Imperialismo umanitario, dalla Jugoslavia al Sudan
1. La faccenda Cap Anamur e le ambizioni della politica estera tedesca
(Juergen Elsaesser, da Junge Welt)
2. Il Sudan di Sabina (Fulvio Grimaldi, da MONDOCANE FUORILINEA, 22/6/4)
3. Sulla Cap Anamur e sul problema Sudan... e sulla immancabile
"Gesellschaft für Bedrohte Völker" (Fulvio Grimaldi e Pino Catapano)
=== 1 ===
La faccenda Cap Anamur e le ambizioni della politica estera tedesca
Jürgen Elsässer (*), "Junge Welt" , 12.07.2004
Il dramma dei profughi svoltosi al largo delle coste siciliane ed altri
trucchi per mettere in piedi un intervento “umanitario” nel Sudan.
Lunedì sera le autorità italiane avevano tratto in arresto Elias
Bierdel, il direttore dell’organizzazione tedesca Cap Anamur a Porto
Empedocle, nel sud della Sicilia. Con l’attracco della cosiddetta nave
di salvataggio dell’organizzazione al porto della cittadina, si era
concluso un braccio di ferro durato parecchi giorni. 37 profughi
potevano finalmente, raggiungere la terra ferma, ma essi sono subito
stati arrestati per essere avviati all’espulsione, previo verifica del
rispettivo stato di profugo. Contro Bierdel e contro il capitano della
nave, le autorità italiane starebbero valutando gli indizi per
eventualmente aprire una procedura penale con l’accusa di
“favoreggiamento dell’immigrazione illegale”.
Bierdel può contare sulla simpatia di associazioni dedicate ai profughi
e di attivisti dei diritti umani. Ma vi sono almeno due indizi che
fanno pensare che egli non era mosso tanto dalla preoccupazione per la
salvaguardia dei naufraghi, quanto da motivi di relazioni pubbliche per
promuovere una politica assai criticabile. Vero è che tra la Cap Anamur
e le autorità italiane, la questione se il naufragio degli africani si
sia compiuto più vicino alle coste maltesi od a quelle dell’isola
italiana di Lampedusa, quando il 20 giugno i 37 furono salvati, e
tuttora aperta. Ma non vi è alcun dubbio che la nave di Bierdel
dapprima era attraccata a Malta, il giorno del 24 giugno. In seguito,
invece di lasciare i naufraghi salvati a Malta, dal 1 luglio i tedeschi
cercavano di entrare nello spazio marittimo italiano. Forse perché
facendo così, la faccenda poteva acquistare una maggiore spettacolarità
per la CNN e gli altri confezionatori di notizie ?
Un altro trucco consisteva nella classificazione dei profughi quali
sudanesi. Sulle prime, la loro identità non era del tutto chiara.
Subito dopo il salvataggio, Bierdel aveva registrato nel libro di bordo
“Attualmente stiamo verificando da dove provengano i naufraghi e in
quali circostanze siano partiti sul loro viaggio. Questo è difficile
perché solo alcuni di loro sanno dire qualche parola in inglese.”
(www.cap-anamur.org). Ma poi – e siamo sempre in alto mare – i problemi
di comunicare con i naufraghi sembrano essersi risolti in fretta,
considerando che su tutti i canali si racconterà la storia degli
africani provenienti dal Sudan. Il trucchetto è chiaro: etichettandoli
come sudanesi, la loro triste situazione si faceva inquadrare nella
strategia della politica estera tedesca che, attualmente, punta a
“dirigere tutti i fari dell’opinione pubblica mondiale” (il Ministro
Joseph Fischer) sul Sudan. Con modi più aggressivi di quelli degli
stessi USA, la Germania è determinata a spingere il Consiglio di
Sicurezza dell’ONU a deliberare sanzioni contro il Sudan e politici
influenti quali la Ministro per la Cooperazione con i paesi emergenti,
Heidemarie Wieczorek-Zeul (SPD) e l’ex-Ministro agli Interni, Gerhard
Baum (FDP) propongono addirittura un intervento militare. Per
giustificare una tale richiesta, servono destini umani da poter esporre
ai telespettatori per convincere l’opinione pubblica della necessità di
un cosiddetto pronto intervento umanitario contro l’emergenza,
all’occorrenza anche per mezzo di bombe e missili.
L’organizzazione Cap Anamur ha acquisito esperienza con la produzione
di questi destini umani. Fondata nel 1979 da Rupert Neudeck, il primo
obiettivo dichiarato dell’organizzazione era stato il salvataggio dei
naufraghi vietnamiti, i Boat People, che si diceva essere in fuga verso
un presunto occidente libero. Nel 1997, il Sig. Neudeck era presente
quando l’opposizione congolese, appoggiata dagli USA, cacciò il
dittatore Mobutu da Kinshasa. Di nuovo all’assalto dell’ideologia
socialista, egli partecipò all’azione in Corea Settentrionale che poi,
nel 2002, all’improvviso fu interrotta. Particolarmente sospettabile
era il suo impegno per i Balcani: Neudeck appoggiava la propaganda
anti-serba della NATO in Bosnia e nel Kosovo senza se e senza ma.
Bierdel, all’epoca ancora corrispondente della (TV tedesca) ARD, si
dava da fare per corredare le storie-horror raccontate dall’allora
Ministro alla Difesa Rudolf Sharping con piccoli aneddoti raccolti qua
e là. Con ciò, il giornalista si qualificò per diventare, l’anno
scorso, successore di Neudeck alla guida di Cap Anamur.
In una specie di copione della campagna anti-jugoslava, le potenze
occidentali stanno conducendo contro il Sudan una crociata con l’arma
delle bugie umanitarie. Il punto d’attracco della campagna è la
situazione creatasi nella provincia di Darfur, dove risiedono 7 dei
complessivamente 31 milioni di sudanesi e dov’è in atto una guerra
civile tra popolazioni africane ed arabe. Lo strazio dei profughi sarà
aumentato dalla stagione delle piogge che sta per iniziare in questi
giorni, rendendo le strade inutilizzabili per il trasporto dei beni di
soccorso. Secondo gli esperti dell’ONU, 350 000 persone rischiano di
morire di fame entro breve in questa regione, dove divampa la crisi.
Intanto, il problema non sono le cifre, difficilmente verificabili –
anche diecimila morti farebbero una tragedia umana spaventosa – bensì
le attribuzioni unilaterali delle responsabilità. Secondo la propaganda
occidentale, gli unici responsabili per l’esacerbarsi della situazione
sarebbero le milizie cavallerizze arabe, i cosiddetti giangiawid che,
appoggiate da truppe governative, starebbero saccheggiando villaggi
africani. Le loro offensive avrebbero già creato 30 000 vittime negli
ultimi mesi – così almeno ci riferiscono gli esperti dell’agenzia
Reuters. Di conseguenza, i fautori dell’intervento militare, ripetendo
il copione propagandistico collaudato nella campagna balcanica, non
parlano di una guerra civile, ma insistono sul termine di “pulizia
etnica” (parole di Kerstin Mueller, sottosegretario al Ministero degli
Esteri) e di “guerra di espulsione” (FAZ, 27.05.04). Delle volte, ci
vuole qualche creatività terminologica per potere adoperare tale
pesante armamento linguistico con la sua carica di precisione – in
presenza di fatti tutt’altro che trasparenti. Così ad esempio, il
Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan, a fine giugno, si esibiva in
esercizi da funambolo semantico spingendosi “al limite della pulizia
etnica”, ed anche il Segretario di Stato USA, Colin Powell, si disse
incerto se siamo “di fronte alla fattispecie del genocidio ai sensi
della legge internazionale”.
Ma di sofisticherie di questo tipo, Christa Nickels non ne vuole
sapere: nonostante la Presidente della Commissione parlamentare per i
Diritti Umani, durante il suo viaggio esplorativo intrapreso in maggio
non si sia mai spinta fino alla regione dove divampa la crisi, al suo
ritorno seppe raccontare con precisione che vi sarebbe in atto “in
sostanza, un genocidio”. Intanto, il premio come campione delle
campagne di pubbliche relazioni dovrebbe spettare al portavoce dei
ribelli di Darfur il quale aveva dettato ad un giornalista la frase,
trascritta sul computer portatile di quest’ultimo: “questa è la nostra
Srebrenica”. Qualcuno, a Darfur, sapeva benissimo quali parole d’ordine
occorre impiegare per fare scattare il riflesso interventista
dell’Europa.
