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index.cfm?fuseaction=news.view1&NewsID=3362
Croazia: che tempo fa a Sveti Rok?
Un tempo era parte dell’autoproclamata repubblica serba di Krajna. Ora
è roccaforte del nazionalismo croato. Viaggio estivo tra lapidi
commemorative e fotografie di criminali di guerra.
(14/09/2004)
Di Leonardo Barattin *
Con due articoli pubblicati il 17 e il 30 agosto dall’Osservatorio sui
Balcani, Drago Hedl – redattore del settimanale croato Feral Tribune –
ha portato alla ribalta il villaggio di Sveti Rok e la sua vicenda
recentissima.
Situato nel cuore della Lika, all’interno di quella che dal ‘91 al ‘95
fu l’autoproclamata repubblica serba di Krajina guidata da Milan
Martić, questo piccolo centro abitato si trova poco discosto dalla
strada statale che attraversa da nord a sud i territori “liberati”
nell’agosto 1995 con l’Operazione Tempesta.
Sveti Rok è balzato agli onori delle cronache per l’intitolazione di
una lapide commemorativa al suo concittadino Mile Budak (1889-1945) -
scrittore e Ministro della Cultura e della Religione nel Governo NDH,
promotore di leggi e politiche volte ad azzerare la presenza del gruppo
etnico serbo in Croazia - e per il blitz con il quale essa è stata
prontamente rimossa per decisione del governo Sanader.
L’omaggio a questo protagonista del governo ustascia di Ante Pavelić ha
provocato accese polemiche, dichiarazioni ambigue e divisioni di campo
all’interno dei confini della Croazia, portando ancora una volta alla
superficie i temi più cari del nazionalismo e ultranazionalismo croato
in opposizione alle ragioni di chi vede la Croazia proiettata verso una
dimensione europea. Per la sua valenza il fatto ha dunque trasceso la
ristretta dimensione locale per occupare intere pagine di cronaca e
commento di quotidiani e settimanali nazionali e non: Jutarnji e
Večernji List, Slobodna Dalmacija, Feral Tribune, Zadarski Regional, ...
La lapide commemorativa, incastonata nel muro che delimita l’area di
rispetto della chiesa parrocchiale di Sveti Rok e sormontata dalla
Croce, definiva Budak “patriota croato” morto assassinato “per la causa
del popolo croato” (la condanna a morte comminatagli dall’autorità
jugoslava comunista fu eseguita il 7 giugno 1945) ed era stata posta
dai “patrioti croati dell’emigrazione e della terra croata”. La lapide
al letterato Budak (la motivazione addotta dai sostenitori
dell’intitolazione del monumento era infatti la celebrazione dello
scrittore e non dell’uomo politico), decorata con simboli grafici della
tradizione artistica e religiosa croata, poneva poi a fianco del
ritratto di Budak la significativa immagine di un fuoco ardente.
“Dio, patria e famiglia”, elementi fondanti della cultura nazionale e
nazionalista croata, vengono così ricomposti in questo quadro,
all’interno del quale la componente famigliare è rappresentata dal
duraturo, solido e rinnovato legame tra la comunità degli emigrati e la
comunità dei rimasti. A Sveti Rok si assiste infatti alla riunione
della famiglia, ossia all’abbraccio tra i membri della cosiddetta
diaspora (i fuggitivi e gli esuli filo-NDH al termine del Secondo
conflitto mondiale) e la comunità di coloro che, rimanendo, hanno
presidiato il territorio negli anni della Jugoslavia comunista. La
presenza viva e forte dell’emigrazione è segnalata anche da altri
elementi, come la costruzione da parte dell’associazione
croato-canadese “Sveto brdo” di un monumento intitolato ai caduti “per
la patria croata” - posto lungo la strada statale all’altezza della
svolta per il villaggio.
