La rivolta degli operai italiani e sloveni del rione di San Giacomo nel settembre 1920, a Trieste, costituisce un alto e significativo momento della lotta dei movimenti operai del Paese. Non si era ancora spenta la lunga occupazione delle fabbriche che fu per la borghesia e lo stato la “grande paura”. Qui da noi la rivolta fu diretta contro il potere oppressivo espresso allora da una gerarchia militare, e poi civile, sorda ad ogni istanza dei lavoratori. Quella coraggiosa insurrezione ancora oggi stranamente ignorata e dimenticata, va inserita nella volontà di resistere alla violenza delle squadre fasciste particolarmente efficienti e brutalmente violente nella città di Trieste, da poco passata sotto il controllo del regio esercito italiano, ma non ancora annessa all’Italia. Erano passate poche settimane dall’incendio del Narodni Dom, la sede delle organizzazioni slovene, provocato da una squadra fascista agguerrita e protetta dall’esercito. E va ad unirsi idealmente alle lotte in nome del socialismo e dell’anarchismo, in Emilia-Romagna e in val padana e in buona parte dell’Italia, per la difesa delle Case del Popolo. Idealmente si collega agli scioperi antifascisti delle città industriali del nord nel 1943 e 1945 nel contesto della lotta partigiana per la liberazione.
VENERDÌ 8 OTTOBRE ORE 17:00
INCONTRO DIBATTITO
“LA RIVOLTA OPERAIA DEL 1920
A SAN GIACOMO”
Interverranno:
Marina ROSSI, storica
Paolo NICCOLINI, operaio dirigente CGIL;
Miro IVANCIC, figlio di un insorto di San Giacomo;
Claudio Venza, storico,
Claudio COSSU, cittadino
Cittadini Liberi ed Eguali
Coordinamento Antifascista di Trieste
info: antifa-ts@...
Il 17 ottobre, alle ore 11, l'Anpi di Trieste poserà una targa commemorativa sull'ex caserma dei Carabinieri di via Cologna 6 a Trieste, dove ebbe sede, dal dicembre 1944 alla fine della guerra, il tristemente noto Ispettorato Speciale di PS, struttura creata per la repressione antipartigiane e che si macchiò di nefandezze e crimini.
La Provincia di Trieste, proprietaria dell'edificio, ha deciso di metterlo all'asta ed al suo posto dovrebbe sorgere un complesso residenziale.
Per evitare che la speculazione edilizia dia una mano all'ennesima manovra di cancellazione della memoria storica, chiediamo che la caserma rimanga di proprietà pubblica e vi si realizzi un museo, come quello esistente in via Tasso a Roma.
Vi chiediamo di far conoscere questo problema e far girare l'appello.
Ora e sempre Resistenza!
Claudia Cernigoi
Trieste
All'indirizzo sotto segnalato un articolo sull'attività dell'Ispettorato speciale nei mesi in cui ebbe sede in via Cologna, oggi inserito nel sito della Nuova Alabarda
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-l%27ispettorato_speciale_di_ps_di_trieste_nella_sede_di_via_cologna..php
Sempre dal sito della Nuova Alabarda, gli altri articoli sull'Ispettorato speciale:
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-note_sull%27ispettorato_speciale_di_ps_%28banda_collotti%29.php
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-giornata_della_memoria_2009%3A_il_rastrellamento_di_bor%9At..php
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-giornata_della_memoria_2009%3A_la_storia_di_lojze_bratu%9E_e_ljubka_%8Aorli..php
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-giornata_della_memoria_2009%3A_metodi_repressivi_dell%27ispettorato_speciale_di_ps..php
La Provincia di Trieste ha deciso di mettere all’asta l’ex caserma dei Carabinieri di via Cologna 6 e 8, e la stampa ha riferito che al suo posto dovrebbe sorgere un complesso residenziale.
Dato che in questo Paese la memoria storica, soprattutto quella che dovrebbe ricordare le cose “scomode”, tende a perdersi, non molti ormai sanno che dall’autunno del 1944 all’aprile del 1945 la caserma (che era stata sede di una tenenza dei Carabinieri fino al 25 luglio 1944, data di scioglimento dell’Arma su ordine del comando germanico) era divenuta la sede dell’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza, il corpo di repressione appositamente creato dal fascismo per “infrenare l’azione terroristica delle bande slave e difendere l’italianità di queste terre” (questa la definizione data dall’ispettore generale Giuseppe Gueli, dirigente la struttura, in una missiva che indirizzò nel 1947 alla Corte speciale di Trieste quando non si presentò al processo che lo doveva giudicare per i crimini di cui si macchiò l’Ispettorato).
