sempre più restrittive in materia di
> proprietà intellettuale e al loro impatto (con conseguenze devastanti
> per
> l'innovazione tecnologica, i diritti dei consumatori, la salute delle
> popolazioni dei paesi poveri) in settori trainanti delleconomia
> (informatica, biotecnologie, industria culturale, telecomunicazioni,
> ecc.), o alla strenua resistenza opposta da Usa ed UE alla
> liberalizzazione dei mercati agricoli. Non ha dunque senso parlare di
> lotta contro il liberismo, laddove è sempre più urgente lottare per
> difendere le libertà individuali e collettive dalla cultura dirigista e
> tecnocratica del tardo capitalismo. Occorre piuttosto denunciare la
> totale discontinuità fra tradizione degli ideali liberaldemocratici (a
> destra) e liberisti (a sinistra) nei confronti di un liberismo che
> (anche
> sul piano economico!) non ha più nulla da spartire con quelle
> tradizioni.
> Ma soprattutto occorre avere il coraggio di superare certe dicotomie
> (pubblico-privato; deregulation-dirigismo statalista, ecc.),
> riconoscendo
> che oggi non è più su di esse che si fonda la contrapposizione
> destra-sinistra. Chiedere nuove regole o sostenere la deregulation,
> rivendicare il ruolo dellintervento pubblico o promuovere la
> sussidiarietà dell'iniziativa privata, non sono opzioni definibili
> apriori come di destra o di sinistra, ma assumono significati diversi
> in
> contesti diversi. La verità di questa affermazione si è manifestata
> chiaramente nel quadro del ciclo espansivo della Net Economy negli anni
> 90 e della successiva crisi, maturata all'inizio del nuovo millennio.
>
>
> III. Splendori e miserie della Net Economy
>
> La transizione verso un'economia della conoscenza che negli anni 90 è
> progredita con eccezionale rapidità, sull'onda della rivoluzione
> digitale
> e della fulminea espansione di Internet ha trasformato radicalmente
> identità e valori del mondo del lavoro. Alla vecchia composizione di
> classe resa omogenea dall'organizzazione produttiva dellimpresa
> fordista-taylorista è subentrato una sorta di Quinto Stato, un
> variegato
> blocco sociale che, attorno a un nucleo centrale di lavoratori della
> conoscenza (dotati di elevate competenze tecnologiche e comunicative),
> ha
> visto l'aggregazione di una galassia di soggetti professionisti
> freelance,
> microimprenditori, management di piccole e medie imprese
> tecnologicamente
> avanzate (startup), addetti del terzo settore e delle imprese sociali
> ecc.
> accomunati da una cultura profondamente innovativa:
>
> 1) etica hacker: abbandonata l'etica lavorista(il lavoro come
> giustificazione morale di una vita e come fonte esclusiva dei diritti
> di
> cittadinanza, a prescindere dal suo contenuto e dalla sua capacità di
> offrire soddisfazione) si è iniziato a pensare al lavoro come
> opportunità
> di tradurre relazioni sociali, competenze comunicative e interessi
> individuali in conoscenze, e di tradurre tali conoscenze in fonti di
> reddito
>
> 2) una paradossale miscela di individualismo e comunitarismo, di
> voglia di
> libertà individuale e di desiderio di comunità, di creatività
> personale e
> di saperi condivisi. Una miscela che era parsa in grado di superare la
> contrapposizione fra leggi del mercato e valori di solidarietà
> sociale, e
> che annunciava la fine del principio di scarsità. Economia di rete
> sembrava voler dire: tutti competono, tutti cooperano, tutti vincono.
> Una
> economia del dono incarnata dalla comunità del software free e open
> source, in cui la gara per essere i primi o i più bravi non è in
> conflitto
> con l'obiettivo di regalare condizioni di vita e di lavoro migliori a
> tutti, non solo ai più abili, aggressivi o fortunati.