La vicenda di Sveti Rok si inserisce in un contesto più ampio. Situata
tra la città di Gospić e la cosiddetta “sacca di Medak” – entrambe note
per i fatti di sangue contro la popolazione serba locale che hanno
portato all’incriminazione dei generali Norac e Ademi – ed i centri
etnicamente ripuliti di Gračac e Knin, Sveti Rok (assieme al caso di
Slunj, anch’esso menzionato da Hedl) pare rappresentare la punta
avanzata ed emersa di un ben più vasto clima di ferma ed orgogliosa
rivendicazione dei fatti della guerra patriottica nella Croazia
occidentale e di legame spirituale con il passato ustascia. Se la
simbologia ustascia si limita generalmente alla presenza sui muri di
numerose “U” sormontate dalla croce cattolica, più forte è il messaggio
pubblico legato agli eventi della guerra ‘91-’95: la fitta presenza di
bandiere nazionali ricorda con determinazione ossessiva il pieno
possesso del territorio da parte croata e costituisce un chiaro monito
agli “altri”; messaggi dell’HSP (partito dell’estrema Destra croata
guidato da Anto Đapić, estremamente attivo in quest’area) affissi a
Gospić chiedono “la Croazia ai Croati”, mentre manifesti di sostegno ai
generali Norac (“E’ colpevole perché ha difeso la patria”) e Gotovina
(ricercato dal TPI per crimini contro l’umanità commessi nel corso
dell’Operazione Tempesta) compaiono in vari centri abitati sulle
vetrate di bar, farmacie ed altri esercizi commerciali. A Knin, poi,
l’addetto alla vendita dei biglietti per la visita della fortezza alla
domanda su chi sia la persona ritratta nel quadretto in vendita tra i
souvenirs afferma che si tratta del generale Ante Gotovina, il quale “è
un eroe e un problema. Un eroe per noi e un problema per il mondo”.
Ma se la volontà di affermare la croaticità dei luoghi e di celebrare
le forme e gli effetti della guerra patriottica fanno ancora vibrare
l’aria di queste terre fatte di catene montuose, pietra, altipiani e
gole, manifestazioni simili giungono fin sulla costa, nella turistica
Zara, dove vacanzieri in cerca di una posa fotografica possono
imbattersi nell’immagine esibita con orgoglio di Mirko Norac: una sua
gigantografia campeggia sul muro esterno del bar Tiffany, ai margini
del centro storico, mentre un manifesto che proclama Gotovina “eroe e
non criminale” è affisso in vista all’interno di un negozio di
elettrodomestici presso la Chiesa di San Simeone.
Atteggiamenti, questi, che nella tormentata città di Zara rievocano
l’attribuzione della cittadinanza onoraria allo stesso Gotovina
nell’inverno del 2002 e le tensioni politiche che a Zara e da Zara da
tempo si sprigionano.
* Leonardo Barattin è uno di quei molti italiani che girano i Balcani
per lavoro. E’ responsabile esteri di un’azienda del nord est
» Fonte: © Osservatorio sui Balcani
index.cfm?fuseaction=news.view1&NewsID=3362
Croazia: che tempo fa a Sveti Rok?
Un tempo era parte dell’autoproclamata repubblica serba di Krajna. Ora
è roccaforte del nazionalismo croato. Viaggio estivo tra lapidi
commemorative e fotografie di criminali di guerra.
(14/09/2004)
Di Leonardo Barattin *
Con due articoli pubblicati il 17 e il 30 agosto dall’Osservatorio sui
Balcani, Drago Hedl – redattore del settimanale croato Feral Tribune –
ha portato alla ribalta il villaggio di Sveti Rok e la sua vicenda
recentissima.
Situato nel cuore della Lika, all’interno di quella che dal ‘91 al ‘95
fu l’autoproclamata repubblica serba di Krajina guidata da Milan
Martić, questo piccolo centro abitato si trova poco discosto dalla
strada statale che attraversa da nord a sud i territori “liberati”
nell’agosto 1995 con l’Operazione Tempesta.
Sveti Rok è balzato agli onori delle cronache per l’intitolazione di
una lapide commemorativa al suo concittadino Mile Budak (1889-1945) -
scrittore e Ministro della Cultura e della Religione nel Governo NDH,
promotore di leggi e politiche volte ad azzerare la presenza del gruppo
etnico serbo in Croazia - e per il blitz con il quale essa è stata
prontamente rimossa per decisione del governo Sanader.
L’omaggio a questo protagonista del governo ustascia di Ante Pavelić ha
provocato accese polemiche, dichiarazioni ambigue e divisioni di campo
all’interno dei confini della Croazia, portando ancora una volta alla
superficie i temi più cari del nazionalismo e ultranazionalismo croato
in opposizione alle ragioni di chi vede la Croazia proiettata verso una
dimensione europea. Per la sua valenza il fatto ha dunque trasceso la
ristretta dimensione locale per occupare intere pagine di cronaca e
commento di quotidiani e settimanali nazionali e non: Jutarnji e
Večernji List, Slobodna Dalmacija, Feral Tribune, Zadarski Regional, ...
