1. KOSOVSKA MITROVICA, La voce del Kosovo impossibile.
2. FARNESINA/BALCANI, L'Italia in fuga dal Kosovo.
3. FATTI D'EUROPA EST - Presevo, Albania, Vienna, Romania,
Armenia-Azerbajan
(dal Manifesto, 30 novembre 2000)
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La voce del Kosovo impossibile
Intervista a Oliver Ivanovic, leader del Consiglio nazionale
serbo in Kosovo.
MARIO BOCCIA - KOSOVSKA MITROVICA
"Libertà di movimento, sicurezza, diritto al ritorno": parole
ricorrenti, persino abusate nei discorsi dei governatori-
rappresentanti della comunità internazionale in Kosovo. Parole
svuotate di contenuto dai fatti.
A due anni dalla firma degli accordi di Kumanovo, la guerra
continua contro le minoranze, l'economia è drogata dalla presenza
delle organizzazioni umanitarie e/o militari, la mafia impone i
suoi diktat su chiunque voglia mettere in piedi un attività
autonoma. Eppure su queste parole-speranze si gioca il futuro del
Kosovo e di quella parte dei suoi "nativi" che ne sono
attualmente esclusi.
Le parole cambiano di senso a seconda della bocca che le
pronuncia, sembra dire Oliver Ivanovic (leader del Consiglio
nazionale serbo e autorevole interlocutore del governo
dell'Unmik) mentre sottolinea con la penna le parti del discorso
del 20 novembre di Bernard Kouchner che lo irritano di più. Non
sono i rimbrotti diplomatici ("...sebbene questa non sia un
assemblea di membri eletti...") ma i passaggi nei quali il
governatore si dice cosciente di "non aver fatto abbastanza per i
serbi", promette di "intensificare gli sforzi per garantire a
tutti libertà di movimento", si impegna a far tornare "tutti
coloro che han lasciato il Kosovo, inclusi i serbi".
Eppure si era trattato di un discorso importante, fatto "a nome
del segretario generale Kofi Annan", alla cerimonia inaugurale
delle quattro assemblee comunali autocostituite di Mitrovica-
nord, Zvecan, Zubin Potok e Leposavic (dove è avvenuto
l'incontro): vale a dire i comuni dove vive la maggioranza dei
serbi residenti in Kosovo. Un territorio "privilegiato" per la
continuità territoriale con la Serbia e per le sue dimensioni,
rispetto altre comunità più piccole e isolate.
D. Non era scontato che il governatore fosse presente ad una
iniziativa che appariva in contrasto con la consultazione
elettorale da lui voluta e boicottata dalla stragrande
maggioranza dei serbi.
Di che si è trattato, signor Ivanovic?
R. Abbiamo nominato questi consigli comunali per avviare un
processo di normalizzazione che dovrà concludersi con il rientro
di tutti i profughi. Ci siamo mossi nel rispetto delle linee-
guida della risoluzione 1244. I nuovi consigli provvisori sono
stati nominati rispettando la composizione etnica della
popolazione sul territorio e considerando rappresentatività,
ruolo sociale, cultura e popolarità delle persone. Dovranno
svolgere il loro compito naturale in una situazione
straordinaria. Per fare un esempio: a Leposavic abbiamo nominato
14 serbi, due albanesi e 1 musulmano; a Mitrovica (nord), 15
serbi, 2 albanesi, 1 musulmano e 1 rom.
D. I serbi nominati d'ufficio nei consigli comunali eletti con il
voto delle ultime elezioni non si presentano. Quando qualcuno,
serbo o di altre minoranze, accetta di farlo, gli eletti del Pdk
bloccano i lavori abbandonando l'aula. Succederà lo stesso anche
con i vostri "cooptati"?
R. Finora non sappiamo se tutti gli albanesi accetteranno, ci
hanno chiesto tempo per riflettere, noi comunque saremmo
soddisfatti della loro presenza e certi del valore del loro
contributo.
D. Non andando alle "elezioni di Kouchner" e convocando i "suoi"
consigli comunali, il Consiglio nazionale serbo ha deciso di
andare verso la spartizione del Kosovo? La presenza stessa di
Kouchner, che nei primi quattro paragrafi del suo saluto augurale
all'assemblea di Leposavic, ripete quattro volte: "le vostre
municipalità", avalla questa tendenza?
