www.resistenze.org - associazione e dintorni - s.o.s. yugoslavia - 13-10-09 - n. 290
E' morto Ibraj Musa,
albanese kosovaro, partigiano della giustizia, della libertà e dell'amicizia tra i popoli: del Kosovo, della Serbia e della Jugoslavia.
Con profondo e sentito cordoglio informiamo che è morto a Nis dove era rifugiato e profugo con la sua famiglia, Ibraj Musa, albanese kosovaro, capofamiglia di uno dei nuclei familiari adottati dalla nostra Associazione, all'interno del Progetto Kosovo Metohija.
Un uomo con una storia di vita quasi unica e forse irripetibile.
La sua vita, le sue scelte di vita sono state un pezzo di storia del novecento, un pezzo di storia dei Balcani e dei suoi popoli. Ed egli l'ha vissute da protagonista, con coscienza e coraggio.
Musa Ibraj era nato il 24 Aprile 1923; aveva 13 figli da tre matrimoni: la prima moglie albanese, la seconda rom e l'attuale, la signora Rosa, serba.
Veterano della II Guerra Mondiale, durante l'occupazione nazifascista della Jugoslavia, ha combattuto nella Resistenza come partigiano, prima in Albania, poi in Serbia e infine in Bosnia. Egli e la sua famiglia vivevano a Osek Hila, villaggio a 5 Km da Djakovica, abitato da 1600 albanesi e poche decine di serbi.
Dopo l'aggressione della Nato e la conseguente occupazione del Kosovo nel giugno '99, che ha dato via libera alle forze terroriste dell'UCK nella provincia serba, come altre migliaia di famiglie di albanesi kosovari, gli Ibraj sono dovuti scappare in Serbia per non essere uccisi dai secessionisti.
Infatti furono da essi definiti come "traditori" e "collaboratori" dei serbi, per il solo fatto di non credere nell'indipendenza ed essersi battuti per l'unità e l'amicizia tra i popoli del Kosovo, contro le violenze e le sopraffazioni terroriste dell'UCK.
Per questo la sua famiglia ha pagato forse il prezzo più alto di tutte le famiglie degli scomparsi nel Kosovo Metohija, pur essendo albanesi kosovari: tre figli e tre nipoti rapiti ed assassinati dalle bande UCK, di cui 5 identificati ed uno ancora disperso. Ibraj ha saputo dei corpi ritrovati solo poco prima di morire, in quanto il figlio maggiore superstite, che andò ad identificare i propri fratelli, nipoti e un suo figlio, non lo disse al vecchio Musa, per non dargli ulteriore dolore.
La vicenda di quest'uomo, un vero e proprio pezzo di storia vissuta dei Balcani, che ha attraversato gli avvenimenti succedutisi nel secolo scorso, con grande coraggio, sempre partigiano, nel senso più pieno di questo termine, schierato cioè dalla parte della sua gente, della giustizia, della libertà, costi quel che costi: dal 1941 quando prese la via della montagna per combattere i nazifascisti, fino al 1998 quando fu eletto comandante della "Milizie di autodifesa albanesi del Kosovo" contro il terrorismo e le violenze dell'UCK. Queste milizie erano formate in gran parte da kosovari albanesi, ed in molti paesi miste, erano presenti in oltre 130 comuni del Kosmet, come forma di autodifesa per proteggere la popolazione civile dalle bande e dalle imposizione violente dell'UCK,.
Quando, attraverso l'Associazione Srecna Porodica, con cui abbiamo uno dei Progetti di solidarietà per il Kosovo Methoija, ci fu proposta questa famiglia da sostenere, come vittima del terrorismo UCK, non sapevamo tutta la storia del vecchio Musa; fu per noi una giornata indimenticabile quando ci recammo nella loro attuale disagiata casa, a Hum un paese di campagna vicino a Nis, dove vivono come profughi, per scappare dalle ritorsioni dei criminali UCK, oggi "padroni" del Kosovo sotto comando NATO.
