Kosovo: verbale segreto 

1) F. Juri: Nel verbale segreto istruzioni Usa all'Ue
2) G. Chiesa: L'indipendenza unilaterale del Kosovo, miccia innescata nei Balcani
3) E. Remondino: La tombola kosovara al via
4) INTERVISTA A HASHIM THACI "IL SERPENTE": "L’Italia sarà la prima a riconoscere il Kosovo"
5) E. Montes de Oca: Kosovo, nuova colonia?


Vedi anche:

PER L'INDIPENDENZA DI PRISTINA E' PRONTO IL ''PIANO DI LUBJIANA''

di Giulietto Chiesa - dal Manifesto del 6-1-08


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Nel verbale segreto istruzioni Usa all'Ue

di Franco Juri

su Il Manifesto del 30/01/2008

Kosovo

Scoppia a Lubiana un incredibile caso di vassallaggio europeo nei confronti di Washington. Lo rivela il quotidiano Dnevnik di Lubiana pubblicando nei dettagli il contenuto di un verbale «segreto» su cui in parlamento è stata già inoltrata dall'opposizione un'interrogazione parlamentare. Il verbale dimostra un coordinamento diretto tra Washington e Lubiana sul futuro immediato del Kosovo e sui passi da intraprendere per garantirne l'indipendenza, con una presenza europea e la legittimazione delle Nazioni unite proprio durante la presidenza slovena. A impartire le istruzioni sul Kosovo a un alto diplomatico sloveno, Mitja Drobnic, accompagnato dall'ambasciatore Samuel Zbogar, ricevuto al Dipartimento di stato il 24 dicembre scorso, è stato Daniel Fried, aiutante di Condoleezza Rice. Istruzioni dettagliate: i come, dove e quando dell'indipendenza del Kosovo, del suo riconoscimento e dell'arrivo della missione internazionale civile (Ico), «invitata» dal parlamento kosovaro subito dopo la dichiarazione di indipendenza secondo un timing prestabilito e concordato con Washington. La vice di Fried, Rosemary DiCarlo, arriva persino a rivelare che al parlamento kosovaro hanno consigliato di dichiarare l'indipendenza di domenica, in modo che la Russia non abbia il tempo di convocare il Consiglio di sicurezza. Il verbale è la prova inconfutabile di una preparazione meticolosa, pianificata a tavolino dagli Usa e delegata alla Slovenia e ai paesi europei, pronti a un rapido riconoscimento di Pristina già alla fine dello scorso anno. Ci sono alcuni paesi Ue (forse sei) che non sono disposti a riconoscere subito un Kosovo indipendente? Per Washington non è un problema: ne bastano quindici dei ventisette e andrà benissimo. Fried consiglia all'ospite di Lubiana che la Slovenia sia - come presidente di turno dell'Ue - il primo paese europeo a riconoscere Pristina.
Lo scandalo prende di soprpresa il ministro degli esteri sloveno Dimitrij Rupel, che non controlla il colabrodo del suo ministero e per ora non commenta. Il premier Jansa non nega l'autenticità del documento ma nega che ciò significhi pressioni americane sulla Slovenia. Dal ministero degli esteri arriva però una nota di palese imbarazzo e l'ambasciatore Zbogar viene immediatamente convocato in patria. I desideri americani non finiscono con il Kosovo: c'è, nelle istruzioni per l'uso dell'Ue, anche la data del vertice Ue-Usa da fare in giugno. Niente di tanto strano, se non fosse per le richieste che l'amministrazione Bush si aspetta siano esaudite durante la presidenza «amica» di Lubiana: salta fuori una lista di «paesi canaglia» che l'Ue dovrebbe condannare decisamente nell'occasione del vertice, come Iran, Siria, Filippine e i «soliti» Cuba e il Venezuela. Nella dichiarazione «suggerita» all'Ue dagli americani ci dovrebbe essere inoltre un'esplicita presa di posizione a loro favore sull'Iraq e la guerra al terrorismo.


