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02-07-04


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I partiti comunisti nell’est, oggi


Bruno Drweski


Negli ex paesi del “campo socialista”, l’introduzione del pluralismo
politico dopo il 1989/91 è sfociata nella costituzione di nuovi partiti
che hanno teso, dopo qualche esitazione, a riposizionarsi nella
tradizionale divisione destra/sinistra. Tale nozione deve essere
tuttavia precisata in funzione della situazione specifica di ogni
società. Ovunque gli eredi delle formazioni politiche al potere prima
del 1989/91 sono riusciti a ricostituire partiti spesso influenti, ma
sulla base di legittimazioni molto differenti. In certi casi, il
riferimento al comunismo è stato totalmente rigettato. In altri, si è
selezionato in modo molto diversificato solamente alcuni elementi
provenienti dal comunismo. In altri, l’eredità del comunismo ufficiale
è stata rivendicata in quanto tale. Ma la classificazione tra partiti
allineati al social-liberalismo, “ex comunisti riformati” o comunisti
“ortodossi” resta molto sommaria.

I termini “comunismo” o “socialdemocrazia” veicolano infatti contenuti
molto differenti a seconda del contesto. Quando viene rivendicata,
l’eredità del “socialismo reale” non è di fatto mai ripresa in maniera
integrale e, quando succede il contrario, alcuni elementi di tale
eredità risorgono in modo più o meno percettibile. Tuttavia
nell’insieme, i “ritorni” al potere o anche solo la possibilità di
avere accesso ai circoli del potere, come nel caso del Partito
Comunista della Federazione Russa (KPRF), o di giocare un ruolo
regionale, come nel caso del Partito del Socialismo Democratico (PDS)
nei Landers est-tedeschi, spinge ogni partito ad accettare in modo più
o meno esplicito le “leggi di mercato”.

In ogni caso l’allineamento della Russia di Putin agli USA dopo
l’11settembre 2001, ha spinto l’ala predominante del KPRF a denunciare
la politica del Cremlino e a subire, quale ritorsione, l’espulsione dei
rappresentanti di questo partito dalle commissioni parlamentari. I
dirigenti espressi dalle formazioni al potere nei paesi dell’Est prima
del 1989/91 cercano generalmente di collocarsi, per essere credibili,
più o meno a sinistra. Ma questa non è la regola assoluta, dal momento
che partiti di destra sono stati spesso formati da uomini che hanno
occupato funzioni importanti nei partiti “comunisti” prima del 1989/91,
come ad esempio Eltsin in Russia o Tudjman in Croazia.

Parallelamente, sono apparse formazioni che fanno riferimento a
correnti marxiste che erano al bando prima del 1989/91 (trotskismo,
bukharinismo, socialdemocrazia marxista di prima del 1939), ma
raramente esse hanno conquistato un posto di rilievo. Ciò riguarda
anche i partiti che rivendicano l’eredità di Stalin, i quali, salvo che
in Albania, erano stati proibiti formalmente dopo il 1956. Sono stati
anche creati partiti socialdemocratici “moderni” senza legami con i
regimi di prima del 1989/91, spesso senza successo.

Studiare i PC dell’Est dopo il 1989/91 rimanda a categorie molto
diverse. Ci limiteremo ai partiti che accettano la loro filiazione ai
regimi politici ufficialmente sconfitti nel 1989/91. Analizzeremo anche
le formazioni che ripudiano il comunismo, ma che restano segnate in
modi differenti dalla sua eredità. Menzioneremo anche i partiti
esplicitamente staliniani poiché, pur non essendo essi gli eredi
diretti dei partiti di prima del 1989/91, fanno riferimento comunque ad
un’eredità che ha esercitato un’influenza fondamentale sul
funzionamento del “socialismo reale” in certe epoche.

