Riceviamo con richiesta di diffusione alla nostra mail-list.
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FORUM CONTRO LA GUERRA
Tutta la documentazione sul COMITATO PER IL RITIRO DEI MILITARI
ITALIANI DALL'IRAQ la trovate sul sito WWW.FORUMCONTROLAGUERRA.ORG
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Riunione del COMITATO del 9 Maggio 2004 - Roma e LETTERA APERTA al
movimento contro la guerra
1) La riunione del Comitato per il ritiro dei militari italiani
dall’Iraq tenutasi a Roma domenica 9 maggio, ritiene che la visita in
italia del presidente statunitense Bush debba incontrare sulla sua
strada una netta opposizione ed una forte mobilitazione.
Bush rappresenta concretamente l’amministrazione che ha voluto e
realizzato l’aggressione contro l’Iraq, ha dato il via libera al Piano
Sharon di annessione della Cisgiordania ed ha fatto della guerra
preventiva il cardine delle relazioni tra gli Stati Uniti ed il resto
del mondo. La sua visita a Roma è da considerarsi sia una provocazione
contro la vasta opinione pubblica che ha detto no alla sua guerra sia
una operazione strumentale a sostegno del governo Berlusconi e della
tesi secondo cui “l’Italia è stata liberata dagli americani”
contribuendo così a quella campagna di liquidazione del ruolo della
Resistenza antinazifascista nel nostro paese. Con l’amministrazione
Bush non è possibile alcuna complicità o reticenza.
Riteniamo pertanto doveroso e necessario mobilitarci in massa contro la
visita in Italia di George Bush, presidente degli Stati Uniti. In tal
senso sosteniamo la proposta emersa in questi giorni di una grande
manifestazione nazionale il 4 giugno a Roma.
Invitiamo inoltre le organizzazioni sindacali ed i movimenti sociali ad
articolare tra il 4 e 5 giugno scioperi nei posti di lavoro per
consentire ai lavoratori di partecipare ad assemblee, manifestazioni e
presidi contro la guerra ed a promuovere iniziative di disobbedienza
civile e sociale che rendano pubblica la volontà di dichiarare “George
Bush ospite non gradito” nel nostro paese.
2) Il Comitato per il ritiro dei militari italiani dall’Iraq rilancia
la raccolta di firme sulla petizione popolare per il rientro immediato
delle truppe italiane e il disinvestimento dalle spese di guerra che, a
partire dal 25 aprile, ha già raccolto decine di migliaia di firme
nelle piazze socializzando gli obiettivi del movimento contro la guerra
ed attivando forme minime ma concrete della vastissima opposizione
dell’opinione pubblica del nostro paese alla guerra. Segnaliamo
l’importanza dell’iniziativa del movimento a Firenze nei confronti
della SACE, la società pubblica che assicura e finanzia la
partecipazione delle imprese italiane all’occupazione e al saccheggio
dell’Iraq. Riaffermiamo l’indicazione di gestire la campagna e la
petizione sia attraverso la costruzione dei comitati locali per il
ritiro dei militari italiani sia nelle forme a rete che meglio
corrispondono all’autonomia e alla situazione delle realtà locali.
Lanciamo un appello particolare alle organizzazioni sindacali a fare
propria la petizione in tutti i posti di lavoro. La campagna deve
proseguire fino a quando le truppe italiane non saranno andate via
dall’Iraq.
3) Il Comitato per il ritiro dei militari italiani dall’Iraq, nel
quadro della settimana di iniziative lanciata a Istanbul dal Forum
Sociale Europeo, rilancia a tutto il movimento la proposta di Sabato 26
giugno – vigilia del 30 giugno - come data di mobilitazione per il
ritiro immediato delle truppe all’Iraq, per l’autodeterminazione del
popolo iracheno e palestinese, di sostegno della lotta dei palestinesi
contro il Muro dell’Apartheid di cui ricorre il secondo anniversario
della sua costruzione, per lo smantellamento delle basi militari USA e
NATO in Italia e per un drastico taglio delle spese militari.
La guerra non è finita. Non cesseremo di mobilitarci contro la guerra
Roma, 9 maggio 2004
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LETTERA APERTA AL MOVIMENTO CONTRO LA GUERRA
Dal 25 aprile abbiamo cominciato a raccogliere nelle piazze le firme
sulla petizione popolare che chiede il ritiro immediato dei militari
italiani dall’Iraq e il disinvestimento dalle spese di guerra. La
risposta della gente comune è stata entusiasmante, quella della
politica un pò meno. Mentre la gente sembra capire al volo il
significato di una iniziativa semplice ma chiara nei contenuti e nelle
indicazioni, la “politica” anche nelle sue articolazioni associative e
di movimento guarda a tale campagna con disattenzione ed un pizzico di
reticenza.