(vedi anche:

Gli USA dettano alla Slovenia

29.01.2008    Da Capodistria, scrive Franco Juri 

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/8893/1/51/ )


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http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=16671

L'indipendenza unilaterale del Kosovo, miccia innescata nei Balcani

di Giulietto Chiesa

su altre testate del 31/01/2008

(e l'Europa prende posizioni al servizio degli Americani) - 31-1-08 (Dal Sito www.megachip.info )

E' bello, ma talvolta triste, dover registrare che si è fatta una scoperta. Triste quando la scoperta è brutta, sgradevole. E uno avrebbe preferito non farla. 
Scrissi, su queste pagine elettroniche di Megachip e per qualche giornale russo, che gli Stati Uniti avrebbero "approfittato" della presidenza di turno dell'UE, slovena, per tirare per i capelli l'Europa ad appoggiare subito, incondizionatamente, la dichiarazione unilaterale d'indipendenza del Kosovo. 
Una previsione, certo basata su solide indiscrezioni, ma non ancora un'informazione. 
Adesso c'è anche questa. Ed è uno scandalo che dimostra l'assunto di quell'articolo (come pure delle cose molto vere e molto belle che Ennio Remondino scrive per noi e per il Manifesto) . 
Un'Europa serva, subalterna, stupida. Un'America tracotante. La Slovenia vassallo capitato a turno nella sala di comando per eseguire gli ordini del padrone. In sintesi (lo stenogramma segreto di un incontro segreto pubblicato dal quotidiano sloveno Dnevnik e da quello serbo Politika) : alla vigilia di Natale l'ambasciatore sloveno Samuel Zbogar e il direttore di quel ministero degli esteri, Mitja Drobnic, sono convocati al Dipartimento di Stato, a Washington, per ascoltare il vice di Condoleeza Rice, Daniel Fried, che detta la road map che porterà Pristina all'indipendenza "americana". 
Ecco gli ordini: aspettare fino al 3 febbraio, quando il voto a Belgrado sarà stato chiuso. Aspettare che l'aquila nera in campo rosso salga sui pennoni di Pristina e poi subito (per impedire che Mosca chieda la riunione del Consiglio di Sicurezza) riconoscere a nome dell'Europa. 
Ci sono sei paesi europei che non sono d'accordo? Fried lo sa bene e si frega le mani. Ne bastano 15 su 27, stiamo a perdere tempo con questi cacasotto europei? l'Europa si spacca? Peggio per l'Europa! 
Che pena e che vergogna! Perchè l'Italia, cioè noi, fa parte di quel tappeto di servi su cui l'Impero avanza coi suoi stivali. Poi verrà il sangue e si fingerà di non sapere chi è stato.


=== 3 ===

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=16666

La tombola kosovara al via

di Ennio Remondino - Pristina

su Il Manifesto del 29/01/2008

Da Mitrovica a Pristina, sulla «bomba» indipendenza. Thaqi: «L'Italia dirà sì»

