http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/9884/1/44/

L'ULTIMO FERAL

Il 16 giugno scorso usciva l'ultimo numero dello storico settimanale
spalatino "Feral Tribune". I motivi della chiusura in questa
intervista del settimanale sarajevese "Dani" al redattore
responsabile del Feral, Viktor Ivančić. Nostra traduzione
Di Vildana Selimbegović, DANI, (http://www.bhdani.com/ - titolo
orig. «Nismo svi ista govna»)
Traduzione per Osservatorio Balcani: Maria Elena Franco


Veramente "La strada sotto ai piedi" è stato l'ultimo numero del
Feral?

Sì, è stato l'ultimo.

Perfino i colleghi benintenzionati hanno rimproverato al Feral di
non essersi impegnato a vendere pagine di pubblicità. Vorrei che
riuscissimo a spiegare le modalità con cui il Feral è «morto di
eutanasia»

Queste critiche dei benintenzionati in realtà non hanno fondamento.
Ci può essere imputata la colpa di aver avuto poca agilità e
incapacità in qualsiasi altra cosa, ma non nella ricerca degli
annunci: per molti anni abbiamo pagato diverse agenzie di marketing
affinché lo facessero per noi, abbiamo aumentato le provvigioni fino
al 50% per ogni annuncio procacciato, ma il risultato è stato
nullo... Il boicottaggio del Feral da parte dell'industria
pubblicitaria è un fatto oggettivo, e il Feral di questo non ha
colpa. Sì, il Feral è colpevole, ma per la sua politica di
redazione, non per incapacità professionale.
È legittimo affermare che il Feral non ha adeguato la sua politica
redazionale di «mercato», e per questo è fallito. Questo è evidente.
Ma allo stesso modo è legittimo - se sappiamo qual è stata la
politica gestionale del Feral – parlare delle caratteristiche di
questo «mercato». Perché non ci si dovrebbe interrogare sul fatto
che il «mercato» croato stabilisce criteri inviolabili? Io credo che
questi criteri siano perversi e dannosi, in quanto generano un
giornalismo castrato e servile, e le corporazioni dei media lo
sostengono, per via del profitto e per danneggiare la concorrenza
indipendente, costringendo i loro giornalisti a sottostare a tali
regole di gioco senza opporre resistenza. Se il "mercato" del
marketing fissa un cordone sanitario per un giornale che vende 13-14
mila copie alla settimana, perché affronta temi che sono
politicamente scomodi e non c'è rispetto nei confronti delle lobby
dei nuovi ricchi – allora io qui vedo un modo di agire da
Commissariato, non di standard liberali. Capiamoci, a me non importa
nulla degli annunci. Preferisco i giornali che non ne hanno.
Solamente pongo l'attenzione – invano, lo so – sulla tendenza
generale che è già giunta ad un punto tale per cui il giornalismo
diventa un volgare imballaggio di annunci. Non riuscirete a leggere
in un giornale croato qualcosa che non sia un elogio, ad esempio,
dei proprietari di «Agrokor» o «T-com», o di tutta una serie di
altri «soggetti», perché senza le loro pubblicità i giornali non
possono sopravvivere. Così il «mercato», dietro la maschera di un
falso liberalismo, restringe continuamente lo spazio alla libertà.
La censura diventa capillare, e si capisce che è semplicemente
necessario accettarla, perché se non lo fai ti scaverai la fossa da
solo e sarai sconfitto di fronte al «mercato». In realtà si tratta
del più semplice dei racket trasposto nel sistema.

Forse anche a causa della sua lunga agonia sembra che quest'estate
il Feral si sia spento sotto voce – sono mancate le reazioni, sia
dei media che delle diverse associazioni e difensori dei diritti
umani, per i quali proprio il Feral rappresentava un rifugio, dal
momento che per anni ha dato loro la possibilità di far sentire la
propria voce. Perché ?