La ricomposizione politica che ha avuto luogo negli Stati del
“socialismo reale” a partire dagli anni ’80 non è terminata, poiché la
struttura di queste società non ha ancora raggiunto una stabilizzazione
relativa simile a quella dei paesi occidentali. Già prima del 1989/91,
i partiti-Stato nascondevano realtà sociali molto differenti e
l’emersione di una borghesia in questi paesi è iniziata ben prima dello
smantellamento ufficiale del “socialismo”. I partiti politici al potere
erano divisi in sensibilità sociali e politiche, in gruppi di
interesse, elemento questo che rende pertinente la tesi secondo cui la
lotta di classe esisteva nell’Est, ma in modo “sotterraneo e
camuffato”, nel quadro di strutture apparentemente monolitiche.

Le idee di destra erano d’altronde diffuse nei partiti comunisti
ufficiali ben prima della “svolta” degli anni 1989/91, in particolare
tra i “notabili” e i figli dei quadri, in particolare coloro che
esercitavano attività nei settori economici e coloro che intrattenevano
contatti con le “elites” occidentali, politiche e affaristiche. Questo
pluralismo di fatto, che esisteva prima del 1989, spiega perché solo
una piccola frangia dei membri dei partiti al potere prima del 1989/91
si sia riconosciuta in seguito nelle formazioni scaturite dai
“partiti-Stato”, avendo la maggioranza di loro optato per un
liberalismo “senza complessi”.

I gruppi che si richiamano al comunismo sono andati ovunque in
minoranza, salvo che in Moldavia dove il PC ha ottenuto il 50% dei voti
alle ultime elezioni, ma ugualmente ovunque sono riapparsi partiti che
si richiamano al comunismo, incluso là dove gli eredi dei poteri di
prima del 1989/91 hanno rotto con questa ideologia per aderire
all’Internazionale Socialista (IS). Nell’Europa centrale, baltica e
balcanica, le correnti che si richiamano al comunismo hanno incontrato
particolari difficoltà nella fase della rinascita, salvo che in Cechia.
Dall’Albania all’Estonia, passando per le Jugoslavie e la Polonia, gli
ex “partiti-Stato” hanno rinunciato alla denominazione comunista e al
marxismo quale fondamento teorico.

Ma esistono delle differenze rimarchevoli negli atteggiamenti tenuti
nei confronti del capitalismo tra la SLD polacca, ad esempio, e il PS
serbo o il PS bulgaro (BSP). La sola eccezione di rilievo è costituita
dalla Cechia, dove un PC importante ha riconquistato e mantenuto un
posto fondamentale nello scacchiere politico, contando tra l’altro sul
fatto che i comunisti erano già ben radicati nel paese prima del 1938.
Altrove, essi non si sono imposti, se non in occasione della Seconda
Guerra Mondiale e nel periodo seguente. Nelle repubbliche che facevano
parte dell’URSS prima del 1939, al contrario, l’affermazione di partiti
socialdemocratici resta difficile, mentre partiti comunisti consistenti
si sono ricostituiti pressoché ovunque.

La divisione socialdemocrazia/comunismo sembra da attribuire a
differenze politiche dovute al radicarsi della mentalità sovietica,
anzi della tradizione russa come tende ad affermare il presidente del
KPRF che pensa che il comunismo corrisponda alla mentalità tradizionale
dell’ “uomo russo” del paese più profondo. Tale fenomeno pone degli
ostacoli all’emergere di un’autentica corrente rivoluzionaria, ma il
riferimento al marxismo, seppur solo formale, resta emblematico e
permette di stabilire la differenza tra coloro che si allineano grosso
modo al “modello occidentale” e coloro che continuano, anche se spesso
nell’ambiguità, a manifestare reticenze a tal proposito.

