> A mia volta vi segnalo un articolo trovato in rete (Osservatorio
> Balcani, moderati dell'Ulivo)
> A parte l'informazione sulla foiba di Basovizza (i documenti
> angloamericani testimoniano che non vi furono infoibati neppure i
> centinaia di cui parla Scotti, come si dimostra nel nuovo libro di
> Claudia Cernigoi), il resto è molto interessante.
> Smrt fazismu Svoboda narodu
> Alessandra Kersevan
[ vai alla pagina originaria per leggere anche i commenti dei lettori:
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3884/1/51/ ]
La memoria delle foibe in Istria: intervista a Giacomo Scotti
10.02.2005 scrive Andrea Rossini
Un clima di nazionalismo insopportabile sta inquinando i rapporti tra
Italiani, Croati e Sloveni. Giacomo Scotti, giornalista e scrittore di
Fiume/Rijeka, racconta il clima di questi giorni e nella propria
analisi contestualizza i fatti storici per i quali oggi in Italia si
celebra il giorno del ricordo. Pubblichiamo ampi stralci
dell’intervista realizzata in collaborazione con Radio Onda d’Urto
Osservatorio sui Balcani: Cosa furono le foibe e quante furono le
vittime delle violenze avvenute tra il ’43 e il ’47 a Trieste, in
Istria e Dalmazia?
Giacomo Scotti: Oggi il termine di infoibati viene esteso a tutti
quindi anche alle persone che furono catturate in combattimento negli
ultimi mesi della seconda guerra mondiale, per esempio i repubblichini
della Repubblica di Salò che operavano in Istria al servizio della
Gestapo e dei nazisti, o in generale i caduti italiani negli scontri
con i partigiani nel territorio dell’ex Venezia Giulia, quindi Istria e
Quarnero. Qualche centinaio di loro morì di stenti, o di malattie nei
campi di prigionia nei dintorni di Ljubljana, e anche questi vengono
messi tra gli infoibati. I veri infoibati che sono stati fucilati e i
cui corpi sono stati gettati nelle foibe sono verosimilmente alcune
centinaia. La storiografia dell’estrema destra parla tuttavia di
parecchie migliaia.
Osservatorio sui Balcani: In Italia si parla per l’appunto di una cifra
che arriva in certi casi alle 10.000 persone e oltre. Questa cifra
dunque secondo te non è corretta?
Giacomo Scotti: Non secondo me ma secondo gli storici triestini che
potremmo definire di centro, come Galliano Fogar, e perfino secondo
alcuni esuli istriani, come per esempio l’ex sindaco di Trieste, che
hanno scritto libri sull’argomento. Ci sono state due fasi. Dopo la
capitolazione italiana dell’8 settembre 1943 in Istria c’è stata una
sollevazione, un’insurrezione di contadini che hanno assalito i
Municipi, hanno assalito anche le case dei fascisti, di coloro che
facevano parte della milizia volontaria della sicurezza nazionale,
degli agenti dell’OVRA (la polizia segreta fascista, ndr) ammazzandone
parecchi nelle loro case, e alcuni gettandoli nelle foibe.
L’insurrezione istriana durò dal settembre fino al 4 ottobre del ’43,
quindi circa 30 giorni. Dopo sono arrivati i Tedeschi e hanno messo a
ferro e fuoco l’Istria. Le vittime dell’insurrezione erano per la
maggior parte gerarchi fascisti, ma ci sono andati di mezzo anche degli
innocenti, ci sono state rese di conti fra gente che aveva dei conti da
regolare. Tuttavia non si può parlare di odio antiitaliano, in un certo
senso non si facevano distinzioni. Prima ancora che calassero le grosse
divisioni tedesche in Istria, i comandi italiani di Pola, ad esempio,
avevano consegnato ad un battaglione di Tedeschi di 350 uomini una
guarnigione di 15.000 soldati. I Tedeschi avevano messo questa gente
nei vagoni per deportarli in Germania. I partigiani slavi, partigiani
per modo di dire, questi insorti che avevano preso i fucili gettati via
dalle truppe italiane oppure i propri fucili da caccia, hanno atteso
questi convogli diretti in Germania nella stazione di Pisino, nel cuore
dell’Istria, assalendo due treni e liberando circa 3.000 marinai
italiani, cadetti. Migliaia e migliaia di soldati italiani, non
solamente di stanza in Istria ma anche provenienti dalla Croazia,
disarmati, dopo l’8 settembre, che attraversavano l’Istria interna per
andare a Trieste, non quella costiera, popolata in gran parte da
popolazione italiana, ma l’Istria interna popolata quasi esclusivamente
da popolazioni slave, sono stati accolti e rifocillati da queste
popolazioni, che li hanno protetti per non essere presi dai Tedeschi
che nel frattempo, ad ottobre, erano calati in gran numero da Gorizia e
dal Brennero. Ci sono anche documenti, anche per esempio
dell’episcopato di Trieste, che attestano questa solidarietà, quindi è
falso sostenere che tutte le vittime erano italiane e che dall’altra
parte c’erano solo i barbari slavi.