Abbiamo scelto lo strumento di questa lettera aperta per sottolineare
la riflessione che è stata alla base del lancio della petizione
popolare e richiedere a tutti i soggetti in movimento contro la guerra
un confronto sulle possibili coordinate comuni da poter mettere in
campo nei prossimi mesi.
In Italia c’è un ampio movimento che si oppone alla guerra e alla
presenza dei militari italiani in Iraq e che coincide, una volta tanto,
con il sentire comune dell’opinione pubblica. Questa maggioranza reale
non dispone però di una rappresentanza proporzionale nelle sedi dove si
decide, in primo luogo nel Parlamento. Solo una minoranza di
parlamentari sostiene quello che la maggioranza dell’opinione pubblica
e il movimento per la pace chiedono di fare: ritirare subito il
contingente militare italiano dall’Iraq. Questa contraddizione deve
essere portata alla luce non solo come fattore di polemica tra le forze
politiche ma come contraddizione pubblica che attiene ai rapporti tra
società e rappresentanza politica
La petizione popolare è uno strumento semplice ma efficace. E’ uno
strumento di attivizzazione sociale minimo ma capillare. Non possiamo
nasconderci alcuni problemi. Tra le grandi manifestazioni nazionali e
la gestione quotidiana della mobilitazione c’è uno iato evidente.
Milioni in piazza il 15 febbraio e il 20 marzo, poche decine nei giorni
successivi davanti al Parlamento o a Palazzo Chigi, poche migliaia il
29 aprile con i familiari degli ostaggi ed i sindaci. Questa guerra non
sarà breve ed ogni giorno aggiunge orrori e annuncia i pericoli di una
sua estensione regionale, la società in cui viviamo non regge i ritmi
di una mobilitazione permanente contro la guerra, ed i soggetti attivi
rappresentano una minoranza sempre più ristretta anche rispetto a
quella “militanza nomade” che si mette in movimento nelle grandi
manifestazioni ma che non accetta i nostri luoghi di riunione,
decisione, iniziativa come adeguati alle proprie possibilità di
partecipazione.
In questo senso, gli strumenti di attivizzazione minima possono essere
quelli più efficaci. C’è chi è disponibile a mettere la bandiera
arcobaleno sul balcone e adesso c’è anche chi si viene a prendere o
scarica dalla rete i moduli per la petizione e si attivizza per
raccogliere le firme nel proprio luogo di lavoro o negli ambiti sociali
che frequenta. E’ un modo semplice ma concreto di veicolare gli
obiettivi del movimento e di rispondere alla domanda di iniziativa di
soggetti non mobilitabili permanentemente.
C’è infine un altro aspetto che è doveroso non sottovalutare. Esiste
sempre il rischio che i movimenti ritengano se stessi autosufficienti,
soprattutto quando la capacità di mobilitazione avviene ai livelli del
15 febbraio e del 20 marzo. Eppure sappiamo che così non è e non può
essere. Esiste un problema di comunicazione sociale continua tra gli
obiettivi del movimento ed il resto della società, una società in gran
parte orientata contro la guerra e che condivide i nostri obiettivi ma
estranea o distante dai giornali o dalle sedi in cui discutiamo. Come
intercettiamo e capitalizziamo questa maggioranza reale? Come e dove
verifichiamo se gli obiettivi del movimento sono chiari e condivisi
dalla gente comune che arriva alle nostre conclusioni ma con passaggi,
tempi, modi diversi dai militanti “attivi”?
La campagna per la petizione popolare in qualche modo ci costringe a
verificare le nostre posizioni ed a farlo nei luoghi di lavoro, di
studio o nel territorio. In tal senso riteniamo fondamentale che le
organizzazioni sindacali schierate contro la guerra facciano proprio
questo strumento, lo utilizzino come pretesto per far discutere e
coinvolgere maggiormente i lavoratori nel movimento contro la guerra,
la inseriscano nella agenda della loro attività informativa e
rivendicativa. Diventa altrimenti difficile, come abbiamo verificato,
chiamarli poi allo sciopero contro la guerra.
