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Unione Europea: trappola per i lavoratori sventata in Irlanda

1) 60 ore. E anche di più (Sara Farolfi su Il Manifesto del 11/06/2008)
2) Importante vittoria del No al Trattato di Lisbona nel referendum in Irlanda (Rete dei Comunisti)
3) Das keltische Dorf trotzt dem Imperium (von Jürgen Elsässer)
4) Plan B (german-foreign-policy.com)

Vedi anche:

Il sito del Partito Comunista d'Irlanda



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www.ilmanifesto.it

60 ore. E anche di più

di Sara Farolfi

su Il Manifesto del 11/06/2008

In arrivo la nuova normativa sull'orario di lavoro settimanale

L'ennesimo colpo di piccone ai diritti sociali in Europa. I ministri del lavoro dei 27 Stati europei hanno raggiunto un accordo, ieri, sulla direttiva europea sull'orario di lavoro. Licenziando un testo (che ora sarà sottoposto al parlamento europeo) che decreta la fine delle 48 ore settimanali - conquistate dall'Organizzazione internazionale dei lavoratori nel 1917 - e spalanca la porta a settimane lavorative di 60, persino 65 ore.
Ha vinto, di fatto, la linea a lungo perseguita dalla Gran Bretagna, la cui legislazione dal 1993 prevede la possibilità di avvalersi del diritto di opting out, attraverso cui singoli lavoratori e imprese possono sottoscrivere 'liberi' accordi (con quali rapporti di forza è facilmente immaginabile) per modificare l'orario di lavoro. Con la decisione di ieri, l'opting out diventa norma generale per tutti gli stati membri. I negoziati per aumentare l'orario di lavoro settimanale erano in corso da qualche anno. Al blocco capitanato dal Regno Unito (e sostenuto anche dalla Germania e della maggior parte dei nuovi stati membri) si è sempre opposto quello costituito da Francia, Spagna e Italia (in compagnia di Grecia, Cipro, Belgio e Lussemburgo). Con l'avvento di Berlusconi, l'Italia ha di fatto abbandonato il fronte della difesa dei diritti sociali, mentre Sarkozy in Francia ha fatto dell'orario di lavoro una merce di scambio il collega britannico Gordon Brown: la Francia avrebbe approvato l'allungamento dell'orario di lavoro, qualora la Gran Bretagna avesse accettato la parificazione dei diritti per i lavoratori interinali. E così ieri è andata. I ministri dei 27 Stati hanno approvato infatti una seconda direttiva, che decreta parità di trattamento (su salario, congedo e maternità) tra lavoratori 'in affitto' e dipendenti. Fatta salva comunque la possibilità di deroghe, qualora vi sia un accordo in tal senso con le parti sociali (come già accade in Gran Bretagna).
Le due direttive sono state approvate a maggioranza qualificata, con la contrarietà di cinque paesi (Spagna, Belgio, Grecia, Ungheria e Cipro). Ora dovranno passare al vaglio del parlamento europeo, traghettato dalla presidenza slovena a quella francese. La commissione europea applaude, mentre la Confederazione dei sindacati europei (Ces) parla di un «accordo inaccettabile, su cui daremo battaglia al Parlamento europeo», pur apprezzando la direttiva sugli interinali. E non si è fatto attendere il commento del nostro ministro, Maurizio Sacconi, che anche ieri è tornato a parlare della necessità di una «chirurgica deregulation del mercato del lavoro»: «Ora è importante che il parlamento europeo possa ratificare rapidamente questo accordo e che esso trovi poi rapida attuazione nella legislazione dei singoli paesi membri».
Con la nuova direttiva, gli Stati membri potranno modificare la propria legislazione per consentire ai singoli lavoratori di sottoscrivere accordi individuali in materia di orario di lavoro con i propri datori di lavoro. Un colpo di piccone alla contrattazione dunque, e un'incentivo netto ai rapporti di lavoro individualizzati. L'orario di lavoro potrà arrivare fino a 60 ore settimanali, 65 per alcuni lavoratori, come i medici. E il numero di ore viene considerato come media, che significa che la settimana lavorativa potrà arrivare a 78 ore.
Ma non è tutto. Perchè la direttiva riscrive anche il cosiddetto «servizio di guardia», il periodo cioè durante il quale il lavoratore è obbligato a tenersi a disposizione, sul proprio luogo di lavoro, in attesa di essere chiamato. Fino ad ora questo periodo (che può essere di svariate ore) era considerato tempo di lavoro, dunque retribuito. I ministri europei hanno deciso invece che, per esempio, stare al Pronto soccorso di guardia senza essere chiamati non sarà più lavoro retribuito. Massimo Cozza, segretario nazionale Cgil medici, lancia l'allarme. Ma su questo Sacconi ha rassicurato: «In Italia la parte inattiva del turno di guardia resterà orario di lavoro».