Quel giorno facemmo un intervista video dell'incontro, dove Ibraj Musa ci raccontò della sua straordinaria e incredibile storia di vita. Quando gli feci alcune domande riguardo il presente e le vicende più recenti, riguardanti gli avvenimenti tragici accadutigli nella guerra del Kosovo, egli, che nonostante gli 85 anni di età, era di una lucidità e vitalità stupefacenti, mi rispose che dopo aver conosciuto e combattuto i nazifascisti, null'altro poteva spaventarlo, e che dato che anch'essi alla fine furono cacciati e spazzati via dal popolo, stessa sorte toccherà ai banditi ed assassini dell'UCK.
Sulla sua esperienza di comandante di queste Milizie locali di autodifesa (formatesi nel maggio giugno 1998), egli disse:
" ...Quando vidi quello che stavano facendo contro la nostra gente per costringerli ad andare con loro e contro i nostri amici e paesani serbi, per cacciarli dal villaggio che era di tutti noi, decisi che dovevamo organizzarci per impedire all'UCK di entrare nel paese e terrorizzare la nostra gente…ho deciso semplicemente questo... abbiamo sempre vissuto insieme, perché questi banditi volevano distruggere tutto quanto era stato cercato di fare? A quale scopo? I popoli devono vivere insieme in pace, onestà e lealtà reciproca... Questo era la Jugoslavia... ".
Il vecchio Musa fu indicato dalla sua gente grazie alla sua storia di combattente partigiano ed al rispetto di cui era circondato, e considerato uomo giusto e saggio.
Quando gli chiesi quale fu il momento preciso che gli fece prendere una decisione così difficile e che avrebbe avuto conseguenze drammatiche per lui e la sua famiglia, egli rispose: "… una notte vennero alla nostra casa e in altre case, gente dell'UCK e ci disse che avremmo dovuto andarcene da Osek Hila ed abbandonare il villaggio perché ci sarebbero stati attacchi contro la polizia serba e l'esercito jugoslavo nei giorni seguenti. Noi ed il resto del villaggio rifiutammo, perché quello era il nostro paese e la nostra terra. Nei giorni seguenti tornarono ancora una volta ma stavolta per minacciarci. Poi la mattina trovai questo pezzo di carta di quaderno attaccato sulla porta di casa…".
Musa ci fece vedere questo foglio con su scritto con una penna a sfera:
"O state con noi o bruceremo le vostre case. Arruolati con i tuoi fratelli.
UCK (Ushtria Clirimtare e Kosoves ).".
"...Allora capimmo cosa stava per succedere, abbiamo raccolto tutto quello che avevamo come armi, fucili da caccia, accette, coltelli e cominciammo a vigilare e non girare più soli... formammo delle pattuglie di noi del villaggio 24 ore al giorno, notte e giorno. Alcuni giorni dopo individuammo tre dell'UCK che si aggiravamo nelle vicinanze delle case, li disarmammo e li consegnammo alla polizia, che ci dette il permesso di tenere le loro armi e di restare armati...".
Il figlio maggiore che era con noi nella stanza a quel punto ci fa vedere appesi dietro alla porta un Kalashnikov ed un fucile da caccia, che ancora possedevano.
Alla domanda come si erano procurati le armi per la loro Milizia egli rispose che in Kosovo, quasi tutti, da sempre possedevano un arma, ribadendo che: "...ogni arma della Milizia era nostra, dovevamo avere solo il permesso di tenerle legalmente, per il resto erano nostre...".
Queste Milizie furono poi autorizzate in tutto il Kosovo, a tenersi le armi che sequestravano all'UCK.
"...Noi cercavamo di costringerli a restare fuori dal villaggio, cercando di evitare conflitti armati e violenze. In questo modo in tutto il nostro villaggio fino al giugno '99, non ci fu neanche una casa bruciata. ..Neanche una gallina è rimasta ferita... Nessuna devastazione o distruzione è stata permessa, né da una parte, né dall'altra...".