>
> Questa visione è entrata in crisi con il crollo dei titoli tecnologici
> iniziato nella primavera del 2000, e successivamente è stata colpita
> con
> lucida e spietata ferocia dall'amministrazione Bush, che ha sfruttato
> l'onda emotiva degli attentati terroristici dell'11 settembre 2001. E'
> iniziato un attacco combinato: gli oligopoli dell'industria culturale e
> del settore high tech hanno usato l'arma del copyright per
> riconquistare
> il controllo assoluto del mercato, e scrollarsi di dosso la pressione
> competitiva dell'arcipelago di startup, professionisti e lavoratori
> della
> conoscenza che per un decennio erano stati i protagonisti
> dell'innovazione
> tecnologico-culturale e di una inedita globalizzazione dal basso. Il
> governo americano in nome della guerra al terrorismo ha militarizzato
> Internet, riducendo drasticamente i diritti di privacy e la libertà di
> comunicazione in rete ed ha così fatto compiere un enorme balzo
> indietro
> alle speranze rivoluzionarie del Quinto Stato.
>
> In questa situazione, il rischio è quello di appiattirsi sulla diagnosi
> neocomunista: l'illusione è finita, l'economia capitalista mostra il
> suo
> vero volto tentando, come aveva sempre fatto nel corso del secolo
> precedente, di risolvere la crisi con la guerra. Ma la verità è che
> nessuna crisi, dopo la rivoluzione culturale che ha messo le
> tecnologie di
> comunicazione e il linguaggio al centro del modo di produzione, potrà
> mai
> più essere risolta con la guerra. Lo conferma il permanente ristagno
> dell'economia europea, lo conferma la ripresa dell'economia americana
> incapace di recuperare i posti di lavoro perduti (e quindi
> costantemente è
> a rischio di risprofondare in una crisi di sottoconsumo). Lo conferma,
> infine, la tenace resistenza di centinaia di milioni di
> utenti-consumatori
> che continuano a scambiare conoscenze e informazioni gratuite, che si
> oppongono alle violazioni della propria privacy, che insistono
> nell'usare
> Internet per comunicare, socializzare e divertirsi invece che
> per comprare.
> Insomma: dalla crisi non si esce con il keynesismo di guerra
> dell'amministrazione Bush, bensì con un nuovo New Deal, evento che solo
> un radicale rinnovamento della sinistra può regalarci. Ma al di là
> delle
> innovazioni culturali introdotte dai movimenti, in quale direzione
> occorre cercare per trovare indizi di un simile rinnovamento?
>
>
> IV. L'alternativa ecologista
>
> Molti dei contenuti che consentono di prefigurare un'alternativa
> politica
> sono stati elaborati, negli ultimi vent'anni, da quel vasto e ricco
> filone
> di ricerca che coincide con l'area culturale ambientalista. La fine del
> paradigma della crescita illimitata costituisce l'orizzonte di un nuovo
> progetto sociale in cui la ricchezza non è più identificata con la
> quantità dei beni consumabili bensì con la qualità del tempo vissuto.
> Il
> che dischiude l'opportunità di collocare in una nuova prospettiva i
> sogni
> della Net Economy: da un lato, la transizione all'economia immateriale,
> pur conservando la promessa della fine del principio di scarsità, non
> verrebbe più identificata con illusioni di crescita infinita di
> un'economia non più limitata da vincoli materiali, dall'altro, l'etica
> hacker verrebbe liberata dal paradosso di una passione che si rivolge
> contro se stessa, generando la cancellazione fra tempo di vita e tempo
> di
> lavoro. L'ultimo aspetto è di rilievo decisivo per affrontare il
> problema della sofferenza mentale del lavoro cognitivo, problema
> legato
> alle forme di proiezione dell'infosfera mediatica, alle modalità di
> organizzazione del lavoro comunicativo, alle condizioni di
> socializzazione della creatività individuale e dell'energia psichica,
> in
> una parola all'ecologia della mente. Il riferimento al pensiero di
> Gregory Bateson implicito nell'ultimo termine non è casuale: l'incontro
> fra cultura ecologista e tecnologie digitali è infatti un paradosso
> apparente, se pensiamo al ruolo che Bateson e gli altri padri fondatori
> della cibernetica hanno svolto nell'estendere i concetti di equilibrio
> e
> interazione sistemica dalla scienza dei computer agli altri campi della
> cultura contemporanea (ivi compreso quello politico). Su questo piano,
> l'unico che consenta di integrare il problema della felicità ai
> problemi
> dell'organizzazione sociale del lavoro e della comunicazione - si
> giocano
> la comprensione e il governo di una società complessa di fronte alla
> quale la vecchia cultura politica di sinistra come di destra si sta
> rivelando impotente. Dalla crisi non si esce con la riscoperta di
> politiche espansive sul genere di quelle che consentirono al
> capitalismo
> di superare la Grande Depressione degli anni Trenta. Il New Deal del
> futuro dovrà scommettere su scenari diversi: il decongestionamento, il
> rallentamento, la liberazione dallo stress del lavoro, lamicizia e la
> cooperazione fra diversi al posto della paranoia securitaria. Sono
> punti
> sui quali ha ben poco da dire il pensiero socialista novecentesco,
> nelle
> sue varianti rivoluzionarie e riformiste, nelle sue declinazioni
> stataliste o liberali. Solo nell'area politica europea che si è
> definita
> a partire dall'esperienza dei Grunen tedeschi chi desidera opporsi ai
> disegni di globalizzazione della guerra e dello sfruttamento può
> trovare
> lo spazio per avviare il progetto di costruzione di una sinistra
> all'altezza dei tempi. A partire dal superamento del mito della
> contrapposizione antagonista al modo di produzione capitalista e della
> fuoruscita rivoluzionaria dalla società su di esso fondata.