Che Francesco Cossiga sia uomo di rispetto su argomenti di intelligence militare e di strategie atlantiche è noto. A metà strada tra politica interna e internazionale, una sua dichiarazione dei giorni scorsi meritava più attenzione. L'ex Presidente annunciava il suo voto a sostegno di Prodi per fare un favore a Forza Italia. Il Presidente Emerito suggeriva a Berlusconi di lasciare ancora la palla a Prodi, visto che tra le altre grane internazionali incombenti, «bisogna ricominciare a sparare in Kosovo». La profezia cossighiana concludeva con la solita coda al veleno: «Quando è Prodi a bombardare Belgrado la guerra diventa una missione di pace..». Che sia stato il governo D'Alema, da lui sostenuto, nel 1999, a bombardare Belgrado, è dettaglio che gli avrebbe rovinato la battuta. 
Dal Kosovo, dove mi trovo, l'impressione che Cossiga possa avere ragione è forte. Lui certamente sa più di noi ma a volte, per capire, basta solo guardarsi attorno. Proprio mentre il premier kosovaro albanese Thaqi manda a dire che l'Italia sarà «tra i primi paesi a riconoscere l'indipendenza» (sic). Sono entrato in Kosovo percorrendo la «Ibarska magistrala», la statale che da Belgrado porta verso il Sangiaccato e il Montenegro. Al confine amministrativo della provincia di «Kosovo i Metohja», la polizia ti chiede il passaporto, per vedere - dice - da dove sei entrato in Serbia. L'aeroporto di Pristina, per esempio, non è frontiera internazionale riconosciuta da Belgrado. Poco oltre, una bandiera Onu ti propone un secondo confine che, a sua volta, ufficialmente non esiste. Poliziotti e doganieri serbo-kosovari che vedendo l'auto targata Belgrado ti fanno segno di passare ed una rotonda poliziotta con bandierina americana sulla spalla intenta a farsi vezzeggiare da atletici colleghi indigeni. In fondo alla cupa vallata mineraria, finalmente Kosovska Mitrovica, che sparge i suoi casermoni popolari tra le due sponde del fiume Ibar. 
Da questa parte del fiume è ancora Metohja, la terra dei monasteri cristiani ortodossi. Lungo la Ibarska ne trovi uno ogni qualche decina di chilometri. Mitrovica, da questa parte dell'Ibar, è Serbia delle viscere. Oltre il ponte vigilato dalla «legion» francese della Nato, i primi minareti del Kosovo albanese. A Mitrovica ci sono soltanto tre cose da vedere: il ponte, appunto, attorno a cui si combatté nel 2004, pronto oggi a tornare trincea, l'imponente ciminiera di cemento alta più di centro metri che fa da obelisco mortuario alla miniera-stabilimento per estrazione e lavorazione di piombo, zinco e un po' di oro. Poi, su di un aspro picco isolato, i resti della roccaforte crociata medioevale. Sventola un'enorme bandiera serba, e non riesco ad immaginare chi mai potrà arrivare sin lassù a toglierla. 
La strana vita da avamposto della Mitrovica serba ruota attorno al solo hotel decente di Mitrovica, sei camere striminzite e tutte prenotate per assistere da questa parte del fronte all'ormai imminente patatrac, e al bar Dolce Vita, che fronteggia il felliniano ponte-frontiera servendoti un ottimo espresso italiano. Il mercato di strada fatto da vecchi per i vecchi, qualche velleità di negozio ad offrire la moda della normalità dove di normale non c'è nulla. Giovani che girano in tondo alle stesse strade, senza prospettiva visibile di futuro, salvo immaginarli presto ad imbracciare attrezzi non da lavoro. Al bar-ristorante dove si succedono gruppi di militari francesi in missione di fratellanza, al solo punto Internet, incontro un prezioso collega bulgaro. Agenzia di stampa ufficiale. Parla il serbo come io l'italiano, e il romanesco come io il genovese. Venti anni a Roma, corrispondente, quando ancora la Bulgaria era il braccio armato del «Regno del male». L'amico bulgaro, uno che sa, conclude a slivovica: «Non sanno in che casino stanno cacciandosi». Quelli che non sanno, sono i governi dell'Ue. 
Da Mitrovica a Pristina, mezz'ora di strada che dobbiamo percorrere togliendo la targa all'auto a noleggio. La sigla Belgrado non è apprezzata. Ai blocchi di polizia albanese che ti fermano, accredito stampa italiano e la visione delle targhe nascoste. Uno dei poliziotti ammette che è meglio così. D'ora in avanti, solo il taxi albanese del mio amico Janez. A Pristina, l'ufficio giornalistico Rai s'insedia come sempre nella trattoria romagnola dedicata da Antonella «Al Passatore» italiano smarrito in terra e cucina albanese. 
Gli altri contatti giornalistici sono segreto professionale, come i piani di evacuazione distribuiti ai 150 italiani dal Consolato locale. Se mai fosse emergenza, 25 chili di bagaglio in cui chiudere questa infelice esperienza internazionale sotto la bandiera Onu. L'apparato militare Nato evita i giornalisti più del possibile nemico e i carabinieri Msu diffidano di noi quasi fossimo pregiudicati sottoposti al 41 bis. Per loro l'atroce dilemma di essere i guardiani della risoluzione Onu 1244, che fa a pugni con la missione Ue che arriverà a garantire un Kosovo albanese. Italiani contro italiani, potrebbe anche accadere. L'ambasciata ufficialmente rassicura. In questa vigilia il solo esercizio speculativo che vale è la «tombola kosovara». Indovinare il numero vincente del giorno della proclamazione unilaterale d'indipendenza. Io personalmente ho puntato la posta sul 6, ruota di febbraio, con tanto di prenotazione aerea. L'Ue ufficialmente insiste su marzo per fare un favore a Zapatero nella Spagna elettorale. 
Nel frattempo, per i Balcani è tutto un gran viaggiare. Nei giorni scorsi il neo premier kosovaro Thaqi a Bruxelles, dove Solana l'ha benedetto come suo «migliore amico» in Kosovo. Tempo fa era premier Ramush Haradinaj, anche lui amico dell'Europa, contro il quale, nei giorni scorsi, il Tribunale internazionale dell'Aja ha chiesto la condanna a 25 anni per crimini di guerra. Suggeriamo a Solana un po' di prudenza affettiva. Intanto qui a Pristina è arrivata la delegazione albanese di Albania, con il suo presidente Bamir Topi. Poco opportuna per le apparenze ma rivelatrice di molto futuro. Sui siti dei milioni di albanesi all'estero, quelli che contano, si continuano a proporre mappe e progetti sulla Grande Albania che s'ingrasserà con pezzi di Macedonia, Serbia, Grecia e Montenegro. Sul fronte opposto, la Serbia offesa, ripercorre le sue origini slave con un pellegrinaggio presidenzial-governativo a Mosca. Usa e Russia giocano le loro carte. L'Ue paga la posta. 
Leggo dalle dichiarazioni ufficiali che vengono da Bruxelles, che l'Ue si muoverebbe «compatta» verso la nuova sfida del Kosovo albanese indipendente. Auguri Ue - e Italia -, mi viene da ripetere, detto alla Cossiga, pensandola come il mio collega bulgaro.