Dell’attività repressiva di questo corpo (noto anche come “banda Collotti”, dal nome del commissario Gaetano Collotti, comandante la “squadra volante” che si occupava specificatamente delle operazioni, rastrellamenti, arresti ed interrogatori, e di conseguenza anche delle violenze sui prigionieri) e dei crimini commessi dai suoi componenti abbiamo parlato svariate volte (si vedano gli articoli pubblicati nel nostro sito di cui indichiamo i link in calce); in questa sede ci limiteremo a parlare del trasferimento della struttura dalla prima sede in via Bellosguardo (una villa requisita alla famiglia israelita Arnstein) a quella di via Cologna.
Il 17 ottobre, a cura dell’Anpi provinciale sarà posta una targa a ricordo di coloro che furono imprigionati e torturati nella sede di via Cologna, alcuni dei quali poi trovarono la morte fucilati dai nazifascisti o nei campi di sterminio. Un ricordo particolare lo vorremmo dedicare a Maria Merlach, la trentatreenne partigiana Maja di Servola che, secondo il racconto di una sua compagna di prigionia, “era stata torturata con la macchina elettrica e disse che preferiva darsi la morte anziché avere a che fare con quella gente. Il giorno in cui vennero gli agenti per prenderla di nuovo e condurla all’Ispettorato, la Merlach in preda ad una convulsione nervosa, si mise a piangere fortemente e diceva povera me, pregate perché io muoio” (testimonianza di Ada Benvenuti, in archivio IRSMLT n. 914).
Probabilmente l’Ispettorato operò il trasloco in via Cologna perché la villa di via Bellosguardo era stata danneggiata nel corso di un bombardamento, e lo spostamento avvenne tra la fine di novembre ed i primi di dicembre del 1944.
Una testimonianza resa nel 1947 in sede istruttoria del processo a “Gueli e soci” dice che “gli abitanti delle case vicine alla Villa Trieste dove aveva sede l’Ispettorato (…) dal 15 giugno 1942 al dicembre del ‘44, sentivano di notte e di giorno grida di detenuti, uomini e donne seviziati” (archivio IRSMLT n. 914)
In un appunto dattiloscritto, redatto da un anonimo informatore del movimento di liberazione e datato 30/10/44 leggiamo che “l’Ispettorato è stato traslocato in via Cologna: è tuttora in corso di sistemazione” (in archivio dell’ANPI di Trieste busta 10); mentre l’agente Giuseppe Giacomini dichiarò, in sede processuale, che l’Ispettorato si trasferì in via Cologna “ai primi di dicembre” (archivio IRSMLT n. 914).
In molte testimonianze inserite nei fascicoli delle inchieste a carico di membri dell’Ispettorato condotte dal Tribunale militare di Ajdovščina (in Arhiv Slovenje, SI AS 1827 fascicolo 34) si legge che gli arrestati furono condotti in via Bellosguardo fino a tutto novembre 1944. In una di queste note leggiamo che il 27/11/44 gli agenti di Collotti Luciani e Cerlenco arrestarono Wilma Varich e la imprigionarono in via Bellosguardo, dove fu torturata, poi condotta al carcere dei Gesuiti e successivamente per 80 giorni nuovamente detenuta all’Ispettorato, però in via Cologna, prima di essere inviata al Coroneo e poi in Germania. Possiamo quindi presumere che il trasloco effettivo si svolse in dicembre e che per un certo periodo l’Ispettorato usò ambedue le sedi.
Possiamo qui inserire anche alcune annotazioni relativamente ad azioni della lotta partigiana. La prima è una testimonianza di Giorgio Marzi (raccolta nel luglio 2003), che ha narrato di un attentato fallito contro Gaetano Collotti. Nel 1944 il commissario abitava in via Piccardi ed ogni mattina un’automobile veniva a prenderlo per portarlo in via Bellosguardo. Un giorno dell’inizio di settembre un gruppo di gappisti aveva atteso che la macchina partisse con Collotti a bordo e la bloccò con un furgone prelevato alla ditta di pompe funebri Zimolo. Ma l’arma che doveva sparare si inceppò e l’attentato fallì. Secondo Marzi sarebbe stato proprio dopo questo attentato che l’Ispettorato decise il trasferimento da via Bellosguardo in via Cologna. Nella circostanza inoltre Collotti lasciò l’abitazione di via Piccardi e si stabilì, assieme alla propria convivente Pierina Martorelli, in un appartamento ricavato all’interno della caserma di via Cologna. Il commissario si recava ogni mattina a messa nella chiesa dei Gesuiti di via del Ronco, vicina a via Cologna, e ad un certo punto i GAP avevano pensato di organizzare un attentato proprio in chiesa, idea però subito accantonata per le ripercussioni che avrebbe potuto avere dal punto di vista politico.