>
>
> V. Per proteggersi dalla seconda natura
>
> L'imprinting culturale storicista impedisce di capire al ceto politico
> post-comunista che il capitalismo non è, come sottintende la nozione
> marxista di modo di produzione, un sistema totalizzante, bensì uno
> strato
> di pratiche, valori, comportamenti, segni che si sovrappone a un
> complesso
> ambiente culturale e antropologico il quale conserva la propria
> dimensione
> plurima e resiste tenacemente a qualsiasi sovradeterminazione
> totalizzante. Contro le letture deterministe-economiciste del
> veteromarxismo, occorre riscoprire la lezione di Karl Polanyi, l'unico
> critico novecentesco del capitalismo che abbia saputo valorizzare
> l'irriducibile autonomia di società e cultura nei confronti del sistema
> economico. La cultura ambientalista ha le carte in regola per
> raccogliere
> l'eredità di questa lezione, grazie a una genealogia filosofica che è
> evoluzionista-sistemica piuttosto che storicista-dialettica. Genealogia
> che le consente di elaborare strategie di autonomia dal capitale senza
> evocare scenari di totalizzazione alternativa.
>
> Il capitalismo, in quanto marcatura semiotica della storia evolutiva
> della
> nostra specie, non è cancellabile. Ma ciò non significa che se ne
> debbano
> accettare passivamente le conseguente devastanti, né tanto meno
> significa
> che la società sia destinata a modellare i propri valori, desideri,
> bisogni e comportamenti sulle sue imposizioni ideologiche. Detto
> altrimenti: il fatto che il capitale operi, in una certa misura, come
> una
> sorta di seconda natura, non implica che occorra subire le sue leggi, e
> adeguarsi agli imperativi normativi che ne discendono. Così come il
> genere
> umano ha imparato a proteggersi dalla natura e dalla morte, pur
> sapendo di
> non potersene liberare, una cultura di sinistra fondata sulla filosofia
> ecologista potrebbe insegnare alla società a proteggersi dal capitale,
> pur
> sapendo di non potersene liberare.
>
> Lo spazio in cui un simile rovesciamento di tendenza può e deve
> avvenire è
> l'Europa. Non l'Europa intesa come potenza da contrapporre alle altre
> potenze, in primis quella americana. Non l'Europa come stato
> sopranazionale. Bensì l'Europa come paradigma post-statuale e
> post-nazionale, come spazio in cui dovrebbe essere possibile
> reinventare
> la forma della politica sul modello della rete. Di stato a rete parla,
> fra
> gli altri, Manuel Castells, analizzando la peculiarità di un processo
> di
> unificazione che si è sviluppato fra continue contraddizioni e
> incoerenze,
> contrassegnato dalla forbice che è venuta progressivamente aprendosi
> fra
> integrazione culturale agevolata dalla formazione di uno spazio
> audiovisuale europeo promosso dai processi di convergenza e
> integrazione
> fra media e reazioni localiste alle decisioni di una politica
> governata da
> vertici tecnocratici privi di legittimazione democratica. Tuttavia è
> proprio il deficit democratico di cui soffrono istituzioni come il
> Consiglio e la Commissione Europea che, paradossalmente, costringe
> il vertice a recuperare legittimità attraverso quel principio di
> sussidiarietà
> che delega alle istituzioni regionali e locali una quantità crescente
> di
> decisioni. Così le nuove tecnologie di comunicazione vengono usate, da
> un
> lato, per accentrare il flusso delle informazioni nelle mani del
> vertice,
> dall'altro per ridistribuire tale flusso a livello regionale,
> promovendo
> la partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche delle
> istituzioni locali. Lo stato a rete si configura dunque come
> condivisione
> di autorità da parte di una serie di nodi. E benché ognuno di essi
> appaia
> dotato di peso e dimensioni diverse, la stratificazione di poteri
> sovrapposti e in competizione reciproca genera legami di
> interdipendenza
> che ridimensionano il potere del centro. Castells definisce questa
> situazione una sorta di neo-mediavalismo istituzionale, ma la si
> potrebbe
> anche definire come un possibile primo passo verso nuove forme di
> partecipazione dal basso - di tipo postdemocratico? - alla politica.