R. Assolutamente no. Quelle elezioni non dovevano essere fatte
perché non c'erano le condizioni minime, elementari per una
libera espressione di voto. Sono state imposte da Kouchner alla
fine del suo mandato, per mascherare il totale fallimento della
sua missione. Hanno dato una verniciatura di normalità ad una
situazione gravissima. Che normalità è senza i profughi? Non
erano solo inutili, ma hanno peggiorato la situazione. Basti
guardare alla violenza che ha insanguinato la campagna
elettorale. Chi ha avuto diritto al voto? Quanti tra quelli che
hanno votato abitano questo paese solo da giugno del '99? Come si
può parlare di volontà popolare se oltre duecentomila profughi
(quelli sì, kosovari) sono fuori dal paese? Come era possibile
fare la campagna elettorale, quando a tutt'oggi in Kosovo non
sono garantiti libertà di movimento, sicurezza per le minoranze e
diritto al ritorno? L'omicidio dei quattro aschkalija che avevano
accettato di rientrare a Dosevac, è un avvertimento a tutti, noi
per primi. Se vengono trucidati anche loro, che parlano la stessa
lingua, che succederà agli altri? Era un rientro concordato e
doveva essere protetto. Chi non lo ha fatto è complice degli
assassini. Lei dice che i serbi rifutano la nomina d'ufficio, è
vero, ma per non mascherare con la loro presenza l'imbroglio che
c'è dietro queste elezioni. Come posso andare alle riunioni del
consiglio comunale che si trova nella parte sud, dove la mia
faccia è esposta per le strade in un manifesto che mi indica come
"criminale di guerra n1"? Comunque le assicuro che, da parte
nostra, non c'è nessuna volontà di separazione. Al contrario: la
nostra priorità è che tutti possano tornare da dove sono stati
cacciati.
D. Dopo che la parte del complesso industriale di Trepca (oltre
40 differenti impianti, anche fuori dal Kosovo) che sta sul
vostro territorio è stata chiusa per motivi "ecologici", cosa ne
è dell'impianto?
R. Le tensioni di allora sono state superate, ma la Trepca di
Zvecan è ferma ed è indispensabile all'economia della regione.
400 operai serbi mantengono l'impianto alle condizioni di
manutenzione minime per impedire il deterioramento e prendono 50
marchi al mese di indennizzo dall'Unmik. Quello dell'inquinamento
è un problema reale e l'impianto deve essere ristrutturato, ma
non tollero che il problema possa essere posto da chi ha
contaminato il nostro territorio con l'uranio impoverito. Perché
non si preoccupano del livello di inquinamento delle centrali
elettriche di Obilic? L'impianto di Zvecan lavorava al 10% delle
sue possibilità per evitare un inquinamento eccessivo. Le accuse
contro il direttore della fabbrica (incriminato per "danni
all'ambiente", per avere incrementato l'attività della Trepca
prima della chiusura messa in atto dalla Kfor ad agosto, alla
vigilia delle elezioni presidenziali in Serbia, ndr) sono false e
ipocrite.
D. In questi giorni si sono svolte manifestazioni e scioperi di
protesta per chiedere la liberazione dei prigionieri albanesi
detenuti in Serbia. Non pensa che un amnistia favorirebbe, se non
la ripresa del dialogo, almeno un raffreddamento della tensione?
R. So che verrà istituita una commissione mista, su modello
sudafricano, che vaglierà caso per caso. Avvocati albanesi sono
già a Belgrado. Ma perché nessuno parla dei 1300 serbi scomparsi?
Dove sono? Sono stati tutti uccisi? Qui da noi ce ne sono 18 in
un carcere sorvegliato dall'Unmik, da otto mesi, senza nessuna
accusa specifica formalizzata. Non possiamo accettare che vengano
giudicati da una corte composta da giudici albanesi. Sono state
violate anche le leggi jugoslave sulla detenzione preventiva, che
prevedono termini di sei mesi.
D. In situazioni come questa, la criminalità trova terreno
fertile. Anche da voi?
R. Noi non abbiamo ancora avuto la possibilità di organizzare una
nostra polizia autonoma e quella internazionale, prima di trovare
i criminali, deve imparare a trovare la strada per tornare in
caserma senza perdersi. Ma il problema del diffondersi della
malavita è essenzialmente un problema sociale. Quello che manca
qui è il lavoro. Se un operaio per vivere è obbligato a
trasformarsi in un "borsaro nero", perde la sua dignità. Manca il
lavoro e la criminalità aumenta, anche se, da noi, la comunità
stessa mette in atto forme di controllo. Comunque il lavoro è la
nostra priorità sociale.
D. Lei è stato descritto come uomo di Milosevic e ora come uomo
di Kostunica dagli stessi giornali, a distanza di pochi mesi. Ma
lei con chi sta?
