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Riciclaggi e Mancate Epurazioni nel Dopoguerra.

RICICLAGGI E MANCATE EPURAZIONI NEL DOPOGUERRA:
IL CASO DEGLI ISPETTORI GENERALI VERDIANI E MESSANA.

A chi parla di “pacificazione” e di riconoscimenti anche ai
“vinti” della Seconda guerra mondiale, che, stando alla vulgata
(falsificatrice e fuorviante, lo diciamo subito) che si va
diffondendo in questi ultimi anni, non avrebbero goduto di alcun
diritto nell’Italia del dopoguerra, vogliamo qui portare ad esempio
la storia di due alti funzionari della PS, che dopo avere raggiunto i
vertici della carriera in epoca fascista, la proseguirono, senza
alcun problema, nell’Italia repubblicana “nata dalla Resistenza”.
Iniziamo parlando dell’ispettore generale di PS Ciro Verdiani, che
iniziò la propria carriera nel 1916 “al Quirinale come responsabile
della sicurezza personale dei Savoia” e nel 1930 fu nominato capo di
Gabinetto del questore di Roma. Verdiani fu inviato a Lubiana nel
maggio ‘41 subito dopo l’occupazione militare italiana della
cosiddetta “provincia di Lubiana”, dal Capo della Polizia di Roma,
allo scopo di “esaminare a fondo le necessità degli uffici e dei
comandi di polizia e Carabinieri” . Le proposte di Verdiani a questo
scopo (successivamente approvate da Mussolini) furono
“l’istituzione di una questura a Lubiana, due uffici di PS a Novo
Mesto e Kočevje, alcuni uffici confinari di Polizia ed un battaglione
di agenti di PS a Lubiana”. Sugli uffici di Novo Mesto e Kočevje,
considerati in zona di confine, esercitava alcune “competenze
speciali” il dottor Luciano Palmisani, allora dirigente la Polizia
di Frontiera a Trieste; Palmisani fu anche il reggente
dell’Ispettorato Speciale di PS (un corpo di polizia creato
specificamente per la lotta antipartigiana nell’allora Venezia
Giulia) nel periodo in cui il dirigente Giuseppe Gueli era fuori sede
in quanto si trovava a dirigere il corpo di sorveglianza di Mussolini
al Gran Sasso. Vale la pena di ricordare che, stando alle memorie
dello stesso Gueli, sarebbe stato proprio grazie alla sua
“sorveglianza” che il commando di Otto Skorzeny riuscì a liberare
il “duce” e portarselo via .
Verdiani propose anche di estendere alla “provincia di Lubiana” le
competenze dell’OVRA, ma “mentre la Venezia Giulia apparteneva
alla 1^ zona OVRA (con sede a Milano), la provincia di Lubiana venne
aggregata all’11^ Zona OVRA, con sede a Zagabria”, diretta da
Verdiani tra il 1941 ed il ‘43. Verdiani divenne infine dirigente
dell’Ispettorato Generale di Polizia in Croazia con sede a Zagabria,
come si evince da alcuni documenti datati luglio ed agosto ‘43, sia
d’epoca fascista, sia badogliana.