=== 2 ===

Importante vittoria del No al Trattato di Lisbona nel referendum in Irlanda
La sinistra anticapitalista non lasci solo alla Lega la richiesta di referendum sui trattati europei
comunicato della Rete dei Comunisti

 

La vittoria del NO nel referendum in Irlanda contro il Trattato di Lisbona, conferma due questioni molto importanti anche per il dibattito nella sinistra anticapitalista nel nostro paese:
a)      la prima è che il NO ai trattati europei – così come avvenuto tre anni fa in Francia e Olanda – è stato maggioritario nei quartieri operai e popolari ed esprime quindi una precisa indicazione di classe;
b)      La seconda è che in Irlanda, come in Francia e in Olanda, il No ai trattati europei ha vinto nonostante che il 95% delle forze politiche, dei mass media, dei poteri forti fosse schierato per il SI. In sostanza ogni volta che un trattato europeo è andato alla verifica democratica, gli eurocrati hanno perso.

 

In Italia, come è noto, nessun trattato internazionale vincolante per le scelte e le sorti del paese è mai stato sottoposto ad un referendum democratico. Lo impedisce tuttora un articolo della Costituzione e lo impedisce la volontà del 95% delle forze politiche che hanno preferito sempre la ratifica parlamentare dei trattati piuttosto che la verifica popolare e democratica.
Paradossalmente adesso è solo la Lega a chiedere il referendum sul Trattato di Lisbona (anche se poi non farà nulla per attuare tale richiesta), mentre questa richiesta legittima – anche forzando la Costituzione – l’avrebbero dovuta avanzare tre anni fa i partiti della sinistra (PdCI, PRC etc) e non lo fecero ripiegando sulla sola ratifica parlamentare in cui il PRC votò contro e il PdCI votò a favore del Trattato Costituzionale Europeo.
Ma perché si ha paura di andare alla verifica democratica attraverso un referendum popolare sui trattati europei? Apparentemente gli italiani sembrano i più europeisti d’Europa e dunque i poteri forti e le loro diramazioni politiche non avrebbero nulla da temere. Ma la realtà – come dimostrano i referendum in Irlanda, Francia e Olanda, potrebbe riservare brutte sorprese ai custodi bipartizan dell'Europa di Maastricht, ai furfanti della BCE,  agli eurocrati di Bruxelles e di casa nostra.
Otto anni fa - in una fase completamente diversa da quella attuale - conducemmo un’inchiesta tra i lavoratori italiani in diverse aziende private, pubbliche e di servizi a livello nazionale. Tra le risposte ottenute su un questionario di 65 domande, ce ne erano anche alcune sul consenso o meno all’unificazione europea e sulle conseguenze dei Trattati di Maastricht.
Ne riportiamo qui di seguito i risultati (pubblicati nel libro “La coscienza di Cipputi”, edizioni Mediaprint). Sono dati molto interessanti che consentono a tutti di avere a disposizione elementi per le proprie valutazioni e per ritenere che la proposta di referendum popolare contro il Trattato di Lisbona non dovrebbe essere lasciata solo alla Lega ma dovrebbe essere impugnata dalla sinistra anticapitalista.
“Il 70,7% dei lavoratori intervistati si è infatti espresso a favore dell’Unione Europea. La punta più bassa di questi consensi la troviamo tra i lavoratori dell’industria (dove si scende al 65,3%) nonostante, a livello geografico, sia proprio il Nord Ovest ad esprimere maggiori consensi verso l’Unione Europea (76,3%), mentre nel Meridione si scende al 65,6%. Si potrebbe parlare quasi di un plebiscito europeista, anche se non si possono sottovalutare, in un clima di apparente unanimismo, le nicchie di “euroscettiscismo” che vanno tra il 30 e il 37% nei vari settori produttivi e nelle varie aree regionali.