Di un altro attentato che era stato progettato nella primavera del ‘45, ha parlato invece Nerino Gobbo (testimonianza raccolta nel dicembre 1998): l’idea era di passare attraverso le condotte fognarie partendo dalla zona della Rotonda del Boschetto, a due chilometri circa da via Cologna, e di piazzare dell’esplosivo sotto la sede dell’Ispettorato. Anche questa idea fu accantonata, sia perché le piogge primaverili avevano ingrossato i torrenti e di conseguenza reso impraticabili le condotte, ma soprattutto perché erano troppi i partigiani imprigionati nella caserma e l’esplosione avrebbe ucciso anche loro.
Con molta probabilità tutti gli arrestati nel corso dei rastrellamenti effettuati dall’Ispettorato da gennaio 1945 fino alla fine della guerra passarono per la caserma di via Cologna. Ricordiamo qui le operazioni di maggiore entità, riportando alcuni dei nomi che abbiamo rintracciato.
Tra il 27/12/44 ed il 2/1/45, in seguito ad un’operazione nella zona di Sottolongera furono arrestate le seguenti persone:
Carlo Grgič, nome di battaglia “Filtro”, operaio alla fabbrica di birra Dreher ed attivista dell’OF fu arrestato la sera del 27 dicembre 1944 alla trattoria Bellavista di Strada per Longera. Fu rilasciato quasi subito.
Bruno Kavčič classe 1922, arrestato il 31/12/44 in Strada per Longera, fu portato in via Cologna, interrogato e torturato fino al 15 aprile. Condotto al Coroneo, fu fucilato il 28/4/45 ad Opicina.
Kavčič Giuseppe, padre di Bruno, fu arrestato lo stesso giorno e portato in via Cologna, interrogato, torturato, dopo tre giorni fu trasferito ai Gesuiti e poi al Coroneo; il 24/2/45 fu inviato a Dachau dove morì il 18/4/45.
La madre di Bruno, Antonia Kavčič, fu arrestata l’1/1/45 nella casa della sorella dove era riparata dopo l’arresto del marito. Fu portata in via Cologna, poi imprigionata Gesuiti e al Coroneo. Il 24/2/45 fu inviata in Germania; liberata dagli inglesi rientrò a Trieste il 15/8/45.
A questi arresti avrebbero collaborato, secondo le accuse raccolte nel dopoguerra dal Tribunale militare di Ajdovščina, gli agenti Cerlenco, Luciani, Nussak e Soranzio.
Tra l’8 ed il 10 gennaio 1945 si svolse una grossa operazione di rastrellamento a Boršt (S. Antonio in Bosco). Furono uccisi tre attivisti del Fronte di liberazione. Ivan Grzetic (Žitomir), classe 1922, che era stato incaricato dalla VDV di organizzare i collegamenti radio; Stanko Gruden (Carlo), classe 1926 e Dušan Munih (Vojko, ma si trova anche come Darko), classe 1924, comandante dei servizi di sicurezza a Trieste. A questi bisogna aggiungere Danilo Petaros (Lisjak), nato a Boršt nel 1924, catturato dopo essere stato gravemente ferito, che risulta ucciso in Risiera il 5/4/45.
Uno degli arrestati era il sedicenne Jordan Zahar, che fu arrestato il 10 gennaio, condotto in via Cologna e torturato: “nel lungo corridoio della caserma di Collotti”, ricorda, “ci contarono e ci divisero; in mezzo giaceva Romano Rapotec, delirante di febbre, sulla sedia accanto a lui stava Danilo Pettirosso piegato in due per la ferita al ventre, attorno a loro sedici tra ragazze, donne e vecchi che fissavano in silenzio il vuoto accanto a sé”.
Zahar ha narrato anche un altro fatto: “nel dicembre del 1945 dovevo richiedere la carta d’identità, e l’ufficio che le rilasciava era situato in via Cologna, nell’ex sede dell’Ispettorato. Quando arrivai lì dentro e vidi che l’ufficio per le carte d’identità era stato sistemato proprio in una delle stanze in cui si torturava e che l’appendiabiti a cui era stato legato un mio compagno per essere torturato era nello stesso posto in cui si trovava otto mesi prima, mi sentii male, ero quasi deciso ad andarmene e rinunciare a richiedere i documenti. Vidi anche che due degli agenti di Collotti erano rimasti a lavorare lì, li avevano adibiti al servizio carte d’identità. Anche loro mi riconobbero, ma non ci dicemmo nulla” (testimonianza giugno 2002).