>
> Un contesto in cui alle minoranze attive potrebbe essere offerta
> l'opportunità di contare in misura superiore al proprio peso
> elettorale.
> Un contesto in cui un processo di aggregazione federativa fra
> movimenti,
> partito ecologista europeo e culture del mediattivismo potrebbe dare un
> contributo decisivo per dirottare l'Europa dalla fallimentare rincorsa
> al
> modello americano in cui appare attualmente impegnata. Del resto,
> l'esperienza della piccola Finlandia e più in generale quella di molti
> Paesi del Nord Europa ha già dimostrato che non è affatto vero che
> rivoluzione digitale e sviluppo dell'economia di rete debbano essere
> necessariamente figlie della deregulation e dello smantellamento del
> welfare: il più garantista (e costoso) sistema di welfare europeo ha
> prodotto un'economia e una cultura capaci di generare il fenomeno
> Nokia e
> l'entusiasmante esperienza della comunità open source. Quanto alla
> cultura
> politica ecologista, nulla impedisce come dimostrano le efficaci
> battaglie
> condotte in Parlamento Europeo in opposizione alla brevettabilità del
> software e all'inasprimento delle sanzioni contro le violazioni della
> proprietà intellettuale di coniugare la tutela dell'ambiente, della
> cultura e del territorio locali con la cooperazione e la solidarietà
> generati dalle esperienze sociali deterritorializzate che si sviluppano
> in rete. Per svolgere un ruolo tanto ambizioso, i verdi europei
> dovranno
> tuttavia sbarazzarsi di ogni residua soggezione nei confronti dell'area
> politico-culturale socialdemocratica e postcomunista. Per progredire
> occorre rovesciare progressivamente, anche sul piano elettorale, il
> rapporto di forza fra componenti innovative e componenti novecentesche
> della sinistra europea. Una sinistra capace di indicare alla società la
> via del superamento della sofferenza mentale, dell'insicurezza, della
> paura nei confronti dell'altro, la via di uno sviluppo compatibile con
> l'ambiente naturale e con l'ecologia della mente, della valorizzazione
> di
> nuove forme di cooperazione e solidarietà sociale assieme (e non in
> alternativa!) alla tutela delle libertà individuali e (perché no?)
> delle
> stesse libertà economiche, avrebbe molta più forza di convinzione di
> una
> sinistra che difende valori storici ormai sconfitti o, peggio ancora,
> si
> adegua all'egemonia culturale dell'avversario.
>
>
> VI. Per concludere, due parole sullo scenario italiano
>
> L'Italia è il luogo in cui questa operazione di rinnovamento politico è
> più urgente, perché tutte le contraddizioni finora analizzate vi si
> presentano in forma esasperata: la cultura neoliberista smentisce in
> modo
> più paradossale che altrove il contenuto semantico della propria
> etichetta, incarnandosi in un regime illiberale fondato su un'inedita
> forma di populismo che sfrutta il controllo monopolistico sul sistema
> dei
> media; la sinistra post comunista oscilla in modo più evidente che
> altrove
> fra velleità neo-resistenziali e subordinazione culturale nei confronti
> dell'ideologia dell'avversario; i movimenti di alternativa e
> sperimentazione sociale che pure hanno qui raggiunto un massimo di
> intensità, potenza e ampiezza si sono rivelati meno capaci che altrove
> di
> configurare una vera alternativa politica; infine il partito verde
> appare
> oltre che numericamente ed elettoralmente più debole di omologhe
> formazioni europee, più esposto al rischio di ridursi ad appendice di
> un
> centro-sinistra perdente o subalterno.