È vero, questa volta noi non ci siamo sforzati di fare chiasso,
anzi, abbiamo deciso di chiudere l'ultima pagina e andarcene,
mettendo a tacere tutti, come si dice. Tutto ciò che dovevamo dire
l'abbiamo scritto nel nostro testo di accomiato sul Feral. Perfino
questa intervista è un «di più» che faccio un po' contro voglia. Per
quanto riguarda i media, non sono più così ingenuo da non
riconoscere i «programmi» e le «strategie». Le pubblicazioni EPH
[Europapress holding], ad esempio, guidata dallo "Jutarnji List" -
che comprende il 60% della stampa del paese – non solo hanno
boicottato qualsiasi racconto sul Feral, ma non hanno nemmeno dato
la notizia che il Feral non sarebbe più uscito, così come la mancata
reazione dell'Associazione dei giornalisti croati sulla chiusura del
Feral. Non dare la notizia sulla fine della pubblicazione del Feral
è infine poco professionale – dal punto di vista del nostro mestiere
perfino imperdonabile – ma è evidente che esistono delle ragioni che
sono più importanti della professione, e che la professione serve
solo per soddisfare queste ragioni più alte, e così in sostanza ha
lavorato alla sua autodistruzione.
Con questo piccolo esempio, per me assolutamente poco importante, si
vede bene il sistematico utilizzo della censura. È sempre più
frequente che i giornali non si redigano nelle redazioni, a cui è
stata tolta qualsiasi autonomia, ma nei centri corporativi del
potere, a loro volta collegati con i loro partner politici ed
economici. I mezzi di comunicazione non sono qui per informare
veramente o, Dio ci guardi, per essere criticamente almeno un po'
scomodi, ma per produrre l'«opinione pubblica», o
l'appetibile «umore della società», combinando metodi di riduzione
radicale e pura propaganda. È sempre meno necessaria la forza
politica, per raggiungere ciò è sufficiente l'abuso del «mercato» e
della proprietà privata, e i risultati sono molto più evidenti.
Žižek lo definirebbe "violenza invisibile".
Temo che la maggior parte delle organizzazioni non governative sia
in una situazione del tutto simile a quella del Feral, e in base a
ciò, la loro presenza in "pubblico" dipende sempre meno da loro. Qui
si è anche arrivati a significative ridistribuzioni. Il Comitato di
Helsinki croato, per esempio, funziona già da molto tempo come
singolare succursale del governo, organo parastatale per l'attività
dell'abbellimento sociale, mentre il Comitato cittadino per i
diritti umani – che ha sempre agito in modo più concreto e di
successo rispetto al Comitato di Helsinki – d'ufficio è messo ai
margini.

Se non sbaglio, sembra che la fine del Feral fosse attesa con un
certo sollievo, e questo da parte dell'intero spettro politico – da
destra a sinistra...

Credo che abbia ragione. Questo cavallo alla fine è morto, e in
qualche modo si respira più facilmente. Se fosse morto dieci anni fa
sarebbe stato ancora meglio, e ugualmente si sarebbe sentito uno
certo sollievo. La verità è che il Feral e la Croazia non sono mai
andati d'amore e d'accordo. Siamo esistiti solo perché creiamo
problemi e parliamo di cose che la maggior parte vuole mettere a
tacere. Per fortuna non abbiamo fatto questo giornale per interessi
nazionali, ma per il nostro interesse e dei nostri lettori. Così chi
a perderci sarà solo un limitato gruppo di persone. In generale, non
dubito che la vita in Croazia sarà più confortevole e piacevole
senza Feral: si vive sempre meglio quando si sa meno.

Nell'introduzione in cui voi del Feral vi siete accomiatati dai
lettori è stata fatta una chiara analisi dei rapporti tra i
pubblicitari, le oligarchie di governo e le politiche di redazione:
tutto sottostà al diktat della politica. Si tratta solo di un
problema dei paesi in transizione o di un trend generale?

Il trend è generale, ovvio, non c'è alcun dubbio che al mondo –
almeno nella sua parte occidentale – governi l'ideologia dello
status quo e che i media siano i principali produttori di questi
prodotti ideologici. Ciò significa conservare e promuovere il valore
del capitalismo liberale come "il migliore di tutti i mondi", e
seguire la messa in scena dei presunti "cambiamenti" che di fatto
simulano la fede collettiva nel "progresso" e la "riparazione della
situazione"; e infine è brutto porre domande radicali e mettere in
discussione il sistema. Tutto ciò che è fuori dall'assoluta lealtà
al vigente sistema neoliberale è ritenuto politicamente scorretto e
odioso. I media si rivolgono sempre di più ai consumatori e sempre
meno ai cittadini, in quanto l'intenzione è che i cittadini si
trasformino il più possibile in consumatori, ovvero nella classe che
sarà corrotta con false possibilità di scelta e di fiducia in una
vita più confortevole.
La transizione, invece, ha le sue irresistibili particolarità, e
queste si notano soprattutto nella mancanza di scrupoli. Lì dove in
Occidente interviene la chirurgia, qui si lavora con l'accetta. Le
democrazie occidentali stabiliscono enormi infrastrutture per
attuare e "scagionare" nella maniera più scrupolosa il dominio di
gruppi politici ed economici, e al contempo è possibile che tali
infrastrutture vengano loro in mente, perché è necessario almeno
rispettare le regole del gioco. Qui non ci sono tali riferimenti.
Qui l'associazione di potere politico, economico e dell'informazione
si realizza in organizzazioni criminali nel senso più classico di
queste parole. Con le stesse manovre e lealtà reciproche vincono le
elezioni parlamentari, ricomprano terreni edificabili e vendono
patate geneticamente modificate.
Oltre a questo, nei piccoli paesi in transizione si superano i
limiti. I "mercati" funzionano sulla base del principio o tutto o
niente, non è riservato nemmeno un ghetto per un'alternativa, e al
contempo questi "mercati" sono talmente piccoli che si possono
completamente distruggere davvero in poco tempo. Nei grandi mercati
si mantiene ancora la tradizione della buona scrittura e dei
cosiddetti giornali seri che non hanno una finalità solamente
commerciale e di divertimento, se non in alcune enclave limitate.
Qui, invece, si mette in pratica lo sfratto generale della ragione
dal giornalismo, alla radice e urgentemente. La voracità è il
carburante combustibile della transizione e a nessuno importa cosa
resterà quando nella generale devastazione si consumerà la sostanza
della materia, ciò che noi chiamiamo autenticità. Forse questo è
pretenzioso e patetico, ma davvero penso che la fine del Feral sia
più triste come sintomo piuttosto che come fatto stesso della
scomparsa di un giornale.

