(Un excursus attraverso l'opera cinematografica di E. Kusturica, la
cultura e la letteratura jugoslava, punteggiato da interessanti
considerazioni sulla "balcanite" e qualche discutibile nota di
carattere politico... AM)



http://www.carmillaonline.com/archives/2006/05/001774.html#001774



Maggio 16, 2006



Dialogo sui Balcani, Kusturica e la letteratura jugoslava

di Babsi Jones - http://babsijones.typepad.com/babsi/



Emir inizia a sentirsi angosciato, 9 novembre. Emir si dichiara
disponibile a rinunciare al suo salario, 10 novembre. Emir si sveglia
sempre più tardi, arriva sul set a tarda sera improvvisando, 17
novembre. La tensione fra gli attori è al culmine, Emir non fa altro
che acuirla, 19 novembre. Emir aveva promesso che avrebbe tagliato la
sceneggiatura, invece continua incessantemente ad aggiungere pagine
supplementari, 24 novembre. Emir è nervoso, continua a dire che non
può lavorare più velocemente di così, 10 dicembre. Emir è molto
depresso, la situazione in Bosnia lo opprime, 14 dicembre. Emir si
aggira per i corridoi mormorando che ha problemi esistenziali, 11
gennaio. Ogni volta che Emir esce a bere un caffè temiamo che non
torni più, 26 gennaio.



Questi sono brevi stralci dall’esilarante diario di bordo redatto
nel 1993 da Pierre Spengler durante le riprese di quello che resta il
più grande capolavoro della storia del cinema jugoslavo:
“Underground”. Lavorare con Emir Kusturica, il genio nato nel
’54 a Sarajevo e cresciuto alla scuola praghese di Miloš Forman,
per molti è un incubo. Io ho incontrato Kusturica tre volte.



Una di queste, in conferenza stampa al cinema Anteo a Milano: il
regista, dimenticandosi di presentare il tour “Effetti
Collaterali” della sua No Smoking Orchestra, deliziò per un’ora
abbondante la platea con lunghi racconti di suini intenti a divorare
vecchie Trabant, e descrizioni di uova rotte. Si accingeva al
montaggio del suo “Super Eight Stories”, un film-documentario in
super otto che non ha avuto il successo che meritava. Il Kusturica-
pensiero è spesso ai limiti della provocazione; di lui si è detto
tutto il peggio, persino che lavorasse per il KOS, i servizi segreti
jugoslavi; la sua opera, più irrealista che surrealista, ha un
impianto chiaramente epico che viene sistematicamente corroso dal
sarcasmo e dalla farsa; “è come Shakesperare senza Shakespeare”,
ironizza Kusturica; il piano temporale di tutti i film è inesistente,
e in questa utopia ucronica lo spettatore viene costretto a muovere
l’attenzione dalla fiction alla realtà senza comprendere dove
finisce il sogno e l’illusione e dove comincia il documentario come
testimonianza (popolare, perché il regista ricrea sempre dimensioni
collettive). Essere spettatori degli imponenti lungometraggi di
Kusturica significa entrare in un labirinto, in cui gesto politico e
simbolismo si fondono in un carnevale tragico e picaresco; in
un’orgia pagana il lutto si mescola alla farsa, e il kitsch, che
serve a stigmatizzare i tanti squallidi personaggi che si aggirano
nel dedalo jugoslavo, è anche scialuppa di salvataggio: in
contrapposizione al cool e al politically correct, il kitsch è il
simbolo dell’irregolare e del sovversivo. Kusturica è un regista
inafferrabile.