Le aspettative sugli effetti benefici dell’Unione Europea sono elevati. Quasi sette su dieci ritengono che “miglioreranno le condizioni di vita, i servizi e la cultura” (42,4%) o che questa “darà una prospettiva più sicura ai giovani” (23,7%). Questa aspettativa sul miglioramento scende però di quasi sette punti (35,8%) tra i lavoratori dell’industria, un dato questo che conferma il maggiore scetticismo di chi sta in fabbrica e già rilevato nella domanda generale.
Se i consensi più alti li troviamo tra chi in precedenza si era detto favorevole alle privatizzazioni (con l’86,6%) e più bassi tra chi si era detto contrario alle privatizzazioni (con il 60,2%), spicca il dato secondo cui quasi otto su dieci dei lavoratori (il 76,3%) che si sentono rappresentati dai partiti giudica positivamente l’Unione Europea. Un dato analogo lo verifichiamo nelle aziende dove viene percepita come maggioritaria l’influenza di CGIL, CISL, UIL o dei sindacati autonomi (con il 70% dei consensi).
È chiaro, quindi, che l’orientamento quasi unanime dei partiti e dei sindacati confederali favorevole all’unificazione europea ha creato un vasto serbatoio di consenso. Al contrario, nelle aziende dove è percepita con maggiore forza la presenza dei sindacati di base, i consensi sull’Unione Europea scendono di cinque punti (65%) e scendono ancora di più lì dove ci sono sindacati di orientamento leghista (50%).
Ma la verifica più interessante della contraddizione tra senso comune e realtà delle proprie condizioni sociali, emerge quando l’inchiesta entra nel merito delle valutazioni sulle conseguenze del processo che ha portato all’Unione Europea. Infatti solo il 31,5% dei lavoratori ritiene che “gli accordi europei hanno migliorato le proprie condizioni di vita”. È una contraddizione evidente: il 70% valuta positivamente l’Unione Europea ma solo tre su dieci hanno valutato positivamente gli effetti sociali della sua applicazione. I più disincantati appaiono i lavoratori del pubblico impiego (con il 72,2% delle valutazioni negative) e, come già visto, quelli delle fabbriche (con il 71,2%), i meno disincantati sono i lavoratori dei servizi privati (66,2%). Il disincanto è forte sia tra i lavoratori iscritti ai sindacati (70,1%) sia tra i non iscritti (67,3). Nelle aziende dove i lavoratori percepiscono come presenti i sindacati di base, il disincanto sul miglioramento delle condizioni di vita grazie a Maastricht sale al 76,3% degli intervistati.
Ma perchè i lavoratori non hanno una percezione positiva degli effetti innescati dagli accordi di Maastricht? Lo zoccolo duro (il 47,6%) ritiene di “aver fatto troppi sacrifici senza benefici” o “di aver pagato troppe tasse per entrare in Europa”.
Gli europeisti avrebbero la tentazione di liquidare questo indicatore di controtendenza come qualunquismo o sbrigativamente come euroscetticismo. Al contrario, il giudizio negativo di merito sull’Unione Europea attiene a ragioni molto concrete e molto legate alla condizione sociale dei lavoratori. Il 97% di coloro che si sono pronunciati negativamente sull’Unione Europea lo fanno perché non ritengono “che gli accordi europei migliorino le proprie condizioni di vita”. Lo stesso fanno il 76,7% di coloro che si erano pronunciati contro le privatizzazioni”.  
Un resoconto più completo dell'inchiesta si può consultare anche su: http://www.contropiano.org/Documenti/2007/Gennaio07/Quaderno_materiali.pdf

