(english / italiano)

L'eroica resistenza del popolo iracheno (4)

1. «Ho visto i nostri bruciare le case». Tornati dall'Iraq, gli uomini
della Brigata Garibaldi raccontano di violenze, abusi e furti compiuti
da loro commilitoni contro la popolazione civile.

2. Dichiarazione di Anundhati Roy in difesa della Resistenza irachena

3. Il comico Luttwak e la resa vittoriosa (A. Robecchi)


Vedi anche, in lingua inglese / SEE ALSO:

*** The slaughter of Iraq's intellectuals ***

...Since the occupation began, some 200 leading Iraqi academics, most
of them in the humanities and social sciences, have been killed. Is the
CIA responsible?

by ANDREW RUBIN
http://www.newstatesman.com/site.php3?newTemplate=
NSArticle_NS&newDisplayURN=200409060018

http://www.uruknet.info/?s1=1&p=5278&s2=03

*** Demonize to Colonize ***

...The complete demonization of Saddam Hussein threatens to determine
every decision and action affecting not only his future but that of
Iraq as well...

by RAMSEY CLARK
http://www.covertactionquarterly.org/demonize.html

http://www.uruknet.info/?s1=1&p=5224&s2=31


=== 1 ===

MILITARI ITALIANI IN IRAQ

«Ho visto i nostri bruciare le case»

Le testimonianze dei bersaglieri. Tornati dall'Iraq, gli uomini della
Brigata Garibaldi raccontano di violenze, abusi e furti compiuti da
loro commilitoni contro la popolazione civile. «L'abbiamo riferito ai
nostri superiori, ma non potevamo fare denunce formali. Se lo avessimo
fatto, la nostra carriera sarebbe finita»

Il manifesto, 3/9/2004

ROBERTO SAVIANO
CASERTA
«In Iraq i nostri commilitoni si divertivano a circoscrivere le
abitazioni di alcuni sospetti con la benzina, accendevano e guardavano
il fuoco avvolgere la casa di quei poveri cristi che urlavano. Poi
spegnevano e arrestavano questa gente. Ma nella maggior parte dei casi
risultavano del tutto innocenti». Questi i racconti dei soldati appena
tornati dopo oltre sei mesi passati in Iraq alla caserma Garibaldi nel
cuore di Caserta. Gli uomini della Brigata Garibaldi hanno battuto ogni
terreno di guerra: Somalia, Kosovo, Mozambico ed adesso l'Iraq.
Incontriamo un gruppo di «reduci» in un bar dove quasi sempre si
raccolgono i bersaglieri in libera uscita. Hanno finito il loro primo
ciclo in Iraq. Torneranno li giù molto presto. Il caporale G.M. è il
primo che vuole raccontare della sua esperienza. Parla con un
espressione a metà tra la stanchezza e il disgusto: «Non dimenticheremo
mai cosa abbiamo visto. Miseria totale, ragazzini che ti si attaccavano
agli anfibi per una bottiglietta d'acqua, donne anziane che dormivano
per terra con piaghe dappertutto». I militari sono stanchi ma anche
sconvolti. Chiedono di non citare il loro nome ed aggiungono che «non è
la prima volta che un bersagliere viene punito e messo sotto inchiesta
perché parla con i giornali». Tutti hanno un ricordo terribile, ognuno
ha assistito a scene di fame e malattia. Lo raccontano come se qui le
persone non ne sapessero nulla. «Ai tg noi vediamo un altro Iraq.
Quando racconto cosa ho visto mia madre mi dice, ma sei sicuro che sei
stato in Iraq? Non capisco perché la televisione non dice niente, non
fa vedere niente». «E' vero - aggiunge P.L. è l'unico in abiti borghesi
- ai telegiornali non ho mai visto immagini di uomini che si muoiono di
fame e di bambini che scavano per cercare di rompere qualche tubatura
dell'acqua e bere. In Iraq ogni volta che ero di pattuglia ne vedevo
centinaia di scene così».

Chiediamo se gli aiuti del volontariato internazionale riescono ad
arrivare, se c'è una capillarità di distribuzione se gli Usa permettono
che i pacchi umanitari arrivino ovunque. «Altro che aiuti - interviene
F.L. - ho visto i marines entrare in case di sole donne. Mettevano i
mitra in faccia alle donne e stringevano le manette ai polsi di
ragazzini che non avevano più di 5 o 6 anni. Io ho foto di bambini
messi faccia al muro come criminali, fatti inginocchiare,
schiaffeggiati». Sulla combriccola cala silenzio. Non ha tutti
evidentemente piace ricordare questi episodi, soprattutto davanti a un
giornalista. F.L. è un maresciallo appena uscito dall'accademia di
Modena. Vota a sinistra «forse sono l'unico bersagliere che vota a
sinistra della caserma» dice sorridendo mentre i commilitoni lo
prendono in giro. «E gli italiani?» «Degli italiani preferirei lasciar
perdere...».