Osservatorio sui Balcani: Nel maggio ’45 i partigiani jugoslavi
occuparono Trieste. Quei 40 giorni vengono considerati e raccontati
come il culmine delle violenze antitaliane. Come va inquadrato quel
periodo?
Giacomo Scotti: In Istria la caccia al fascista avvenne in quei trenta
giorni del settembre, e poi non si è ripetuta più. A Trieste invece è
avvenuta la seconda fase, quella appunto dei 45 giorni. Qui ci sono
stati effettivamente episodi di pulizia etnica perché la cosiddetta
guardia popolare - di cui facevano parte tra l’altro moltissimi
Italiani, triestini, goriziani e friulani – e che a Trieste dava la
caccia ai gerarchi, ai fascisti, ha colpito anche molti antifascisti la
cui colpa era quella di battersi perché Trieste restasse italiana. Da
una parte c’era l’idea di molti combattenti di costruire il socialismo
fino all’Isonzo, però c’era anche molto nazionalismo da parte delle
truppe di Tito arrivate a Trieste, che erano per la gran parte truppe
della Quarta Armata, Dalmati. Erano circa 12.000 partigiani, anche se
non si poteva più parlare di partigiani perché l’esercito cosiddetto
partigiano era un esercito dei più potenti, che aveva ormai 800.000
uomini ben armati. Inoltre c’erano alcuni reparti del Nono Corpus
sloveno, quindi uomini che avevano direttamente subito angherie dal
fascismo. Non dimentichiamo che il fascismo oltre ad essersi annessi
circa 600.000 Croati e Sloveni dopo la prima guerra mondiale, nella
seconda guerra mondiale aveva occupato e si era annesso una parte della
Slovenia, creando la provincia di Ljubljana, territori dove non c’era
un solo Italiano. Anche una parte della Dalmazia era stata annessa dopo
il 6 aprile ’41 all’Italia, era stata occupata e migliaia e migliaia di
Dalmati Croati sono finiti nei ben 109 campi di concentramento in
Italia. Quindi c’era rabbia, c’è stata anche vendetta, un revanscismo
da parte di questi soldati e sono stati commessi crimini. Ho trovato un
documento in questo senso, un telegramma di Tito inviato al comandante
jugoslavo della piazzaforte di Trieste che viene rimproverato
aspramente per non aver saputo controllare e moderare questo regime di
occupazione, togliendogli addirittura il comando. Quanti siano stati i
cosiddetti infoibati in questa fase non saprei dirlo non avendo
studiato il problema direttamente, io mi sono occupato nei miei libri
della storia istriana, però stando a storici triestini come Galliano
Fogar che era un azionista, oppure Raoul Pupo, oggi professore
universitario, si tratta anche là di alcune centinaia di persone finite
nella foiba di Basovizza, che ora è diventata monumento nazionale
italiano. Di fronte a queste vittime bisogna certamente inchinarsi.
Però bisogna anche dire che quelli che parlano di 10.000 o 20.000
infoibati infangano le vere vittime perché con le menzogne finisce che
la verità viene coperta e anche chi dice il vero non viene creduto.
Osservatorio sui Balcani: Dopo queste violenze ci fu l’esodo da Istria
e Dalmazia. In questo caso si parla di 350.000 Italiani che sarebbero
partiti dopo il ’45. Si tratta di cifre attendibili?