 

E’ dunque evidente come ancora una volta –ed anche su una materia complessa come i trattati europei - la coscienza dei lavoratori sia più avanzata di quella della sinistra e come il “sociale” prevalga sul “politico”. La funzione della soggettività non è affatto ininfluente. C’è molta materia su cui riflettere e su cui agire.
 
La Rete dei Comunisti
 

=== 3 ===


14.06.2008

Das keltische Dorf trotzt dem Imperium

Irische Volksabstimmung über den EU-Vertrag endet mit Sieg für das Nein. Schwere Schlappe für die Eurokraten

Von Jürgen Elsässer
In einer Volksabstimmung haben 53,4 Prozent der Iren den neuen EU-Vertrag abgelehnt.


Wir befinden uns im Jahre XVIII der Neuen Weltordnung. Ganz Europa ist vom Imperium besetzt. Ganz Europa? Nein! Ein von unbeugsamen Kelten bevölkertes Inselchen hört nicht auf, den Imperialisten Widerstand zu leisten. Sie spotten den Befehlen der Legionäre: Sie trinken Guinness und rauchen. Sie nehmen das Geld aus den Brüsseler Säcken und behalten trotzdem ihren eigenen Kopf. Sie wollen nicht für fremde Herren in deren Kriege ziehen und wissen, wo sie ihre Knarren vergraben haben. Sie verlangen, dass die Kirche in ihrem Dorf bleibt – und keine Kreuzzüge auf anderen Kontinenten führt. Sie machen frauenfeindliche Witze gegen Angela Merkel. Mann, was sind die rückständig! Mann, was sind die sympathisch!

Nach ersten vorläufigen Ergebnissen vom Freitag Nachmittag haben die Iren den neuen EU-Vertrag mit über 54 Prozent Nein-Stimmen abgelehnt. Die Beteiligung an dem Referendum lag bei 45 Prozent. Wie bei den Referenden in Frankreich und den Niederlanden, wo der damals noch als EU-Verfassung firmierende und ansonsten weitgehend inhaltsgleiche Text bereits 2005 abgeschmettert worden war, musste sich auch in Irland der Wille der Bevölkerung gegen eine geschlossene Phalanx der etablierten Kräfte durchsetzen. Alle großen Parteien, die Medien und der Unternehmerverband trommelten für das Ja. Dagegen standen vor allem die überparteiliche Organisation Libertas des Geschäftsmann Declan Ganley und die antimilitaristische Sinn-Fein-Partei, die aus dem Befreiungskampf der historischen IRA hervorgegangen ist.

Bezeichnend die Reaktion der Präzeptoren des Imperiums in Deutschland. Der CDU-Europaparlamentarier Elmar Brok plädierte dafür, das Nein der Iren zu ignorieren und den Ratifizierungsprozess des EU-Vertrages fortzusetzen. Eine Neuverhandlung des undemokratischen Machwerkes lehnte er kategorisch ab. Der Vorsitzende des Verfassungsausschusses des Europäischen Parlamentes, der SPD-Politiker, Jo Leinen, drohte Irland mit »Isolation«, falls es in dem Konflikt nicht nachbessern werde. Auch Grünen-Vizefraktionschef Jürgen Trittin und der Grünen-Europasprecher Rainder Steenblock übten sich in Demokraten-Schelte. Es dürfe nicht sein, »dass drei Millionen Menschen darüber entscheiden können, wie 500 Millionen Menschen ihre politische Zusammenarbeit gestalten«. Auf die nahe liegende Lösung, dann auch die Bürger der anderen 26 Mitgliedsstaaten abstimmen zu lassen, kamen die Grünen freilich nicht. Als einzige deutsche Partei begrüßte die LINKE den Sieg des Nein und der »Volkssouveränität« in Irland, so der Parteichef Lothar Bisky.