Riflettere su ciò è importante per scoprire, al di là delle
dichiarazioni ufficiali, quali formazioni possano essere eventualmente
fautrici di progresso sociale e di riavvicinamento dei popoli e quali
siano quelle che in realtà servono, qualsiasi denominazione adottino,
gli interessi delle oligarchie, la cui aspirazione, nei fatti, è solo
quella di allargare il proprio potere politico, sociale o economico. E’
anche nell’interesse dei comunisti occidentali la comprensione di
questo fenomeno, poiché i loro partiti, pur mantenendo fino alla fine
rapporti privilegiati con quei regimi, in virtù dell’opinione che essi
avevano dei rapporti di forza internazionali e della necessità di
trovare dei contrappesi di fronte alla potenza degli Stati Uniti e dei
loro numerosi alleati, sembrano aver subito anch’essi in molti casi,
“per procura” e di riflesso, gli effetti della demoralizzazione
caratteristici della nomenklatura.

LA PREDOMINANTE ATTRAZIONE DELLA SOCIALDEMOCRAZIA NELL’EUROPA
CENTRALE, BALTICA E BALCANICA

Tranne che in Cechia, gli ex PC hanno tutti ripudiato il riferimento
al marxismo-leninismo. In effetti ogni partito ha manifestato una
propensione diversa verso lo strappo e i discorsi variano sovente in
funzione dell’interlocutore a cui i dirigenti si rivolgono. D’altronde,
non ci troviamo solo di fronte alla scelta socialdemocratica, dal
momento che alcuni partiti sono tentati anche dalla retorica
patriottica, come nel caso del PS serbo o, in misura minore, del Fronte
di salvezza nazionale romeno, divenuto in seguito un partito
socialdemocratico (PSD) “come gli altri”.

1). I partiti social-liberali: nei partiti che sono approdati all’IS e
che, in apparenza, hanno totalmente ripudiato il “socialismo reale”
persistono certe specificità in rapporto al modello socialdemocratico
occidentale. Le loro tradizioni e il fatto che abbiano adottato
rapidamente e senza riflettere modalità di funzionamento e di
legittimazione importate dall’Occidente e appiccicate ad abitudini
organizzative differenti, conferiscono a questi partiti tratti
specifici.

La riconquista da parte di questi partiti di un elettorato
consistente, a partire dalle elezioni lituane del 1992 – fenomeno che è
proseguito altrove – fa leva su una certa nostalgia nella popolazione
per lo “Stato protettore” scomparso. Gli ex comunisti sono dunque
indotti in permanenza ad oscillare tra un discorso social-liberale
destinato agli Occidentali, comportamenti elitisti ereditati dal
“socialismo post-feudale” di prima del 1989 e “ammiccamenti
neo-comunisti” indirizzati alla loro base elettorale. Le inchieste di
opinione che riguardano le privatizzazioni, i capitali stranieri, il
periodo precedente il 1989, ecc. dimostrano che una parte spesso
maggioritaria di queste società resta attaccata all’ideale di un
modello sociale egualitario.

Gli ex dirigenti di prima del 1989/91 hanno contratto abitudini
differenti da quelle conosciute ad Ovest e le utilizzano per la
“costruzione del capitalismo”. La comprensione dei processi sociali, la
capacità di costruire organizzazioni disciplinate e cinghie di
trasmissione, lo spirito di corpo proprio dell’abitudine alla militanza
in seno ad un’organizzazione semi-segreta, i metodi di
cooptazione,ecc., tutto ciò è servito enormemente agli “ex comunisti”
per rimanere nelle stanze del potere dopo il 1989.

