Spese militari: l’Unità annuncia i tagli del Pd, il Pd smentisce 

di M.Dinucci e T. Di  Francesco
(il manifesto, 9 giugno 2010 - segnalato da info @ disarmiamoli.org)


La campagna del Pd contro le spese per gli armamenti è «pregiudiziale e demagogica»: lo afferma sul Corriere della Sera (7 giugno) Arturo Parisi, già ministro della difesa nel governo Prodi, oggi aderente al gruppo parlamentare Pd alla Camera. A suscitare le ire dell’ex ministro è la copertina de l’Unità del giorno prima, «Manovra di guerra», con l’articolo «Tagliano gli stipendi e comprano armi». Vi si annunciava che il Pd avrebbe chiesto al governo, con una risoluzione presentata alla commissione difesa del Senato, di rivedere la spesa militare in base a una politica di «verifica, trasparenza e risparmio». Parisi se la prende in particolare con l’affermazione, fatta nell’articolo, che i 71 programmi di armamento continuano a sottrarre miliardi al bilancio dello Stato. 
Parisi rivendica in tal modo ciò che l’Unità invece tace: il fatto che il Pd, soprattutto con l’ultimo governo Prodi, ha attivamente contribuito all’aumento della spesa militare. Come già ricordato sul Corriere della Sera da un’altra voce autorevole, quella dell’ex sottosegretario alla difesa Lorenzo Forcieri, «il governo Prodi, in due sole finanziarie di rigore e risanamento dei conti dello stato, è riuscito a invertire la caduta libera delle spese per la Difesa, che sono aumentate dei 17,2% nel biennio 2007-08». Fu il governo Prodi a istituire, con la Finanziaria 2007, un «Fondo per la realizzazione di programmi di investimento pluriennale per esigenze di difesa nazionale, derivanti anche da accordi internazionali», con una dotazione di 1.700 milioni di euro per il 2007, 1.550 per il 2008 e 1.200 per il 2009. Un «tesoretto», aggiunto al bilancio della difesa, lasciato in eredità al governo Berlusconi.
E’ a causa di questa politica bipartisan che l’Italia si colloca al decimo posto mondiale come spesa militare, e al sesto come spesa procapite, con un ammontare annuo calcolato dal Sipri in circa 30 miliardi di euro. Più di una pesante finanziaria, pagata ogni anno con il denaro pubblico.
Emblematica è la storia della partecipazione italiana al programma del caccia F-35 della statunitense Lockheed, che solo ora l’Unità definisce giustamente «piano faraonico», ricordando che costerà all’Italia 15 miliardi di euro. Il primo memorandum d’intesa venne firmato al Pentagono, nel 1998, dal governo D’Alema; il secondo, nel 2002, dal governo Berlusconi; il terzo, nel 2007, dal governo Prodi. E nel 2009 è stato di nuovo un governo presieduto da Berlusconi a deliberare l’acquisto di 131 caccia che, a onor del vero, era già stato deciso dal governo Prodi nel 2006. L’Italia partecipa al programma dell’F-35 come  partner di secondo livello, contribuendo allo sviluppo e alla costruzione del caccia. Si capisce quindi perché, quando il governo Berlusconi ha annunciato l’acquisto di 131 F-35, l’«opposizione» (Pd e IdV) non si sia opposta. Eppure già si sapeva che il costo del caccia F-35 era lievitato da 50 a 113 milioni di dollari per aereo.
Dopo aver definito quello dell’F-35 e altri programmi militari «roba da guerra fredda», ossia obsoleta, l’Unità sostiene che si continua a buttare miliardi in armi, «oltretutto (per fortuna) inutili». A questa affermazione si oppone Parisi, criticando la campagna del Pd contro le spese per armamenti dei quali «si denuncia pregiudizialmente e genericamente l’inutilità». Parisi non ha torto. Se questi armamenti fossero inutili, se fosse vero (come sostiene l’Unità) che «l’Italia ripudia la guerra», se fosse vero (come sostiene sempre l’Unità) che le 31 missioni in cui sono impegnate le forze armate italiane sono tutte di «peacekeeping», non si capisce perché dovrebbe acquistare 131 caccia F-35 destinati a missioni di attacco in lontani teatri bellici. Soprattutto i caccia a decollo corto/atterraggio verticale, spiega la Lockheed, sono i più adatti a «essere dispiegati più vicino alla costa o al fronte, accorciando la distanza e il tempo per colpire l’obiettivo». Grazie alla capacità stealth, l’F-35 Lightning «come un fulmine colpirà il nemico con forza distruttiva e inaspettatamente». Un aereo, dunque, destinato alle guerre di aggressione. 
Tutto questo viene ignorato dalla senatrice Roberta Pinotti, membro della commissione difesa, che dichiara di condividere l’impostazione di Parisi, assicurando che i dirigenti del Pd sono «consapevoli che la Difesa è uno dei compiti fondamentali dello Stato». Altro che tagli agli armamenti. 

Il giorno 07/giu/10, alle ore 20:20, Coord. Naz. per la Jugoslavia ha scritto:

(...)