I bersaglieri invece vogliono parlare, basta poco per tirare il tappo e
far uscire ciò che ingorga le loro coscienze da tempo. Gli altri
ragazzi tacciono. F.L. e C.L. caporale maggiore iniziano a raccontare
un episodio visto con i loro occhi. «Alcuni nostri commilitoni si
divertivano a circondare le case di alcuni sospetti, dargli fuoco e
guardare bruciare la casa. Poi spegnevano e arrestavano questa gente
che risultava la maggior parte delle volte del tutto innocente». Gli
domandiamo se hanno denunciato quanto hanno visto «In modo informale»
risponde F.L. Che significa? «Che non risulta una mia denuncia formale
- continua- ne ho parlato con i superiori e basta. Se avessi denunciato
formalmente, la mia carriera sarebbe finita lì. Preferisco cambiare le
cose da dentro e senza clamore. Ci tengo all'Esercito, io sono un
bersagliere». P.E. dice che lui non ha visto mai violenze degli
italiani e racconta: «Gli americani appena entrano in una casa pensano
ad accanirsi su chi ci abita, gli italiani invece al massimo prendono
tutto ciò che c'è da prendere. Un amico è riuscito a fregarsi due
orologi e quattro spille d'oro». Eppure si vedono solo immagini di
arresti in case di fango, in stamberghe, arresti di individui che non
hanno altro che il proprio rinsecchito corpo. «Io dice C.L. ho fatto
perquisizioni in case di ex dirigenti di polizia e di due imprenditori
vicini a Saddam. Avevano in casa di tutto, orologi d'oro, dvd,
televisori, lampadari di cristallo, un parco macchine da paura. Durante
la caduta di Saddam avevano le guardie private che non facevano entrare
i disperati e gli Usa non li arrestarono, i dirigenti non li
arrestarono sperando che passassero dalla loro parte. Qualcuno l'ha
fatto ma a suon di calci in pancia e sberle...». Anche gli italiani
hanno pestato? «Io - risponde P.E.- non ho mai visto picchiare come ho
visto fare ai marines nessun italiano. Mai». E aggiunge scherzando:
«Neanche in Italia».


=== 2 ===

RESISTENZA IRACHENA

Dichiarazione di Anundhati Roy in difesa della Resistenza irachena

Nata nel 1961 nella regione del Kerala, è la più famosa scrittrice
indiana contemporanea. Vive a New Delhi. Nel 1997 ha vinto il
prestigioso Booker Prize con Il dio delle piccole cose (Guanda 1997).

“E’ assurdo condannare la Resistenza all’occupazione USA in Iraq con la
scusa che essa sarebbe guidata da terroristi o seguaci di Saddam
Hussein. Se gli Usa fossero invasi e occupati, si direbbe forse che
chiunque insorgesse per liberare il suo paese sarebbe un terrorista o
bushiano? La Resistenza irachena sta lottando sulla prima linea della
battaglia contro l’Impero. Per questo la loro battaglia e’ la nostra
battaglia. Come molti movimenti di Resistenza, esso combina un gran
numero di frazioni. Ex baathisti, liberali, islamisti, comunisti,
ex-collaborazionisti. Naturalmente essa incontra l’opportunismo, le
rivalita’ locali, i demagoghi, e anche i criminali. Ma se noi volessimo
sostenere soltanto i movimenti puri e incorrotti, allora nessuna
Resistenza sara’ peggiore della nostra candida e impotente purezza.
Questo non significa che noi non dobbiamo criticare i movimenti di
Resistenza. Molti di loro soffrono di mancanza di democrazia,
idolatrano i loro leader, non conoscono la trasparenza, non hanno
chiarezza e direzione. Ma la maggior parte di loro soffrono perche’
vengono demonizzati e denigrati, subiscono la repressione, mancano di
risorse.
Prima di prescrivere come una pura Resistenza irachena dovrebbe
condurre la sua battaglia, ovvero in modo secolare, femminista,
democratico e nonviolento, noi dovremmo sostenere fino in fondo la
Resistenza obbligando gli USA e i suoi alleati a ritirarsi dall’Iraq.
Dopotutto, dal momento che gli USA hanno invaso e occupato l’Iraq cosi
come e’ stato fatto, con tale superiorita’ di forza militare, potevamo
aspettarci che la Resistenza sarebbe stata convenzionale? (naturalmente
anche se fosse stata convenzionale, essa sarebbe stata definita
terrorista!). In un certo senso, gli arsenali e la potenza di fuoco
senza rivali degli USA rendono il terrorismo quasi invevitabile. Quando
la gente non ha ne’ ricchezza ne’ potere, si vendica con l’astuzia e
la strategia”