L’esempio polacco costituisce a tal riguardo un caso da manuale, per
analizzare i partiti che, del passato, hanno mantenuto le tecniche di
radicamento del leninismo, la capacità di analisi dei processi sociali
del marxismo e l’attrazione verso la modernità, ma ponendo tutto ciò al
servizio del capitalismo. Quando il Partito Operaio Unificato Polacco
(PZPR) ha ceduto il potere, si è trasformato prima di tutto in
Socialdemocrazia della Repubblica di Polonia (SdRP). Il nome scelto
allora è già segno di abilità. Poiché questa denominazione costituiva
un segnale per i partigiani di una socialdemocratizzazione “moderna”,
ma anche perché, agli occhi di coloro che intendevano restare fedeli al
comunismo, ricordava il partito di Rosa Luxemburg e di Felix
Dzierzynski, la “Socialdemocrazia del Regno di Polonia”. La SdRP ha, in
verità, mantenuto solo circa 60.000 dei 2 milioni di membri del PZPR,
contribuendo in tal modo ad allontanare la sua vecchia base dai centri
decisionali. I dirigenti hanno spesso ceduto i posti dell’apparato a
vantaggio di loro sostituti più giovani. Questo partito ha poi creato
l’Alleanza della Sinistra Democratica (SLD), una struttura all’inizio
flessibile che raggruppava sindacati, associazioni (di donne, di
giovani, di ex combattenti,ecc.) e alcuni piccoli partiti come l’Unione
dei comunisti polacchi “Proletariato” (ZKPP). Tali “cinghie di
trasmissione” si sono rivelate efficaci al servizio della SdRP e della
sua linea “moderna” di ampio schieramento. La SLD ha in seguito aperto
al Partito Socialista Polacco (PPS), un gruppo radicale e marxista
espresso dalla dissidenza, che le ha permesso di presentarsi come ormai
“al di fuori” delle divisioni di prima del 1989. Stabilizzatosi
l’elettorato e adottata, con il consenso della “sinistra” e della
“destra” polacche, una costituzione “che proibisce i metodi fascisti e
comunisti”, la ZKPP è stata spinta ai margini della SLD, la quale è
stata trasformata in un partito unificato, forzando il PPS a scegliere
tra la sua dissoluzione e una rottura che l’avrebbe condannato
all’emarginazione, in virtù della logica del “voto utile”. La creazione
di una SLD unificata, al posto di un’alleanza plurale, permette oggi ai
quadri espressi dalla nomenklatura di scegliere essi stessi a quali
dirigenti sindacali o delle associazioni satelliti offrire posti
nell’amministrazione. Il processo sta concludendosi oggi con il ritorno
a posti di direzione della SLD di vecchi quadri del PZPR che si erano
ritirati in “seconda linea” nel 1989. Se la metamorfosi ideologica
degli “ex comunisti” che si richiamano al “blairismo” è completa, la
“cultura di apparato” sembrerebbe mantenere il marchio di origine.

Molti dei polacchi di sinistra, compresi quelli che si considerano
sempre comunisti, trovano tuttavia difficile dissociarsi dalla SLD, per
realismo o per fedeltà. Anche l’Unione del Lavoro (UP), partito a
caratterizzazione socialdemocratica, creato dal dissidente Karol
Modzelewski, che aveva tentato di superare le divisioni del 1989, ha
finalmente deciso di associarsi alla SLD e di rinunciare alla propria
autonomia. Simili evoluzioni sono riscontrabili anche in Lituania, in
Slovacchia, in Slovenia, ecc. Altrove, la deideologizzazione è stata
meno totale.

2). I partiti socialdemocratici pluralisti: il BSP (Partito Socialista
Bulgaro) costituisce uno dei migliori esempi di tale tipo di partito. A
differenza della SLD, l’ex PC bulgaro ha cambiato nome, ma ha cercato
di conservare il grosso dei suoi membri e ha preso meno le distanze dal
periodo precedente il 1989. Ha accettato l’esistenza di frazioni
organizzate, di cui due si richiamano al marxismo. Questo partito si è
avvicinato lentamente all’IS, pur mantenendo contatti con i partiti
comunisti, in particolare con il PC greco. Il BPS si è per molto tempo
dichiarato contrario alla politica della NATO nei Balcani.  L’assenza
di russofobia nella società bulgara facilita la persistenza di correnti
che cercano di salvaguardare legami stretti con la Russia, in
particolare nella diplomazia e negli affari. Il radicamento notevole
dei comunisti in Bulgaria prima del 1939 può anche spiegare questa
situazione. Esistono nel paese due piccoli PC. Il Nuovo Partito
Comunista Bulgaro (NPCB), che si proclama staliniano e che ha rotto con
il BSP al tempo del cambio del nome, e il Partito Comunista Bulgaro “G.
Dimitrov” che rifiuta i metodi staliniani. Il nuovo PCB ha organizzato
la Nuova Internazionale Comunista che raggruppa partiti che esaltano
innanzitutto l’eredità di Stalin. Alla vigilia delle elezioni del 2001,
sono stati avviati negoziati per la formazione di un partito unificato
che raggruppasse i due PC e la frazione marxista del BSP. Secondo i
sondaggi, questa formazione avrebbe potuto ottenere più del 10% dei
suffragi, ma i negoziati non hanno avuto successo e alcuni comunisti si
sono presentati candidati contro il BSP, mentre quest’ultimo faceva
eleggere un comunista nella sua lista, il primo deputato esplicitamente
comunista dopo il 1989.