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http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200801articoli/29570girata.asp

25/1/2008 (7:31) - INTERVISTA A HASHIM THACI, PREMIER KOSOVARO


"L’Italia sarà la prima a riconoscere il Kosovo"

«Entreremo nella Nato e nell'Unione Europea. Il veto dei russi non ci spaventa»

MARCO ZATTERIN
CORRISPONDENTE DA BRUXELLES

La soluzione «probabile» del rebus dell’indipendenza kosovara è un processo a ondate, con «le grandi potenze dell’Europa che riconosceranno insieme il nostro status non appena proclamato». L’Italia, assicura il primo ministro kosovaro Hashim Thaci, «sarà certamente in questo primo gruppo». Quando? «È questione di giorni», si sbilancia l’ex capo della guerriglia autonomista. Va bene, ma giorni o settimane? «Le settimane sono fatte di giorni. L’importante è che adesso tutto sia pronto». Al termine della prima visita a Bruxelles, dopo aver incontrato l’Alto rappresentante Ue per la politica estera Solana, la Commissione e l’Europarlamento, il leader del Kosovo parla a macchinetta in un’elegante sala dell’Hotel Hilton. Sorriso da cartolina, eleganza continentale, risposte brevi. Non s’impicca a una data. Fa di tutto per convincere chi lo ascolta che il dado è tratto. «Tutti quelli che ho incontrato - spiega - vogliono che il nostro status sia definito al più presto. Noi ci attendiamo che Europa e Stati Uniti procedano al riconoscimento in modo simultaneo. Il Kosovo è già unificato. Abbiamo i simboli, la bandiera e l’inno. Ripeto, è questione di giorni. Tutto indica che ci sarà una accettazione di questo fatto».