Giacomo Scotti: L’esodo complessivo dall’Istria e dalla Dalmazia e da
tutte le terre che sono state date alla Jugoslavia in virtù del
trattato di pace del ’47 e della sconfitta purtroppo dell’Italia, dopo
l’avventura nella quale l’aveva precipitata il fascismo, è stato di
240.000 persone. Negli ultimi dieci anni alcuni storici seri hanno
studiato questa questione, dopo il crollo del comunismo, tra di loro
addirittura uno storico anticomunista, Zeljavic. Sono andati negli
archivi, hanno preso i registri dello stato civile che ogni comune
nelle cosiddette province italiane dell’Istria e della Dalmazia aveva,
facendo ricerca. La Dalmazia in definitiva era Zara, una città di
20.000 abitanti sotto l’Italia, una piccola enclave. C’erano poi la
provincia di Fiume, che aveva tre comuni, con circa 50.000 abitanti, e
la provincia di Pola, che ne aveva 300 e poco più. Se veramente fossero
350.000 gli esiliati, sarebbero il 90% della popolazione che viveva in
quelle zone, compresi i Croati, e invece secondo il censimento fatto
dieci anni dopo la fine della guerra c’erano ancora 180.000 Croati
presenti e oggi, a 60 anni dalla fine della guerra, ci sono ancora
35.000 Italiani. Questi storici hanno preso in mano i registri dello
stato civile e i registri delle Questure, che sotto l’Italia erano
precisissimi segnalando addirittura chi era ebreo, chi era ariano, chi
non ariano, chi era antifascista ecc. Sono dati italiani, dello Stato
italiano che in base al trattato di pace l’Italia ha dovuto restituire
alla Jugoslavia come preda di guerra. Nell’esodo inoltre sono scappate
moltissime persone che non erano italiane, 20.000 Croati soltanto
dall’Istria, perché non volevano il comunismo, non volevano restare
sotto Tito. Molti Istriani poi, ad esempio, che lavoravano come
ferrovieri a Trieste e in Italia e non volevano perdere il posto di
lavoro, se ne sono andati. Ci sono molti motivi diversi, ma alla fine
sono partite 240.000 persone. Tra queste c’erano, veniamo alle cifre,
44.000 funzionari che erano venuti dall’Italia negli ultimi 18 anni di
presenza italiana in Istria, maestri elementari, insegnanti,
questurini, carabinieri, finanza ecc. che si iscrivevano nelle liste
della cittadinanza ma non erano autoctoni istriani o dalmati o fiumani.
Non li voglio certamente togliere, ma questi erano 44.000. C’erano poi
20.000 Croati. Quindi quando si parla di Italiani bisogna fare
attenzione. Parliamo degli Istriani, di qualsiasi nazionalità, non
erano soltanto Italiani i profughi.
Osservatorio sui Balcani: Tu hai seguito un percorso contrario a quello
di cui stiamo parlando, recandoti a vivere in Jugoslavia dopo la
seconda guerra mondiale. Negli anni recenti per l’impegno pacifista che
hai intrapreso nel corso delle guerre in ex Jugoslavia degli anni ’90 e
anche in ragione della tua nazionalità italiana hai trascorso anni
difficili… Come ti appresti a vivere questa giornata che in Italia è
stata ufficialmente definita del ricordo, il 10 febbraio?
Giacomo Scotti: Io e molti altri, quasi tutti gli Italiani qui, stiamo
vivendo questi giorni con molto disagio, ci sentiamo veramente
avviliti. Le destre, ovunque, i nazionalismi, ad esempio il
nazionalismo dei dieci anni di Tudjman, durante il quale hanno cercato
addirittura di chiuderci le scuole italiane, ci hanno perseguitato, ed
ora questo nazionalismo da parte italiana, che è un’euforia
insopportabile, con questi film che dicono menzogne, queste cifre che
dicono menzogne, queste parate, ci avviliscono… Questi nostri vicini,
amici con i quali viviamo qui nell’Istria, a Fiume, questi Croati, ci
dicono: “Noi che abbiamo subìto un’aggressione durante la guerra,
abbiamo subìto 360.000 morti dall’occupazione italiana, abbiamo subìto
i campi di concentramento italiani… Invece di chiederci perdono ci
attaccate ormai continuamente…” Come può fare un Italiano che vive qua
a guardare in faccia questa gente? Con la quale ogni giorno vive? Dopo
la morte di Tudjman di nuovo si era creato un clima di tolleranza, un
clima di convivenza pacifica… Invece di dare agli esuli che hanno
sofferto quella soddisfazione di essere ricordati al di sopra degli
odi, al di sopra dei rancori, ora in Italia si sfrutta questa giornata
per fare una campagna tremenda… Mi basta vedere la televisione, leggere
i giornali – qui arriva il Piccolo di Trieste – per esempio il Piccolo
ieri diceva che alla sala Tripcovich di Trieste è stato presentato
questo film sulle foibe…
Osservatorio sui Balcani: La fiction di Rai Uno, Il cuore nel pozzo?