Finita la parentesi fascista, Verdiani ebbe una curiosa evoluzione:
nel 1944 fu “arrestato dalla Muti come antifascista. Liberato
all’inizio del 1945, si trasferisce a Venezia per attivare contatti
segreti con la Resistenza” ; successivamente, nel dopoguerra,
vantando il possesso di una “cassa dell’archivio dell’OVRA
contenente documenti riguardanti alcune personalità allora al
governo” riuscì ad avere un “colloquio con Pietro Nenni cui
consegnò personalmente la cassa (che conteneva anche il fascicolo di
Nenni) avendone in cambio, con la sua iscrizione al Partito
socialista, promessa di protezione per evitargli l’epurazione e le
sanzioni”. Nel 1946 ricoprì la carica di questore di Roma, il
secondo dopo la liberazione. Nel 1947 fu sentito come teste nel
processo a carico di Giuseppe Gueli e di altri membri
dell’Ispettorato Speciale celebrato a Trieste: doveva riferire
dell’inchiesta che un altro Ispettore generale di PS, Cocchia,
avrebbe svolto in seguito alla denuncia del vescovo di Trieste
Antonio Santin per le sevizie cui agenti dell’Ispettorato
sottoponevano i prigionieri. Verdiani asserì in udienza che la
relazione di Cocchia non era reperibile ma che Cocchia avrebbe
constatato che s’era trattato di esagerazioni sulle violenze che in
ogni caso andavano attribuite al solo commissario Gaetano Collotti
(nel frattempo deceduto) e non anche ai suoi collaboratori. Dato che
Cocchia non fu sentito, e la relazione non saltò mai fuori, la Corte
si basò, per giudicare questi fatti, solo sulle parole di Verdiani.
Ricordiamo che la sentenza sancì che era “molto riprovevole anche
moralmente” ma non penalmente perseguibile il fatto che Gueli fosse
venuto a conoscenza delle sevizie cui si dedicavano i suoi
sottoposti, e quindi lo assolse da questo capo di imputazione .
Nel dopoguerra Verdiani operò in Sicilia come dirigente di un
“Ispettorato per la lotta alla mafia”, assieme ad un suo vecchio
collega, Ettore Messana, che aveva diretto la questura di Lubiana
(istituita, lo ricordiamo, su proposta di Verdiani) fino a giugno
1942, e successivamente quella di Trieste, fino a giugno 1943.
Il nome di Messana risulta nell’elenco dei criminali di guerra
denunciati dalla Jugoslavia alla Commissione delle Nazioni Unite per
i crimini di guerra (United Nations War Crimes Commission). Il
rapporto di denuncia, redatto in lingua inglese ed inviato dalla
Commissione statale jugoslava in data 14/7/45 , lo accusa, sulla base
di documentazione che era stata trovata in possesso della Divisione
“Isonzo” dell’Esercito italiano di occupazione, di crimini
vari: “assassinio e massacri; terrorismo sistematico; torture ai
civili; violenza carnale; deportazioni di civili; detenzione di
civili in condizioni disumane; tentativo di denazionalizzare gli
abitanti dei territori occupati; violazione degli articoli 4, 5, 45 e
46 della Convenzione dell’Aja del 1907 e dell’articolo 13 del
Codice militare jugoslavo del 1944”.
Nello specifico viene addebitata a Messana (in concorso con il
commissario di PS Pellegrino e col giudice del Tribunale militare di
Lubiana dott. Macis) la costruzione di false prove che servirono a
condannare diversi imputati (tra i quali Anton Tomsič alla pena
capitale, eseguita in data 21/5/42) per dei reati che non avevano
commesso. La responsabilità di Messana e Pellegrino in questo fatto
è confermata da documenti dell’archivio della questura di Lubiana ,
che fanno riferimento ad una “operazione di polizia politica”
condotte dal vicequestore Mario Ferrante e dal vicecommissario
Antonio Pellegrina sotto la direzione personale di Messana, contro
una “cellula sovversiva di Lubiana” della quale facevano parte,
oltre al Tomsič prima citato, anche Michele Marinko (condannato a 30
anni di reclusione), Vida Bernot (a 25 anni), Giuseppina Maček (a 18
anni) ed altri tre a pene minori.
Messana e gli altri furono anche accusati di avere creato false prove
nel corso di una indagine da loro condotta, in conseguenza della
quale 16 persone innocenti furono fucilate dopo la condanna comminata
dal giudice Macis. Si tratta dell’indagine per l’attentato al
ponte ferroviario di Prešerje del 15/12/41, per la quale indagine,
come risulta da altri documenti della questura di Lubiana
dell’epoca, Messana, il suo vice Ferrante, l’ufficiale dei
Carabinieri Raffaele Lombardi ed altri agenti e militi furono
proposti per onorificenze e premi in denaro per la buona riuscita
delle indagini relative all’attentato di Preserje. Nello specifico
Messana ricevette come riconoscimento per il suo operato la
“commenda dell’Ordine di S. Maurizio e Lazzaro”.