Mit dem 12. Juni hat das kleine Völkchen auf der grünen Insel Weltgeschichte geschrieben. Die irische Trikolore ist das Banner der europäischen Freiheit geworden. Nun ist es an der Zeit, dass die Gallier, die Germanen, die Wikinger, die Römer, die Hellenen und alle anderen, denen das Herz noch nicht in die Hose gerutscht ist, dem keltischen Beispiel folgen. Hören wir nicht auf die neunmalklugen Grünen, die uns weismachen werden, alle Nein-Sager in Dublin und anderswo seien Abtreibungsgegner, Schwulenfeinde, Klerikale und Nationalisten, mit denen sich Linke nicht verbrüdern dürfen. Dazu hat ein gewisser Wladimir Iljitsch Asterix das Notwendige gesagt: »Denn zu glauben, dass die soziale Revolution denkbar ist ohne Aufstände kleiner Nationen in den Kolonien und in Europa, ohne revolutionäre Ausbrüche eines Teils des Kleinbürgertums mit allen seinen Vorurteilen, ohne die Bewegung unaufgeklärter proletarischer und halbproletarischer Massen (...) – das zu glauben heißt der sozialen Revolution entsagen.«


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Newsletter vom 16.06.2008 - Plan B

BERLIN/DUBLIN (Eigener Bericht) - Mit einer systematisch aufgebauten Drohkulisse wollen Berliner Europapolitiker eine Wiederholung des irischen Referendums zum Vertrag von Lissabon erzwingen. Wie aus Interviews und Analysen nach dem "No" vom vergangenen Freitag hervorgeht, soll der Vertrag, um mehrere unbedeutende Zugeständnisse ergänzt, erneut zur Abstimmung gestellt und womöglich mit der Entscheidung über den Verbleib Irlands in der EU verbunden werden. Um der Dubliner Regierung die Durchsetzung eines zweiten Referendums zu ermöglichen, werden Pläne lanciert, denen zufolge der Vertrag von Lissabon auch ohne Irland in Kraft treten und das Land weitestgehend isolieren könnte. Ersatzweise bleibt der Aufbau eines deutsch-französischen "Kerneuropa" im Gespräch. Da die Umsetzung der Pläne nach Berliner Ansicht mit dem Ende jeglicher demokratischer Legitimation der EU verbunden wäre, sollen sie im ersten Schritt nur als Drohkulisse dienen; zugleich eröffnen sie für den Fall, dass die irische Bevölkerung sich nicht einschüchtern lässt, eine reale politische Option. Voraussetzung ist, dass sämtliche anderen EU-Staaten den Vertrag ratifizieren; dies verlangt die deutsche Bundesregierung...


Plan B 

2008/06/16

BERLIN/DUBLIN (Own report) - Systematically using threats, German government policy makers for European affairs are trying to intimidate Ireland into repeating the Lisbon Treaty referendum. According to interviews and analyses subsequent to last Friday's "No" vote, it is being suggested that a few insignificant concessions be added to the treaty and again voted upon - possibly linked to the question of Ireland's remaining in the EU. To enable the Irish government to impose a second referendum, plans are being forged to bring the Lisbon Treaty into effect - even without Ireland which could, to a large extent, isolate Ireland. The creation of a German-French "core Europe" remains an alternative option. Since, according to Berlin, the implementation of these plans would mean the end of all democratic legitimacy of the European Union, they should as a first step merely serve as a threat, while simultaneously, if the Irish refuse to yield to these intimidation efforts, being an introduction of a concrete policy option. The prerequisite is that all of the other EU member states ratify the treaty, as demanded by the German government.