"...Non tutti erano d'accordo nel villaggio, perché una contrapposizione così netta, poteva esporre il villaggio a rappresaglie terroriste, infatti quando furono istituite queste milizie per l'autodifesa locale, alcuni suoi membri furono uccisi dall'UCK in altri villaggi, così molti avevano paura e non entrarono direttamente; ma visto come è andata... facemmo un buon lavoro e con buoni risultati... Poi è arrivata la NATO...".
Sulla sua situazione e della sua famiglia oggi, egli rispose: "...oggi viviamo qui in Serbia come profughi, ma solamente profughi senza una casa ed un lavoro, perché la Serbia è anche il mio paese, e sempre in tutta la mia vita abbiamo vissuto, come albanesi kosovari, insieme. Nel bene come nelle cose brutte, e qui non mi sento straniero, ma certamente non mi sento bene, oggi viviamo in tanti in questa piccola casa, con due piccole pensioni, le spese sono tante, soprattutto quelle sanitarie e per l'affitto, è una vita molto dura e difficile. A tutti ci manca il nostro Kosovo, la nostra gente, i nostri vicini, albanesi, serbi, rom, con cui abbiamo vissuto insieme e in pace per oltre 50 anni... Poi sono arrivati quei maledetti terroristi dell'UCK... e hanno fatto quello che sapete, e sulla mia famiglia si sono accaniti, e si sono presi il sangue dei miei figli e nipoti. Si sono vendicati perché non siamo stati loro complici... maledetti... perché siamo stati leali e corretti con il nostro stato, in cui abbiamo sempre vissuto e ci aveva sempre rispettato e accettato. Perché dovevamo andare con loro e distruggere tutto quello che avevamo costruito faticosamente insieme con gli altri? ...Forse dovevamo cercare di avere di più e più cose, questo è normale, è giusto. Per migliorare e correggere cose sbagliate, questo sì... Ma perché uccidere, distruggere, bruciare case, chiese, ammazzarsi tra fratelli, paesani, amici... Perché avremmo dovuto diventare complici di terroristi e criminali, che terrorizzavano la propria stessa gente? ...Questo per noi non poteva essere accettabile, siamo sempre stati leali e onesti cittadini del nostro paese, perché dovevamo diventare criminali?..Perché? Forse loro avevano i loro obiettivi, interessi, profitti, qualcuno li usava, ma quelli non potevano essere gli interessi della nostra gente albanese del Kosovo... E poi si è visto cosa hanno fatto del nostro Kosovo oggi, aiutati dai loro amici americani... Un regno governato da banditi e delinquenti, dove vi è solo criminalità e paura, per la gente semplice, per il popolo... Anche nel nostro villaggio oggi, c'è solo paura e la gente onesta è silenziosa solo per paura, ce lo dicono loro stessi di nascosto... Per questo avremmo dovuto collaborare con loro?...Io ho fatto il partigiano contro i nazifascisti nella II guerra mondiale, ma noi eravamo partigiani per liberare il nostro popolo, non per terrorizzarlo e farlo ubbidire. E' una bella differenza non pensi?...Che mi diano del traditore non mi tocca, "loro" sono dei traditori della nostra gente, perché gli hanno portato solo odio e sofferenze per i loro sporchi interessi...".