E’ appena uscito in Francia un libro utilissimo per avvicinarsi al
cinema kusturiciano certi di smarrirsi con soddisfazione: si
intitola “Le lexique subjectif d’Emir Kusturica” (edizioni
L’Age D’Homme) e lo ha scritto Matthieu Dhennin. “E’ una
biografia multitraccia del regista nato a Sarajevo. I suoi film sono
popolari e ultrapremiati, ma la personalità di Emir Kusturica resta
un enigma; giudicato troppo in fretta, poco compreso a causa dei suoi
prolungati periodi di isolamento o di certe affermazioni forti
travisate e lette fuor di contesto, spesso vittima di attacchi
sistematici da parte di personalità culturali con qualche prurito
antiserbo (si pensi a Bernard-Henri Lévy o a Finkelkraut che, pur
dichiarando esplicitamente di non aver visto “Underground”, lo
accusarono di essere ‘un nuovo Céline schierato dalla parte dei
nazisti’), di Emir Kusturica sappiamo troppo poco.” Così dice
l’autore.
L'idea di Dhennin, che da anni conosce il regista e dirige il sito
kustu.com, era di preparare un volume che dipingesse - attraverso
aneddoti, e grandi e piccole narrazioni - un ritratto a tre
dimensioni del regista ex-jugoslavo, un ritratto sicuramente
contraddittorio ma esauriente. Operazione riuscita, a mio parere, che
si spinge oltre il cinema e la musica di Emir Kusturica: il libro è
una breve ma indispensabile guida alla "ex-Jugoslavia" e ai Balcani,
che aiuta il lettore a ricostruire il difficile mosaico culturale e
politico di un paese che "c'era una volta", di una terra di mezzo che
non si è mai affrancata dalla colonizzazione degli Imperi. Dalla
questione del Kosovo e da Peter Handke alla paccottiglia jugoslava
che ispira i nostalgici del Maresciallo Tito, “Lexique” offre al
lettore una rosa di tragitti possibili, e di potenziali approfondimenti.





Appena ho aperto il tuo libro, ho pensato: è costruito con una
geometria che ricorda quella del tuo ormai celebre sito; se a far da
guida tra le migliaia di pagine virtuali è una mappa di un'ipotetica
rete metropolitana, un underground, a facilitare la lettura di
"Lexique" c'è lo schema caro a Milorad Pavić nel suo "Dizionario dei
Chazari": il bianco, il blu, il rosso; fonti europee, fonti
balcaniche, altre fonti. Abbiamo bisogno di schemi per comprendere la
complessità di Kusturica e dell'universo balcanico? Dobbiamo
semplificare e ridurre all’osso? Non è un rischio?



Io temo che, nonostante tutti i miei tentativi di dare al sito e al
libro una struttura scientifica, il caos prevalga: nel sito, se
osservi attentamente, le pagine nascoste sono in gran numero; così
nel libro, dove le voci del lessico si accavallano, si intersecano e
fondono l'una nell'altra. E' una geometria solo apparente: ho
improvvisato molto, anche per sorprendere il lettore con collegamenti
fortuiti. Credo che inconsciamente io abbia tentato di lavorare sul
testo seguendo il metodo di Kusturica, che parte da un'immensa
conoscenza di trucchi del mestiere e dei grandi classici del cinema
per poi lasciarsi prendere la mano dall'emozione e
dall’improvvisazione.



Il prologo è costruito sui tuoi sogni, o incubi, che sfociano in una
vera e propria diagnosi medica: overdose di Kusturica. In un testo
pubblicato in rete lo scorso dicembre, io ironizzavo sulla
"balcanite" intesa come "dipendenza inguaribile dai Balcani". Sembra
che, una volta penetrati nella jugo-giungla, non si sia più capaci di
uscirne.



E' una cultura totalizzante, che ti fagocita se ti ci avvicini. Io
avevo bisogno di scrivere questo libro; scriverlo è stato un
sollievo. E’ un’intossicazione, e me ne accorgo dalle reazioni
delle persone che, entrando in contatto con me e accettando i miei
suggerimenti cinematografici o di lettura, poi mi ringraziano: come
se avessi dato loro un'opportunità prima inimmaginabile, la chance di
una scoperta fantastica. Non so perché la cultura slava crei
dipendenza; in soggetti particolarmente predisposti è una droga. Ma
non tutti sono predisposti, è risaputo.



Decisamente. Abbiamo entrambi esperienza diretta dei pregiudizi
culturali e politici nei confronti dell'universo jugoslavo. Gli
italiani non hanno idea di quel che accade nei Balcani; persino i
grandi eventi - penso ai bombardamenti del '99 su Belgrado - e i
personaggi leggendari, come Tito, sono dimenticati. Nel libro tu
ironizzi sulla classica svista degli operatori culturali europei, che
spesso confondono Emir Kusturica con Vojislav Koštunica (l'attuale
premier serbo, ndr). Com'è la situazione in Francia? Quanto i mass
media si occupano di ex-Jugoslavia, e come?