Continue Ratifying

Within a few hours of last Friday's Irish "No" vote, German European affairs policy makers were sketching the course of the German line of action in interviews and analyses. According to these pronouncements, under no conditions, is Berlin prepared to accept the results of this referendum. According to a declaration of the Bertelsmann Foundation, the Treaty of Nice, which had been in force, would have sufficed for "the legislative machinery in Brussels to continue to function."[1] Ambitious projects such as the establishment of an EU Foreign Minister with an incorporated foreign policy service or the development of an EU military policy could be introduced step by step. But the German government is not prepared to accept more loss of time and insists upon an unaltered Lisbon Treaty. In a joint statement, at the beginning of the week, the German chancellor and the French president declared "we are expecting the other member states" of the EU "to continue their national ratification processes."[2] This declaration, in the tone of a command, was published already last Friday. The German foreign minister simultaneously confirmed that he is "determined" to see to it that the Lisbon Treaty "comes into force."[3]

Vanished Legitimization

At the same time the question remains, how are they going to deal with the failed ratification in Ireland. Through complicated juristic constructions, it would be possible to ignore Dublin's veto, at least for a while.[4] This idea of Frank-Walter Steinmeier is supposed to be discussed at today's meeting of the EU foreign ministers. But experts exclude a long-term implementation of the Lisbon Treaty without Ireland's endorsement. This option might be "interesting in political terms," writes the Bertelsmann Foundation, "in the light of European and international law, this course of action is simply impossible."[5] Besides, this "would reinforce the image of the EU as an entity which does what it wants to do with or without reference to the electorate" warns the foundation. "The EU's entire democratic legitimacy would simply vanish into thin air."

Political Hostage Takers

Yet the expulsion scenario "in the weeks to come will be uttered on a number of occasions," the Bertelsmann Foundation supposes - as "political threats."[6] At the same time, German policy makers are interpreting the Irish "No," in such a way that would justify a repeat of the referendum. The CDU member of the European parliament, Elmar Brok alleged that "the Irish" are "not even against the elaboration" of the EU by the Lisbon Treaty.[7] "They were voting against more abortions and higher taxes, even if neither can be found in the treaty." The "No camp" was operating "with lies and blackmail" says Brok. "You can't let a whole continent be blocked by this sort of campaigns."[8] The German press even called treaty opponents "political hostage takers."[9] Brok openly makes a case for holding "a new referendum in Ireland by the beginning of 2009, at the latest."[10]

Holy Cows

A repetition of the referendum is also being contemplated by German political advisors. But the Lisbon Treaty could be "spruced up by adding a special declaration for Ireland"[11], according to the Bertelsmann-Foundation. "This might include a statement repeating the EU's attitude to Irelands three 'holy cows': military neutrality, abortion and corporate taxation." Such a "declaration" would permit the Dublin government to hold another referendum - like the vote on the Treaty of Nice, which had also been ratified with amendments only after a second referendum in 2002. Pertaining to content, a "declaration" would be completely worthless. This is demonstrated by the example of neutrality: though formally guaranteed, concretely it has long since been abandoned under pressure from Brussels.[12] Faced with Irish stubbornness, yet another referendum version is being proposed for discussion by the Munich based Center for Applied Policy Research (CAP): with this referendum, the Irish could be asked "the fundamental question about their EU membership", directly threatening them with exclusion from the EU, if they continue their resistance.[13]

Core Europe

German demands to integrate a few EU member states closer, while excluding others is another of the threats. Gunther Krichbaum (CDU), chairman of the German Bundestag's Committee on the Affairs of the European Union, is demanding that "more thought be given to a core Europe (...), in which the states seeking closer integration will cooperate more intensively".[14] But this is still a second choice for Berlin, because Berlin would have less power in a "core Europe" than in a Europe of the Lisbon Treaty. But, Germany since the mid 1990s, has regularly succeeded in imposing its plans for the expansion and structuring of the EU by threatening a "core Europe". This was most recently the case in the spring of 2007, when Germany forced the other member states to accept the relevant portions of its preliminary work for the Lisbon Treaty (german-foreign-policy.com reported [15]).