La nascita del Comitato per il ritiro dei militari italiani dall’Iraq,
non è un atto auto-escludente verso le coalizioni di soggetti che fino
ad oggi hanno promosso le manifestazioni contro la guerra, al contrario
ne rappresenta un arricchimento. Abbiamo seguito e partecipato alla
discussione preparatoria e successiva alla grande manifestazione del 20
marzo, e ci siamo resi conto che la difficoltà oggettiva emersa
chiaramente nelle settimane successive al 20 marzo è proprio quella
della gestione quotidiana dell’iniziativa contro la guerra, una
difficoltà oggettiva che rischia di immobilizzare le cose proprio
quando la spinta ad obiettivi definiti – come il ritiro immediato del
contingente militare italiano - viene questa volta dalla società e non
dalla politica.
E’ questo lo spirito con cui parteciperemo alla manifestazione
nazionale del 4 giugno contro la visita in Italia di Bush ma anche con
cui rinnoviamo la proposta di dare vita unitariamente il prossimo 26
giugno ad una giornata di mobilitazione nazionale alla vigilia del 30
giugno. Una indicazione in questo senso viene anche dalla riunione del
Forum Sociale Europeo a Istanbul. Il 30 giugno ha assunto – suo
malgrado – il ruolo di spartiacque tra chi si batte per il ritiro
immediato dall’Iraq e chi nuota ancora nell’ambiguità e la reticenza.
E’ difficile pensare che entro quella data i nostri obiettivi siano
raggiunti. La guerra proseguirà con il rischio di un suo allargamento
regionale già oggi visibile in quello che accade in Palestina, alle
frontiere tra Israele e Libano o con le minacce alla Siria. L’Italia ne
sarà ancora complice e protagonista con la presenza di soldati, imprese
ed eserciti privati in Iraq ed una politica estera subalterna a quella
dell’amministrazione Bush. Portare alla luce anche questa
contraddizione non è rinviabile, tanto più che le elezioni europee
saranno già alle spalle e dunque, dibattito ed iniziativa contro la
guerra non saranno più condizionati dal confronto e dallo scontro tra
le forze politiche.
Abbiamo sempre valorizzato e difeso l’autonomia del movimento. Oggi più
che mai riteniamo che questa autonomia del movimento dai tempi della
politica vada rafforzata.
Con questa lettera aperta intendiamo chiedere un confronto con tutti i
soggetti che hanno animato il vasto movimento contro la guerra nel
nostro paese. La nostra è una proposta minima ma concreta, in quanto
tale contiene tutte le possibilità di essere veicolata nelle forme più
corrispondenti alla realtà e alle possibilità di ognuno di noi.
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FORUM CONTRO LA GUERRA
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ITALIANI DALL'IRAQ la trovate sul sito WWW.FORUMCONTROLAGUERRA.ORG
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Riunione del COMITATO del 9 Maggio 2004 - Roma e LETTERA APERTA al
movimento contro la guerra
1) La riunione del Comitato per il ritiro dei militari italiani
dall’Iraq tenutasi a Roma domenica 9 maggio, ritiene che la visita in
italia del presidente statunitense Bush debba incontrare sulla sua
strada una netta opposizione ed una forte mobilitazione.
Bush rappresenta concretamente l’amministrazione che ha voluto e
realizzato l’aggressione contro l’Iraq, ha dato il via libera al Piano
Sharon di annessione della Cisgiordania ed ha fatto della guerra
preventiva il cardine delle relazioni tra gli Stati Uniti ed il resto
del mondo. La sua visita a Roma è da considerarsi sia una provocazione
contro la vasta opinione pubblica che ha detto no alla sua guerra sia
una operazione strumentale a sostegno del governo Berlusconi e della
tesi secondo cui “l’Italia è stata liberata dagli americani”
contribuendo così a quella campagna di liquidazione del ruolo della
Resistenza antinazifascista nel nostro paese. Con l’amministrazione
Bush non è possibile alcuna complicità o reticenza.
Riteniamo pertanto doveroso e necessario mobilitarci in massa contro la
visita in Italia di George Bush, presidente degli Stati Uniti. In tal
senso sosteniamo la proposta emersa in questi giorni di una grande
manifestazione nazionale il 4 giugno a Roma.
Invitiamo inoltre le organizzazioni sindacali ed i movimenti sociali ad
articolare tra il 4 e 5 giugno scioperi nei posti di lavoro per
consentire ai lavoratori di partecipare ad assemblee, manifestazioni e
presidi contro la guerra ed a promuovere iniziative di disobbedienza
civile e sociale che rendano pubblica la volontà di dichiarare “George
Bush ospite non gradito” nel nostro paese.