I partiti “ex comunisti” balcanici dei paesi di tradizione ortodossa
(Bulgaria, Serbia, Romania) manifestano una più visibile reticenza
riguardo al capitalismo rispetto ai loro omologhi di Albania, Bosnia,
Croazia, Slovenia o Ungheria. In questi ultimi paesi, in particolare il
Partito Socialista Ungherese, ala maggioritaria del vecchio
“partito-Stato”, include una frazione marxista, “Alternativa di
Sinistra”. Esiste anche un PC ungherese, il Partito Operaio, la cui
influenza resta limitata. In Germania, anche il PDS rifiuta il
social-liberalismo. Si è impegnato, soprattutto dopo il suo arrivo al
potere con la SPD nel Land di Berlino, in una strategia di associazione
con il Partito Socialdemocratico (SPD) su una piattaforma
prevalentemente “regionalista est-tedesca” con concezioni “alternative”
assai moderate. Un’altra corrente nel suo seno riafferma il marxismo.
L’esistenza di frazioni è autorizzata nel PDS, il che permette ai
comunisti di manifestarsi in quanto tali. E’ anche il solo erede di
“partiti-Stato”, in cui sia presente la corrente trotskista.

3). I partiti comunisti “mantenuti”: nell’Europa Centrale, baltica e
balcanica, partiti che si definiscono comunisti si sono formati
dappertutto, ma sono raramente riusciti ad ottenere un’influenza reale,
salvo che in Bulgaria, Ungheria, Lettonia (sotto il nome di Partito
Socialista Lettone, dal momento che il comunismo è proibito nel paese)
o Slovacchia, dove costituiscono una forza potenzialmente in grado di
contare. Il KSCM (Partito Comunista di Boemia-Moravia) rappresenta un
caso specifico. Costituito poco prima dello smantellamento della
federazione cecoslovacca, ha ottenuto l’11% dei voti nelle elezioni del
1998 e raccoglie oggi dal 15% al 20% delle intenzioni di voto (20,3%
dei suffragi nelle ultime  elezioni europee del 13 giugno 2004, nota
del traduttore). Ha un approccio relativamente critico nei confronti
del periodo 1948/1989, che ha spinto uno dei dirigenti di prima del
1989, Miroslav Stepan, a creare il “Partito dei comunisti
cecoslovacchi”, che conta decine di migliaia di membri, ma che non è
mai riuscito a radicarsi elettoralmente. Sul versante opposto, le due
frazioni del KSCM che hanno tentato di rompere con il comunismo hanno
fallito. Il caso della Cechia è specifico, perché è il solo paese in
cui si sia formato un partito socialdemocratico (CSSD) potente non
scaturito da correnti comuniste. Il KSCM è attraversato da dibattiti
virulenti in merito al suo progetto sociale, all’adesione all’UE e ad
un’eventuale alleanza con la CSSD. I suoi membri più anziani esprimono
spesso un orientamento più moderato, mentre quelli più giovani
propongono soluzioni a volte particolarmente radicali. Il KSCM è molto
attivo sul terreno internazionale e mantiene contatti con tutti i PC.

Traduzione di Mauro Gemma