Jürgen Elsässer
*Nota:
Jürgen Elsässer, giornalista per la Junge Welt e precedentemente per
Konkret, è l’autore, tra l’altro, di:
Menzogne di Guerra, pubblicato da Città del Sole, 2002
Titolo originale:
Kriegsverbrechen – Die toedlichen Luegen der Bundesregierung und ihre
Opfer im Kosovokonflikt, KVV Konkret-Verlag, Amburgo, 2000
Kriegsluegen – Vom Kosovokonflikt zum Milosevic-Prozess, (edizione
allargata del precedente titolo), Karl Homilius Verlag, 2004.
Il presente articolo è stato scritto per Junge Welt:
http:www.jungewelt.de
=== 2 ===
Il Sudan di Sabina
(Fulvio Grimaldi, da MONDOCANE FUORILINEA, 22/6/4)
Vale la pena raccontare come capitai per la prima volta in Sudan.
Correva l’anno 1971. Fresco come un bucaneve, giravo il mondo e
scrivevo e fotografavo di guerre e rivoluzioni per giornali di sinistra
come “Giorni-Vie Nuove”, “Astrolabio”, “Sette Giorni”. I giornali di
sinistra pagano poco e a soprassalti: serve a mantenere alto il morale
dell’inviato e persuasivo il carattere progressista della testata. Dopo
essermi fatto tutta l’Eritrea a piedi con il Fronte di Liberazione
Eritreo (quello buono; l’altro, l’FPLE, cristiano, ma caro ai marxisti
e oggi al potere con USA e Israele, s’è visto come è andato a finire),
le esauste risorse mi avevano costretto nell’ostello della gioventù di
Khartum. Incrociai un giovane funzionario del Ministero
dell’Informazione, militante del Baath, panarabo, nazionalista e
socialista (quello al potere in Siria e con Saddam in Iraq),
determinato a far sentire alle sinistre terzomondiste in Italia le
ragioni della rivoluzione sudanese. Quella del colonello Ghaafar
Nimeiry, emulo di Nasser e dei Giovani Ufficiali della grande
decolonizzazione araba. Mi prese con sé su una jeep e mi fece
attraversare mezzo Sudan all’inseguimento del presidente che visitava
città, villaggi, aziende, progetti di sviluppo. Lo beccammo nel sud,
nella città di Wau, mentre cenava a una tavolatona all’aperto con
ministri e notabili locali. Mi inserii tra frutta e whisky (Sudan
allora laicizzato e dunque sbevazzone) e venni accolto dal Raìs e
avvolto da una calda notte equatoriale, frastornata di cicale e di
racconti del presidente che si spensero solo alle prime luci dell’alba.
Tutti a parlare di Sudan, di questi tempi. E già questo dovrebbe
suscitare sospetti. Da qualche mese si sono intensificati i notiziari,
i reportage sulla catastrofe umanitaria e politica determinata nella
regione occidentale del Darfur dal governo di Omar el Bashir. Esercito
e squadracce miliziane che si accaniscono su poveri profughi, eserciti
di liberazione che si sollevano a difesa delle popolazioni discriminate
quando non macellate, morti e fuggiaschi a gogò, la fame che imperversa
per colpa del regime, le agenzie umanitarie che non glie la fanno,
quelle dei diritti umani che sparano un dito sempre più lungo e puntuto
– pare il naso di Pinocchio…- verso Khartum. E rivedo un film già visto
allora. Nimeiry mi spiegò in lungo e in largo come la sua lotta
antineocoloniale avesse provocato ogni sorta di incazzatura degli ex e
neo-colonialisti: britannici, preti, europei vari, israeliani. Dicono
tutti che la guerra separatista del Sud “animista e cristiano” (ci sono
stato al Sud, a Giuba, di cristiano ci sono quattro chiese, una marea
di santini comboniani, ma il 90% della popolazione crede ai suoi dei di
acqua, terra, aria e fuoco), contro le soperchierie degli integralisti
islamici al governo, sia iniziata nel 1981. Invece iniziò vent’anni
prima, con gli stessi istigatori di oggi, appena il Sudan aveva tentato
di avviarsi sulla via di una vera indipendenza. Tagliare i fili della
memoria, come quando nessuno ricorda che gli USA tutte le guerre le
hanno iniziate facendo prima un gran botto, tipo 11 settembre, da
attribuire al “nemico”. Ora tra le “efferatezze” del Sudan manca solo
un suo missile su Disneyland, con 4000 bimbetti disintegrati (e pensare
che nel 1997 Khartum, che se l’era trovato tra i piedi, offrì agli USA
l’estradizione di Osama bin Laden. Quelli risposero: non c’interessa,
speditelo in Afghanistan!).
Fin da quando la rivoluzione nazionalista e laica, con la
nazionalizzazione delle risorse strategiche, con scuole e sanità, si
affermò in Sudan, negli anni ’60, inziarono i casini nel Sud delle
etnie negroidi. C’era già allora l’esercito di liberazione del Sud
(SPLA), c’era già a capo John Garang, un generale fellone diventato
gangster e combattuto più da bande rivali, in competizione per le
ricchezze minerarie e lignee dell’Equatoria, che dall’esercito
governativo. C’erano già allora le spie e le armi di Israele e Regno
Unito, poi sarebbero arrivati anche gli statunitensi. Mentre la
copertura mediatica e ideologica veniva fornita dai missionari
comboniani, dall’800 nel paese con monaci, suore, aziende, affari
finanziari e brighe eversive. Anche se allora mancava l‘appiglio
dell’”integralismo islamico” e dell’”emarginazione del Sud nero,
animista e cristiano”. In quell’anno Khartum aveva investito nel Sud,
lasciato dagli inglesi in preda al tipico sottosviluppo da colonialismo
( inglesi poi sconfitti con il generale Gordon nel 1885 in una delle
più gloriose battaglie degli oppressi contro gli oppressori) quasi la
metà del bilancio di uno Stato di cui quella regione era un sesto. E’
la società era stata laicizzata ed emancipata: indimenticabili le
donne, alte, color fondente, con gli spacchi fino al bacino, che
suonavano la tarantella sul pentagramma dei miei pensieri.
Poi ci furono le trattative, i compromessi, gli accordi di pace. Ma
regolarmente la rivolta si riaccendeva, anche se più tra rivali della
secessione che tra questi e il potere centrale. Così per tutti gli anni
’70 e ’80. Coloro che da fuori rimestavano nel sangue e nei progetti di
rapina, non si rassegnavano a lasciare in piedi e unito il più grande
paese arabo e dell’Africa. Finalmente ora, nel 2004, rinunciato alla
Sharìa per tutti, accordata una vasta autonomia al Sud, comprensiva
della gestione di buona parte dei proventi petroliferi (petrolio
sospettato al tempo di Nimeiry, confermato quando un golpe portò al
potere una spia degli inglesi, il Mahdi, iniziato ad estrarre da
cinesi, canadesi ed europei sotto l’attuale governo di Bashir),
concordato un referendum su indipendenza o unità entro sei anni, il
governo riteneva di poter far godere a uno dei popoli più evoluti e
gentili del mondo la sua meritata dose di progresso e pace. Niente.
Grandi paesi del Terzo Mondo, grandi unità di diversi, grandi
potenzialità non possono restare in vita. L’imperialismo preferisce la
Croazia fascistizzata, la Bosnia mafizzata, il Kosovo snaturato, il
Kurdistan narcotrafficante, gli sciti sprofondati nel Medioevo, i
sunniti alla fame, e magari i padani con per capitale l’ombelico di
Bossi e per confine là dove arriva il raglio di Castelli, preferisce
tutto questo a ciò che storia, solidarietà, destino e progetto comune
avevano messo insieme. In particolare, l’imperialismo e il suo rostro
sionista hanno sul piloro la nazione araba, ancora rabbrividiscono al
pensiero di cosa fece negli anni ’50 e ’60 ai cugini inglesi, agli
alleati francesi, perfino agli straccioni all’iprite italiani. Sennò
cosa avrebbe miscelato in provetta a fare, l’imperialismo, uno Stato
ebraico là dove da millenni stavano palestinesi? Sennò a cosa
servirebbe mai il Piano neocon-neonazi del “Grande Medioriente” dal
Marocco all’Afghanistan (Iran, Turchia e Afghanistan con la nazione
araba non c’entrano niente, ma servono a diluirla), il genocidio dei
renitenti palestinesi, dei troppo arabi iracheni, gli attentati
Cia-Mossad in Arabia Saudita, Turchia, Marocco, la mazzetta di 3
miliardi di dollari all’anno allo stalliere Mubarak, le sanzioni alla
Libia, il terrorismo “islamico-Cia” in Algeria e, ora, il perenne
terremoto innescato da Langley in Sudan?
