PER IL XXV APRILE

Ricordiamo i Partigiani jugoslavi che hanno contribuito a liberare l'Italia


1) Iscrizione apposta sulla lapide che a Forca di Cerro presso Spoleto (PG) ricorda alcuni
dei tanti jugoslavi che, sfuggiti dopo l'8 Settembre ai campi di concentramento costruiti
dal Fascismo sul territorio italiano, formarono le prime Brigate Partigiane dell'Italia
Centrale e caddero per la liberazione del nostro paese

2) 25 aprile. Non si fucila un'idea.
di Giuseppe Aragno. La vicenda di Vladimir Gortan, primo condannato a morte del
Tribunale Speciale fascista

3) "Dietro di noi c'è la nuova Jugoslavia!"
Stralci da "A Trieste!", memoriale di Vinko Šumrada - Radoš, commissario politico del
comando clandestino di Trieste fino alla fine del mese di aprile 1945 (da La Nuova
Alabarda)


=== 1 ===

Forca di Cerro (presso Spoleto, PG), lapide ai caduti Partigiani Jugoslavi
(trascrizione letterale)
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QUESTA LAPIDE RICORDA I FRATELLI JUGOSLAVI
CADUTI FRA QUESTI MONTI BOSCOSI E LE VERDI
VALLATE NELLA LOTTA CONTRO IL BARBARO
OPPRESSORE NAZIFASCISTA

MILAN KOVACEVIC
PETAR CUROVIC
DUSAN LABOVIC
VIKTOR BOLAFIO
KRSTO LEKOVIC
DUSAN MATIC
ISIDOR
MILAN LJUBIC
IVAN KOS
JURE LAVRIC
KERSTNER
ALBIN VOVK

E TUTTI GLI ALTRI RIMASTI SCONOSCIUTI

PIÙ CHE L'ODIO E LA VENDETTA
CONTRO LE JENE ANCORA INSANGUINATE
DAL BUIO CUPO DELLA MORTE
RIFULGE SPLENDENTE L'AURORA
DI UN LUNGO GIORNO D'AMORE...