Giacomo Scotti: Sì. Tutta la platea era formata soltanto da aderenti al
Fronte della Gioventù, della Fiamma Tricolore, e di Alleanza Nazionale.
Voi sapete benissimo che a Trieste Alleanza Nazionale non è quella di
Fini, si vantano di essere i picchiatori di Via Paduina, insomma sono
rimasti sempre i soliti. Ebbene a un certo punto un soldato, un
repubblichino prende la pistola e ammazza due persone, due partigiani,
li ammazza dicendo che con questo vuole evitare che la sua fidanzata
venga uccisa da loro. Ebbene è scoppiato un applauso, di fronte alla
morte di questi due partigiani, di questi due slavi, è scoppiato un
applauso irrefrenabile. Quando uno Sloveno, esponente della minoranza
slovena di Trieste, ha cercato di entrare nella sala per protestare, lo
hanno preso per il collo gridando alla polizia italiana: “Buttate fuori
questa gentaglia.” Ecco questo è il clima che si è creato a Trieste e
già da molti giorni… Il giorno della memoria viene celebrato il 10
febbraio, non ci siamo ancora ma è già un’ubriacatura di odio, di
revanscismo, dove vogliamo arrivare con queste cose? La stampa di qui
riporta queste cose. Oggi per esempio (5 febbraio, ndr) il Novi List di
Fiume, che è il giornale a più grande tiratura in Croazia, titola:
“Tutti gli italiani vittime, solo noi Croati e Sloveni siamo stati i
carnefici.”
Osservatorio sui Balcani: Nelle settimane scorse, in Croazia, c’è stato
un attentato dinamitardo al monumento di Tito, nella nativa Kumrovec.
Allo stesso tempo sono stati eretti [poi rimossi] monumenti ad
esponenti ustascia del cosiddetto Stato Indipendente di Croazia di Ante
Pavelic, Budak e Francetic. Nella Croazia del 2005 sono ancora forti i
movimenti e le tendenze di estrema destra?
Giacomo Scotti: La risposta te la posso dare citando i risultati delle
recentissime elezioni presidenziali. A destra della candidata dell’HDZ
si è schierato uno che ai tempi di Tudjman era tra i massimi esponenti
dell’HDZ, un erzegovese, Ivic Pasalic, presentandosi come capo del
Blocco Croato, che ha raccolto tutte le sedici associazioni degli ex
combattenti della cosiddetta Guerra Patriottica, gli ustascia, insomma
la crema della destra in camicia nera. Ha ottenuto solo lo 0.5% dei
voti. Questa è la destra ustascia neofascista oggi in Croazia. Però è
una destra che ha ancora appoggi nei servizi segreti del governo, l’HDZ
non ha fatto pulizia nei suoi ranghi, ancora la polizia segreta
tudjmaniana tira le fila nel sottosuolo. Tutti sanno dove si trova
Gotovina [il generale ricercato dal Tribunale dell’Aja, ndr], ma
nessuno lo va a prendere, la Croazia è diventata ostaggio di un
cosiddetto eroe che sta facendo soffrire le pene dell’inferno alla
Croazia che non può entrare in Europa finchè lui è latitante. Ma tutti
questi alla fine raccolgono solo lo 0,5% dei voti, quindi la Croazia
non è fascista, i fascisti sono pochi, però sono terroristi, mettono le
bombe sotto i monumenti, provocano, sono una piccola minoranza di
terroristi.