Perciò, appena conclusa in Kenya la pace nel Sud, ecco che i mastini da
guerra, addestrati da San Pietro, Mosè e Mickey Mouse, sono ripartiti
alla carica nell’ovest. Il coro si va facendo assordante, strepitano
tutti: come sempre, i comboniani forniscono l’indiscutibile
testimonianza oculare e informazione obiettiva, ONU e FAO,
preoccupate, parlano di difficoltà nel far arrivare i rifornimenti,
Amnesty International e ONG ancora più occhiute sollevano i vessilli
dei diritti umani finiti nelle sabbie roventi della repressione
islamista. E subito spuntano ben due “eserciti di liberazione
nazionale”, tipo UCK kosovaro, chissà da chi muniti di armi moderne, e
subito appaiono milizie terroristiche che agiscono per conto del
governo e commettono stragi di innocenti (e magari sono gruppi di
autoprotezione aiutati, sì, dal governo, ma contro le provocazioni
degli eversori mercenari del complotto imperialista). E subito c’è
anche un paese, il Chad, guardacaso miserrimo e di obbedienza
statunitense, che si presta a soccorrere i profughi – Centomila? Un
milione? – ma non ha di che nutrirli e se li vede appassire tra le
mani. Non circola neanche un inviato di qualche giornale o tivù da
quelle parti, ma tutti sfanfareggiano di indicibili massacri:
centomila?, Un milione? Tre milioni a rischio…
Così anche la giornalista, una di quelle vere, di “Liberazione”, Sabina
Morandi.
Titola “Sudan, la guerra che non fa notizia”. Ammazza, Sabina, se non
fa notizia! Ma se si sono dati tutti appuntamento sull’imminente
decapitazione del Sudan, velinari, analisti, corsivisti, provocatori,
esperti, tutti saldamente, come te, ancorati alla loro seggiola con
sguardo sul Bar Pippo. Ci fai rabbrividire, come quei tuoi colleghi dei
grandi media, vi cola sangue misto a resti cerebrali dalla penna: “Ogni
giorno le condizioni di vita uccidono tra i sei e gli otto bambini, fra
poco moriranno 300.000 persone di fame, almeno diecimila morti
nell’ultimo anno e mezzo, fra 800mila e un milione di profughi”.La
fonte?Human Rights Watch, figurarsi !Basta il tono:”Il governo
Sudanese è responsabile di pulizia etnica e di crimini contro
l’umanità. Nel Darfur vige il terrore”. Vi ricorda qualcosa? Il Kosovo
forse? O le armi di distruzione di massa di Saddam? O i poveri
“dissidenti” di Cuba? O i tibetani >>>>sterminati dai cinesi? E vai,
Sabina, con le citazioni e con le fonti. Manca nessuno. Kofi Anan,
l’ONU, il Fronte di Liberazione del Darfur, le Acli (quelle che
addestrano mercenari con istruttori israeliani), Caritas, Comboniani…
Non manca che la CIA, ma c’è UsAid, che è uguale, forse peggio,
chiedilo ai latinoamericani, visto che sei capace di dar credito alla
più fetecchia delle fetecchie tra le agenzie di penetrazione
imperialista USA E un minimo di memoria storica, di sapienza
geopolitica e di occhi aperti sull’offensiva imperialista e
neocoloniale contro i popoli con le risorse, contro le grandi nazioni,
contro i governi refrattari alla prostituzione della sovranità. Quanto
meno, se proprio ami spassionatamente l’Ansa e la CNN, un microscopico
dubbio!
Occhio, Sabina, stai in un giornale di sinistra, un giornale che
dovrebbe rappresentare un altro mondo, altre verità. Invece sei uguale
a “Libero”, a “Repubblica”, al New York Times”, a Giuliano Ferrara, Gad
Lerner e Paolo Mieli, “first class journalist”, come dice
Rina-Fede-Gagliardi. Forse neanche tu sei comunista e quindi, per
forza, ti manca la chiave di lettura. E poi stai accanto a chi ci
ossessiona e ci intossica un giorno sì e l’altro pure con la trappola
neocon-neonazi della “spirale guerra-terrorismo”, ch’hai da fa… Magari
se dessi un po’ retta al tuo attuale e mio antico collega Annnibale
Paloscia (non per nulla come me di scuola Paese Sera, lo ricordo per
irrorarmi un po’ della sua bravura) che dietro alle cortine di fumo
dell’Ansa e della CNN ci sa guardare, le fonti alternative le sa
trovare, la puttanata, per esempio, dei 300 ceceni a Nassiriya la sa
dimostrare falso alibi dei nostri nuovi carri e elicotteri con cannoni
da 120, per spazzare via altro che 300 civili sui ponti... Che tonfo,
Sabina! Hai concluso addirittura così: “Inutile aggiungere che
abbandonare i profughi del Darfur al loro destino sarebbe semplicemente
un crimine”. E allora vai con l’intervento umanitario! Come con i
kosovari, vero? Questa l’ha proprio dettata Rumsfeld.
Ci sono stato nel Darfur, pochi anni fa, per il TG3, con un
eccezionalmente bravo ambasciatore italiano che amava il Sudan forse
più del suo stesso paese e ne sapeva grandezze, misteri, pericoli e
nemici. C’era già allora la siccità, quella che, tra le altre cose, noi
stiamo infliggendo, con i nostri giochetti climatici, a chi non ha i
ghiacciai delle Alpi o dei poli alle spalle e i condizionatori alle
finestre. Mentre penetravamo dal semideserto in un deserto sempre più
deserto, con colonne di lunghi stracci bianchi migranti a piedi verso
Est alla ricerca di acqua, l’ambasciatore distribuiva le taniche
d’acqua ammonticchiate sul fuoristrada a gente in capanne isolate,
gente con bambini o gonfi , o stecchiti al collo, che si doveva piegare
controvento per non essere spazzata via dalla bufera di sabbia. E il
governo ne aveva già accolto quasi tre milioni (dal Sud – chissà perché
venivano tra i tagliagole islamici del Nord? – e dall’Ovest) in campi
profughi dentro e attorno a Khartum, sfamati quasi senza aiuti ONU.
Quando rientrai mi imbattevo in giornali, come quello di Sabina
Morandi, che non parlavano di sciagure naturali, o piuttosto indotte
dalle malefatte degli “sviluppati”, ma che parlavano di terribile
repressione degli agricoltori dell’Ovest e del Sud del paese, a opera
di arabi nomadi istigati dal governo islamico. Non mi restava che
digrignare i denti.
Fra poco, vedrete, ci toccherà solidarizzare con l’Intifada sudanese, e
lo faremo, come con quella palestinese e irachena, alla faccia degli
sciacalli e dei pappagalli, ma qualcuno parlerà di terroristi
integralisti all’interno della “spirale guerra-terrorismo”. Sabina, non
ci cascare. Chiedi consiglio a Annibale. Non ne possiamo più di una
stampa, presunta alternativa, che si fa trombetta delle patacche
imperiali.
=== 3 ===
Dalla lista: aa-info @ yahoogroups.com
*** da Fulvio Grimaldi:
Cerchiamo di non cadere nelle trappole delle provocazioni imperialiste.