R. Io non sto con nessuno - ride. Quello che non hanno capito è
che sono il rappresentante riconosciuto di questa comunità e a
questa rispondo delle mie azioni. E' un vizio culturale, una
visione della politica vecchia. Se vogliamo, questo è stato uno
dei nostri principali difetti del passato: una gestione
centralista che non tiene conto delle realtà locali. Noi vogliamo
decidere il nostro futuro, non pretendiamo di avere sempre
ragione, ma vogliamo essere consultati. Nessuna soluzione per il
Kosovo potrà mai essere elaborata senza sentire chi ci vive e chi
ci vuole tornare. Io non sono mai stato eletto, ma credo di
rappresentare tutti, senza distinzioni politiche.
D. Dopo i giudizi duri che lei ha dato sulla politica di Bernard
Kouchner, cosa pensa del suo successore inglese?
R. Venisse anche il diavolo, chiunque sarebbe meglio di Kouchner!
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FARNESINA/BALCANI
L'Italia in fuga dal Kosovo
Si è dimesso Dionisio Spoliti, Governatore di Gnijlane gia'
"numero 2" del Sisde. Dini tace.
TOMMASO DI FRANCESCO
L'area che va dalla Valle di Presevo in Serbia, all'est del
Kosovo, fino al nord-Albania, è di nuovo in fiamme. A Pristina
non si è spenta ancora l'eco delle parole di Ibrahim Rugova ai
funerali del suo più stretto collaboratore, Xhemajl Mustafa,
ucciso la scorsa settimana da settori del formalmente disciolto
Uck: "Con te - ha detto Rugova - hanno ucciso la cultura e il
giornalismo albanese"; nel nord Albania i militanti "democratici"
di Berisha vanno allo scontro armato con i socialisti al governo;
l'area di Presevo e la fascia smilitarizzata di 5 km con la zona
contigua del Kosovo "controllata" dal contingente Kfor-Nato degli
Stati uniti - che nell'area, a Bondsteel, hanno costruito la più
grande base militare dei Balcani - è nel turbine di una nuova
guerra, con 5 agenti serbi uccisi, duemila profughi albanesi,
tank e, solo ora, perquisizioni della Nato. Ieri, dopo una
"tregua concordata", le truppe di Belgrado hanno rioccupato i 4
villaggi presi per giorni dai separatisti albanesi dell'Ucpmb.
Per la Nato l'area è "tra le più pericolose al mondo".
Ci si dovrebbe aspettare un surplus d'iniziativa politica e
diplomatica. Soprattutto da parte di chi, come l'Italia, vanta
una presenza "di valore" in Kosovo. Ma la realtà dimostra il
contrario. Il punto più caldo è Gnijlane, da lì partono le bande
dell'Ucpmb. Il Kosovo è diviso in 5 distretti militari e
amministrativi - Pristina, Mitrovica, Gnijlane, Pec, Prizren -,
sotto controllo di contingenti Nato e governatori Onu.
Governatore di Gnijlane è l'italiano Dionisio Spoliti. Sarebbe
meglio dire era, giacché, proprio di fronte al precipitare della
situazione, non ha trovato di meglio da fare che dimettersi. Del
resto da lui non era venuta nessuna iniziativa diplomatica da
quando s'insediò circa 6 mesi fa: ignorante di diplomazia,
Balcani e lingue, l'ex "numero 2" del Sisde ha brillato per
l'assenza.
Lo aveva inviato il ministro Dini. A fare che? E' possibile che
non abbia niente da dire ora?
Dini tace per abitudine. In Kosovo l'Italia non ha fatto che
dimettersi: nel 1998 non durò 48 ore il dottor Perugini (vice-
questore d'Arezzo) nella missione Osce guidata dall'infido
William Walker; due mesi durò Giovanni Koessler (magistrato di
Bolzano) già nel 1999; cinque mesi a Mitrovica, Mario Morcone
(prefetto di Arezzo). Spie, questurini, prefetti. E nessuno ci
racconti la favola del generale Cabigiosu che in Kosovo comanda
la Kfor: quella è la Nato dove - dopo i raid di Aviano -
l'esercito italiano brilla. A noi, agli albanesi e ai serbi,
interesserebbe il ruolo diplomatico dell'Italia. E quello,
purtroppo, non si vede.