> Balcani, moderati dell'Ulivo)
> A parte l'informazione sulla foiba di Basovizza (i documenti
> angloamericani testimoniano che non vi furono infoibati neppure i
> centinaia di cui parla Scotti, come si dimostra nel nuovo libro di
> Claudia Cernigoi), il resto è molto interessante.
> Smrt fazismu Svoboda narodu
> Alessandra Kersevan
[ vai alla pagina originaria per leggere anche i commenti dei lettori:
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3884/1/51/ ]
La memoria delle foibe in Istria: intervista a Giacomo Scotti
10.02.2005 scrive Andrea Rossini
Un clima di nazionalismo insopportabile sta inquinando i rapporti tra
Italiani, Croati e Sloveni. Giacomo Scotti, giornalista e scrittore di
Fiume/Rijeka, racconta il clima di questi giorni e nella propria
analisi contestualizza i fatti storici per i quali oggi in Italia si
celebra il giorno del ricordo. Pubblichiamo ampi stralci
dell’intervista realizzata in collaborazione con Radio Onda d’Urto
Osservatorio sui Balcani: Cosa furono le foibe e quante furono le
vittime delle violenze avvenute tra il ’43 e il ’47 a Trieste, in
Istria e Dalmazia?
Giacomo Scotti: Oggi il termine di infoibati viene esteso a tutti
quindi anche alle persone che furono catturate in combattimento negli
ultimi mesi della seconda guerra mondiale, per esempio i repubblichini
della Repubblica di Salò che operavano in Istria al servizio della
Gestapo e dei nazisti, o in generale i caduti italiani negli scontri
con i partigiani nel territorio dell’ex Venezia Giulia, quindi Istria e
Quarnero. Qualche centinaio di loro morì di stenti, o di malattie nei
campi di prigionia nei dintorni di Ljubljana, e anche questi vengono
messi tra gli infoibati. I veri infoibati che sono stati fucilati e i
cui corpi sono stati gettati nelle foibe sono verosimilmente alcune
centinaia. La storiografia dell’estrema destra parla tuttavia di
parecchie migliaia.
Osservatorio sui Balcani: In Italia si parla per l’appunto di una cifra
che arriva in certi casi alle 10.000 persone e oltre. Questa cifra
dunque secondo te non è corretta?
Giacomo Scotti: Non secondo me ma secondo gli storici triestini che
potremmo definire di centro, come Galliano Fogar, e perfino secondo
alcuni esuli istriani, come per esempio l’ex sindaco di Trieste, che
hanno scritto libri sull’argomento. Ci sono state due fasi. Dopo la
capitolazione italiana dell’8 settembre 1943 in Istria c’è stata una
sollevazione, un’insurrezione di contadini che hanno assalito i
Municipi, hanno assalito anche le case dei fascisti, di coloro che
facevano parte della milizia volontaria della sicurezza nazionale,
degli agenti dell’OVRA (la polizia segreta fascista, ndr) ammazzandone
parecchi nelle loro case, e alcuni gettandoli nelle foibe.
L’insurrezione istriana durò dal settembre fino al 4 ottobre del ’43,
quindi circa 30 giorni. Dopo sono arrivati i Tedeschi e hanno messo a
ferro e fuoco l’Istria. Le vittime dell’insurrezione erano per la
maggior parte gerarchi fascisti, ma ci sono andati di mezzo anche degli
innocenti, ci sono state rese di conti fra gente che aveva dei conti da
regolare. Tuttavia non si può parlare di odio antiitaliano, in un certo
senso non si facevano distinzioni. Prima ancora che calassero le grosse
divisioni tedesche in Istria, i comandi italiani di Pola, ad esempio,
avevano consegnato ad un battaglione di Tedeschi di 350 uomini una
guarnigione di 15.000 soldati. I Tedeschi avevano messo questa gente
nei vagoni per deportarli in Germania. I partigiani slavi, partigiani
per modo di dire, questi insorti che avevano preso i fucili gettati via
dalle truppe italiane oppure i propri fucili da caccia, hanno atteso
questi convogli diretti in Germania nella stazione di Pisino, nel cuore
dell’Istria, assalendo due treni e liberando circa 3.000 marinai
italiani, cadetti. Migliaia e migliaia di soldati italiani, non
solamente di stanza in Istria ma anche provenienti dalla Croazia,
disarmati, dopo l’8 settembre, che attraversavano l’Istria interna per
andare a Trieste, non quella costiera, popolata in gran parte da
popolazione italiana, ma l’Istria interna popolata quasi esclusivamente
da popolazioni slave, sono stati accolti e rifocillati da queste
popolazioni, che li hanno protetti per non essere presi dai Tedeschi
che nel frattempo, ad ottobre, erano calati in gran numero da Gorizia e
dal Brennero. Ci sono anche documenti, anche per esempio
dell’episcopato di Trieste, che attestano questa solidarietà, quindi è
falso sostenere che tutte le vittime erano italiane e che dall’altra
parte c’erano solo i barbari slavi.
