Lavoro ed istruzione in Krajina e Slavonia

Due articoli dal portale "Osservatorio Balcani" - nei quali, pero', non
si va alla radice del problema: e cioe' al crimine iniziale, commesso
quando si e' smembrata la RFS di Jugoslavia con il riconoscimento delle
secessioni su base etnica... (IS)

1. La scuola a Knin: una ricerca
Di Silvia Paciello

2. Vukovar: posti di lavoro etnicamente puliti
di Drago Hedl

VEDI ANCHE:

Vukovar : les anciens salariés serbes de Borovo réclament le respect de
leurs droits

http://www.balkans.eu.org/article4498.html


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http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3642/1/51/

La scuola a Knin: una ricerca

21.11.2004
Knin, una delle città più “giovani” dell’intera Croazia: il 42% della
popolazione è costituito da giovani con meno di 30 anni. Ma una città
tra le cui vie si respira ancora l’eredità della guerra. Come affronta
la scuola in questo contesto difficile fatto di frustrazioni ed inedia
il tema della multiculturalità?

Di Silvia Paciello


I segni evidenti della guerra, a Knin, sono ormai del tutto scomparsi,
rimangono invece ancora profonde le incertezze, dal punto di vista
economico e abitativo, e la lacerazione del tessuto sociale.

Uno degli effetti più pesanti della guerra in Croazia è stato proprio
l’enorme numero di persone che sono state costrette a fuggire.

Centinaia di persone hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni e
trovare rifugio nei Campi profughi o in altri Paesi, ritrovandosi
costrette a vivere lontano dalle proprie case e dalla loro vita
precedente.

Knin era la capitale dell’autoproclamata “Repubblica serba di Kraijna”
finché, con l’operazione militare chiamata “Oluja” (5 agosto 1995), la
maggior parte della popolazione di etnia serba è stata costretta a
fuggire e la situazione si è modifica radicalmente. La composizione
etnica di questa zona ne è risultata completamente stravolta.

Oggi la popolazione dell’area, che comprende Knin città e i paesi
circostanti di Vrpolje, Potkonje, Golubic, Strmica e Plavno, è composta
da circa 15.000 abitanti, il 76,45% croati, la maggioranza dei quali
provenienti dalla Bosnia, e il 20,83% serbi.

Il problema delle case è ancora attuale, resta irrisolta la questione
tra chi vorrebbe ottenere una sistemazione stabile e l’occasione di una
vita migliore e coloro che per gli stessi motivi vorrebbero rientrare
in possesso della propria casa.

A Knin il 42% della popolazione sono giovani con meno di 30 anni e il
30,5% sono ragazzi con meno di 19 anni; questo, unito ad un numero
molto elevato di bambini, la rende una delle città più “giovani” della
Croazia.

Solo il 20% dei ragazzi/e di età compresa tra i 19 e i 30 anni lavora
regolarmente.
I problemi causati dalla difficile situazione economica, l’altissimo
tasso di disoccupazione, la povertà di infrastrutture e l’assenza di
mezzi finanziari non permettono di provvedere né di organizzare
attività culturali ed educative.

Le ripercussioni più forti sono quindi sui bambini e sui ragazzi sia
perché tali circostanze incidono nella loro formazione individuale sia
perché essi si trovano ad interagire e ad essere accuditi da adulti a
loro volta in grande difficoltà.

Tutto questo si combina con un grande senso di insicurezza, di
passività e di carenza di spirito di iniziativa.

Mancano luoghi di incontro, non ci sono oratori e un solo Centro
giovani risulta assolutamente insufficienti rispetto al numero dei
ragazzi.

I bambini sono spesso lasciati a se stessi trascorrendo il tempo
guardando la tv o in strada.
In Italia i genitori lavorano troppo e non danno abbastanza attenzione
ai figli, a Knin i genitori non hanno un lavoro, trascorrono tutto il
giorno a casa ma la loro preoccupazione e frustrazione è tale che non
sono in grado di prendersi cura dei propri figli.

In relazione alla storia di questa zona e alla composizione etnica
attuale è interessante approfondire come la scuola affronti la
problematica della multiculturalità.

In particolare, vedere come la scuola dell’obbligo “programmi
l’intercultura” che in quanto processo non spontaneo, necessita di
essere voluto, programmato e sviluppato, affinché possa essere
possibile una ricostruzione della fiducia tra le etnie.

Il Ministero dell’Istruzione e dello Sport, probabilmente spinto
dall’interesse della Croazia ad entrare nella Comunità Europea, sta
proponendo programmi per le minoranze, per dimostrare il rispetto dei
diritti, progetti e laboratori sui diritti umani e l’educazione alla
pace.

Spesso queste attività vengono realizzate in grandi città come Zagabria
ma per il resto, in cittadine come Knin, ancora nessuno di questi
progetti è partito.