La Cap Anamur è un'enorme bufala che cerca di preparare il terreno
all'aggressione a un grande paese arabo e africano pieno di grano e di
petrolio. La destabilizzazione viene portata avanti da 40 anni da
Vaticano, Israele, USA e GB. I padri comboniani sono la punta di lancia
della penetrazione neocolonialista. La Jugoslavia, l'Iraq,
l'Afghanistan e le relative criminalizzazioni non ci hanno insegnato
niente? Tra i più facinorosi della patacca sono infatti Il manifesto e
Liberazione, per infinita loro vergogna. Tutta la combriccola della Cap
Anamur, distintasi negli anni '7o come provocatrice anti-Vietnam,
quando l'imperialismo con i boat people - illusi dalla propaganda di
trovare l'eldorado fuori dal loro paese - volle vendicarsi della
tremenda sconfitta subita. Qui ci sono i classici: Sofri, comboniani,
ICS, USAid (cioè Cia), Medicins sans Frontieres (da sempre al soldo dei
governi imperialisti) e altri cani e porci. Nessuno dei "ripescati" è
sudanese, hanno mentito per tre settimane, sono tutti tipi da
guerriglia (infatti nel Darfur l'imperialismo ha lanciato un'offensiva
terroristica fondata su due eserciti "di liberazione" riforniti dal
vassallo Chad), omoni muscolosi e torvi tra i 17 e i 30 anni, neanche
una donna, un bambino, non era mai successo. A capo della Cap Anamur,
equivoca ONG quante altre mai, c'è una banda di sionisti. Ricordare
l'UCK. Farsi furbi quando si sente cianciare di "umanitario".
Fulvio Grimaldi, da 35 anni frequentatore del Sudan (mentre nessuno di
quelli che sparano balle "umanitarie" c'è stato o c'è ora. Salvo i
comboniani, e sappiamo a che servono i "missionari", destabilizzatori
cronici dell'Africa e del Sudan).
*** da Pino Catapano:
A sostegno di quanto dice Fulvio, vorrei sottoporvi questo illuminante
articolo apparso sul Manifesto di ieri (14 luglio 2004), a pagina 8:
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«DETENZIONE ASSURDA»
L'Associazione per i popoli minacciati (Apm) chiede «l'immediato
rilascio del presidente dell'organizzazione per i diritti umani tedesca
Elias Bierdel, del capitano della nave Stefan Schmidt e di un altro
membro dell'equipaggio». L'Apm chiede anche «l'immediata liberazione
dei 37 profughi richiedenti asilo che, secondo quanto riportato dai
mezzi d'informazione, non sono stati portati in centri di accoglienza
ma in uno dei famigerati centri di permanenza temporanea». «E' del
tutto inaccettabile che un governo europeo faccia arrestare i
rappresentanti di una organizzazione umanitaria per aver tratto in
salvo dei profughi che in un gommone stavano andando alla deriva. Negli
anni `70 la Cap Anamur, sotto la guida di Rupert Neudeck, salvò
dall'annegamento nel mare della Cina 11 mila vietnamiti, ottenendo il
riconoscimento e il plauso dell'opinione pubblica mondiale. Ora che la
Cap Anamur ha nuovamente salvato delle vite umane dovrebbe avere il
rispetto ed il sostegno di tutti gli stati europei», scrive
l'associazione in una nota.
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Qualcuno oltre a me sicuramente ricorderà l'Apm, o Gesellschaft für
bedrohte Völker e il suo ruolo nelle recenti vicende jugoslave, ma per
rinfrescarsi la memoria intanto ci si può fare un giro sul loro sito
http://www.gfbv.it/ o leggere questo frammento del famoso "Rapporto
Quemada" del '99, postato ripetutamente sulla lista Jugoinfo e ancora
reperibile sul web al link
http://quemada.itgo.com/regionalizzazione.htm
(...) La deriva "etnica" di un certo internazionalismo alla quale oggi
assistiamo è il prodotto di una fase culturale decadente, nella quale
l'impegno politico sembra ridursi ad una specie di "collezionismo di
farfalle" che non ha niente a che vedere con la difesa delle
minoranze... Bisogna infatti tracciare una linea di demarcazione tra
l'intellettualismo borghese, che porta avanti valori romantici,
passatisti e reazionari che si esauriscono nella esaltazione delle
"differenze", dall'internazionalismo ed antiimperialismo marxista, che
riconosce i diritti di tutti perché vuole l'unione tra eguali anziché
il dominio del più forte... Se l'intellettuale borghese (decadente) può
applaudire dinanzi alla distruzione sanguinosa di uno Stato
multinazionale, dove i diritti di ciascuna persona e nazionalità sono
garantiti, in nome della "autodeterminazione" di improbabili entità
etno-culturali, facendo con questo il gioco dell'imperialismo
intenzionato a
strumentalizzare quelle questioni per scardinare realtà scomode,
viceversa il rivoluzionario comunista deve essere attento ai contenuti
antifascisti, antiimperialisti ed anticapitalisti - cioè comunisti - di
questa o quella rivendicazione.
Facciamo un esempio concreto: la "Gesellschaft für Bedrohte Völker"
(GfBV, in Italia "Associazione per i Popoli Minacciati" - APM) è una
"transnazionale" con centro in Germania, che si occupa della
salvaguardia delle minoranze. Apparentemente si tratta di una
organizzazione di sinistra. Dal suo sito WEB apprendiamo che essa ha
una sezione in Bosnia, e che lavora con particolare zelo sui problemi
del Kosovo e del Sangiaccato. La sezione sudtirolese, ad esempio - che
è ovviamente distinta da quella italiana - ha gestito per anni la
"cattedra di Germanistica" della "università parallela" di Pristina.
Non solo: essa si interessa anche ai popoli dei dintorni del Caucaso,
compresi ceceni, tartari della Crimea, ed altri che a noi restano
ancora pressoché sconosciuti, ma di cui gli storici specialisti
conoscono l'appoggio fornito durante la II G. M. al progetto nazista di
"Nuovo Ordine Europeo". Dulcis in fundo la GfBV è molto preoccupata per
la maniera in cui vengono accolti in Germania gli "Aussiedler", cioè
gli appartenenti alle minoranze germaniche dell'Europa
centro-orientale, e chiede che il governo faccia di più per la loro
salvaguardia nei rispettivi paesi - che fino a 5-6 anni fa erano
l'URSS, la Jugoslavia, eccetera, ed oggi sono insignificanti
fantocci dell'imperialismo come Ucraina o Repubblica Ceca... D'altronde
Tilman Zülch, fondatore e Presidente della GfBV, "è nato il 2 settembre
1939 a Deutsch-Libau (Sudeti)", come è scritto nella sua biografia WEB:
i Sudeti sono i territori occidentali della Cecoslovacchia, al centro
allora come oggi della disputa tra tedeschi e cechi. Il cerchio dunque
si chiude.
In Italia il Comitato dei Garanti della APM annovera al suo interno il
noto medievalista Franco Cardini, dichiaratamente di destra, ed un tale
Sergio Salvi che ha recentemente pubblicato un libro dal titolo
"L'Italia non esiste" (Camunia, Firenze 1996), nel quale viene dunque
superata la celebre affermazione di Metternich ("L'Italia è soltanto
un'espressione geografica"). L'APM ha rapporti con le riviste della
"nuova" destra
comunitarista-internazionalista (es. "Frontiere") e, guarda caso, con i
croati attraverso Sandro Damiani, giornalista fiumano, che gestisce la
"Associazione Culturale Italia-Croazia". La APM sottoscrive proclami
per la "autodeterminazione del Kosovo" insieme a gruppi nonviolenti
cattolici trovando spazio su pubblicazioni come "Il Manifesto" e
"AlternativeEuropa"... Perché?
In effetti e' almeno dagli anni '80 che si è affermata una corrente di
"antiimperialismo ingenuo", a cavallo tra destra e sinistra.
Inizialmente il discorso legava con la critica al socialismo reale (es:
Afghanistan), oggi pero' gli "imperialismi" da scardinare sono un po'
tutti gli Stati che si vogliono prendere di mira. Con la richiesta di
una "Europa delle regioni" da parte di settori che con la sinistra non
hanno mai avuto niente a che spartire è divenuto infine chiaro che la
colorazione libertaria-ecologica-sociale di questi movimenti serve
talvolta solamente come facciata. Tra danze bretoni ed amuleti celtici
l'effettivo essere sociale degli individui si svilisce in comunità di
stampo folkloristico: "Noi non vogliamo un'Europa d'un grigiore
indistinto, ma bensì come un insieme di specificità nazionali e
regionali" (Helmut Kohl): si intende la
parcellizzazione in frammenti territoriali al di sopra dei quali si
erga il dominio unificatore del più forte.