Il più delle volte mi danno noia: producono una sequenza ininterrotta
di clichés. La situazione in Francia è semplice, e te la riassumo in
una riga: i mass media non si occupano di ex-Jugoslavia. A meno che
non si tratti del Danubio che tracima o dell’assassinio di un primo
ministro, ma è un coverage che dura solo poche ore. Un esempio
concreto e attuale: del referendum montenegrino indetto per la fine
di maggio nessuno scrive una riga. Né delle conseguenze geopolitiche
che un simile referendum può avere sull’area balcanica. Non mi
stupisce che, in questa assenza di conoscenza e di informazione,
siano frequenti sviste ed errori. L’intento didascalico del mio
libro è dovuto a questo: alla noia inimmaginabile che mi coglie
quando per l’ennesima volta mi accorgo che la Slovenia, la Slavonia
e la Slovacchia vengono mescolate come carte in un mazzo.



Questo “Lexique”, infatti, è molto più di un testo sul cinema e
la vita di Emir Kusturica: è quasi un manuale che permette al lettore
di conoscere un paese incoerente e ambiguo, è una guida agli
avvenimenti storici, è una mappa geografica. E’ un libro che ho
definito "necessario". Mi chiedo quali siano stati i tuoi percorsi
balcanici, e attraverso quali esperienze tu sia passato per arrivare
a compilare questo glossario narrativo...



Ho fatto due viaggi nei Balcani. Più delle esperienze concrete di
viaggio mi ha segnato la letteratura, però. Leggere gli autori
jugoslavi è come aprire il vaso di Pandora. Ogni volta resto stordito
dalla quantità di dramma e di bellezza che alcuni autori canalizzano.
E’ superfluo che io menzioni Ivo Andrić, ovviamente, ma vale la
pena di fare i nomi di Milorad Pavić, di Miloš Crnjanski e di Danilo
Kiš. Di Goran Petrović, che è uno scrittore straordinario, solo
“69 cassetti” è stato tradotto; lo stesso vale per Velibor
Colić, che ha uno stile asciutto, jazzistico, persino quando descrive
i massacri bosniaci come se rievocasse una performance di Ben
Webster. Tu sai che la nostra comune frustrazione è dover attendere
le traduzioni; penso ai sette volumi che compongono “Zlatno Runo”
di Borislav Pekić, che in Francia sono fermi al terzo (inediti in
Italia, ndr); ci vorranno decenni; eppure Pekić non ha nulla da
invidiare a Balzac, né per stile né per complessità.



E’ vero. La vedova di Pekić, stanca di attendere, ha aperto di
recente un blog sul quale pubblica, giorno per giorno, i taccuini e
gli inediti del marito, in lingua inglese. La letteratura europea è
incompleta, la parte slava è assente, e qui ritorniamo al soggetto
centrale del tuo testo: Emir Kusturica. Aveva annunciato in pompa
magna un’opera imponente costruita sul più celebre romanzo di
Andrić, “Il ponte sulla Drina”; per anni abbiamo vissuto in
attesa, poi il progetto è sfumato. Ne avrebbe fatto un capolavoro, e
la letteratura jugoslava, contemporanea e non, ne avrebbe tratto
grande giovamento. Cos’è accaduto?



Non sono poi così convinto che una “Drina” kusturiciana sarebbe
stata un capolavoro. Consideriamo il metodo di Kusturica: ha bisogno
di grandissime libertà interpretative per girare. “Il ponte sulla
Drina” ha una struttura poco elastica, e per di più è un
mausoleo, è il monumento nazionale della letteratura jugoslava.
L’avrebbe costretto a muoversi in una gabbia. Pensa a
“Underground”: chi conosce il testo del drammaturgo Kovačević da
cui Kusturica ha tratto ispirazione sa quanto e come lo ha tradito e
rimaneggiato, e quanto il film, alla fine, sia lontano dalla piece
teatrale. Tutto è accaduto nella sua testa in fase di ripresa e di
montaggio. Credo che non abbia osato fare una simile operazione con
il capolavoro dell’unico premio Nobel jugoslavo...