Quello che avviene nelle singole realtà scolastiche dipende dalle
scuole, dalla mentalità e sensibilità dei direttori didattici e
probabilmente dal tipo di pressioni che ricevono dall’esterno.

Gli obiettivi politici finiscono infatti col ripercuotersi sugli
obiettivi e i contenuti dell’istruzione.

Il sistema educativo in Ex Jugoslavia prevedeva l’insegnamento delle
stesse materie in tutte le Repubbliche. Naturalmente, questo sistema
scolastico comune è scomparso con il crollo della Jugoslavia e i
programmi scolastici sono stati rivoluzionati.

I libri di testo enfatizzano la storia nazionale e nella letteratura
autori delle altre etnie sono assenti. Anche l’insegnamento della
lingua croata ha un ruolo forte nel promuovere il senso di identità
nazionale.

L’approccio attuale riflette una comprensione piuttosto ristretta della
multiculturalità, dove i diversi gruppi sono sostenuti nel perseguire i
loro “particolari” interessi educazionali, mentre gli interessi
“condivisi” sono trasmessi mediante il curriculum nazionale al quale
tutti i gruppi devono ascrivere.

Il principio di pluralismo culturale è infatti riconosciuto nel sistema
educativo croato principalmente in termini di provvedimenti per le
minoranze nazionali.
Tale “multiculturalismo etnocentrico”, in cui non avviene scambio di
idee, valori e usanze tra i gruppi, è inadeguato rispetto alla
necessità di rendere le diversità culturali strumento di coesione
sociale.

Per quanto riguarda l’integrazione delle minoranze, soprattutto nelle
zone di ritorno, come la Dalmazia settentrionale, è previsto un
programma con una formazione addizionale a quella tradizionale, con
l’incremento cioè dell’orario scolastico di cinque ore, durante le
quali vengono insegnate, solo agli alunni appartenenti all’etnia serba,
materie quali lingua e letteratura serba, così come storia, geografia,
arte, musica.

Per contestualizzare questa specifica realtà scolastica il primo
capitolo presenta una breve introduzione storica sulla Croazia e sulla
regione di cui Knin era la capitale. Una panoramica cioè degli eventi
che si sono svolti dalla dichiarazione d’indipendenza della Croazia
fino all’operazione “Oluja” data in cui la situazione a Knin si
modifica radicalmente, fino a raggiungere i tratti e le caratteristiche
attuali.

Il secondo capitolo fa riferimento alla formazione dell’identità
etnica, al passaggio di questo senso di appartenenza dall’individuo
alla società e a come la lingua, per l’importanza che riveste nel
sentimento d’identità, possa essere strumentalizzata.

Il terzo capitolo è interamente dedicato alla scuola, con particolare
riferimento alla scuola dell’obbligo, sia attraverso una documentazione
ufficiale sia, soprattutto, attraverso la testimonianza delle persone
che più direttamente sono a contatto con essa: gli insegnanti, i
direttori didattici, i genitori, gli ex alunni.

Segue nel quarto capitolo una breve panoramica della situazione
extrascolastica: la famiglia, la musica e l’esempio di un progetto di
animazione.


File allegati
Rapporti internetnici in Croazia. La realtà scolastica a Knin
[ 217.07 KB ]
http://www.osservatoriobalcani.org/filemanager/download/27/Tesi S
Paci.pdf


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http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3658/1/51/

Vukovar: posti di lavoro etnicamente puliti

23.11.2004 Da Osijek, scrive Drago Hedl

Il primo ministro Sanader si è recato lunedì scorso a Belgrado per la
prima visita di un capo di governo croato all'ex nemico serbo. Firmato
un accordo per la protezione delle minoranze serbe e croate nei due
Paesi. Il riavvicinamento tra Zagabria e Belgrado, tuttavia, non si
avverte a Vukovar, dove pochi giorni fa è stato commemorato il
tredicesimo anniversario della caduta. Un reportage del nostro
corrispondente


Vukosava Suvić (34), professoressa di geografia a Vukovar, è convinta
che l’accordo sulle minoranze firmato tra Croazia e Serbia Montenegro
la settimana scorsa, nel corso della prima visita di un Primo Ministro
croato a Belgrado dalla fine della Jugoslavia, non avrà nessuna
influenza sulla propria vita. Crede che nessun accordo potrà risolvere
la situazione impossibile nella quale si trova. Il suo problema è che è
Serba, ma si è laureata alla Università di Zagabria. A causa di questa
impossibile combinazione, nella Vukovar divisa per nazionalità, né i
Serbi né i Croati la vogliono.

Essere un professore di geografia è una professione molto richiesta
nella Croazia dell’est, dove abita Vukosava. Non ci sono persone con
questo titolo nelle liste dell’ufficio di collocamento, e il Paese
offre borse di studio per tutti quelli che decidono di studiare
geografia. Malgrado questo, nei tre anni da quando Vukosava Suvić sta
cercando lavoro in una delle scuole elementari, medie o superiori
locali, ha ricevuto più di 40 risposte negative.