Osservatorio sui Balcani: Nel maggio ’45 i partigiani jugoslavi
occuparono Trieste. Quei 40 giorni vengono considerati e raccontati
come il culmine delle violenze antitaliane. Come va inquadrato quel
periodo?
Giacomo Scotti: In Istria la caccia al fascista avvenne in quei trenta
giorni del settembre, e poi non si è ripetuta più. A Trieste invece è
avvenuta la seconda fase, quella appunto dei 45 giorni. Qui ci sono
stati effettivamente episodi di pulizia etnica perché la cosiddetta
guardia popolare - di cui facevano parte tra l’altro moltissimi
Italiani, triestini, goriziani e friulani – e che a Trieste dava la
caccia ai gerarchi, ai fascisti, ha colpito anche molti antifascisti la
cui colpa era quella di battersi perché Trieste restasse italiana. Da
una parte c’era l’idea di molti combattenti di costruire il socialismo
fino all’Isonzo, però c’era anche molto nazionalismo da parte delle
truppe di Tito arrivate a Trieste, che erano per la gran parte truppe
della Quarta Armata, Dalmati. Erano circa 12.000 partigiani, anche se
non si poteva più parlare di partigiani perché l’esercito cosiddetto
partigiano era un esercito dei più potenti, che aveva ormai 800.000
uomini ben armati. Inoltre c’erano alcuni reparti del Nono Corpus
sloveno, quindi uomini che avevano direttamente subito angherie dal
fascismo. Non dimentichiamo che il fascismo oltre ad essersi annessi
circa 600.000 Croati e Sloveni dopo la prima guerra mondiale, nella
seconda guerra mondiale aveva occupato e si era annesso una parte della
Slovenia, creando la provincia di Ljubljana, territori dove non c’era
un solo Italiano. Anche una parte della Dalmazia era stata annessa dopo
il 6 aprile ’41 all’Italia, era stata occupata e migliaia e migliaia di
Dalmati Croati sono finiti nei ben 109 campi di concentramento in
Italia. Quindi c’era rabbia, c’è stata anche vendetta, un revanscismo
da parte di questi soldati e sono stati commessi crimini. Ho trovato un
documento in questo senso, un telegramma di Tito inviato al comandante
jugoslavo della piazzaforte di Trieste che viene rimproverato
aspramente per non aver saputo controllare e moderare questo regime di
occupazione, togliendogli addirittura il comando. Quanti siano stati i
cosiddetti infoibati in questa fase non saprei dirlo non avendo
studiato il problema direttamente, io mi sono occupato nei miei libri
della storia istriana, però stando a storici triestini come Galliano
Fogar che era un azionista, oppure Raoul Pupo, oggi professore
universitario, si tratta anche là di alcune centinaia di persone finite
nella foiba di Basovizza, che ora è diventata monumento nazionale
italiano. Di fronte a queste vittime bisogna certamente inchinarsi.
Però bisogna anche dire che quelli che parlano di 10.000 o 20.000
infoibati infangano le vere vittime perché con le menzogne finisce che
la verità viene coperta e anche chi dice il vero non viene creduto.
Osservatorio sui Balcani: Dopo queste violenze ci fu l’esodo da Istria
e Dalmazia. In questo caso si parla di 350.000 Italiani che sarebbero
partiti dopo il ’45. Si tratta di cifre attendibili?