La lapide commemorativa, incastonata nel muro che delimita l’area di
rispetto della chiesa parrocchiale di Sveti Rok e sormontata dalla
Croce, definiva Budak “patriota croato” morto assassinato “per la causa
del popolo croato” (la condanna a morte comminatagli dall’autorità
jugoslava comunista fu eseguita il 7 giugno 1945) ed era stata posta
dai “patrioti croati dell’emigrazione e della terra croata”. La lapide
al letterato Budak (la motivazione addotta dai sostenitori
dell’intitolazione del monumento era infatti la celebrazione dello
scrittore e non dell’uomo politico), decorata con simboli grafici della
tradizione artistica e religiosa croata, poneva poi a fianco del
ritratto di Budak la significativa immagine di un fuoco ardente.
“Dio, patria e famiglia”, elementi fondanti della cultura nazionale e
nazionalista croata, vengono così ricomposti in questo quadro,
all’interno del quale la componente famigliare è rappresentata dal
duraturo, solido e rinnovato legame tra la comunità degli emigrati e la
comunità dei rimasti. A Sveti Rok si assiste infatti alla riunione
della famiglia, ossia all’abbraccio tra i membri della cosiddetta
diaspora (i fuggitivi e gli esuli filo-NDH al termine del Secondo
conflitto mondiale) e la comunità di coloro che, rimanendo, hanno
presidiato il territorio negli anni della Jugoslavia comunista. La
presenza viva e forte dell’emigrazione è segnalata anche da altri
elementi, come la costruzione da parte dell’associazione
croato-canadese “Sveto brdo” di un monumento intitolato ai caduti “per
la patria croata” - posto lungo la strada statale all’altezza della
svolta per il villaggio.
La vicenda di Sveti Rok si inserisce in un contesto più ampio. Situata
tra la città di Gospić e la cosiddetta “sacca di Medak” – entrambe note
per i fatti di sangue contro la popolazione serba locale che hanno
portato all’incriminazione dei generali Norac e Ademi – ed i centri
etnicamente ripuliti di Gračac e Knin, Sveti Rok (assieme al caso di
Slunj, anch’esso menzionato da Hedl) pare rappresentare la punta
avanzata ed emersa di un ben più vasto clima di ferma ed orgogliosa
rivendicazione dei fatti della guerra patriottica nella Croazia
occidentale e di legame spirituale con il passato ustascia. Se la
simbologia ustascia si limita generalmente alla presenza sui muri di
numerose “U” sormontate dalla croce cattolica, più forte è il messaggio
pubblico legato agli eventi della guerra ‘91-’95: la fitta presenza di
bandiere nazionali ricorda con determinazione ossessiva il pieno
possesso del territorio da parte croata e costituisce un chiaro monito
agli “altri”; messaggi dell’HSP (partito dell’estrema Destra croata
guidato da Anto Đapić, estremamente attivo in quest’area) affissi a
Gospić chiedono “la Croazia ai Croati”, mentre manifesti di sostegno ai
generali Norac (“E’ colpevole perché ha difeso la patria”) e Gotovina
(ricercato dal TPI per crimini contro l’umanità commessi nel corso
dell’Operazione Tempesta) compaiono in vari centri abitati sulle
vetrate di bar, farmacie ed altri esercizi commerciali. A Knin, poi,
l’addetto alla vendita dei biglietti per la visita della fortezza alla
domanda su chi sia la persona ritratta nel quadretto in vendita tra i
souvenirs afferma che si tratta del generale Ante Gotovina, il quale “è
un eroe e un problema. Un eroe per noi e un problema per il mondo”.
Ma se la volontà di affermare la croaticità dei luoghi e di celebrare
le forme e gli effetti della guerra patriottica fanno ancora vibrare
l’aria di queste terre fatte di catene montuose, pietra, altipiani e
gole, manifestazioni simili giungono fin sulla costa, nella turistica
Zara, dove vacanzieri in cerca di una posa fotografica possono
imbattersi nell’immagine esibita con orgoglio di Mirko Norac: una sua
gigantografia campeggia sul muro esterno del bar Tiffany, ai margini
del centro storico, mentre un manifesto che proclama Gotovina “eroe e
non criminale” è affisso in vista all’interno di un negozio di
elettrodomestici presso la Chiesa di San Simeone.
Atteggiamenti, questi, che nella tormentata città di Zara rievocano
l’attribuzione della cittadinanza onoraria allo stesso Gotovina
nell’inverno del 2002 e le tensioni politiche che a Zara e da Zara da
tempo si sprigionano.
* Leonardo Barattin è uno di quei molti italiani che girano i Balcani
per lavoro. E’ responsabile esteri di un’azienda del nord est
» Fonte: © Osservatorio sui Balcani