SPOLETO 16 GIUGNO 1972



=== 2 ===

25 aprile. Non si fucila un'idea

Giuseppe Aragno

La prima, grande unità partigiana croata che operò in Istria contro i nostri "bravi ragazzi"
in divisa nacque nell'estate del 1942 e arruolò anche alcuni lavoratori italiani per i quali la
speranza di costruire un mondo migliore aveva un valore ben più alto della "patria"
fascista e di ricorrenti deliri della "civiltà da esportare". Nata per sconfiggere il fascismo, la
brigata si scelse il nome d'un giovane antifascista giustiziato: Vladimir Gortan, educato ad
un comunismo ancora sensibile alla prima tradizione internazionalista, fondata su
sperimentati e solidi rapporti tra diverse identità etniche.
Contadino, Gortan aveva appena quindici anni quando a Pisino, suo paese natale, nel
1919, conobbe le prime minacce dei giovani fascisti: "A Pola xe l'Arena, la Foiba xe a Pisin
che buta zo in quel fondo chi ga certo morbin (1). Era l'annuncio della politica razzista
posta in essere poi dall'Italia di Mussolini contro gli sloveni e della durissima repressione
che colpì socialisti, comunisti e anarchici nelle realtà industriali di Trieste, Fiume,
Monfalcone e Pola.
A venticinque anni, nel 1929, il giovane istriano ha già alle spalle l'esperienza drammatica
di una intera generazione di slavi di fronte alla quale il fascismo si è assunto la
responsabilità gravissima di un comportamento destinato a produrre una tragedia. Egli sa
bene che la sola via possibile per liberarsi del regime passa per una lotta senza quartiere.
Una lotta nata dall'odio che, tuttavia, ha condotto il giovane contadino al sogno del
comunismo internazionalista e alla speranza del riscatto sociale.
E' lui, Vladimir Gortan, che al termine di una serie di riunioni con alcuni compagni,
organizza un'azione armata che, il 24 marzo 1929, nella contrada di Monte Cosmus, tra
Villa Treviso e Villa Padova, nel territorio di Pisino, intende impedire il "normale"
svolgimento di lezioni alle quali gli slavi sono condotti dai fascisti inquadrati in colonna. In
tasca ha due pistole ed ai compagni che lo seguono – "individui di sentimenti slavi e ostili
agli italiani" – ha procurato due moschetti e un pugno di cartucce. Appostati in un bosco
ai piedi del monte, gli uomini armati si dividono in due gruppi e attendono la colonna in
due luoghi diversi. Gortan è solo, racconta a distanza di anni la sentenza del Tribunale
Speciale fascista – lontano dai compagni e l'intenzione di tutti non è quella "di uccidere gli
elettori, ma di spaventarli per impedire che vadano a votare". Si fa fuoco, qualcuno sbaglia
mira ed uno degli slavi è ucciso.
Vladimir Gortan – sono sempre i giudici a raccontare – "arrestato in treno il 28 marzo […]
mentre stava per rifugiarsi in Jugoslavia", è "trovato in possesso di documenti che
dimostrano la sua qualità di emissario delle Associazioni irredentiste di oltre confine. La
credenziale trovata addosso attesta ufficialmente" che è "di nazionalità jugoslava e
politicamente molto ben conosciuto". Comparso davanti al Tribunale Speciale con quattro
compagni, sarò processato due volte, ma nessuno si curerà di capire chi dei cinque abbia
tirato il colpo mortale e nessuno dei giudici prenderà in considerazione l'involontarietà del
tragico epilogo dell'azione dimostrativa. Se avessero veramente voluto uccidere, i cinque
imputati avrebbero fatto una strage, ma questo non interessa a nessuno. Per i giudici "la
responsabilità del delitto del 24 marzo è dell'imputato Gortan Vladimir, l'emissario delle
associazioni terroristiche di lotte confine, l'organizzatore ed il capobanda della
brigantesca impresa, colui che diede le istruzioni e fornì le armi e le munizioni". La
condanna è già decisa e la corte, "ritenuto infine che un estratto della […] sentenza di
morte, con la menzione dell'avvenuta esecuzione, deve essere affisso in tutti i Comuni del
Regno […] condanna Gortan Vladimiro, quale capobanda terrorista, alla pena di morte
mediante fucilazione nella schiena".
Alle 5,30 del giorno successivo, il 17 ottobre del 1929, a "Pola, in località sud-ovest del
poligono della Regia Marina", Gortan muove i suoi ultimi passi e si siede di spalle al
plotone. Sono presenti, Don Bartolomeo Grosso, cappellano della Milizia, Omero
Mandruzzi, centurione medico, il maggiore dei carabinieri Roberto Marino, capo
dell'Ufficio di polizia Giudiziaria presso il Tribunale Speciale e Giusepe de Turris, il console
Comandante della LX Legione della Milizia, che è schierata introno all'imputato. Alle 5,40
l'ordine di far fuoco.
Le idee però non si uccidono coi fucili. Sarà anche in nome di Vladimir Gortan che i
partigiani slavi e italiani, comunisti, socialisti, anarchici, azionisti e cattolici, liquideranno i
conti militari con l'ultimo fascismo, il più miserabile di tutti, quello che si è reso complice
delle nefandezze naziste, dei crimini cetnici, delle atrocità degli ustascia e nulla ha
imparato da nessuno in tema di sadismo.
A ciò che è stato poi, alla sorte dei popoli stritolati nella morsa dell'imperialismo
americano e del socialismo reale sovietico, all'inevitabile risorgere di antiche rivalità
nazionaliste, i combattenti della guerra di liberazione furono estranei.
In quanto a Vladimir Gortan, la vita non avrebbe potuto renderlgliela ormai più nessuno:
Vivevano ancora i suoi quattro compagni. Il 3 ottobre del 1960 il Tribunale militare di
Roma si degnò di concedere loro l'amnistia, "dichiarando estinto il diritto dell'erario al
recupero delle spese di giustizia". Erano usciti di prigione nell'estate del 1938, grazie ad
un condono condizionale della pena (2). Ai fascisti che li avevano condannati nessuno
probabilmente aveva torto un capello e, non a caso, da tempo la Costituzione è sotto tiro.
Ludovico Geymonat, partigiano e filosofo, vide lontano quando, in tempi tutto sommato
non sospetti, osservò con amarezza che dopo la guerra di Liberazione, le strutture
dell'Italia erano rimaste nella sostanza quelle di una società poco democratica, dalle quale
era nata l'Italia fascista e totalitaria (3). Chiunque abbia occhi per vedere e voglia di usarli,
può rendersene conto. Ed è vero, lo confermo: non si fucila un'idea.
La si può tradire.