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FATTI D'EUROPA EST
Presevo, interviene la Nato
In una sorprendente ma non inaspettata inversione dei ruoli e
delle alleanze, la Nato si è detta ieri disponibile alla
collaborazione con Belgrado per intervenire contro le attività
"terroristiche" degli albanesi in Kosovo. Un passo dettato
senz'altro dai migliori rapporti tral l'Alleanza e il nuovo
leader jugoslava, ma anche dalla ormai sempre più chiara
insofferenza dell'Occidente nei confronti del Kosovo. La Nato ha
stabilito un piano in sei punti per risolvere la crisi nella
valle di Presevo. Fra questi una campagna di informazione per
mettere in luce le attività terroristiche degli albanesi a
Presevo, rapporti più stretti tra la Kfor e la polizia serba,
controllo rafforzato sulle linee di confine e massima allerta
contro il traffico di armi.
Tensione in Albania
Iseguaci di Sali Berisha non ci stanno. Martedì sera l'arresto, e
il rilascio dopo qualche ora, del leader dell'opposizione
conservatrice, ha infervorato gli animi, e non solo, di alcuni
albanesi. Scontri sanguinosi si sono verificati a Tropoja, nel
nord del paese, da sempre regione fedele all'ex presidente
Berisha. Alcuni uomini hanno circondato il posto di polizia
locale e poi hanno dato fuoco al tribunale. La tensione è
altissima fin dai giorni delle elezioni amministrative di
ottobre, che avevano visto la sconfitta del partito di Berisha,
anche nella capitale. Da allora quotidianamente i suoi partigiani
manifestano nelle piazze delle principali città albanesi, in modo
sempre più violento. L'altro ieri, proprio nel corso di una di
queste manifestazioni, Berisha era stato fermato dalla polizia e
contemporaneamente esercito e blindati venivano schierati nei
punti chiave della città. Il primo ministro albanese, dal canto
suo, ha lanciato un avvertimento all'opposizione radicale: "Tutti
coloro che attaccheranno le istituzioni dovranno risponderne in
tribunale".
Chirac a Vienna
Non si è trattato esattamente un incontro cordiale, ma pur sempre
un incontro c'è stato. Dopo mesi di reciproca diffidenza, il
presidente francese Jacques Chirac si è recato a Vienna dove ha
stretto la mano al cancelliere austriaco Wolfgang Schüssel. I
colloqui si sono incentrati sullo sviluppo delle istituzioni
comunitarie europee alla vigilia del summit di Nizza. L'Austria,
come tutti i paesi di piccole dimensioni, propende al
mantenimento dell'attuale
status e composizione della commissione, nel timore di perdere, altrimenti,
peso politico in seno all'Europa. Chirac, in qualità di presidente dell'Unione,
ha tenuto a precisare che il significato della visita rientra nell'ambito di un
tour di tutte le capitali europee, e non ha voluto affrontare il problema della
presenza nel governo austriaco del partito di Haider, all'origine di tante
tensioni tra Vienna e Bruxelles.
Romania, elezioni
Il partito della Grande Romania tende la mano ai socialdemocratici. In base ai
risultati ancora provvisori delle elezioni di domenica scorsa, il partito
dell'estrema destra rumena dovrebbe aver ottenuto circa il 28 percento dei
voti, contro il 37 percento del partito socialdemocratico, guidato dall'ex
presidente Ion Iliescu. Il leader del Partito della Grande Romania Vadim Tudor
ha offerto al suo avversario, che finora si è sempre detto contrario, la
collaborazione per un governo di grande coalizione. Ion Iliescu e Vadim Tudor
si affronteranno il 10 dicembre prossimo nel ballottaggio per la carica di
presidente della repubblica.
Armenia e Azerbajan
Dopo 13 anni di conflitto, un primo passo verso una possibile distensione tra i
due paesi. Ieri il vicepresidente del parlamento azero si è recato a Yerevan,
capitale dell'Armenia, dove era in corso un forum degli 11 paesi che si
affacciano sul Mar nero. Si tratta della figura istituzionale più importante
che si sia finora mai recata nel paese nemico. Tanto il
parlamentare azero che il suo omologo armeno hanno mostrato una
certa disponibilità a riprendere il dialogo. Armenia e Azerbajan,
due ex repubbliche sovietiche, si contendono la regione del
Nagorno-Karabak, enclave popolata da una maggioranza armena in
territorio azero, che si è dichiarata indipendente nel 1988. Una
tregua nel 1994 ha messo fine ad una guerra che ha fatto oltre
15.000 vittime e un milione di profughi, ma il problema della
sovranità del Nagorno Karbak resta ancora del tutto irrisolto.