1. La faccenda Cap Anamur e le ambizioni della politica estera tedesca
(Juergen Elsaesser, da Junge Welt)
2. Il Sudan di Sabina (Fulvio Grimaldi, da MONDOCANE FUORILINEA, 22/6/4)
3. Sulla Cap Anamur e sul problema Sudan... e sulla immancabile
"Gesellschaft für Bedrohte Völker" (Fulvio Grimaldi e Pino Catapano)
=== 1 ===
La faccenda Cap Anamur e le ambizioni della politica estera tedesca
Jürgen Elsässer (*), "Junge Welt" , 12.07.2004
Il dramma dei profughi svoltosi al largo delle coste siciliane ed altri
trucchi per mettere in piedi un intervento “umanitario” nel Sudan.
Lunedì sera le autorità italiane avevano tratto in arresto Elias
Bierdel, il direttore dell’organizzazione tedesca Cap Anamur a Porto
Empedocle, nel sud della Sicilia. Con l’attracco della cosiddetta nave
di salvataggio dell’organizzazione al porto della cittadina, si era
concluso un braccio di ferro durato parecchi giorni. 37 profughi
potevano finalmente, raggiungere la terra ferma, ma essi sono subito
stati arrestati per essere avviati all’espulsione, previo verifica del
rispettivo stato di profugo. Contro Bierdel e contro il capitano della
nave, le autorità italiane starebbero valutando gli indizi per
eventualmente aprire una procedura penale con l’accusa di
“favoreggiamento dell’immigrazione illegale”.
Bierdel può contare sulla simpatia di associazioni dedicate ai profughi
e di attivisti dei diritti umani. Ma vi sono almeno due indizi che
fanno pensare che egli non era mosso tanto dalla preoccupazione per la
salvaguardia dei naufraghi, quanto da motivi di relazioni pubbliche per
promuovere una politica assai criticabile. Vero è che tra la Cap Anamur
e le autorità italiane, la questione se il naufragio degli africani si
sia compiuto più vicino alle coste maltesi od a quelle dell’isola
italiana di Lampedusa, quando il 20 giugno i 37 furono salvati, e
tuttora aperta. Ma non vi è alcun dubbio che la nave di Bierdel
dapprima era attraccata a Malta, il giorno del 24 giugno. In seguito,
invece di lasciare i naufraghi salvati a Malta, dal 1 luglio i tedeschi
cercavano di entrare nello spazio marittimo italiano. Forse perché
facendo così, la faccenda poteva acquistare una maggiore spettacolarità
per la CNN e gli altri confezionatori di notizie ?
Un altro trucco consisteva nella classificazione dei profughi quali
sudanesi. Sulle prime, la loro identità non era del tutto chiara.
Subito dopo il salvataggio, Bierdel aveva registrato nel libro di bordo
“Attualmente stiamo verificando da dove provengano i naufraghi e in
quali circostanze siano partiti sul loro viaggio. Questo è difficile
perché solo alcuni di loro sanno dire qualche parola in inglese.”
(www.cap-anamur.org). Ma poi – e siamo sempre in alto mare – i problemi
di comunicare con i naufraghi sembrano essersi risolti in fretta,
considerando che su tutti i canali si racconterà la storia degli
africani provenienti dal Sudan. Il trucchetto è chiaro: etichettandoli
come sudanesi, la loro triste situazione si faceva inquadrare nella
strategia della politica estera tedesca che, attualmente, punta a
“dirigere tutti i fari dell’opinione pubblica mondiale” (il Ministro
Joseph Fischer) sul Sudan. Con modi più aggressivi di quelli degli
stessi USA, la Germania è determinata a spingere il Consiglio di
Sicurezza dell’ONU a deliberare sanzioni contro il Sudan e politici
influenti quali la Ministro per la Cooperazione con i paesi emergenti,
Heidemarie Wieczorek-Zeul (SPD) e l’ex-Ministro agli Interni, Gerhard
Baum (FDP) propongono addirittura un intervento militare. Per
giustificare una tale richiesta, servono destini umani da poter esporre
ai telespettatori per convincere l’opinione pubblica della necessità di
un cosiddetto pronto intervento umanitario contro l’emergenza,
all’occorrenza anche per mezzo di bombe e missili.
L’organizzazione Cap Anamur ha acquisito esperienza con la produzione
di questi destini umani. Fondata nel 1979 da Rupert Neudeck, il primo
obiettivo dichiarato dell’organizzazione era stato il salvataggio dei
naufraghi vietnamiti, i Boat People, che si diceva essere in fuga verso
un presunto occidente libero. Nel 1997, il Sig. Neudeck era presente
quando l’opposizione congolese, appoggiata dagli USA, cacciò il
dittatore Mobutu da Kinshasa. Di nuovo all’assalto dell’ideologia
socialista, egli partecipò all’azione in Corea Settentrionale che poi,
nel 2002, all’improvviso fu interrotta. Particolarmente sospettabile
era il suo impegno per i Balcani: Neudeck appoggiava la propaganda
anti-serba della NATO in Bosnia e nel Kosovo senza se e senza ma.
Bierdel, all’epoca ancora corrispondente della (TV tedesca) ARD, si
dava da fare per corredare le storie-horror raccontate dall’allora
Ministro alla Difesa Rudolf Sharping con piccoli aneddoti raccolti qua
e là. Con ciò, il giornalista si qualificò per diventare, l’anno
scorso, successore di Neudeck alla guida di Cap Anamur.
In una specie di copione della campagna anti-jugoslava, le potenze
occidentali stanno conducendo contro il Sudan una crociata con l’arma
delle bugie umanitarie. Il punto d’attracco della campagna è la
situazione creatasi nella provincia di Darfur, dove risiedono 7 dei
complessivamente 31 milioni di sudanesi e dov’è in atto una guerra
civile tra popolazioni africane ed arabe. Lo strazio dei profughi sarà
aumentato dalla stagione delle piogge che sta per iniziare in questi
giorni, rendendo le strade inutilizzabili per il trasporto dei beni di
soccorso. Secondo gli esperti dell’ONU, 350 000 persone rischiano di
morire di fame entro breve in questa regione, dove divampa la crisi.
Intanto, il problema non sono le cifre, difficilmente verificabili –
anche diecimila morti farebbero una tragedia umana spaventosa – bensì
le attribuzioni unilaterali delle responsabilità. Secondo la propaganda
occidentale, gli unici responsabili per l’esacerbarsi della situazione
sarebbero le milizie cavallerizze arabe, i cosiddetti giangiawid che,
appoggiate da truppe governative, starebbero saccheggiando villaggi
africani. Le loro offensive avrebbero già creato 30 000 vittime negli
ultimi mesi – così almeno ci riferiscono gli esperti dell’agenzia
Reuters. Di conseguenza, i fautori dell’intervento militare, ripetendo
il copione propagandistico collaudato nella campagna balcanica, non
parlano di una guerra civile, ma insistono sul termine di “pulizia
etnica” (parole di Kerstin Mueller, sottosegretario al Ministero degli
Esteri) e di “guerra di espulsione” (FAZ, 27.05.04). Delle volte, ci
vuole qualche creatività terminologica per potere adoperare tale
pesante armamento linguistico con la sua carica di precisione – in
presenza di fatti tutt’altro che trasparenti. Così ad esempio, il
Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan, a fine giugno, si esibiva in
esercizi da funambolo semantico spingendosi “al limite della pulizia
etnica”, ed anche il Segretario di Stato USA, Colin Powell, si disse
incerto se siamo “di fronte alla fattispecie del genocidio ai sensi
della legge internazionale”.
Ma di sofisticherie di questo tipo, Christa Nickels non ne vuole
sapere: nonostante la Presidente della Commissione parlamentare per i
Diritti Umani, durante il suo viaggio esplorativo intrapreso in maggio
non si sia mai spinta fino alla regione dove divampa la crisi, al suo
ritorno seppe raccontare con precisione che vi sarebbe in atto “in
sostanza, un genocidio”. Intanto, il premio come campione delle
campagne di pubbliche relazioni dovrebbe spettare al portavoce dei
ribelli di Darfur il quale aveva dettato ad un giornalista la frase,
trascritta sul computer portatile di quest’ultimo: “questa è la nostra
Srebrenica”. Qualcuno, a Darfur, sapeva benissimo quali parole d’ordine
occorre impiegare per fare scattare il riflesso interventista
dell’Europa.