Dopo alcuni secondi di silenzio e l'ennesima sljiva offertaci in segno di amicizia, così concludeva:
"...Sai, figlio mio, troppe tragedie abbiamo vissuto, tanto dolore abbiamo nel cuore, la nostra vita è stata stravolta e ferita da tutti gli avvenimenti successi, questo non si può più cambiare, questo ci accompagnerà fino alla tomba... ed io sono vicino al mio giorno. Ma per loro che restano bisogna avere fiducia e speranza che qualcosa cambierà, che tornino tempi più giusti, di pace, di amicizia, di onestà. Io di guerre ne ho fatte tante, ma sempre dalla parte delle cose giuste. Mai per me stesso, ma per la nostre genti, i nostri popoli. Per questo sono sereno e riesco ancora a sorridere e spero che un giorno si rivedrà un paese libero e giusto... Io non ci sarò, ma ci saranno i miei nipoti, ed i nipoti e figli delle nostre genti, e torneranno a vivere, lavorare e divertirsi insieme, uniti come fratelli... Vedrai che sarà così... La storia non la può fermare nessuno... Però ora voglio abbracciarti per l'aiuto che ci hai portato con la vostra Associazione. Per me e per tutta la nostra famiglia è un onore avervi qui nella nostra piccola casa, avervi potuto accogliere come amici e fratelli. Perché da oggi questo saremo... Grazie per l'aiuto, ma soprattutto grazie che ci avete riconosciuti degni della vostra solidarietà e ci avete tenuti in considerazione... Da ora in poi la nostra casa sarà sempre anche la tua, figlio mio...".
Penso sia inutile sottolineare che un GRAZIE senza limiti, siamo noi che sentivamo di dirgli e dovergli, il nostro modesto contributo economico non può avere alcun tipo di paragone con la vita vissuta e l'operato della vita di un uomo così. Un uomo giusto, onesto, semplice, un uomo che ha attraversato la storia sempre in piedi e a testa alta, pagando prezzi umani terribili, ma anche un uomo con cui abbiamo riso e sorriso di piccole cose, di aneddoti della sua esistenza. Per esempio del succo di frutta che gli toccava bere, perché la moglie ed il figlio non gli lasciavano più bere la sljivovica... così mi è toccato, essendo seduto accanto a lui, una sequela di brindisi continui... anche per lui, mi diceva, dovevo sacrificarmi... Ed ho "dovuto" sacrificarmi... volentieri.
Non so se con queste righe sono riuscito a ricordare degnamente quest'uomo e la sua storia, ma due cose sono certe: una è che per la nostra Associazione, che ha potuto averlo come parte dei suoi progetti solidali (che continueranno), è stato un onore avere la sua amicizia e rispetto (per questo la nostra riconoscenza va a Radmila Vulicevic, nostro referente a Nis, ed al suo lavoro, che sono stati il tramite, in quanto la famiglia Ibraj sono membri dell'Associazione Srecna Porodica).
La seconda è che la speranza e l'impegno che un tempo migliore si delinei all'orizzonte dei popoli, nel Kosovo, nei Balcani e nel mondo, può avvenire solo con l' apporto e l'esempio di vita, di uomini così. Di uomini come Ibraj Musa, albanese kosovaro del Kosovo Metohija, cittadino e costruttore della Jugoslavia, coraggioso difensore del Kosovo e dei popoli che lo abitavano, e leale ed onesto cittadino della Serbia poi.
D'ora in poi Membro onorario della nostra Associazione SOS Yugoslavia- SOS Kosovo Metohija.
Anche nel suo ricordo ed esempio, andiamo avanti nel nostro impegno di solidarietà e amicizia tra i popoli, e nello specifico con il Progetto Kosovo Metohija.
“...Tu paladino della libertà, torrente d’entusiasta giovinezza
or mandi a noi di luce, un caldo raggio dal tuo sepolcro.
E giunge a noi. Perché... sentisti, ...del dolor,
e come un cavaliere del poema ariostesco,
...offristi il tuo soccorso.
Ora... altri innalzano il tuo vessillo e lottano e resistono
Per l’avvenire comune...”.
(Stralci adattati di V. Nazor, poeta jugoslavo, di un poema dedicato ai partigiani italiani, che combatterono in terra jugoslava contro il nazifascismo)
Addio Musa Ibraj... i HVALA (Grazie)!
Enrico Vigna, Associazione SOS Yugoslavia – SOS Kosovo Metohija