2) Il Comitato per il ritiro dei militari italiani dall’Iraq rilancia
la raccolta di firme sulla petizione popolare per il rientro immediato
delle truppe italiane e il disinvestimento dalle spese di guerra che, a
partire dal 25 aprile, ha già raccolto decine di migliaia di firme
nelle piazze socializzando gli obiettivi del movimento contro la guerra
ed attivando forme minime ma concrete della vastissima opposizione
dell’opinione pubblica del nostro paese alla guerra. Segnaliamo
l’importanza dell’iniziativa del movimento a Firenze nei confronti
della SACE, la società pubblica che assicura e finanzia la
partecipazione delle imprese italiane all’occupazione e al saccheggio
dell’Iraq. Riaffermiamo l’indicazione di gestire la campagna e la
petizione sia attraverso la costruzione dei comitati locali per il
ritiro dei militari italiani sia nelle forme a rete che meglio
corrispondono all’autonomia e alla situazione delle realtà locali.
Lanciamo un appello particolare alle organizzazioni sindacali a fare
propria la petizione in tutti i posti di lavoro. La campagna deve
proseguire fino a quando le truppe italiane non saranno andate via
dall’Iraq.
3) Il Comitato per il ritiro dei militari italiani dall’Iraq, nel
quadro della settimana di iniziative lanciata a Istanbul dal Forum
Sociale Europeo, rilancia a tutto il movimento la proposta di Sabato 26
giugno – vigilia del 30 giugno - come data di mobilitazione per il
ritiro immediato delle truppe all’Iraq, per l’autodeterminazione del
popolo iracheno e palestinese, di sostegno della lotta dei palestinesi
contro il Muro dell’Apartheid di cui ricorre il secondo anniversario
della sua costruzione, per lo smantellamento delle basi militari USA e
NATO in Italia e per un drastico taglio delle spese militari.
La guerra non è finita. Non cesseremo di mobilitarci contro la guerra
Roma, 9 maggio 2004
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LETTERA APERTA AL MOVIMENTO CONTRO LA GUERRA
Dal 25 aprile abbiamo cominciato a raccogliere nelle piazze le firme
sulla petizione popolare che chiede il ritiro immediato dei militari
italiani dall’Iraq e il disinvestimento dalle spese di guerra. La
risposta della gente comune è stata entusiasmante, quella della
politica un pò meno. Mentre la gente sembra capire al volo il
significato di una iniziativa semplice ma chiara nei contenuti e nelle
indicazioni, la “politica” anche nelle sue articolazioni associative e
di movimento guarda a tale campagna con disattenzione ed un pizzico di
reticenza.
Abbiamo scelto lo strumento di questa lettera aperta per sottolineare
la riflessione che è stata alla base del lancio della petizione
popolare e richiedere a tutti i soggetti in movimento contro la guerra
un confronto sulle possibili coordinate comuni da poter mettere in
campo nei prossimi mesi.
In Italia c’è un ampio movimento che si oppone alla guerra e alla
presenza dei militari italiani in Iraq e che coincide, una volta tanto,
con il sentire comune dell’opinione pubblica. Questa maggioranza reale
non dispone però di una rappresentanza proporzionale nelle sedi dove si
decide, in primo luogo nel Parlamento. Solo una minoranza di
parlamentari sostiene quello che la maggioranza dell’opinione pubblica
e il movimento per la pace chiedono di fare: ritirare subito il
contingente militare italiano dall’Iraq. Questa contraddizione deve
essere portata alla luce non solo come fattore di polemica tra le forze
politiche ma come contraddizione pubblica che attiene ai rapporti tra
società e rappresentanza politica
La petizione popolare è uno strumento semplice ma efficace. E’ uno
strumento di attivizzazione sociale minimo ma capillare. Non possiamo
nasconderci alcuni problemi. Tra le grandi manifestazioni nazionali e
la gestione quotidiana della mobilitazione c’è uno iato evidente.
Milioni in piazza il 15 febbraio e il 20 marzo, poche decine nei giorni
successivi davanti al Parlamento o a Palazzo Chigi, poche migliaia il
29 aprile con i familiari degli ostaggi ed i sindaci. Questa guerra non
sarà breve ed ogni giorno aggiunge orrori e annuncia i pericoli di una
sua estensione regionale, la società in cui viviamo non regge i ritmi
di una mobilitazione permanente contro la guerra, ed i soggetti attivi
rappresentano una minoranza sempre più ristretta anche rispetto a
quella “militanza nomade” che si mette in movimento nelle grandi
manifestazioni ma che non accetta i nostri luoghi di riunione,
decisione, iniziativa come adeguati alle proprie possibilità di
partecipazione.