Fuori dai ministeri, tra gli statali che da qui ai prossimi tre anni dovranno sacrificare i loro stipendi per versare allo Stato 5 miliardi di euro contro la crisi, il grido pacifista si è già fatto largo: «Vendessero i cacciabombardieri di La Russa». In realtà più che di vendere si tratterebbe di non acquistarne di nuovi. Idea tutt’altro che peregrina. È quello che sta decidendo di fare la Germania in queste ore, per dire. Il Pd stima che si potrebbero risparmiare almeno 2 miliardi l’annoOvvero sei miliardi nei tre anni su cui opera la manovra. Una stima prudenziale, visto che la spesa in armamenti si aggira intorno ai 3,5 miliardi l’anno.
Nella manovra finanziaria di Tremonti, però, di tagli agli armamenti non ne troverete traccia. E sì che in programma il governo italiano non ha solo l’acquisto di nuovi cacciabombardieri. Sul bilancio dello stato, al momento, incombono ben 71 programmi di ammodernamento e riconfigurazione di sistemi d’arma, che ipotecano la spesa bellica da qui al 2026. Tutti passati inosservati sotto lo sguardo vigile del ministro dell’Economia.
Cifre astronomiche
Eppure parliamo di cifre astronomiche, che il governo si è impegnato a versare all’industria bellica per acquistare una varietà incredibile di nuove armi. La lista è lunga. Prendiamo solo qualche esempio. Partiamo proprio dai cacciabombardieri. Programma di ammodernamento numero 65. Un piano faraonico, che impegna l’Italia a comprare dagli Usa 131 cacciabombardieri F-35. Aerei progettati per essere invisibili ai radar (solo che nel frattempo i radar si sono evoluti). Roba da guerra fredda. Solo nel triennio interessato dalla manovra appena varata l’acquisto programmato sulle casse dello stato per circa 2,5 miliardi di euro. Totale della spesa prevista da qui al 2026: 15 miliardi. Che si sovrappone per altro alla spesa per l’acquisto, già programmato, di 121 Eurofighter (80 sono stati già comprati e c’è ancora un’ultima tranche). Ma andiamo oltre. Al programma numero 67, per esempio. Si chiama «Forza Nec»: serve a dotare le forze armate di terra e da sbarco di un sistema assai sofisticato di digitalizzazione. Roba da Vietnam, ovvero da conflitti ad alta intensità – la guerra in Iraq era considerata a media intensità. Per ora siamo alla fase di progettazione, che da sola costa circa 650 milioni di euro. L’esborso finale, non ancora formalizzato, si aggirerà intorno agli 11-12 miliardi. Ma andiamo oltre. Passiamo ai sommergibili. Difficile prevedere una battaglia navale nel Mediterraneo che li richieda, eppure nella lista dei futuri armamenti non mancano due sommergibili di nuova generazione. Costo stimato: circa 915 milioni. Più della metà da versare già nei tre anni della manovra. Una cifra minore ma non per questo più sensata sarà spesa invece per comprare nuovi sistemi di contracarro di terza generazione: 120 milioni di euro.
Cifre da capogiro. Tanto che lo stato italiano fa fatica a stare dietro agli impegni presi. E l’industria bellica è costretta a ricorrere alle banche. Con il risultato che l’indebitamento fa lievitare ulteriormente i costi. Negli ultimi tre anni, l’Italia ha speso in armamenti circa 3,5 miliardi di euro l’anno. Una cifra destinata a lievitare, tanto più che nemmeno la manovra prova a scalfirla.
Una cifra molto opaca, secondo il Pd, che domani in Commissione difesa del senato presenterà una risoluzione per chiedere che il governo inizi a fare i conti con le armi e con i miliardi che i 71 fatidici programmi continuano a sottrarre al bilancio dello Stato. Sono tutti così indispensabili? Il Pd chiede di verificarne utilità, tempi d’attuazione e costi. E di adottare quella che definisce una «moratoria ragionata». Obiettivo: ottenere risparmi consistenti. E costringere il governo ad adeguare la spesa ai costi della crisi. E al modello di difesa adottato alla luce della Costituzione.
L’Italia ripudia la guerra, appunto. E però continua a buttare miliardi in armi, oltretutto (per fortuna) inutili. Negli ultimi 15 anni infatti le forze armate italiane sono state impegnate in 35 missioni di peacekeeping. «Ma se dobbiamo portare la pace, che ce ne facciamo dei bombardieri F-35?», osserva il capogruppo del Pd in Commissione Difesa, Gian Piero Scanu, primo firmatario della risoluzione, che illustrerà domani al senato: «Semmai – aggiunge – abbiamo bisogno di addestrare i militari, di provvedere alla manutenzione dei mezzi di trasporto che utilizzano».
Ecco appunto, di quelli invece la manovra si occupa: un taglio di quasi un miliardo in tre anni, che si aggiunge agli 1,5 miliardi di risparmi sul bilancio di esercizio già programmati dalla prima finanziaria del governo Berlusconi. Forse anche per questo quel grido d’allarme lanciato dal dipendente statale pacifista ormai comincia a diffondersi anche tra le forze armate. «Il rapporto difesa-industria va cambiato, ci sono costi e appetiti che lo rendono non ottimale, l’industria non può imporre ciò che vuole», ha denunciato pubblicamente lo stesso sottocapo di Stato maggiore dell’Aeronautica, Maurizio Ludovisi.
«Fin qui il governo non ha ancora risposto: quale è il modello di difesa a cui finalizza la spesa?», osserva Roberta Pinotti, appoggiando l’iniziativa del capogruppo. «Non è che da domani debbano rientrare gli uomini in missione – spiega Achille Serra, vicepresidente della Commessioni -, ma spendiamo soldi per armi inutili ed è doveroso tagliare davanti alla crisi è doveroso».
06 giugno 2010
di Mariagrazia Gerinatutti