Lo scorso anno per salvare il Feral si adoperò anche il capo del
governo croato Ivo Sanader. Quest'estate sulle pagine del Nacional
glielo si è seriamente rinfacciato insieme all'intera lista di
accuse sul suo conto, sulla caporedattore Heni Erceg e sul direttore
del giornale per "appropriazione indebita" , come ha insinuato il
redattore di Slobodna Bosna, l'equivalente del Nacional a Sarajevo.
Quali appartamenti possedete?

Io e mia moglie abbiamo un appartamento di 60mq a Spalato e uno di
53mq a Zagabria. Quello di Spalato è un appartamento sociale,
ottenuto ancora durante il socialismo, poi lo abbiamo riscattato.
Rispetto a 20 anni fa, quindi, siamo più "ricchi" di questi 53 mq di
Zagabria.
Ho superato cose decisamente peggiori nella mia vita, e l'attacco
del Nacional personalmente non mi ha sorpreso, e conosco bene la
mentalità da avvoltoi di cui in Croazia si ha pedante cura. Per
molti il Feral è stato una spina nell'occhio, sia a destra che a
sinistra, e in particolare per i giornalisti perché in un periodo
significativo è servito come specchio delle loro puttanate. Il
tentativo di screditarci moralmente – e questo con sporchi inganni,
nel momento in cui abbiamo chiuso il giornale – ha quel noto
significato patriottico: "Ecco, vedete che eravamo tutti la stessa
merda!" Ma non lo siamo, maledizione, eravamo una merda
completamente differente. Come se fosse semplice essere un
escremento come Pukanić o Avdić. Al Nacional, comunque, ho mandato
la risposta, ma loro – tipicamente vigliacchi – non l'hanno voluta
pubblicare, e propongo a "Dani"che lo faccia.

Ci sono possibilità per il giornalismo indipendente dalle nostre
parti? Dove? Da anni la stampa è stata portatrice di sconquassati
temi tabù: potrà essere così anche più avanti?

Il giornalismo sta diventando sempre più un'attività di produzione
di divertimento, cambiano anche i suoi scopi e le sue regole: tutto
è più superficiale, più ottimistico, sempre più privo di criticità,
e nell'attività c'è un rapporto abbastanza irrispettoso nei
confronti dei fatti, che un tempo erano considerati "cose sacre". Il
solo fatto di "informare" presuppone una presentazione quotidiana ai
lettori sotto il fuoco di sbarramento delle sensazioni, di cui
nessuna ha la priorità, e la maggior parte sono mera costruzione
degli stessi media. I maghi delle compagnie dei media predicano "un
prodotto di contenuti" in cui prima di tutto bisogna riconoscere la
negazione della paternità, e il "contenuto" risulta come un chicco
di granturco o una crema di cioccolato alle nocciole: facilmente
digeribile, gustoso per il palato, ma del tutto facoltativo. Visto
che si cerca la quantità, si impegna una forza lavoro economica, con
un alfabetismo che ora è già spaventosamente basso. L'intera storia
diventa molto, molto economica. Ciò che nel vecchio stile si
chiamava "impegno" ora è diventato sgradito, ma ben celato, e
l'odierno ruolo del giornalismo si potrebbe meglio definire – usando
la stessa lingua vetusta – reazionario.

Non sono proprio sicuro che il giornalismo cambierà – non in meglio -
in base al carattere dei soli media. Mi sembra che sia fondamentale
l'intenzione, non la tecnologia che la mette in pratica. Invece, ci
saranno sempre coloro che sanno scrivere e coloro che sanno leggere.
Questi troveranno canali di comunicazione tra di loro, solo che sarà
probabilmente fuori dalle correnti principali. E questo è forse un
bene.

La Croazia è ad un numero infinito di passi davanti alla Bosnia
Erzegovina: come si vede dalla Croazia la disperazione politica
bosniaca?

Non vedo la Croazia di oggi tanto migliore rispetto alla Bosnia
Erzegovina. Semplicemente la Croazia usa un trucco di qualità, i
suoi cittadini hanno in percentuale una paga un po' più alta. La
Croazia coltiva l'illusione della sua importanza e qualità, e questo
è proprio l'essenza della politica imperante. Tutto ciò che abbiamo
è il marketing al potere, è quindi logico che i media, quelli
obbedienti, siano straordinariamente importanti per la politica. Ma
quando un dichiarato neofascista tiene un concerto nella piazza
principale di Zagabria, e persino con l'organizzazione del governo,
allora la Bosnia Erzegovina mi sembra un paese in cui vale la pena
immigrare.

Cosa farà ora, di cosa si occuperà e di cosa vivrà Viktor Ivančić e
i suoi colleghi del Feral?

Davvero non lo so. Visto che non ho un'età per riqualificarmi,
probabilmente sarò condannato a scrivere.