In questo senso, gli strumenti di attivizzazione minima possono essere
quelli più efficaci. C’è chi è disponibile a mettere la bandiera
arcobaleno sul balcone e adesso c’è anche chi si viene a prendere o
scarica dalla rete i moduli per la petizione e si attivizza per
raccogliere le firme nel proprio luogo di lavoro o negli ambiti sociali
che frequenta. E’ un modo semplice ma concreto di veicolare gli
obiettivi del movimento e di rispondere alla domanda di iniziativa di
soggetti non mobilitabili permanentemente.
C’è infine un altro aspetto che è doveroso non sottovalutare. Esiste
sempre il rischio che i movimenti ritengano se stessi autosufficienti,
soprattutto quando la capacità di mobilitazione avviene ai livelli del
15 febbraio e del 20 marzo. Eppure sappiamo che così non è e non può
essere. Esiste un problema di comunicazione sociale continua tra gli
obiettivi del movimento ed il resto della società, una società in gran
parte orientata contro la guerra e che condivide i nostri obiettivi ma
estranea o distante dai giornali o dalle sedi in cui discutiamo. Come
intercettiamo e capitalizziamo questa maggioranza reale? Come e dove
verifichiamo se gli obiettivi del movimento sono chiari e condivisi
dalla gente comune che arriva alle nostre conclusioni ma con passaggi,
tempi, modi diversi dai militanti “attivi”?
La campagna per la petizione popolare in qualche modo ci costringe a
verificare le nostre posizioni ed a farlo nei luoghi di lavoro, di
studio o nel territorio. In tal senso riteniamo fondamentale che le
organizzazioni sindacali schierate contro la guerra facciano proprio
questo strumento, lo utilizzino come pretesto per far discutere e
coinvolgere maggiormente i lavoratori nel movimento contro la guerra,
la inseriscano nella agenda della loro attività informativa e
rivendicativa. Diventa altrimenti difficile, come abbiamo verificato,
chiamarli poi allo sciopero contro la guerra.
La nascita del Comitato per il ritiro dei militari italiani dall’Iraq,
non è un atto auto-escludente verso le coalizioni di soggetti che fino
ad oggi hanno promosso le manifestazioni contro la guerra, al contrario
ne rappresenta un arricchimento. Abbiamo seguito e partecipato alla
discussione preparatoria e successiva alla grande manifestazione del 20
marzo, e ci siamo resi conto che la difficoltà oggettiva emersa
chiaramente nelle settimane successive al 20 marzo è proprio quella
della gestione quotidiana dell’iniziativa contro la guerra, una
difficoltà oggettiva che rischia di immobilizzare le cose proprio
quando la spinta ad obiettivi definiti – come il ritiro immediato del
contingente militare italiano - viene questa volta dalla società e non
dalla politica.
E’ questo lo spirito con cui parteciperemo alla manifestazione
nazionale del 4 giugno contro la visita in Italia di Bush ma anche con
cui rinnoviamo la proposta di dare vita unitariamente il prossimo 26
giugno ad una giornata di mobilitazione nazionale alla vigilia del 30
giugno. Una indicazione in questo senso viene anche dalla riunione del
Forum Sociale Europeo a Istanbul. Il 30 giugno ha assunto – suo
malgrado – il ruolo di spartiacque tra chi si batte per il ritiro
immediato dall’Iraq e chi nuota ancora nell’ambiguità e la reticenza.
E’ difficile pensare che entro quella data i nostri obiettivi siano
raggiunti. La guerra proseguirà con il rischio di un suo allargamento
regionale già oggi visibile in quello che accade in Palestina, alle
frontiere tra Israele e Libano o con le minacce alla Siria. L’Italia ne
sarà ancora complice e protagonista con la presenza di soldati, imprese
ed eserciti privati in Iraq ed una politica estera subalterna a quella
dell’amministrazione Bush. Portare alla luce anche questa
contraddizione non è rinviabile, tanto più che le elezioni europee
saranno già alle spalle e dunque, dibattito ed iniziativa contro la
guerra non saranno più condizionati dal confronto e dallo scontro tra
le forze politiche.
Abbiamo sempre valorizzato e difeso l’autonomia del movimento. Oggi più
che mai riteniamo che questa autonomia del movimento dai tempi della
politica vada rafforzata.
Con questa lettera aperta intendiamo chiedere un confronto con tutti i
soggetti che hanno animato il vasto movimento contro la guerra nel
nostro paese. La nostra è una proposta minima ma concreta, in quanto
tale contiene tutte le possibilità di essere veicolata nelle forme più
corrispondenti alla realtà e alle possibilità di ognuno di noi.