Giacomo Scotti: L’esodo complessivo dall’Istria e dalla Dalmazia e da
tutte le terre che sono state date alla Jugoslavia in virtù del
trattato di pace del ’47 e della sconfitta purtroppo dell’Italia, dopo
l’avventura nella quale l’aveva precipitata il fascismo, è stato di
240.000 persone. Negli ultimi dieci anni alcuni storici seri hanno
studiato questa questione, dopo il crollo del comunismo, tra di loro
addirittura uno storico anticomunista, Zeljavic. Sono andati negli
archivi, hanno preso i registri dello stato civile che ogni comune
nelle cosiddette province italiane dell’Istria e della Dalmazia aveva,
facendo ricerca. La Dalmazia in definitiva era Zara, una città di
20.000 abitanti sotto l’Italia, una piccola enclave. C’erano poi la
provincia di Fiume, che aveva tre comuni, con circa 50.000 abitanti, e
la provincia di Pola, che ne aveva 300 e poco più. Se veramente fossero
350.000 gli esiliati, sarebbero il 90% della popolazione che viveva in
quelle zone, compresi i Croati, e invece secondo il censimento fatto
dieci anni dopo la fine della guerra c’erano ancora 180.000 Croati
presenti e oggi, a 60 anni dalla fine della guerra, ci sono ancora
35.000 Italiani. Questi storici hanno preso in mano i registri dello
stato civile e i registri delle Questure, che sotto l’Italia erano
precisissimi segnalando addirittura chi era ebreo, chi era ariano, chi
non ariano, chi era antifascista ecc. Sono dati italiani, dello Stato
italiano che in base al trattato di pace l’Italia ha dovuto restituire
alla Jugoslavia come preda di guerra. Nell’esodo inoltre sono scappate
moltissime persone che non erano italiane, 20.000 Croati soltanto
dall’Istria, perché non volevano il comunismo, non volevano restare
sotto Tito. Molti Istriani poi, ad esempio, che lavoravano come
ferrovieri a Trieste e in Italia e non volevano perdere il posto di
lavoro, se ne sono andati. Ci sono molti motivi diversi, ma alla fine
sono partite 240.000 persone. Tra queste c’erano, veniamo alle cifre,
44.000 funzionari che erano venuti dall’Italia negli ultimi 18 anni di
presenza italiana in Istria, maestri elementari, insegnanti,
questurini, carabinieri, finanza ecc. che si iscrivevano nelle liste
della cittadinanza ma non erano autoctoni istriani o dalmati o fiumani.
Non li voglio certamente togliere, ma questi erano 44.000. C’erano poi
20.000 Croati. Quindi quando si parla di Italiani bisogna fare
attenzione. Parliamo degli Istriani, di qualsiasi nazionalità, non
erano soltanto Italiani i profughi.
Osservatorio sui Balcani: Tu hai seguito un percorso contrario a quello
di cui stiamo parlando, recandoti a vivere in Jugoslavia dopo la
seconda guerra mondiale. Negli anni recenti per l’impegno pacifista che
hai intrapreso nel corso delle guerre in ex Jugoslavia degli anni ’90 e
anche in ragione della tua nazionalità italiana hai trascorso anni
difficili… Come ti appresti a vivere questa giornata che in Italia è
stata ufficialmente definita del ricordo, il 10 febbraio?
Giacomo Scotti: Io e molti altri, quasi tutti gli Italiani qui, stiamo
vivendo questi giorni con molto disagio, ci sentiamo veramente
avviliti. Le destre, ovunque, i nazionalismi, ad esempio il
nazionalismo dei dieci anni di Tudjman, durante il quale hanno cercato
addirittura di chiuderci le scuole italiane, ci hanno perseguitato, ed
ora questo nazionalismo da parte italiana, che è un’euforia
insopportabile, con questi film che dicono menzogne, queste cifre che
dicono menzogne, queste parate, ci avviliscono… Questi nostri vicini,
amici con i quali viviamo qui nell’Istria, a Fiume, questi Croati, ci
dicono: “Noi che abbiamo subìto un’aggressione durante la guerra,
abbiamo subìto 360.000 morti dall’occupazione italiana, abbiamo subìto
i campi di concentramento italiani… Invece di chiederci perdono ci
attaccate ormai continuamente…” Come può fare un Italiano che vive qua
a guardare in faccia questa gente? Con la quale ogni giorno vive? Dopo
la morte di Tudjman di nuovo si era creato un clima di tolleranza, un
clima di convivenza pacifica… Invece di dare agli esuli che hanno
sofferto quella soddisfazione di essere ricordati al di sopra degli
odi, al di sopra dei rancori, ora in Italia si sfrutta questa giornata
per fare una campagna tremenda… Mi basta vedere la televisione, leggere
i giornali – qui arriva il Piccolo di Trieste – per esempio il Piccolo
ieri diceva che alla sala Tripcovich di Trieste è stato presentato
questo film sulle foibe…
Osservatorio sui Balcani: La fiction di Rai Uno, Il cuore nel pozzo?