Jürgen Elsässer
*Nota:
Jürgen Elsässer, giornalista per la Junge Welt e precedentemente per
Konkret, è l’autore, tra l’altro, di:
Menzogne di Guerra, pubblicato da Città del Sole, 2002
Titolo originale:
Kriegsverbrechen – Die toedlichen Luegen der Bundesregierung und ihre
Opfer im Kosovokonflikt, KVV Konkret-Verlag, Amburgo, 2000
Kriegsluegen – Vom Kosovokonflikt zum Milosevic-Prozess, (edizione
allargata del precedente titolo), Karl Homilius Verlag, 2004.
Il presente articolo è stato scritto per Junge Welt:
http:www.jungewelt.de
=== 2 ===
Il Sudan di Sabina
(Fulvio Grimaldi, da MONDOCANE FUORILINEA, 22/6/4)
Vale la pena raccontare come capitai per la prima volta in Sudan.
Correva l’anno 1971. Fresco come un bucaneve, giravo il mondo e
scrivevo e fotografavo di guerre e rivoluzioni per giornali di sinistra
come “Giorni-Vie Nuove”, “Astrolabio”, “Sette Giorni”. I giornali di
sinistra pagano poco e a soprassalti: serve a mantenere alto il morale
dell’inviato e persuasivo il carattere progressista della testata. Dopo
essermi fatto tutta l’Eritrea a piedi con il Fronte di Liberazione
Eritreo (quello buono; l’altro, l’FPLE, cristiano, ma caro ai marxisti
e oggi al potere con USA e Israele, s’è visto come è andato a finire),
le esauste risorse mi avevano costretto nell’ostello della gioventù di
Khartum. Incrociai un giovane funzionario del Ministero
dell’Informazione, militante del Baath, panarabo, nazionalista e
socialista (quello al potere in Siria e con Saddam in Iraq),
determinato a far sentire alle sinistre terzomondiste in Italia le
ragioni della rivoluzione sudanese. Quella del colonello Ghaafar
Nimeiry, emulo di Nasser e dei Giovani Ufficiali della grande
decolonizzazione araba. Mi prese con sé su una jeep e mi fece
attraversare mezzo Sudan all’inseguimento del presidente che visitava
città, villaggi, aziende, progetti di sviluppo. Lo beccammo nel sud,
nella città di Wau, mentre cenava a una tavolatona all’aperto con
ministri e notabili locali. Mi inserii tra frutta e whisky (Sudan
allora laicizzato e dunque sbevazzone) e venni accolto dal Raìs e
avvolto da una calda notte equatoriale, frastornata di cicale e di
racconti del presidente che si spensero solo alle prime luci dell’alba.
Tutti a parlare di Sudan, di questi tempi. E già questo dovrebbe
suscitare sospetti. Da qualche mese si sono intensificati i notiziari,
i reportage sulla catastrofe umanitaria e politica determinata nella
regione occidentale del Darfur dal governo di Omar el Bashir. Esercito
e squadracce miliziane che si accaniscono su poveri profughi, eserciti
di liberazione che si sollevano a difesa delle popolazioni discriminate
quando non macellate, morti e fuggiaschi a gogò, la fame che imperversa
per colpa del regime, le agenzie umanitarie che non glie la fanno,
quelle dei diritti umani che sparano un dito sempre più lungo e puntuto
– pare il naso di Pinocchio…- verso Khartum. E rivedo un film già visto
allora. Nimeiry mi spiegò in lungo e in largo come la sua lotta
antineocoloniale avesse provocato ogni sorta di incazzatura degli ex e
neo-colonialisti: britannici, preti, europei vari, israeliani. Dicono
tutti che la guerra separatista del Sud “animista e cristiano” (ci sono
stato al Sud, a Giuba, di cristiano ci sono quattro chiese, una marea
di santini comboniani, ma il 90% della popolazione crede ai suoi dei di
acqua, terra, aria e fuoco), contro le soperchierie degli integralisti
islamici al governo, sia iniziata nel 1981. Invece iniziò vent’anni
prima, con gli stessi istigatori di oggi, appena il Sudan aveva tentato
di avviarsi sulla via di una vera indipendenza. Tagliare i fili della
memoria, come quando nessuno ricorda che gli USA tutte le guerre le
hanno iniziate facendo prima un gran botto, tipo 11 settembre, da
attribuire al “nemico”. Ora tra le “efferatezze” del Sudan manca solo
un suo missile su Disneyland, con 4000 bimbetti disintegrati (e pensare
che nel 1997 Khartum, che se l’era trovato tra i piedi, offrì agli USA
l’estradizione di Osama bin Laden. Quelli risposero: non c’interessa,
speditelo in Afghanistan!).
Fin da quando la rivoluzione nazionalista e laica, con la
nazionalizzazione delle risorse strategiche, con scuole e sanità, si
affermò in Sudan, negli anni ’60, inziarono i casini nel Sud delle
etnie negroidi. C’era già allora l’esercito di liberazione del Sud
(SPLA), c’era già a capo John Garang, un generale fellone diventato
gangster e combattuto più da bande rivali, in competizione per le
ricchezze minerarie e lignee dell’Equatoria, che dall’esercito
governativo. C’erano già allora le spie e le armi di Israele e Regno
Unito, poi sarebbero arrivati anche gli statunitensi. Mentre la
copertura mediatica e ideologica veniva fornita dai missionari
comboniani, dall’800 nel paese con monaci, suore, aziende, affari
finanziari e brighe eversive. Anche se allora mancava l‘appiglio
dell’”integralismo islamico” e dell’”emarginazione del Sud nero,
animista e cristiano”. In quell’anno Khartum aveva investito nel Sud,
lasciato dagli inglesi in preda al tipico sottosviluppo da colonialismo
( inglesi poi sconfitti con il generale Gordon nel 1885 in una delle
più gloriose battaglie degli oppressi contro gli oppressori) quasi la
metà del bilancio di uno Stato di cui quella regione era un sesto. E’
la società era stata laicizzata ed emancipata: indimenticabili le
donne, alte, color fondente, con gli spacchi fino al bacino, che
suonavano la tarantella sul pentagramma dei miei pensieri.
Poi ci furono le trattative, i compromessi, gli accordi di pace. Ma
regolarmente la rivolta si riaccendeva, anche se più tra rivali della
secessione che tra questi e il potere centrale. Così per tutti gli anni
’70 e ’80. Coloro che da fuori rimestavano nel sangue e nei progetti di
rapina, non si rassegnavano a lasciare in piedi e unito il più grande
paese arabo e dell’Africa. Finalmente ora, nel 2004, rinunciato alla
Sharìa per tutti, accordata una vasta autonomia al Sud, comprensiva
della gestione di buona parte dei proventi petroliferi (petrolio
sospettato al tempo di Nimeiry, confermato quando un golpe portò al
potere una spia degli inglesi, il Mahdi, iniziato ad estrarre da
cinesi, canadesi ed europei sotto l’attuale governo di Bashir),
concordato un referendum su indipendenza o unità entro sei anni, il
governo riteneva di poter far godere a uno dei popoli più evoluti e
gentili del mondo la sua meritata dose di progresso e pace. Niente.
Grandi paesi del Terzo Mondo, grandi unità di diversi, grandi
potenzialità non possono restare in vita. L’imperialismo preferisce la
Croazia fascistizzata, la Bosnia mafizzata, il Kosovo snaturato, il
Kurdistan narcotrafficante, gli sciti sprofondati nel Medioevo, i
sunniti alla fame, e magari i padani con per capitale l’ombelico di
Bossi e per confine là dove arriva il raglio di Castelli, preferisce
tutto questo a ciò che storia, solidarietà, destino e progetto comune
avevano messo insieme. In particolare, l’imperialismo e il suo rostro
sionista hanno sul piloro la nazione araba, ancora rabbrividiscono al
pensiero di cosa fece negli anni ’50 e ’60 ai cugini inglesi, agli
alleati francesi, perfino agli straccioni all’iprite italiani. Sennò
cosa avrebbe miscelato in provetta a fare, l’imperialismo, uno Stato
ebraico là dove da millenni stavano palestinesi? Sennò a cosa
servirebbe mai il Piano neocon-neonazi del “Grande Medioriente” dal
Marocco all’Afghanistan (Iran, Turchia e Afghanistan con la nazione
araba non c’entrano niente, ma servono a diluirla), il genocidio dei
renitenti palestinesi, dei troppo arabi iracheni, gli attentati
Cia-Mossad in Arabia Saudita, Turchia, Marocco, la mazzetta di 3
miliardi di dollari all’anno allo stalliere Mubarak, le sanzioni alla
Libia, il terrorismo “islamico-Cia” in Algeria e, ora, il perenne
terremoto innescato da Langley in Sudan?