(1) "A Pola c'è l'Arena, a Pisino c'è la foiba: in quell'abisso vien buttato chi ha certi
pruriti." Canto dei fascisti di Pisino. Ad usare per primi le foibe per farvi sparire avversari
politici slavi e italiani furono i fascisti. Lo ricorda, vantandosene, lo squadrista istriano
Giorgio Alberto Chiurco, nella sua Storia della rivoluzione fascista, Vallecchi, Firenze,
1929. Una conferma dei crimini fascisti è in Giacomo Scotti, Foibe e foibe, "Il Ponte della
Lombardia" n. 2, febbraio/marzo 1997.
(2) Le notizie su Vladimiro Gortan sono in Ministero della Difesa, Stato Maggiore
dell'Esercito, Ufficio Storico, Tribunale Speciale per la difesa dello Stato. ^Decisioni emesse
nel 1929, Roma 1893, Reg. Gen, n. 78/1929, sentenze n.. 53 e 36, pp. 311-322.
(3) Ludovico Geymonat, La società come milizia, a cura di Fabio Minazzi, Marcos y
Marco, Milano 1989, p. 83.


=== 3 ===

"Dietro di noi c'è la nuova Jugoslavia!"

Stralci da "A Trieste!", memoriale di Vinko Šumrada - Radoš, commissario politico del
comando clandestino di Trieste fino alla fine del mese di aprile 1945
(da La Nuova Alabarda
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-dossier-A%20Trieste/1/
https://www.cnj.it/PARTIGIANI/sumrada.htm )