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Il Manifesto, 30 novembre 2000
------
Bollettino di controinformazione del
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I documenti distribuiti non rispecchiano necessariamente le
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2. FARNESINA/BALCANI, L'Italia in fuga dal Kosovo.
3. FATTI D'EUROPA EST - Presevo, Albania, Vienna, Romania,
Armenia-Azerbajan
(dal Manifesto, 30 novembre 2000)
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La voce del Kosovo impossibile
Intervista a Oliver Ivanovic, leader del Consiglio nazionale
serbo in Kosovo.
MARIO BOCCIA - KOSOVSKA MITROVICA
"Libertà di movimento, sicurezza, diritto al ritorno": parole
ricorrenti, persino abusate nei discorsi dei governatori-
rappresentanti della comunità internazionale in Kosovo. Parole
svuotate di contenuto dai fatti.
A due anni dalla firma degli accordi di Kumanovo, la guerra
continua contro le minoranze, l'economia è drogata dalla presenza
delle organizzazioni umanitarie e/o militari, la mafia impone i
suoi diktat su chiunque voglia mettere in piedi un attività
autonoma. Eppure su queste parole-speranze si gioca il futuro del
Kosovo e di quella parte dei suoi "nativi" che ne sono
attualmente esclusi.
Le parole cambiano di senso a seconda della bocca che le
pronuncia, sembra dire Oliver Ivanovic (leader del Consiglio
nazionale serbo e autorevole interlocutore del governo
dell'Unmik) mentre sottolinea con la penna le parti del discorso
del 20 novembre di Bernard Kouchner che lo irritano di più. Non
sono i rimbrotti diplomatici ("...sebbene questa non sia un
assemblea di membri eletti...") ma i passaggi nei quali il
governatore si dice cosciente di "non aver fatto abbastanza per i
serbi", promette di "intensificare gli sforzi per garantire a
tutti libertà di movimento", si impegna a far tornare "tutti
coloro che han lasciato il Kosovo, inclusi i serbi".
Eppure si era trattato di un discorso importante, fatto "a nome
del segretario generale Kofi Annan", alla cerimonia inaugurale
delle quattro assemblee comunali autocostituite di Mitrovica-
nord, Zvecan, Zubin Potok e Leposavic (dove è avvenuto
l'incontro): vale a dire i comuni dove vive la maggioranza dei
serbi residenti in Kosovo. Un territorio "privilegiato" per la
continuità territoriale con la Serbia e per le sue dimensioni,
rispetto altre comunità più piccole e isolate.
D. Non era scontato che il governatore fosse presente ad una
iniziativa che appariva in contrasto con la consultazione
elettorale da lui voluta e boicottata dalla stragrande
maggioranza dei serbi.
Di che si è trattato, signor Ivanovic?
R. Abbiamo nominato questi consigli comunali per avviare un
processo di normalizzazione che dovrà concludersi con il rientro
di tutti i profughi. Ci siamo mossi nel rispetto delle linee-
guida della risoluzione 1244. I nuovi consigli provvisori sono
stati nominati rispettando la composizione etnica della
popolazione sul territorio e considerando rappresentatività,
ruolo sociale, cultura e popolarità delle persone. Dovranno
svolgere il loro compito naturale in una situazione
straordinaria. Per fare un esempio: a Leposavic abbiamo nominato
14 serbi, due albanesi e 1 musulmano; a Mitrovica (nord), 15
serbi, 2 albanesi, 1 musulmano e 1 rom.
D. I serbi nominati d'ufficio nei consigli comunali eletti con il
voto delle ultime elezioni non si presentano. Quando qualcuno,
serbo o di altre minoranze, accetta di farlo, gli eletti del Pdk
bloccano i lavori abbandonando l'aula. Succederà lo stesso anche
con i vostri "cooptati"?
R. Finora non sappiamo se tutti gli albanesi accetteranno, ci
hanno chiesto tempo per riflettere, noi comunque saremmo
soddisfatti della loro presenza e certi del valore del loro
contributo.
D. Non andando alle "elezioni di Kouchner" e convocando i "suoi"
consigli comunali, il Consiglio nazionale serbo ha deciso di
andare verso la spartizione del Kosovo? La presenza stessa di
Kouchner, che nei primi quattro paragrafi del suo saluto augurale
all'assemblea di Leposavic, ripete quattro volte: "le vostre
municipalità", avalla questa tendenza?
