Da: "pedroslavo"
Data: Gio 9 Set 2004 15:38:45 Europe/Rome
A: "Coord. Naz. per la Jugoslavia"
Oggetto: Re: IN MERITO AL FILM “IL CUORE NEL POZZO”

Vi sottopongo il seguente articolo, inerente al tema da voi affrontato,
apparso su "Plebe", fanzine autoprodotta dal collettivo comunista
AgitProp
di Foggia. Saluti.


È notizia recente: la Raifiction di Agostino Saccà, sta ultimando il suo
nuovo sceneggiato sulle foibe – dal titolo emblematico di “Cuori nel
pozzo” – che già promette di far palpitare all’unisono i ventricoli
dell’
immemore platea televisiva.


Que viva Novak!

Stai fermo, in silenzio, e ascolta il tuo cuore. Quando poi ti parla,
alzati
e va'... dove lui ti porta (Susanna Tamaro)


La società dello spettacolo non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di
mettere in scena la “madre di tutte le fiction”; quella che dovrà
rappresentare l’Italian Style del momento; che dovrà corrispondere al
pensiero unico imposto; che porterà sulle labbra di un esercito di
massaie i
dolori e lo strazio – tutto politico - appartenuti, sino a questo
momento, a
pochi alati messaggeri della stirpe dei Pansa e dei Mieli: le foibe.

I moderni sciovinisti cantastorie sembrano sempre più certe streghe
della
tradizione nordica, di quelle che tastavano il grembo delle donne per
carpirne fertilità e disposizione alla prole. In circostanze simili ad
essere tastati nel basso ventre sono le evidenti vergogne della nostra
memoria storica. I dispensatori di pathos patriottico, coadiuvati da
stormi
di esperti negazionisti-sceneggiatori, danno il segnale: la nazione è
pronta! Può essere fecondata. Tra nove mesi partorirà – senza alcun
dolore –
l’ennesimo aborto.

Il regista in questione è Alberto Negrin, già autore di “capolavori”
quali
“Il sequestro dell’Achille Lauro” e “Perlasca”. Ha avuto modo di
dichiarare:
“ho sempre fatto film per il gusto di raccontare storie e non per
ragioni
politiche”. Un’autodifesa ineccepibile, ormai divenuta canovaccio
classico
per ogni vassallo dell’intellighenzia impegnato in opere di “rilettura
storica”, che dietro alla tranquillizzante facciata buonista nascondono
evidentissimi gli intenti anticomunisti dei committenti e che – quanto
più
attaccano ferocemente, a testa bassa – gli eredi disarmati di quella
tradizione tanto più parlano di “memoria condivisa” per improbabili
“pacificazioni nazionali”. Per avere una conferma degli intenti, basta
scorrere la trama, pregna di ogni elemento fondante del nuovo, forzato e
forzoso, immaginario collettivo.

Un bambino, figlio di uno stupro etnico, innocenza violentata, a cui
vengono
sottratti i genitori. Un orfano accolto, nella dissoluzione dei
riferimenti,
da – manco a dirlo – un prete (interpretato da Leo Gullotta, in quota
Prc),
che cercherà di guidarlo verso la salvezza. Il quadro, di una banalità
che
irrita e dona raccapriccio a chiunque abbia un minimo di conoscenza
degli
eventi, viene completato da due personaggi fondamentali: il partigiano
sloveno e il partigiano italiano. Entrambi comunisti, ma profondamente
divisi da quella linea di civiltà che i produttori pretendano passi per
Trieste. Il primo, Novak, è uno stupratore con la stella rossa sul
berretto,
un crudele assassino immotivato, una bestia che – nelle intenzioni della
fiction – dovrà catalizzare, come un magnete titoista – l’odio del
pubblico.
Il secondo è un idealista, membro del Cln, che si trova a fare i conti
con
la vera essenza del comunismo: regime tirannico bestiale e antisportivo.
Costui farà da parafulmine: da una parte mostrerà le pecche del
comunismo
italiano, servo di Mosca e di Belgrado giustificandone e
rimproverandone le
mosse passate dei singoli militanti in buona fede; dall’altro fingerà di
tendere la mano alla parte laica del Paese, in nome di un “non passa lo
straniero” che dovrà superare le divisioni ideologiche per aderire
plasticamente ai sacri confini nazionali. Il martirio del comunista
buono
per mano del comunista cattivo, chiuderà cattolicamente il cerchio. La
fine
di questa offensiva pagliacciata, costata 4 milioni e mezzo di euro al
produttore Angelo Rizzoli, è tenuta segreta. Ma stando alle scarse doti
innovative del pool di cervelli impegnato nelle riprese, il pubblico
italiano non dovrà attendersi sorprese. Catarsi.