... Il lavoro continuava. Al posto di Boro, Matevž, Marjana, Bara, dell'onesto Emilio che non
sapeva tacere del suo lavoro, ma che in galera, neanche dopo essere stato picchiato a
sangue parlò, al posto della vivace Polonca a cui furono spezzati i denti in carcere, al
posto di tutti questi, ogni giorno si univano nuove persone alle nostre file. Tutti gli arresti
e le detenzioni non riuscirono a fermare il nostro movimento. I nostri magazzini si
riempivano, i gruppi partigiani attaccavano i tedeschi ed i fascisti anche durante il giorno
nel centro di Trieste, infatti in pieno giorno alla trattoria "Alla Pace" furono abbattute
anche delle forze fasciste , la guardia civica veniva disarmata e i traditori venivano puniti.
A lungo il traditore Leon ha goduto dei propri misfatti, ma il gruppo d'assalto di Milan di
Barcola lo ha raggiunto e giustiziato. Dopo questo anche Milan è stato ucciso, forse perché
qualcuno l'ha tradito. Durante la fuga è stato ucciso da un colpo della questura .
Anche il bunkeraš Jaka è morto durante un'imboscata tesagli nel suo appartamento. Non
ho più saputo niente di lui . Il fedele corriere Triglav è caduto nelle mani dei cetnici ed è
morto internato a Buchenwald, il nuovo corriere Joško che lo aveva sostituito, dopo un
duro pestaggio è stato internato in un campo di concentramento in Italia da dove è
scappato il giorno del suo arrivo ed ha ripreso immediatamente la sua attività.
Al posto delle staffette arrestate o compromesse altre subentravano e continuavano il
lavoro. Cambiavamo continuamente i documenti e le identità, ci aiutavamo in tutti i modi,
combattevamo la Gestapo e distruggemmo la loro rete provocatoria organizzata con cura.
In città la tensione era altissima, i tedeschi non lasciavano mai disarmati abitazioni e
caserme di notte e nemmeno di giorno si arrischiavano ad andare senza armi nella
periferia. Il fronte si avvicinava, erano cadute Sarajevo, Knin, Oto?ac, Sušak. Tutto il giorno
lo passavamo presso il compagno che custodiva l'apparecchio radio ed ascoltavamo le
notizie rafforzavamo l'organizzazione e coordinavamo i nuovi compagni nelle varie unità
di guerriglia. Sapevamo che le nostre unità nel momento dell'insurrezione sarebbero
rimaste isolate le une dalle altre e abbandonate a se stesse. Per questo cercavamo di
sistemare nei posti di maggiore responsabilità i nostri elementi migliori.
Erano già iniziati i combattimenti a Sušak e a Fiume quando il Gauleiter Rainer parlava agli
ufficiali tedeschi nel giorno del genetliaco di Hitler nell'ultima celebrazione a Miramare (20
aprile, n.d.r.): "Restate fedeli a Hitler fino al giorno della vittoria. Il Führer ci guida, il
Führer vincerà!". Tuttavia questa era ormai la fine.
Abbiamo ricevuto un dispaccio nel quale si diceva: "siate pronti, le nostre truppe hanno
già occupato Šempeter e Ilirska Bistrica".
Dopo questo è giunto un altro dispaccio: "non cominciate troppo presto l'insurrezione
aspettate nostri ordini".
Dopo questo non sono arrivati altri dispacci! Sabato 28 aprile 1945, di sera, eravamo a San
Giovanni. Per la prima volta ero alla trattoria Suban, anche se molti dei nostri compagni in
clandestinità la usavano come punto di ritrovo. Ricordo che abbiamo mangiato
dell'insalata, però non ricordo cosa c'era vicino. In quel momento sono state sparate le
prime salve di cannone dalle batterie marine di Muggia e Cattinara ed Opicina. Ci siamo
alzati di scatto, i piatti sono caduti per terra e noi eravamo tutti eccitati.
Le nostre truppe stanno arrivando, se i tedeschi ci bombardavano con i cannoni da Trieste
voleva dire che i nostri si stavano avvicinando!
La stessa notte sono andato da Martin Greif che nel frattempo aveva costituito il comando
della città; la mattina seguente già iniziavano i combattimenti. Nella zona della Maddalena
c'erano già i primi partigiani, naturalmente impacciati, con una grande stella rossa sulla
bustina, la maggior parte di loro aveva lunghi fucili italiani presi dai nostri depositi. Un
gruppo di tre ha disarmato il posto di guardia della guardia civica vicino a Muggia, ha
confiscato parecchi mitragliatori e un cannone anticarro. Štoka da solo in mezzo alla
strada ha disarmato un maggiore tedesco e diceva che non ha mai visto una faccia più
stupida di quella che ha fatto il tedesco quando gli ha messo la pistola sotto il naso.