R. Assolutamente no. Quelle elezioni non dovevano essere fatte
perché non c'erano le condizioni minime, elementari per una
libera espressione di voto. Sono state imposte da Kouchner alla
fine del suo mandato, per mascherare il totale fallimento della
sua missione. Hanno dato una verniciatura di normalità ad una
situazione gravissima. Che normalità è senza i profughi? Non
erano solo inutili, ma hanno peggiorato la situazione. Basti
guardare alla violenza che ha insanguinato la campagna
elettorale. Chi ha avuto diritto al voto? Quanti tra quelli che
hanno votato abitano questo paese solo da giugno del '99? Come si
può parlare di volontà popolare se oltre duecentomila profughi
(quelli sì, kosovari) sono fuori dal paese? Come era possibile
fare la campagna elettorale, quando a tutt'oggi in Kosovo non
sono garantiti libertà di movimento, sicurezza per le minoranze e
diritto al ritorno? L'omicidio dei quattro aschkalija che avevano
accettato di rientrare a Dosevac, è un avvertimento a tutti, noi
per primi. Se vengono trucidati anche loro, che parlano la stessa
lingua, che succederà agli altri? Era un rientro concordato e
doveva essere protetto. Chi non lo ha fatto è complice degli
assassini. Lei dice che i serbi rifutano la nomina d'ufficio, è
vero, ma per non mascherare con la loro presenza l'imbroglio che
c'è dietro queste elezioni. Come posso andare alle riunioni del
consiglio comunale che si trova nella parte sud, dove la mia
faccia è esposta per le strade in un manifesto che mi indica come
"criminale di guerra n1"? Comunque le assicuro che, da parte
nostra, non c'è nessuna volontà di separazione. Al contrario: la
nostra priorità è che tutti possano tornare da dove sono stati
cacciati.
D. Dopo che la parte del complesso industriale di Trepca (oltre
40 differenti impianti, anche fuori dal Kosovo) che sta sul
vostro territorio è stata chiusa per motivi "ecologici", cosa ne
è dell'impianto?
R. Le tensioni di allora sono state superate, ma la Trepca di
Zvecan è ferma ed è indispensabile all'economia della regione.
400 operai serbi mantengono l'impianto alle condizioni di
manutenzione minime per impedire il deterioramento e prendono 50
marchi al mese di indennizzo dall'Unmik. Quello dell'inquinamento
è un problema reale e l'impianto deve essere ristrutturato, ma
non tollero che il problema possa essere posto da chi ha
contaminato il nostro territorio con l'uranio impoverito. Perché
non si preoccupano del livello di inquinamento delle centrali
elettriche di Obilic? L'impianto di Zvecan lavorava al 10% delle
sue possibilità per evitare un inquinamento eccessivo. Le accuse
contro il direttore della fabbrica (incriminato per "danni
all'ambiente", per avere incrementato l'attività della Trepca
prima della chiusura messa in atto dalla Kfor ad agosto, alla
vigilia delle elezioni presidenziali in Serbia, ndr) sono false e
ipocrite.
D. In questi giorni si sono svolte manifestazioni e scioperi di
protesta per chiedere la liberazione dei prigionieri albanesi
detenuti in Serbia. Non pensa che un amnistia favorirebbe, se non
la ripresa del dialogo, almeno un raffreddamento della tensione?
R. So che verrà istituita una commissione mista, su modello
sudafricano, che vaglierà caso per caso. Avvocati albanesi sono
già a Belgrado. Ma perché nessuno parla dei 1300 serbi scomparsi?
Dove sono? Sono stati tutti uccisi? Qui da noi ce ne sono 18 in
un carcere sorvegliato dall'Unmik, da otto mesi, senza nessuna
accusa specifica formalizzata. Non possiamo accettare che vengano
giudicati da una corte composta da giudici albanesi. Sono state
violate anche le leggi jugoslave sulla detenzione preventiva, che
prevedono termini di sei mesi.
D. In situazioni come questa, la criminalità trova terreno
fertile. Anche da voi?
R. Noi non abbiamo ancora avuto la possibilità di organizzare una
nostra polizia autonoma e quella internazionale, prima di trovare
i criminali, deve imparare a trovare la strada per tornare in
caserma senza perdersi. Ma il problema del diffondersi della
malavita è essenzialmente un problema sociale. Quello che manca
qui è il lavoro. Se un operaio per vivere è obbligato a
trasformarsi in un "borsaro nero", perde la sua dignità. Manca il
lavoro e la criminalità aumenta, anche se, da noi, la comunità
stessa mette in atto forme di controllo. Comunque il lavoro è la
nostra priorità sociale.
D. Lei è stato descritto come uomo di Milosevic e ora come uomo
di Kostunica dagli stessi giornali, a distanza di pochi mesi. Ma
lei con chi sta?