Le considerazioni da fare sono quasi ovvie. Una, di carattere
storico-politico, rimanda all’accurato studio di ciò che l’occupante
fascista italiano riuscì a perpetrare, in termini di violenza assoluta
e di
sopruso, nelle terre annesse di Dalmazia e di Slovenia. E, in un secondo
momento, alla presa di coscienza (specie da parte di una sinistra oramai
piegata al politicamente corretto imposto da una ciurma di reazionari
senza
scrupoli filologici) che la reazione slava fu assolutamente,
completamente,
totalmente legittima. E non colpì, come amano farci credere, nel
mucchio. Ma
con una selettività persino difficile da rilevare in altri episodi
simili
della Storia dell’umanità. Una selettività che non appartenne di sicuro
al
fascista invasore, esportatore armato d’un razzismo genocida. La seconda
considerazione è di carattere estetico. Si prenda atto della
scientificità
con cui, nell’arco di cinque-dieci anni, la tv si è popolata di
produzioni
made in Italy impegnate nell’opera di ricostruzione d’un tessuto
legittimista, nazionalista e iper-istituzionale tra le cosiddette “masse
popolari”. Dal poliziotto all’ispettore, dalla squadra anti-crimine al
maresciallo. Mentre la società reale si evolveva in senso repressivo e
carcerario, l’uomo medio era chiamato ad applaudire ed a mostrarsi
orgoglioso degli eroi in divisa che, saltando al di qua dello schermo,
moltiplicavano la loro presenza concreta nelle nostre vite reali.
Consolati
dal nuovo arrembante cattolicesimo dei preti di pellicola, furbi e
misericordiosi a riempire il vuoto di valori e di ideologie. E non
bastasse,
la tv matrigna ha spinto all’assunzione in blocco di esempi storici di
dubbio gusto attraverso mielose e melodrammatiche soap-opera: Madre
Teresa,
Giovanni XIII, Padre Pio. Altare, tribunale e transistor nell’epoca del
crollo della pubblica istruzione e dell’umiliazione dei docenti.

Sta di fatto che “Cuori nel pozzo” è riuscito, in un colpo solo, a
riunire
nelle critiche la Jugoslavia. I quotidiani serbi, sloveni e persino
croati
hanno titolato: "Vendetta cinematografica di Silvio Berlusconi su
Tito”. E –
aggiungiamo noi – sul vecchio Dipartimento Spettacolo a guida ulivista,
reo – a suo tempo – di non aver concesso i benefici del finanziamento
pubblico a "Foibe, un processo mancato", film diretto dal regista
Gabriele
Polverosi. Jože Gacnik, presidente dell'Associazione di
partigiani-veterani,
ha fatto presente che il film di Negrin rappresenta il tentativo di
reinterpretare la storia e che il governo italiano sta facendo di tutto
per
mantenere alto il mito della “pulizia etnica” nonostante i risultati
raggiunti dalla Commissione di studio italo-slovena. Proprio la
Slovenia ha
annunciato bruschi peggioramenti nei rapporti bilaterali con l’Italia.
Guido
Cace, presidente dell'Associazione nazionale dalmata, ha risposto alle
critiche dichiarando (incredibilmente): “è come se tedeschi si
arrabbiassero
perché si ricordano i campi di concentramento nazisti'”. Assurdo. Un
rovesciamento storico degno di un lottatore di greco-romana!

Nonostante la recente cinematografia italiota non sia parca di
rappresentazioni di partigiani “brutti, sporchi e cattivi”. Basti, su
tutti,
ricordare l’esempio di “Porzus” di Renzo Martinelli o dei comunisti –
brutti fra i brutti, fanatici e intolleranti – ne “I piccoli maestri” di
Daniele Lucchetti o, caso diverso ma parificabile, quello de “Il
partigiano
Johnny” di Guido Chiesa. Il sunto? Questo Paese di anime pie e
pusillanimi
non deve sapere quel che è realmente accaduto fra il 1943 e il 1945.
Deve
lasciarsi cullare dalla mesta tranquillità borghese. Deve farsi
guidare; non
deve mai essere sollecitato – da esempi concreti – all’azione, al
cambiamento; deve accontentarsi delle briciole e, per quelle,
ringraziare
dio e Stato. Non deve mai credere nella sua forza. E indubbiamente la
visione fenogliana della Resistenza era quella che più si adattava al
costituendo epos nazionale. Franza o Spagna.

Un Paese inetto e una pubblica opinione arrogante nella sua raffazzonata
conoscenza dei fenomeni storici, appresi per sentito dire al corso
accelerato della fiction televisiva. Questo stiamo diventando. Così,
tra un
“viva la Rai!” e un “que viva Novak”, noi – ostinatamente, nel gorgo
delle
contraddizioni – non possiamo che ribellarci alla fucilazione mediatica
urlando la seconda.

Plebe
plebe@ agitproponline. com