Divergences

But there are also cautioning voices in the think tanks of German foreign policy. CAP, for example, points out that the Irish "No" was expressed against an essentially common front of the political elite: only one political party in parliament had campaigned against the Lisbon Treaty. All of the other pro-Lisbon parties were supported by "opinion makers in business, the media and society", including the influential farmer's association and the Catholic Church.[16] As post referendum analyses show, the "Yes" had a clear majority in the Dublin neighborhoods favored by the political elite, whereas the "No" was clearly expressed in the neighborhoods of the urban underprivileged and in rural areas. The clear chasm between the well-to-do, EU oriented upper class and the rest of the population is particularly surprising, given the fact that Irish farmers financially benefit from the EU. With the growing divergence of interests between the EU elites and the middle and lower classes, Brussels' financial support obviously no longer suffices as the materially binding element.

Fundamental

CAP confirms "the gap between the politicians in charge (...) and the skepticism and partially open rejection by the population".[17] "Similar tendencies could already be remarked in 2005 in the referenda in France and the Netherlands on the EU constitution", recalls the think tank. "Nearly two thirds of the EU citizens feel their voices don't count in the EU." And this disengagement doesn't take place "in the countries known for their skepticism towards Europe like Great Britain and the Czech Republic (...), but in countries that are traditionally friendly toward Europe." CAP is warning not to ignore the growing gap in the European population: "This is a fundamental challenge for the EU."


[1] Dominik Hierlemann: Was nun, Europa? Vier Optionen nach dem irischen "Nein"; Bertelsmann-Stiftung spotlight europe - spezial Nr. 2008/06, Juni 2008
[2] Gemeinsame Presseerklärung von Bundeskanzlerin Angela Merkel und dem französischen Staatspräsidenten Nicolas Sarkozy zum Ausgang des irischen Referendums über den Vertrag von Lissabon vom 12. Juni 2008
[3] Bundesminister Steinmeier bedauert Abstimmungsergebnis in Irland; Pressemitteilung des Auswärtigen Amts 13.06.2008
[4] Steinmeier schlägt EU-Pause für Irland vor; Financial Times Deutschland 14.06.2008
[5], [6] Dominik Hierlemann: Was nun, Europa? Vier Optionen nach dem irischen "Nein"; Bertelsmann-Stiftung spotlight europe - spezial Nr. 2008/06, Juni 2008
[7] "Nerven bewahren!"; Zeit online 13.06.2008
[8] "Ein Klein-Europa können wir uns nicht leisten"; Frankfurter Rundschau 14.06.2008
[9] Stunde der Geiselnehmer; Frankfurter Allgemeine Zeitung 14.06.2008
[10] "Ein Klein-Europa können wir uns nicht leisten"; Frankfurter Rundschau 14.06.2008
[11] Dominik Hierlemann: Was nun, Europa? Vier Optionen nach dem irischen "Nein"; Bertelsmann-Stiftung spotlight europe - spezial Nr. 2008/06, Juni 2008
[13] Sarah Seeger: Und jetzt? Ursachen und Konsequenzen des irischen Neins zum Vertrag von Lissabon; www.cap-lmu.de 14.06.2008
[14] "Kerneuropa wird ein Thema"; Kölner Stadt-Anzeiger 13.06.2008
[16], [17] Sarah Seeger: Und jetzt? Ursachen und Konsequenzen des irischen Neins zum Vertrag von Lissabon; www.cap-lmu.de 14.06.2008