Il 13/3/45 un rastrellamento si svolse a Ricmanje (S. Giuseppe della Chiusa): furono arrestate una ventina di persone tra le quali il quattordicenne Bogdan Berdon. In quanto minorenne fu rinchiuso al Coroneo, e venne rilasciato il 20 aprile assieme alla diciottenne Maria Coretti, perché in occasione del “genetliaco” di Hitler, era uso delle autorità germaniche fare dimostrazione di “magnanimità”, liberando detenuti giovanissimi o donne.
Il 14/3/45 un’operazione svoltasi nella zona di Guardiella San Cilino portò all’arresto di Ruggero Haas e sua moglie Albina Brana, detenuti in via Cologna, poi al Coroneo e fucilati il 28/4/45 ad Opicina; anche la sorella di Ruggero, Emilia Haas fu arrestata, ma non fu deportata perché già gravemente malata, e morì qualche tempo dopo.
Il 21/3/45 un rastrellamento nella località di Longera causò la morte di quattro partigiani: Andrej Pertot (Hans), 44 anni, Pavel Petvar (Komandir Pavle), 22 anni, Angel Masten (Radivoj), 21 anni, Evald Antončič (Stojan), 21 anni. Quasi tutti gli abitanti del villaggio furono arrestati, molti di loro (non ne conosciamo il numero esatto) furono condotti in via Cologna e torturati. Tra essi le giovanissime Milka Čok e Meri Merlak, alla quale furono mostrate una serie di bare e fu detto che in una di esse era servita per una donna con il suo stesso nome (evidente il riferimento alla Maria Merlach che si uccise per le torture cui era stata sottoposta).
Anche alcuni esponenti del CLN italiano furono arrestati dall’Ispettorato e passarono per via Cologna. Tra essi ricordiamo: Paolo Blasi, redattore della stampa clandestina democristiana, arrestato il 9/2/45; Carlo Dell’Antonio, esponente del CLN, vicecomandante della divisione “Domenico Rossetti” ed a capo dell’ufficio informazioni militari della DC, arrestato verso metà febbraio ’45: sia Blasi, sia Dell’Antonio sarebbero evasi da via Cologna in circostanze non ben chiarite.
Inoltre furono detenuti in via Cologna: l’avvocato Ferruccio Lauri, arrestato il 15/1/45; i familiari (la moglie ed i due figli Alice e Sigfrido) di Mario Maovaz (il corriere del Partito d’Azione, arrestato il 16/1/45 e fucilato il 28/4/45). Alice Maovaz e sua madre dissero alla loro vicina di casa ed amica Maria Ursis, anch’essa imprigionata e poi torturata in via Cologna “che le avevano seviziate ed entrarono in particolari che mi facevano venire la pelle d’oca e che non avrei voluto sentire” (dal “Diario di prigione” di Maria Ursis, in archivio IRSMLT 908).
Infine in via Cologna avvenne l’incontro tra l’emissario della “missione Nemo” del Regno del Sud Luigi Podestà (collegato con il CLN triestino di don Marzari) ed il commissario Collotti, in seguito al quale i due svilupparono l’accordo che Podestà avrebbe informato Collotti sui movimenti della Resistenza jugoslava, mentre Collotti avrebbe aiutato Podestà nello “svolgimento del suo compito” fornendogli anche mezzi dell’Ispettorato, in modo tale da “far valere i suoi meriti all’arrivo degli Alleati” (dalla relazione redatta da Podestà in archivio IRSMLT 867).
In conclusione vorremmo ricordare che già la prima sede dell’Ispettorato, quella di via Bellosguardo, è stata demolita per lasciare spazio ad un complesso residenziale. Permettere che venga distrutta, assieme alla caserma di via Cologna, anche l’ultima memoria dei crimini dell’Ispettorato speciale sarebbe gravissimo, anche se coerente con le operazioni di cancellazione della memoria del nazifascismo e della Resistenza, in atto da anni nel nostro Paese.
Ci rivolgiamo pertanto ad amministratori, storici, a tutta la cittadinanza che è ancora sensibile a questi problemi, per chiedere che via Cologna rimanga di proprietà pubblica e diventi un punto di informazione, di memoria, come il museo di via Tasso a Roma, per fare sì che certi fatti non vengano dimenticati, per fare sì che non si ripetano mai più.
Ottobre 2010