Ettore Messana fu anche segnalato con nota del 21/9/45 dall’Alto
Commissario Aggiunto per l’Epurazione di Roma al Prefetto di
Trieste, che richiese un’indagine alla Polizia Civile del GMA . Il
risultato di questa indagine è contenuto in una relazione datata
6/10/45 e firmata dall’ispettore Feliciano Ricciardelli della
Divisione Criminale Investigativa , dalla quale citiamo alcuni passaggi.
“… il Messana era preceduto da pessima fama per le sue malefatte
quale Questore di Lubiana. Si vociferava infatti che in quella città
aveva infierito contro i perseguitati politici permettendo di usare
dei mezzi brutali e inumani nei confronti di essi per indurli a fare
delle rivelazioni (…) vi era anche (la voce, n.d.r.) che ordinava
arresti di persone facoltose contro cui venivano mossi addebiti
infondati al solo scopo di conseguire profitti personali. Difatti si
diceva che tali detenuti venivano poi avvicinati in carcere da un
poliziotto sloveno, compare del Messana, che prometteva loro la
liberazione mediante il pagamento di ingenti importi di denaro.
Inoltre gli si faceva carico che a Lubiana si era dedicato al
commercio in pellami da cui aveva ricavato lauti profitti.
Durante la sua permanenza a Trieste, ove rimase fino al giugno 1943,
per la creazione in questa città del famigerato e tristemente noto
Ispettorato Speciale di polizia diretto dal comm. Giuseppe Gueli,
amico del Messana, costui non riuscì ad effettuare operazioni di
polizia politica degne di particolare rilievo.
Ma anche qui, così come a Lubiana, egli si volle distinguere per la
mancanza assoluta di ogni senso di umanità e di giustizia, che
dimostrò chiaramente nella trattazione di pratiche relative a
perseguitati politici (…)”.

Dopo avere letto i curricula di questi due funzionari di PS, ci si
aspetterebbe di trovarli, se non condannati per il loro operato sotto
il fascismo, quantomeno “epurati” dalla Pubblica Sicurezza. Invece
li ritroviamo, nell’immediato dopoguerra, nella natia Sicilia, a
dirigere un “Ispettorato generale di PS per la Sicilia”, un
“organo creato per la repressione della delinquenza associata, e
specificamente per la repressione del banditismo che faceva capo a
Giuliano (il “bandito” Salvatore Giuliano, n.d.r.)” . Per sapere
come i due alti funzionari di PS svolsero il compito loro
affidatogli, leggiamo alcuni stralci dalla sentenza che fu emanata in
merito alla strage di Portella della Ginestra (1/5/47), dove gli
uomini di Giuliano spararono sulla folla che si era radunata per
festeggiare il Primo maggio, uccidendo undici persone tra cui donne e
bambini e ferendone molte altre.
Così “l’Ispettore Verdiani non esitò ad avere rapporti con il
capo della mafia di Monreale, Ignazio Miceli, ed anche con lo stesso
Giuliano, con cui si incontrò nella casetta campestre di un sospetto
appartenente alla mafia, Giuseppe Marotta in territorio di
Castelvetrano ed alla presenza di Gaspare Pisciotta, nonché dei
mafiosi Miceli, zio e nipote, quest’ultimo cognato dell’imputato
Remo Corrao, e dal mafioso Albano. E quel convegno si concluse con la
raccomandazione fatta al capo della banda ed al luogotenente di
essere dei bravi e buoni figlioli, perché egli si sarebbe adoperato
presso il Procuratore Generale di Palermo, che era Pili Emanuele,
onde Maria Lombardo madre del capo bandito, fosse ammessa alla
libertà provvisoria. E l’attività dell’ispettore Verdiani non
cessò più; poiché qualche giorno prima che Giuliano fosse
soppresso, attraverso il mafioso Marotta pervenne o doveva a Giuliano
pervenire una lettera con cui lo si metteva in guardia, facendogli
intendere che Gaspare Pisciotta era entrato nell’orbita del
Colonnello Luca ed operava con costui contro Giuliano”.