Perciò, appena conclusa in Kenya la pace nel Sud, ecco che i mastini da
guerra, addestrati da San Pietro, Mosè e Mickey Mouse, sono ripartiti
alla carica nell’ovest. Il coro si va facendo assordante, strepitano
tutti: come sempre, i comboniani forniscono l’indiscutibile
testimonianza oculare e informazione obiettiva, ONU e FAO,
preoccupate, parlano di difficoltà nel far arrivare i rifornimenti,
Amnesty International e ONG ancora più occhiute sollevano i vessilli
dei diritti umani finiti nelle sabbie roventi della repressione
islamista. E subito spuntano ben due “eserciti di liberazione
nazionale”, tipo UCK kosovaro, chissà da chi muniti di armi moderne, e
subito appaiono milizie terroristiche che agiscono per conto del
governo e commettono stragi di innocenti (e magari sono gruppi di
autoprotezione aiutati, sì, dal governo, ma contro le provocazioni
degli eversori mercenari del complotto imperialista). E subito c’è
anche un paese, il Chad, guardacaso miserrimo e di obbedienza
statunitense, che si presta a soccorrere i profughi – Centomila? Un
milione? – ma non ha di che nutrirli e se li vede appassire tra le
mani. Non circola neanche un inviato di qualche giornale o tivù da
quelle parti, ma tutti sfanfareggiano di indicibili massacri:
centomila?, Un milione? Tre milioni a rischio…
Così anche la giornalista, una di quelle vere, di “Liberazione”, Sabina
Morandi.
Titola “Sudan, la guerra che non fa notizia”. Ammazza, Sabina, se non
fa notizia! Ma se si sono dati tutti appuntamento sull’imminente
decapitazione del Sudan, velinari, analisti, corsivisti, provocatori,
esperti, tutti saldamente, come te, ancorati alla loro seggiola con
sguardo sul Bar Pippo. Ci fai rabbrividire, come quei tuoi colleghi dei
grandi media, vi cola sangue misto a resti cerebrali dalla penna: “Ogni
giorno le condizioni di vita uccidono tra i sei e gli otto bambini, fra
poco moriranno 300.000 persone di fame, almeno diecimila morti
nell’ultimo anno e mezzo, fra 800mila e un milione di profughi”.La
fonte?Human Rights Watch, figurarsi !Basta il tono:”Il governo
Sudanese è responsabile di pulizia etnica e di crimini contro
l’umanità. Nel Darfur vige il terrore”. Vi ricorda qualcosa? Il Kosovo
forse? O le armi di distruzione di massa di Saddam? O i poveri
“dissidenti” di Cuba? O i tibetani >>>>sterminati dai cinesi? E vai,
Sabina, con le citazioni e con le fonti. Manca nessuno. Kofi Anan,
l’ONU, il Fronte di Liberazione del Darfur, le Acli (quelle che
addestrano mercenari con istruttori israeliani), Caritas, Comboniani…
Non manca che la CIA, ma c’è UsAid, che è uguale, forse peggio,
chiedilo ai latinoamericani, visto che sei capace di dar credito alla
più fetecchia delle fetecchie tra le agenzie di penetrazione
imperialista USA E un minimo di memoria storica, di sapienza
geopolitica e di occhi aperti sull’offensiva imperialista e
neocoloniale contro i popoli con le risorse, contro le grandi nazioni,
contro i governi refrattari alla prostituzione della sovranità. Quanto
meno, se proprio ami spassionatamente l’Ansa e la CNN, un microscopico
dubbio!
Occhio, Sabina, stai in un giornale di sinistra, un giornale che
dovrebbe rappresentare un altro mondo, altre verità. Invece sei uguale
a “Libero”, a “Repubblica”, al New York Times”, a Giuliano Ferrara, Gad
Lerner e Paolo Mieli, “first class journalist”, come dice
Rina-Fede-Gagliardi. Forse neanche tu sei comunista e quindi, per
forza, ti manca la chiave di lettura. E poi stai accanto a chi ci
ossessiona e ci intossica un giorno sì e l’altro pure con la trappola
neocon-neonazi della “spirale guerra-terrorismo”, ch’hai da fa… Magari
se dessi un po’ retta al tuo attuale e mio antico collega Annnibale
Paloscia (non per nulla come me di scuola Paese Sera, lo ricordo per
irrorarmi un po’ della sua bravura) che dietro alle cortine di fumo
dell’Ansa e della CNN ci sa guardare, le fonti alternative le sa
trovare, la puttanata, per esempio, dei 300 ceceni a Nassiriya la sa
dimostrare falso alibi dei nostri nuovi carri e elicotteri con cannoni
da 120, per spazzare via altro che 300 civili sui ponti... Che tonfo,
Sabina! Hai concluso addirittura così: “Inutile aggiungere che
abbandonare i profughi del Darfur al loro destino sarebbe semplicemente
un crimine”. E allora vai con l’intervento umanitario! Come con i
kosovari, vero? Questa l’ha proprio dettata Rumsfeld.
Ci sono stato nel Darfur, pochi anni fa, per il TG3, con un
eccezionalmente bravo ambasciatore italiano che amava il Sudan forse
più del suo stesso paese e ne sapeva grandezze, misteri, pericoli e
nemici. C’era già allora la siccità, quella che, tra le altre cose, noi
stiamo infliggendo, con i nostri giochetti climatici, a chi non ha i
ghiacciai delle Alpi o dei poli alle spalle e i condizionatori alle
finestre. Mentre penetravamo dal semideserto in un deserto sempre più
deserto, con colonne di lunghi stracci bianchi migranti a piedi verso
Est alla ricerca di acqua, l’ambasciatore distribuiva le taniche
d’acqua ammonticchiate sul fuoristrada a gente in capanne isolate,
gente con bambini o gonfi , o stecchiti al collo, che si doveva piegare
controvento per non essere spazzata via dalla bufera di sabbia. E il
governo ne aveva già accolto quasi tre milioni (dal Sud – chissà perché
venivano tra i tagliagole islamici del Nord? – e dall’Ovest) in campi
profughi dentro e attorno a Khartum, sfamati quasi senza aiuti ONU.
Quando rientrai mi imbattevo in giornali, come quello di Sabina
Morandi, che non parlavano di sciagure naturali, o piuttosto indotte
dalle malefatte degli “sviluppati”, ma che parlavano di terribile
repressione degli agricoltori dell’Ovest e del Sud del paese, a opera
di arabi nomadi istigati dal governo islamico. Non mi restava che
digrignare i denti.
Fra poco, vedrete, ci toccherà solidarizzare con l’Intifada sudanese, e
lo faremo, come con quella palestinese e irachena, alla faccia degli
sciacalli e dei pappagalli, ma qualcuno parlerà di terroristi
integralisti all’interno della “spirale guerra-terrorismo”. Sabina, non
ci cascare. Chiedi consiglio a Annibale. Non ne possiamo più di una
stampa, presunta alternativa, che si fa trombetta delle patacche
imperiali.
=== 3 ===
Dalla lista: aa-info @ yahoogroups.com
*** da Fulvio Grimaldi:
Cerchiamo di non cadere nelle trappole delle provocazioni imperialiste.