Rivolgersi alle scuole in lingua croata è inutile, perché solitamente
al suo posto viene scelto un Croato, normalmente uno studente
dell’ultimo anno, ma spesso anche persone che non hanno sufficienti
qualificazioni. Se si rivolge alle scuole in lingua serba, allora il
lavoro va a un Serbo, ma uno che si è laureato in Serbia, o spesso
anche a uno che non ha una laurea appropriata.

“Quando le scuole croate vedono il mio nome e cognome, non mi vogliono
accettare, nonostante il fatto che io mi sia laureata a Zagabria. Me
l’hanno detto anche apertamente in alcune scuole di paese. Un preside,
abbastanza spaventato, mi ha detto: “Ci sono solamente Croati in questo
villaggio e io non posso assumere un professore di geografia serbo.
Qualcuno mi butterebbe una bomba in casa se lo facessi.”

Nella Vukovar divisa per nazionalità, che ancora oggi avverte
pesantemente le conseguenze della sanguinosa guerra serbo-croata,
conclusasi 13 anni fa con il massacro di 260 Croati feriti che si
trovavano nell’ospedale locale [OSSERVATORIO BALCANI OMETTE DI PARLARE
DEI MASSACRI DI SERBI E FAMIGLIE MISTE, DI CUI FU TESTIMONE OCULARE
ANCHE MILENA GABANELLI DELLA RAI, ndCNJ], tutto è rigidamente separato,
anche le scuole. Quelle che svolgono l’insegnamento in serbo non
vogliono Vukosava nonostante lei sia Serba, sostenendo che lei non
parla il serbo e non usa l’alfabeto cirillico. Nei fatti, come ci dice
Vukosava, quello che non piace è la sua laurea croata.

“Dall’autunno scorso, da quando sono stata assunta a part-time nella
scuola superiore in lingua serba, sono stata continuamente minacciata
di perdere il mio lavoro. Malgrado io abbia cominciato ad usare
l’alfabeto cirillico, gli disturba il fatto che a volte uso una parola
croata. Ma io sono nata a Osijek, ho frequentato lì le elementari,
medie e superiori, e ho preso la mia laurea a Zagabria. I “miei Serbi”,
però, considerano questa circostanza come la mia più grave mancanza”,
dice Vukosava.

Fino a quando non è scoppiata la guerra, con il crollo della ex
Jugoslavia, Vukosava non sapeva se era Serba o Croata. La sua famiglia
non parlava di queste cose, semplicemente non era importante. Ma quando
è iniziata la guerra tutto è stato diviso tra croato e serbo. A Osijek,
dove suo padre lavorava come professore di geografia alle superiori, i
Serbi non potevano più sentirsi sicuri. Decine di civili serbi,
specialmente quelli più conosciuti, sono stati uccisi a Osijek, come
avvertimento per tutti gli altri di andarsene per evitare una sorte
simile. Questo è il motivo per il quale i Suvić sono dovuti partire per
la Serbia.

Quando la guerra finì, fecero ritorno a Vukovar. Vukosava è stata la
prima che da quella città è andata a studiare a Zagabria. Gli studenti
a Zagabria erano esclusivamente Croati, mentre i Serbi mandavano i
propri figli a scuola a Belgrado o a Novi Sad, in Serbia. Vukosava
Suvić è stata la prima Serba a portare una laurea di Zagabria a Vukovar.

“Per me è chiaro che i Croati non mi vogliono nelle scuole croate
perché sono Serba, ma ai Serbi non piace la mia laurea perché è in
conflitto con la loro politica. La premessa è che i bambini serbi
devono andare alle scuole serbe, e quando finiscono le elementari,
medie e superiori, è logico che quelli che vogliono andare avanti
proseguano la propria educazione in Serbia. Come possono andare a
Zagabria o in un’altra università in Croazia se parlano il serbo e
usano l’alfabeto cirillico”, dice la Suvić.

Malgrado la normalizzazione delle relazioni tra Croazia e Serbia
Montenegro abbia fatto degli enormi passi in avanti – la frontiera
comune può essere attraversata senza visti, i due Paesi stanno
velocemente riallacciando gli accordi di associazione economica, i
quotidiani serbi sono venduti in Croazia e quelli croati in Serbia, i
rapporti politici sono in costante miglioramento – i problemi avvertiti
dalla gente comune sono ancora enormi. L’esempio di Vukosava Suvić lo
dimostra molto bene.

“Ho deciso di fare una mossa disperata: andare alla mia Università a
Zagabria e restituire la laurea. Per me questa laurea sfortunatamente
non è altro che un pezzo di carta che non vale niente e la causa di
tutte le mie frustrazioni. So che facendo così non farò niente di buono
per me, ma perlomeno posso mostrare in pubblico quello che mi sta
succedendo. In questo Paese nessuno vuole la gente normale, quelli a
cui non importa sottolineare la propria origine serba o croata – dice
amaramente la Suvić.