R. Io non sto con nessuno - ride. Quello che non hanno capito è
che sono il rappresentante riconosciuto di questa comunità e a
questa rispondo delle mie azioni. E' un vizio culturale, una
visione della politica vecchia. Se vogliamo, questo è stato uno
dei nostri principali difetti del passato: una gestione
centralista che non tiene conto delle realtà locali. Noi vogliamo
decidere il nostro futuro, non pretendiamo di avere sempre
ragione, ma vogliamo essere consultati. Nessuna soluzione per il
Kosovo potrà mai essere elaborata senza sentire chi ci vive e chi
ci vuole tornare. Io non sono mai stato eletto, ma credo di
rappresentare tutti, senza distinzioni politiche.
D. Dopo i giudizi duri che lei ha dato sulla politica di Bernard
Kouchner, cosa pensa del suo successore inglese?
R. Venisse anche il diavolo, chiunque sarebbe meglio di Kouchner!
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FARNESINA/BALCANI
L'Italia in fuga dal Kosovo
Si è dimesso Dionisio Spoliti, Governatore di Gnijlane gia'
"numero 2" del Sisde. Dini tace.
TOMMASO DI FRANCESCO
L'area che va dalla Valle di Presevo in Serbia, all'est del
Kosovo, fino al nord-Albania, è di nuovo in fiamme. A Pristina
non si è spenta ancora l'eco delle parole di Ibrahim Rugova ai
funerali del suo più stretto collaboratore, Xhemajl Mustafa,
ucciso la scorsa settimana da settori del formalmente disciolto
Uck: "Con te - ha detto Rugova - hanno ucciso la cultura e il
giornalismo albanese"; nel nord Albania i militanti "democratici"
di Berisha vanno allo scontro armato con i socialisti al governo;
l'area di Presevo e la fascia smilitarizzata di 5 km con la zona
contigua del Kosovo "controllata" dal contingente Kfor-Nato degli
Stati uniti - che nell'area, a Bondsteel, hanno costruito la più
grande base militare dei Balcani - è nel turbine di una nuova
guerra, con 5 agenti serbi uccisi, duemila profughi albanesi,
tank e, solo ora, perquisizioni della Nato. Ieri, dopo una
"tregua concordata", le truppe di Belgrado hanno rioccupato i 4
villaggi presi per giorni dai separatisti albanesi dell'Ucpmb.
Per la Nato l'area è "tra le più pericolose al mondo".
Ci si dovrebbe aspettare un surplus d'iniziativa politica e
diplomatica. Soprattutto da parte di chi, come l'Italia, vanta
una presenza "di valore" in Kosovo. Ma la realtà dimostra il
contrario. Il punto più caldo è Gnijlane, da lì partono le bande
dell'Ucpmb. Il Kosovo è diviso in 5 distretti militari e
amministrativi - Pristina, Mitrovica, Gnijlane, Pec, Prizren -,
sotto controllo di contingenti Nato e governatori Onu.
Governatore di Gnijlane è l'italiano Dionisio Spoliti. Sarebbe
meglio dire era, giacché, proprio di fronte al precipitare della
situazione, non ha trovato di meglio da fare che dimettersi. Del
resto da lui non era venuta nessuna iniziativa diplomatica da
quando s'insediò circa 6 mesi fa: ignorante di diplomazia,
Balcani e lingue, l'ex "numero 2" del Sisde ha brillato per
l'assenza.
Lo aveva inviato il ministro Dini. A fare che? E' possibile che
non abbia niente da dire ora?
Dini tace per abitudine. In Kosovo l'Italia non ha fatto che
dimettersi: nel 1998 non durò 48 ore il dottor Perugini (vice-
questore d'Arezzo) nella missione Osce guidata dall'infido
William Walker; due mesi durò Giovanni Koessler (magistrato di
Bolzano) già nel 1999; cinque mesi a Mitrovica, Mario Morcone
(prefetto di Arezzo). Spie, questurini, prefetti. E nessuno ci
racconti la favola del generale Cabigiosu che in Kosovo comanda
la Kfor: quella è la Nato dove - dopo i raid di Aviano -
l'esercito italiano brilla. A noi, agli albanesi e ai serbi,
interesserebbe il ruolo diplomatico dell'Italia. E quello,
purtroppo, non si vede.