Tuttavia non avevamo più collegamenti con il comando del IX Korpus. Non era ancora
giunto l'ordine telegrafico decisivo per l'insurrezione. Eravamo lasciati a noi stessi e
dovevamo decidere dal soli.
Lunedì mattina a San Giacomo è iniziata l'insurrezione operaia. Una massa di persone si
era riversata nelle strade e in mezzo a loro svicolavano le autoblindo dei tedeschi. Le
guidavano i tedeschi ma all'interno c'erano i questurini con le mostrine tricolori sulle
maniche sulle quali c'era la scritta CLN (Comitato libero nazionale- così nel testo, n.d.r.).
Le stesse persone che fino a pochi giorni prima avevano servito l'occupatore e il fascismo
e che avevano impiccato negli ultimi giorni di aprile quattro ostaggi accusandoli di avere
bruciato il garage di via D'Azeglio volevano ora farsi passare come monarchici per
prendere il potere.
Ero preoccupato che la situazione non si capovolgesse. Ma il proletariato triestino è stato
in grado di gestire la situazione. I lavoratori si impossessavano delle armi del CLN, si
armavano e componevano le compagnie, invadevano le caserme e l'ospedale militare in via
dell'Istria, e su questo non innalzarono la bandiera italiana col simbolo di casa Savoia ma
una bandiera rossa enorme che arrivava fino a terra.
Nel corso di un attacco è stata disarmata con i soli fucili una grossa autoblindo tedesca
con otto mitragliatrici, in breve il popolo ha deciso autonomamente di combattere per
prendere il potere. Dappertutto era così. Non soltanto a San Giacomo dove l'insurrezione è
stata spontanea, ma anche a San Giovanni già in mattinata fu occupata l'Università,
disarmato un presidio tedesco ed iniziata la calata verso il centro città, circondati i
tedeschi nel palazzo di giustizia e nella fortezza di San Giusto e negli altri edifici. I
tedeschi erano arroccati nelle caserme di Rozzol e nella stazione radio.
Alle 4 del pomeriggio è giunta la notizia che Biani, il comandante in capo, cioè San
Giovanni-centro , ha occupato il palazzo del Municipio il palazzo comunale sulla piazza
principale. Venti volontari si sono barricati nel palazzo della criminale questura triestina.
Aspettavamo. Non arrivavano notizie da fuori, non sapevamo cosa succedeva a Basovizza,
Opicina e Barcola. Il collegamento con la città non era possibile. Il IX Korpus non
comunicava nulla ma radio Londra trasmetteva gli ordini speciali del maresciallo Tito:
"L'ultimo giorno di aprile verso sera le truppe jugoslave sono entrate a Trieste dove sono
in corso combattimenti nelle strade".
Quindi le nostre truppe sono a Trieste e non soltanto le truppe del Comando città ma
anche i regolari dell'esercito jugoslavo. E davvero c'erano: allora erano già ad Opicina,
Barcola e San Giovanni. Il comando della città è stato trasferito a Ruzel . Sapevamo di avere
il controllo della grande parte della città, che sono state disarmate tutte le organizzazioni
collaborazioniste triestine e più di 2000 soldati tedeschi. Aspettavamo soltanto il
comunicato dall'uno o dall'altro settore, che le nostre truppe si erano congiunte con i
combattenti della IV Armata che spingeva da ovest verso la città.
Non dimenticherò mai quando ho sentito la mattina presto in via D'Angeli gridare: "Stoj,
stoj!". Ho guardato l'orologio, erano esattamente le 4 e mezzo di mattina del 1° maggio
1945. Ho aperto la finestra e visto le scure sagome dei soldati, anche se al primo
momento non sono riuscito a riconoscerle. Una donna ha urlato dalla finestra: "chi siete
compagni, da dove venite?".
Hanno risposto:
"Partigiani!".
Non sapevo cosa fare per la gioia ed ho gridato:
"Compagno, avvicinati, chi sei?".
Da lontano mi ha gridato:
"Siamo i combattenti del battaglione d'assalto della XXX Divisione".
Quando mi fu vicino mi riconobbe, un tempo era stato combattente della brigata Gradnik.
"Bene, compagno", disse, "abbiamo il compito di unirci a voi. Date la notizia che siamo
giunti in città dalla vostra postazione radio. Non posso fermarmi più a lungo, devo
proseguire. I tedeschi ci sparano dalle caserme".
Alla donna che gli aveva chiesto nuovamente chi e quanti fossero, rispose: "Siamo i
combattenti della XXX Divisione, dietro di noi stanno arrivando il IX Korpus e la IV Armata
jugoslava, dietro di noi c'è la nuova Jugoslavia".

Vinko Šumrada - Radoš