=== 3 ===

http://www.uruknet.info/?s1=1&p=5173&s2=30

Il comico Luttwak e la resa vittoriosa

ALESSANDRO ROBECCHI
il manifesto, 30 agosto 2004

Ho chiuso coi cartoni animati, non guardo più nemmeno Will Coyote. Però
non si può rinunciare a tutto, dio bono, si vive una volta sola, e
allora cerco di non perdermi nemmeno un pezzo, un'intervista,
un'apparizione televisiva del signor Edward Luttwak. Non è questione di
americanismo o antiamericanismo, sia chiaro: è soltanto passione per i
grandi comici. Quando il gioco si fa duro, quando Bruno Vespa vuole
l'ospite illustre, quando si cercano lumi sulle strategie americane ma
serve un tocco di umorismo, ecco comparire Luttwak. E' vero che la
cifra umoristica dei grandi comici americani ha preso negli ultimi
tempi una china più fisica, direi del genere gonzo-trash, come nel caso
di Paul Wolfowitz che scaracchia sul pettine prima di rifarsi il look.
Ma resta il fatto che in Italia Luttwak rimane il talento più in vista.
Ha portamento, parla un italiano da allenatore di basket, ha sorrisi
minacciosi che spiegano tutto, molto più delle sue analisi. Se
abitualmente uno vedendo la tivù pensa che un americano è un europeo di
otto anni, vedendo Luttwak cambia idea: un americano è un europeo di
otto anni che può menarti quando vuole e farti uscire il sangue dal
naso. Questo cambia un pò le cose. Ma siccome Luttwak è pur sempre un
analista (?) eccoci di fronte alla sua nuova analisi, la ricetta finale
americana per vincere la guerra in Iraq: tornarsene a casa. In effetti
sarebbe una vittoria per tutti scoprire che il più grande esercito del
mondo ha a disposizione, come arma migliore, la ritirata, ma non è così
semplice. Dopo aver incendiato l'Iraq - è il ragionamento - gli stati
dell'area (Iran, Arabia saudita, Turchia, Siria, Kuwait) avranno ancora
più problemi se gli americani se ne vanno. Dunque l'America dovrebbe
«minacciare di andarsene» in modo da costringere questi stati a
colloqui bilaterali per poi attuare un «disengagement» strategico.

Traduco in italiano: insomma, gente, abbiamo capito che a Falluja non
avremo mai casette bianche con il prato, il garage, il ballo al college
e l'acquedotto con le orecchie di Topolino, quindi noi ce ne andremmo a
casa e vedetevela un pò voi. E' una tesi che non fa una grinza,
pubblicata sul New York Times a metà agosto. Ammette che la guerra era
una cazzata, che è stata condotta male, persa peggio e che è meglio
disimpegnarsi all'inglese, prendendo cappello mentre gli altri sono
ancora al caffè.

Luttwak non è di quei giovani o vecchi neocon che sputano sul pettine,
non è molto ascoltato tra quei simil-mistici del nuovo secolo americano
che sparerebbero a chiunque anche in un saloon. Appartiene, per così
dire, alla mafia perdente, è più dottor Stranamore, come genere, un pò
démodé. Ma fa notizia che se ne esca con le mani alzate, urlando:
«ritirata!». Qualcuno lo nota, infatti, ma lui non ci sta: "E'
strabiliante che la mia proposta sia stata interpretata da alcuni in
Italia come un'ammissione di resa". E giù a rispiegare, su Panorama
questa volta, che ritirarsi sarebbe una vittoria. Cosa che dicono, del
resto, tutti quelli che si ritirano.

Ma c'è di più: consigliere per mestiere, Luttwak dà consigli anche
agli italiani (Silvio prenda appunti): voi ci avete guadagnato in
prestigio ecc. ecc., non fate cazzate adesso, non andatevene come gli
spagnoli, ma piuttosto dovete "assecondare l'America in una strategia
di disimpegno graduale". Ri-tradotto in italiano: portiamo via il culo
di qui, ma facciamolo con calma. Amici italiani non lasciateci qui a
fare una figuraccia come l'altra volta che si saltava al volo
sull'ultimo elicottero sotto il fuoco dei musi gialli. Luttwak,
insomma, vorrebbe andarsene tra i fumogeni delle trattative, da
perdente ma fingendo di vincere, un trucchetto che il nostro Silvio
conosce alla perfezione: affinità tra comici.

Ma alla fine della performance (c'è da giurare che Luttwak verrà
chiamato a illustrare la sua tesi sugli schermi al più presto) la zuppa
è quella, e la domanda è sempre la stessa: come si fa a perdere una
guerra da 20.000 morti e decine di miliardi di dollari, che ha
raddoppiato il prezzo del petrolio, che ha ucciso mille ragazzotti
americani, fingendo di aver fatto una cosa buona e giusta e
democratica? Temo che non lo sappia bene nemmeno Luttwak, ma vedrete,
qualcosa gli verrà in mente. I grandi talenti sanno improvvisare.