Per quanto riguarda Messana, invece, leggiamo che “l’Ispettore
Generale di PS Messana negò ed insistette nel negare di avere avuto
confidente il Ferreri, ma la negativa da lui opposta deve cadere di
fronte all’affermazione del capitano dei Carabinieri Giallombardo,
il quale ripetette (sic) in dibattimento che Ferreri fu ferito dai
carabinieri presso Alcamo, ove avvenne il conflitto in cui restarono
uccise quattro persone; e, ferito, il Ferreri stesso chiese di essere
portato a Palermo, spiegando che era un agente segreto al servizio
dell’Ispettorato e che doveva subito parlare col Messana”;
Salvatore Ferreri era “conosciuto anche come Totò il palermitano,
ma definito come pericoloso pregiudicato, appartenente alla banda
Giuliano, già condannato in contumacia alla pena dell’ergastolo per
omicidio consumato allo scopo di rapinare una vettura automobile”.
Verdiani morì a Roma nel 1952, e il suo “decesso fece in modo che
il suo ruolo in quegli anni piano piano si dissolvesse sotto i
riflettori”.
Sui rapporti tra la “banda” Giuliano, l’Ispettorato generale di
Messana e Verdiani, i servizi segreti statunitensi ed italiani,
nonché sul riciclaggio da parte di questi di personale che aveva
operato con la Decima Mas di Borghese (soprattutto il battaglione
Vega, emanazione dei Nuotatori Paracadutisti comandati dal triestino
Nino Buttazzoni, il quale, dopo avere “comandato il battaglione
NP” anche nella “zona di Gorizia contro i partigiani comunisti
italo-slavi, difendendola dall’occupazione titina”, si trovava a
Venezia alla fine della guerra, pronto, con i suoi uomini, ad andare
a Trieste in previsione del fatto che “la città sarà invasa dagli
slavi di Tito” : a Venezia nello stesso periodo in cui Verdiani
maneggiava con alleati e resistenti) per organizzare un fronte
anticomunista in Sicilia (ma non solo), vi rimandiamo allo studio di
Giuseppe Casarrubea, “Storia segreta della Sicilia” (Bompiani
2005), in questo articolo da noi già ripetutamente citato .
È curioso, a questo proposito, che lo storico Giuseppe Parlato abbia,
nel corso della presentazione del libro “Trieste 1945-1954. Moti
giovanili per Trieste italiana”, dopo avere definito Trieste un
“un laboratorio della guerra fredda” ed “elemento centrale per
porre la questione della difesa dal comunismo nel disegno
anticomunista”, in quanto la “progettualità dell’OSS dal 1944
si dipana fino al 1954 triestino”, abbia usato la definizione
“teoremi costruiti che portano a deliri” in merito alle ricerche
di Casarrubea. Curioso perché questa affermazione è stata fatta in
un contesto dove nessuno dei presenti poteva fare riferimento ai
“teoremi” di Casarrubea, a meno che non si trattasse di persone
che avevano approfondito l’argomento e quindi potevano mettere in
collegamento la situazione della strategia della tensione creata
nella Zona A da parte di coloro che finanziavano e fomentavano i
“moti per la Trieste italiana”, con i “maneggi” denunciati
dalle ricerche di Casarrubea (e che emergono, ricordiamolo, in gran
parte da documentazione proveniente dagli archivi USA).
Ma in merito a quanto è emerso nel corso di questa serata di
presentazione, vi rimandiamo all’articolo intitolato “apologia di
scontri di piazza e di esercitazioni paramilitari” ( http://
www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-
apologia_di_scontri_di_piazza_ed_esercitazioni_paramilitari.php ).

Luglio 2006