Giacomo Scotti: Sì. Tutta la platea era formata soltanto da aderenti al
Fronte della Gioventù, della Fiamma Tricolore, e di Alleanza Nazionale.
Voi sapete benissimo che a Trieste Alleanza Nazionale non è quella di
Fini, si vantano di essere i picchiatori di Via Paduina, insomma sono
rimasti sempre i soliti. Ebbene a un certo punto un soldato, un
repubblichino prende la pistola e ammazza due persone, due partigiani,
li ammazza dicendo che con questo vuole evitare che la sua fidanzata
venga uccisa da loro. Ebbene è scoppiato un applauso, di fronte alla
morte di questi due partigiani, di questi due slavi, è scoppiato un
applauso irrefrenabile. Quando uno Sloveno, esponente della minoranza
slovena di Trieste, ha cercato di entrare nella sala per protestare, lo
hanno preso per il collo gridando alla polizia italiana: “Buttate fuori
questa gentaglia.” Ecco questo è il clima che si è creato a Trieste e
già da molti giorni… Il giorno della memoria viene celebrato il 10
febbraio, non ci siamo ancora ma è già un’ubriacatura di odio, di
revanscismo, dove vogliamo arrivare con queste cose? La stampa di qui
riporta queste cose. Oggi per esempio (5 febbraio, ndr) il Novi List di
Fiume, che è il giornale a più grande tiratura in Croazia, titola:
“Tutti gli italiani vittime, solo noi Croati e Sloveni siamo stati i
carnefici.”
Osservatorio sui Balcani: Nelle settimane scorse, in Croazia, c’è stato
un attentato dinamitardo al monumento di Tito, nella nativa Kumrovec.
Allo stesso tempo sono stati eretti [poi rimossi] monumenti ad
esponenti ustascia del cosiddetto Stato Indipendente di Croazia di Ante
Pavelic, Budak e Francetic. Nella Croazia del 2005 sono ancora forti i
movimenti e le tendenze di estrema destra?
Giacomo Scotti: La risposta te la posso dare citando i risultati delle
recentissime elezioni presidenziali. A destra della candidata dell’HDZ
si è schierato uno che ai tempi di Tudjman era tra i massimi esponenti
dell’HDZ, un erzegovese, Ivic Pasalic, presentandosi come capo del
Blocco Croato, che ha raccolto tutte le sedici associazioni degli ex
combattenti della cosiddetta Guerra Patriottica, gli ustascia, insomma
la crema della destra in camicia nera. Ha ottenuto solo lo 0.5% dei
voti. Questa è la destra ustascia neofascista oggi in Croazia. Però è
una destra che ha ancora appoggi nei servizi segreti del governo, l’HDZ
non ha fatto pulizia nei suoi ranghi, ancora la polizia segreta
tudjmaniana tira le fila nel sottosuolo. Tutti sanno dove si trova
Gotovina [il generale ricercato dal Tribunale dell’Aja, ndr], ma
nessuno lo va a prendere, la Croazia è diventata ostaggio di un
cosiddetto eroe che sta facendo soffrire le pene dell’inferno alla
Croazia che non può entrare in Europa finchè lui è latitante. Ma tutti
questi alla fine raccolgono solo lo 0,5% dei voti, quindi la Croazia
non è fascista, i fascisti sono pochi, però sono terroristi, mettono le
bombe sotto i monumenti, provocano, sono una piccola minoranza di
terroristi.