>
> Malgrado queste condizioni tutt'altro che favorevoli, non è escluso che
> analogamente a quanto è successo in Spagna, dove l'elettorato ha
> punito la
> politica di guerra e le menzogne del governo Aznar, e in Francia, dove
> l'elettorato ha respinto l'assalto alla spesa sociale, anche in Italia
> possa verificarsi una sconfitta elettorale del centro-destra alle
> prossime
> elezioni europee. Ma non ci sarebbe ugualmente da stare allegri, perché
> sull'orizzonte politico non si intravede alcuna reale alternativa. Non
> esiste un programma alternativo all'assolutismo del profitto
> monopolista,
> non esiste un progetto culturale capace di coniugare l'innovazione
> tecnologica ed economica con il benessere sociale. Così il fallimento
> del
> centro-destra sta maturando nel quadro di uno scenario inquietante:
> occupato a gestire gli interessi privati del suo leader e a garantire
> gli
> equilibri fra lobby di ogni tipo, il governo non ha fatto nulla per
> trovare vie d'uscita dal processo di disfacimento economico del
> paese. Il tessuto sociale, economico e culturale che si era costruito
> nei
> decenni precedenti si sta lacerando, scontando il tramonto di una
> competitività fondata quasi esclusivamente su flessibilità del lavoro e
> bassi salari. Oggi la globalizzazione sta facendo sentire i suoi
> effetti
> devastanti anche sui settori più dinamici, mentre l'Italia sembra avere
> perso qualsiasi capacità di innovazione culturale e tecnologica (in
> barba
> alle retoriche celebrazioni della nostra creatività, leggi arte di
> arrangiarsi). Il salario reale si è eroso in maniera impressionante
> mentre la politica di privatizzazione dei servizi ha reso il costo
> della
> vita insostenibile.
>
> In questa situazione, diventa sempre più probabile una esplosione
> sociale
> del resto preannunciata da segnali come gli scioperi selvaggi di
> autoferrotranviari e aeroportuali. Un'opposizione degna del nome
> avrebbe
> cercato di dare sbocco politico a queste agitazioni spontanee (così
> come
> ai girotondi che manifestano la propria indignazione per il degrado
> morale
> della vita nazionale e al movimento contro la guerra in Irak), ma ciò
> non
> è accaduto, anzi sembra probabile che un eventuale, futuro governo di
> centro-sinistra possa continuare alcune delle politiche antisociali
> dell'attuale governo di centro-destra. Il rischio è che, in una
> situazione
> del genere, quella stessa destra che non ha saputo governare si
> prepari a
> divenire una forza di opposizione eversiva, decisa a guidare esplosioni
> sociali di stampo populista da parte dei ceti medi impoveriti. Ecco
> perché
> il compito più urgente non è quello di accentuare una crisi del
> centro-destra che procede ormai per forza propria, ma semmai
> quello di investire energie e immaginazione politica dei movimenti
> sociali nella elaborazione di un programma alternativo e nella
> costruzione di un personale politico capace di gestirlo in modo
> spregiudicato, moderno, radicale. Uno scenario in cui l'area verde
> concepita in termini più ampi del partito che oggi la incarna è
> chiamata
> a svolgere un ruolo decisivo, a condizione che non si lasci ridurre ad
> appendice di un centro-sinistra perdente o subalterno, ma assuma i
> connotati di una forza indipendente impegnata a promuovere uno
> schieramento votato a trasformare radicalmente la vocazione governativa
> di un centro-sinistra rinnovato nella cultura e nellatteggiamento. Se
> riuscissimo ad andare in questa direzione, lItalia potrebbe
> rappresentare
> un segmento importante assieme agli altri paesi neolatini di un
> progetto
> di ridefinizione della prospettiva europea secondo linee di identità
> postnazionale e di costruzione di una alternativa all'egemonia
> politico-culturale del modello americano.
>
>
>
> il potere non è
> solo dove si prendono
> decisioni orrende
> ma ovunque il discorso
> rimuove il corpo la rabbia
> l'urlo il gesto di vivere
>
> alice è il diavolo
>
> ---------------------------------