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FATTI D'EUROPA EST
Presevo, interviene la Nato
In una sorprendente ma non inaspettata inversione dei ruoli e
delle alleanze, la Nato si è detta ieri disponibile alla
collaborazione con Belgrado per intervenire contro le attività
"terroristiche" degli albanesi in Kosovo. Un passo dettato
senz'altro dai migliori rapporti tral l'Alleanza e il nuovo
leader jugoslava, ma anche dalla ormai sempre più chiara
insofferenza dell'Occidente nei confronti del Kosovo. La Nato ha
stabilito un piano in sei punti per risolvere la crisi nella
valle di Presevo. Fra questi una campagna di informazione per
mettere in luce le attività terroristiche degli albanesi a
Presevo, rapporti più stretti tra la Kfor e la polizia serba,
controllo rafforzato sulle linee di confine e massima allerta
contro il traffico di armi.
Tensione in Albania
Iseguaci di Sali Berisha non ci stanno. Martedì sera l'arresto, e
il rilascio dopo qualche ora, del leader dell'opposizione
conservatrice, ha infervorato gli animi, e non solo, di alcuni
albanesi. Scontri sanguinosi si sono verificati a Tropoja, nel
nord del paese, da sempre regione fedele all'ex presidente
Berisha. Alcuni uomini hanno circondato il posto di polizia
locale e poi hanno dato fuoco al tribunale. La tensione è
altissima fin dai giorni delle elezioni amministrative di
ottobre, che avevano visto la sconfitta del partito di Berisha,
anche nella capitale. Da allora quotidianamente i suoi partigiani
manifestano nelle piazze delle principali città albanesi, in modo
sempre più violento. L'altro ieri, proprio nel corso di una di
queste manifestazioni, Berisha era stato fermato dalla polizia e
contemporaneamente esercito e blindati venivano schierati nei
punti chiave della città. Il primo ministro albanese, dal canto
suo, ha lanciato un avvertimento all'opposizione radicale: "Tutti
coloro che attaccheranno le istituzioni dovranno risponderne in
tribunale".
Chirac a Vienna
Non si è trattato esattamente un incontro cordiale, ma pur sempre
un incontro c'è stato. Dopo mesi di reciproca diffidenza, il
presidente francese Jacques Chirac si è recato a Vienna dove ha
stretto la mano al cancelliere austriaco Wolfgang Schüssel. I
colloqui si sono incentrati sullo sviluppo delle istituzioni
comunitarie europee alla vigilia del summit di Nizza. L'Austria,
come tutti i paesi di piccole dimensioni, propende al
mantenimento dell'attuale
status e composizione della commissione, nel timore di perdere, altrimenti,
peso politico in seno all'Europa. Chirac, in qualità di presidente dell'Unione,
ha tenuto a precisare che il significato della visita rientra nell'ambito di un
tour di tutte le capitali europee, e non ha voluto affrontare il problema della
presenza nel governo austriaco del partito di Haider, all'origine di tante
tensioni tra Vienna e Bruxelles.
Romania, elezioni
Il partito della Grande Romania tende la mano ai socialdemocratici. In base ai
risultati ancora provvisori delle elezioni di domenica scorsa, il partito
dell'estrema destra rumena dovrebbe aver ottenuto circa il 28 percento dei
voti, contro il 37 percento del partito socialdemocratico, guidato dall'ex
presidente Ion Iliescu. Il leader del Partito della Grande Romania Vadim Tudor
ha offerto al suo avversario, che finora si è sempre detto contrario, la
collaborazione per un governo di grande coalizione. Ion Iliescu e Vadim Tudor
si affronteranno il 10 dicembre prossimo nel ballottaggio per la carica di
presidente della repubblica.
Armenia e Azerbajan
Dopo 13 anni di conflitto, un primo passo verso una possibile distensione tra i
due paesi. Ieri il vicepresidente del parlamento azero si è recato a Yerevan,
capitale dell'Armenia, dove era in corso un forum degli 11 paesi che si
affacciano sul Mar nero. Si tratta della figura istituzionale più importante
che si sia finora mai recata nel paese nemico. Tanto il
parlamentare azero che il suo omologo armeno hanno mostrato una
certa disponibilità a riprendere il dialogo. Armenia e Azerbajan,
due ex repubbliche sovietiche, si contendono la regione del
Nagorno-Karabak, enclave popolata da una maggioranza armena in
territorio azero, che si è dichiarata indipendente nel 1988. Una
tregua nel 1994 ha messo fine ad una guerra che ha fatto oltre
15.000 vittime e un milione di profughi, ma il problema della
sovranità del Nagorno Karbak resta ancora del tutto irrisolto.
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Il Manifesto, 30 novembre 2000
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