Sono costretta a provocarti. “Underground” è il punto più alto
dell’opera di Kusturica. Kusturica è considerato un genio grazie a
quel film colossale; la stragrande maggioranza degli spettatori – ma
anche dei critici – sono rimasti in attesa di un bis che non c’è
stato. Emir Kusturica, dopo “Underground”, è un regista quasi
deludente. A tratti sembra che, sfinito da una tale impresa (le
riprese sono durate anni, hanno causato parecchi feriti e un paio di
morti, un numero incalcolabile di incidenti politici e diplomatici, e
di polemiche) Kusturica si sia rifugiato in una specie di limbo
regionalista, simile a quello da cui era partito con “Dolly Bell”;
ha inanellato una serie di ottime commedie, molto sincretismo
zingaro, un po’ di jugoslavian graffiti, con un linguaggio che
sembra disarticolato...



Non posso non essere d’accordo. “Underground” è il capolavoro.
Forse dovremmo dimenticarcene, dovremmo staccarci e valutare le
produzioni successive senza fare continui riferimenti a quel film
immenso; non credo che le opere successive siano di scarso valore,
credo che semplicemente volesse raccontare altre storie con un
linguaggio differente, forse sottotono. Avendo avuto l’opportunità
di vedere come lavora Kusturica, ore ed ore di pellicola poi
inutilizzata, posso dirti che è ovvio che girare un film, per Emir,
è una vera sofferenza; si tortura, persino lavorando su una commedia.
I film che sono seguiti (“Gatto Nero Gatto Bianco”, “La vita è
un miracolo”) non sono più deboli; sono meno oscuri, meno
macchinosi di “Underground”. La mia opinione è che si tratti di
opere che stanno, in ogni caso, una spanna sopra la stragrande
maggioranza dei film che abbiamo occasione di vedere al cinema.



E nell’immediato futuro, cosa accade? C’è questo progetto su
Diego Armando Maradona, e si è parlato di un’opera punk nei teatri
francesi...



Sì. “Maradona” non è un progetto semplice da raccontare: Emir ha
seguito Diego per più di un anno in diversi paesi raccogliendo
materiale e girando. Cosa uscirà da questo materiale è un segreto.
Le riprese sono terminate da sei mesi ma, com’è tipico, nessuno
ancora ha idea di cosa Kusturica stia approntando. Forse neppure lui
lo sa, e attende il guizzo emozionale, la scintilla. L’uscita era
prevista in occasione dei Mondiali, ma i produttori possono pure
cominciare a versar lacrime: Kusturica non chiude un film se non è
esattamente come voleva che fosse. L’opera punk, invece, è un
progetto più definito. Andrà in scena all'Opéra de Paris e sappiamo
che è liberamente ispirata al suo lungometraggio dell’89, “Il
tempo dei gitani”. Al posto delle musiche di Goran Bregović ci
sarà la band in cui Kusturica suona, cioè i rinnovati Zabranjeno
Pušenje/No Smoking Band. Se vuoi sapere cosa accadrà in
palcoscenico, però, torniamo al mistero e alla sorpresa: credo che
neppure Emir sappia cosa ne uscirà, ed è questo il lato divertente.
Lo vedremo nell'estate del 2007.



E il tuo “Lexique subjectif d’Emir Kusturica”?



Sono dieci anni che lavoro intorno a Emir Kusturica, sicché avevo
accumulato una quantità di materiale, edito e inedito, che attendeva
solo di essere utilizzato e organizzato. Di fatto, a scrivere il
libro ci ho messo solo sei mesi. All’inizio, le motivazioni che mi
hanno spinto sono stati i pregiudizi, le malignità, i pettegolezzi
che conosci: “è uno zingaro, è amico di Milošević”, quel
genere di dichiarazioni demenziali. Lavorando, in realtà, mi sono
accorto di star salvando dall’oblio tanti minuscoli aneddoti,
frammenti che hanno a che fare con l’opera e la vita di Kusturica
che forse si sarebbero smarriti. E sono felice di aver trovato un
editore che, amando il lavoro di Emir, si è preso il rischio di
pubblicare un testo così sui generis.


Pubblicato Maggio 16, 2006 12:21 AM