Si è avuta l’impressione che l’Europa freni. Che ne pensa?

«Che l’indipendenza rifletterà l’unità della valutazione di tutti».

A Bruxelles il fronte non è compatto.

«Non permetteremo altri ritardi. La cosa importante è che la missione civile Ue sia pronta a essere schierata. L’abbiamo invitata ed è benvenuta. Lavoreremo insieme per un successo comune». 

Prima la missione o l’indipendenza?

«La missione arriverà al momento giusto». 

Lo svedese Carl Bildt ha proposto di dare la parte albanese del Kosovo all’Ue e la serba all’Onu. Può funzionare?

«Bildt è un mio amico, ma l’idea è cattiva. Non può essere realizzata in pratica ed è inaccettabile per tutti».

La Spagna chiede di attendere le sue elezioni, il 9 marzo.

«Si vota in molti Paesi europei. Se li aspettiamo tutti non arriveremo mai alla meta. Sono stato a Madrid recentemente. La posizione spagnola è in linea con quella di Bruxelles».

C’è chi vuole legare l’indipendenza al secondo turno del voto di Belgrado.

«Non c’è legame con le loro elezioni. Noi abbiamo scelto la nostra strada. In nessuna circostanza il nome del nuovo presidente serbo può avere un impatto sulla nostra storia».

La Russia, membro del Consiglio di sicurezza, dice che non vi riconoscerà mai.

«In politica non bisogna mai dire mai».

E se insistessero col veto?

«Noi saremo presto dell’Ue, nella Nato, e in tutte le organizzazioni internazionali. Compresa l’Onu».

E il ruolo dell’Italia? Non ha fatto un po’ troppo l’occhiolino ai serbi? 

«Non è così. Il ruolo di D’Alema è stato equilibrato. Col suo Paese abbiamo ottime relazioni bilaterali. Sarete nel gruppo dei primi a riconoscerci».

Con chi?

«Con tutti gli Stati più potenti dell’Unione».

Conta sull’appoggio dei Paesi islamici?

«Spero di sì».

E i ciprioti contrari?

«Comprendo il loro problema e sono disposto ad attenderli più a lungo. Ma la decisione verrà comunque e non saremo ostaggi di Cipro».

Teme che il vostro caso possa essere un esempio per i serbi di Bosnia?

«Non ci può essere alcun paragone in nessuno caso».

Quando pensate di aderire all’Ue?

«Non appena avremo i requisiti. Ma è presto per parlare di una data».

Vi aspettate che Bruxelles vi sostenga finanziariamente?

«Ci hanno garantito che subito dopo l’indipendenza ci sarà una conferenza dei donatori».

È pronto a combattere per l’indipendenza del Kosovo?

«Abbiamo già combattuto, abbiamo vinto. Ora c’è democrazia e pace».

Ma se andasse male?

«Sono certo che il processo sarà pacifico».


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http://www.resistenze.org/sito/te/po/se/pose8a25-002567.htm

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=16672


Kosovo: nuova colonia?

di Eduardo Montes de Oca

su Resistenze del 31/01/2008

da Rebelion - www.rebelion.org/noticia.php?id=61890 - “Insurgente” www.insurgente.org

Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare


Il Kosovo rappresenta un’altra mela della discordia nel mondo di oggi. Alla fine di dicembre, le divergenze attorno al futuro assetto politico di questa provincia serba, a maggioranza albanese, sembravano allontanare un regolamento negoziato in seno all’ONU, istituzione a cui potrebbe venire sottratta una questione che si trasformerebbe così in qualcosa di terribile: un’altra guerra nei Balcani. Prensa Latina ha informato che in una seduta caratterizzata da esasperate discussioni e celebrata a porte chiuse, il 19 dicembre, i 15 membri del Consiglio di Sicurezza non sono riusciti a trovare un accordo sul futuro di questo territorio sotto l’amministrazione delle Nazioni Unite, in conformità con la Risoluzione 1244, in vigore dal momento in cui, nel 1999, cessarono i bombardamenti dell’aviazione statunitense e della NATO contro la Serbia. Durante i quattro mesi di negoziati condotti dalla Serbia e dagli albanesi-kosovari, fino al 10 dicembre, il principale ostacolo al regolamento della questione è stato la raccomandazione del mediatore dell’ONU, Martti Ahtisaari, di concedere al Kosovo un’indipendenza tutelata dalla stessa ONU e dalla NATO.La raccomandazione a separarsi, sostenuta da Stati Uniti e Unione Europea, e respinta da Russia e Serbia, ha rappresentato un incoraggiamento per gli albanesi-kosovari, che avevano ignorato più volte le offerte di ampia autonomia avanzate da Belgrado in difesa dell’integrità territoriale del paese. Al termine della riunione del Consiglio di Sicurezza, gli albanesi-kosovari hanno assicurato di essere pronti a proclamare unilateralmente l’indipendenza del Kosovo; e i serbi hanno avvertito di avere l’intenzione di respingere la dichiarazione che, come veniva sottolineato, aprirebbe le porte a numerose rivendicazioni simili delle minoranze nazionali di stati membri dell’Unione Europea. E allora, perché il distacco del Kosovo attira l’appoggio degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, anche se potrebbe rappresentare un cattivo precedente nel Vecchio Continente, e obbligherebbe a modificare o annullare la Risoluzione 1244, che riconosce la sovranità della Serbia sulla provincia? Elementare. Gli Stati Uniti e i loro principali alleati europei danno un vigoroso impulso alla secessione, allo scopo di completare la disintegrazione della ex Jugoslavia, la cui principale componente, la Serbia, ha sempre occupato una posizione più vicina alla Russia che all’Occidente. Inoltre, il Kosovo dispone di grandi riserve di lignite e carbone, trasformabili in energia elettrica in grado di soddisfare le necessità del suo sviluppo interno e di quello dei paesi vicini. Cosa non darebbero gli Stati Uniti, l’Unione Europea e le transnazionali per le abbondanti riserve energetiche di un territorio che rappresenta il 15% della superficie della Serbia? Immaginate la risposta. E’ chiaro che le autorità albanesi-kosovare hanno già avviato un ampio piano di privatizzazione del settore energetico, a favore di imprese nordamericane ed europee, lasciando naturalmente fuori la Russia. E allora come potrebbe l’Occidente rispettare una risoluzione dell’ONU che riconosce la sovranità della Serbia sul Kosovo? Su quel Kosovo che torna anche estremamente utile ai piani statunitensi di costruzione, attraverso i Balcani, di un’enorme rete per il trasporto di petrolio e gas, che garantisca le forniture in qualsiasi circostanza. Il Kosovo come neocolonia è ciò di cui hanno bisogno Washington e l’Unione Europea. Da qui l’ostinazione per una politica, quella dell’indipendenza, che, se per alcuni analisti potrebbe condurre solo a conflitti di bassa intensità, data la presenza sul luogo di più di 16.000 effettivi della NATO, per altri potrebbe portare ad una guerra di più vaste proporzioni, che implicherebbe una nuova ondata di pulizia etnica di serbi e rom per mano degli albanesi-kosovari. E qui una domanda non retorica ci assilla. Nel caso dello scenario di guerra vasta, per certe elites del potere insediate a Washington e in Europa la morte di migliaia di esseri umani varrebbe più dell’economia e della geopolitica? Conoscendo i nostri polli, crediamo proprio che una simile eventualità non rovinerebbe il loro sonno. (...)