La Cap Anamur è un'enorme bufala che cerca di preparare il terreno
all'aggressione a un grande paese arabo e africano pieno di grano e di
petrolio. La destabilizzazione viene portata avanti da 40 anni da
Vaticano, Israele, USA e GB. I padri comboniani sono la punta di lancia
della penetrazione neocolonialista. La Jugoslavia, l'Iraq,
l'Afghanistan e le relative criminalizzazioni non ci hanno insegnato
niente? Tra i più facinorosi della patacca sono infatti Il manifesto e
Liberazione, per infinita loro vergogna. Tutta la combriccola della Cap
Anamur, distintasi negli anni '7o come provocatrice anti-Vietnam,
quando l'imperialismo con i boat people - illusi dalla propaganda di
trovare l'eldorado fuori dal loro paese - volle vendicarsi della
tremenda sconfitta subita. Qui ci sono i classici: Sofri, comboniani,
ICS, USAid (cioè Cia), Medicins sans Frontieres (da sempre al soldo dei
governi imperialisti) e altri cani e porci. Nessuno dei "ripescati" è
sudanese, hanno mentito per tre settimane, sono tutti tipi da
guerriglia (infatti nel Darfur l'imperialismo ha lanciato un'offensiva
terroristica fondata su due eserciti "di liberazione" riforniti dal
vassallo Chad), omoni muscolosi e torvi tra i 17 e i 30 anni, neanche
una donna, un bambino, non era mai successo. A capo della Cap Anamur,
equivoca ONG quante altre mai, c'è una banda di sionisti. Ricordare
l'UCK. Farsi furbi quando si sente cianciare di "umanitario".
Fulvio Grimaldi, da 35 anni frequentatore del Sudan (mentre nessuno di
quelli che sparano balle "umanitarie" c'è stato o c'è ora. Salvo i
comboniani, e sappiamo a che servono i "missionari", destabilizzatori
cronici dell'Africa e del Sudan).
*** da Pino Catapano:
A sostegno di quanto dice Fulvio, vorrei sottoporvi questo illuminante
articolo apparso sul Manifesto di ieri (14 luglio 2004), a pagina 8:
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«DETENZIONE ASSURDA»
L'Associazione per i popoli minacciati (Apm) chiede «l'immediato
rilascio del presidente dell'organizzazione per i diritti umani tedesca
Elias Bierdel, del capitano della nave Stefan Schmidt e di un altro
membro dell'equipaggio». L'Apm chiede anche «l'immediata liberazione
dei 37 profughi richiedenti asilo che, secondo quanto riportato dai
mezzi d'informazione, non sono stati portati in centri di accoglienza
ma in uno dei famigerati centri di permanenza temporanea». «E' del
tutto inaccettabile che un governo europeo faccia arrestare i
rappresentanti di una organizzazione umanitaria per aver tratto in
salvo dei profughi che in un gommone stavano andando alla deriva. Negli
anni `70 la Cap Anamur, sotto la guida di Rupert Neudeck, salvò
dall'annegamento nel mare della Cina 11 mila vietnamiti, ottenendo il
riconoscimento e il plauso dell'opinione pubblica mondiale. Ora che la
Cap Anamur ha nuovamente salvato delle vite umane dovrebbe avere il
rispetto ed il sostegno di tutti gli stati europei», scrive
l'associazione in una nota.
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Qualcuno oltre a me sicuramente ricorderà l'Apm, o Gesellschaft für
bedrohte Völker e il suo ruolo nelle recenti vicende jugoslave, ma per
rinfrescarsi la memoria intanto ci si può fare un giro sul loro sito
http://www.gfbv.it/ o leggere questo frammento del famoso "Rapporto
Quemada" del '99, postato ripetutamente sulla lista Jugoinfo e ancora
reperibile sul web al link
http://quemada.itgo.com/regionalizzazione.htm
(...) La deriva "etnica" di un certo internazionalismo alla quale oggi
assistiamo è il prodotto di una fase culturale decadente, nella quale
l'impegno politico sembra ridursi ad una specie di "collezionismo di
farfalle" che non ha niente a che vedere con la difesa delle
minoranze... Bisogna infatti tracciare una linea di demarcazione tra
l'intellettualismo borghese, che porta avanti valori romantici,
passatisti e reazionari che si esauriscono nella esaltazione delle
"differenze", dall'internazionalismo ed antiimperialismo marxista, che
riconosce i diritti di tutti perché vuole l'unione tra eguali anziché
il dominio del più forte... Se l'intellettuale borghese (decadente) può
applaudire dinanzi alla distruzione sanguinosa di uno Stato
multinazionale, dove i diritti di ciascuna persona e nazionalità sono
garantiti, in nome della "autodeterminazione" di improbabili entità
etno-culturali, facendo con questo il gioco dell'imperialismo
intenzionato a
strumentalizzare quelle questioni per scardinare realtà scomode,
viceversa il rivoluzionario comunista deve essere attento ai contenuti
antifascisti, antiimperialisti ed anticapitalisti - cioè comunisti - di
questa o quella rivendicazione.
Facciamo un esempio concreto: la "Gesellschaft für Bedrohte Völker"
(GfBV, in Italia "Associazione per i Popoli Minacciati" - APM) è una
"transnazionale" con centro in Germania, che si occupa della
salvaguardia delle minoranze. Apparentemente si tratta di una
organizzazione di sinistra. Dal suo sito WEB apprendiamo che essa ha
una sezione in Bosnia, e che lavora con particolare zelo sui problemi
del Kosovo e del Sangiaccato. La sezione sudtirolese, ad esempio - che
è ovviamente distinta da quella italiana - ha gestito per anni la
"cattedra di Germanistica" della "università parallela" di Pristina.
Non solo: essa si interessa anche ai popoli dei dintorni del Caucaso,
compresi ceceni, tartari della Crimea, ed altri che a noi restano
ancora pressoché sconosciuti, ma di cui gli storici specialisti
conoscono l'appoggio fornito durante la II G. M. al progetto nazista di
"Nuovo Ordine Europeo". Dulcis in fundo la GfBV è molto preoccupata per
la maniera in cui vengono accolti in Germania gli "Aussiedler", cioè
gli appartenenti alle minoranze germaniche dell'Europa
centro-orientale, e chiede che il governo faccia di più per la loro
salvaguardia nei rispettivi paesi - che fino a 5-6 anni fa erano
l'URSS, la Jugoslavia, eccetera, ed oggi sono insignificanti
fantocci dell'imperialismo come Ucraina o Repubblica Ceca... D'altronde
Tilman Zülch, fondatore e Presidente della GfBV, "è nato il 2 settembre
1939 a Deutsch-Libau (Sudeti)", come è scritto nella sua biografia WEB:
i Sudeti sono i territori occidentali della Cecoslovacchia, al centro
allora come oggi della disputa tra tedeschi e cechi. Il cerchio dunque
si chiude.
In Italia il Comitato dei Garanti della APM annovera al suo interno il
noto medievalista Franco Cardini, dichiaratamente di destra, ed un tale
Sergio Salvi che ha recentemente pubblicato un libro dal titolo
"L'Italia non esiste" (Camunia, Firenze 1996), nel quale viene dunque
superata la celebre affermazione di Metternich ("L'Italia è soltanto
un'espressione geografica"). L'APM ha rapporti con le riviste della
"nuova" destra
comunitarista-internazionalista (es. "Frontiere") e, guarda caso, con i
croati attraverso Sandro Damiani, giornalista fiumano, che gestisce la
"Associazione Culturale Italia-Croazia". La APM sottoscrive proclami
per la "autodeterminazione del Kosovo" insieme a gruppi nonviolenti
cattolici trovando spazio su pubblicazioni come "Il Manifesto" e
"AlternativeEuropa"... Perché?
In effetti e' almeno dagli anni '80 che si è affermata una corrente di
"antiimperialismo ingenuo", a cavallo tra destra e sinistra.
Inizialmente il discorso legava con la critica al socialismo reale (es:
Afghanistan), oggi pero' gli "imperialismi" da scardinare sono un po'
tutti gli Stati che si vogliono prendere di mira. Con la richiesta di
una "Europa delle regioni" da parte di settori che con la sinistra non
hanno mai avuto niente a che spartire è divenuto infine chiaro che la
colorazione libertaria-ecologica-sociale di questi movimenti serve
talvolta solamente come facciata. Tra danze bretoni ed amuleti celtici
l'effettivo essere sociale degli individui si svilisce in comunità di
stampo folkloristico: "Noi non vogliamo un'Europa d'un grigiore
indistinto, ma bensì come un insieme di specificità nazionali e
regionali" (Helmut Kohl): si intende la
parcellizzazione in frammenti territoriali al di sopra dei quali si
erga il dominio unificatore del più forte.