Un articolo sulle collaborazioni tra CLN e nazifascisti a Trieste alla fine del secondo conflitto mondiale.
ARRESTATI SOL PERCHÉ ITALIANI?
Riprendiamo qui una delle affermazioni del professor Raoul Pupo (ripresa peraltro dalla maggior parte degli storici e divulgatori che si occupano di questi argomenti) relativa agli arresti operati dalle autorità jugoslave a Trieste nel maggio 1945 nei confronti di alcuni esponenti del CLN locale, arresti che sarebbero stati motivati, secondo questa interpretazione (forse più politica che non storica), dal fatto la “repressione jugoslava” avrebbe colpito “tutti coloro che non volevano collaborare con l’esercito del nascente stato jugoslavo”. In realtà bisognerebbe considerare le cose da un altro punto di vista: l’esercito jugoslavo, giunto a Trieste come esercito alleato contro l’Asse (da considerare quindi alla stessa stregua degli altri eserciti alleati, britannici e statunitensi) aveva tutto il diritto (sancito dalle regole dell’armistizio firmato dall’Italia, che era solo “cobelligerante”, ricordiamo), di chiedere “collaborazione”, (nel senso che dovevano consegnare le armi e porsi a disposizione) alle forze armate ed alle organizzazioni partigiane presenti sul territorio dove arrivavano.
A Trieste il CVL (che già era uscito dal CLN Alta Italia perché si rifiutava di collaborare con la resistenza jugoslava), forse per un malinteso senso di patriottismo, o forse per altri motivi, non volle consegnare le armi all’esercito jugoslavo, così come le guardie di finanza (incorporate all’ultimo momento nel CVL) in alcuni casi non si misero a disposizione degli jugoslavi o addirittura spararono loro contro, probabilmente perché ordini sbagliati erano stati loro impartiti dall’alto (e qui potremmo aprire tutta una lunga dissertazione sul “piano Graziani” che teorizzava le provocazioni contro gli Alleati in modo da creare disordine ed incidenti).
Che i membri del CLN triestino fossero informati di questo è dimostrato da quanto scritto dal capitano Luigi Podestà (l’emissario della “missione Nemo” inviato dal Regno del Sud come ufficiale di collegamento con il CLN triestino): il 1° maggio il CLN gli disse che “Tito era un alleato” e che “bisognava evitare scontri con l’esercito jugoslavo” (relazione conservata in archivio IRSMLT 867). Tutti i membri del CLN che rifiutarono di collaborare con l’esercito jugoslavo, quindi, non avevano soltanto disatteso gli ordini degli Alleati, ma avevano anche disobbedito ad un ordine del loro stesso comando di piazza.
Tornando alla vicenda di Podestà, che risulta (assieme ai suoi collaboratori Arturo Bergera e Mario Ponzo) tra i membri del CLN arrestati dalle autorità jugoslave, ne ricordiamo la collaborazione con il commissario Gaetano Collotti dell’Ispettorato Speciale di PS, collaborazione che provocò l’arresto di diversi esponenti del CLN triestino, compresi i più stretti collaboratori di Podestà.
Ricapitoliamo i fatti così come risultano dalla citata relazione di Podestà, che dal Regno del Sud era stato inviato nel territorio della RSI. Giunto a Trieste nel gennaio 1945 dopo avere preso accordi a Milano con Riccardo De Haag, uno dei dirigenti della “missione Nemo” (una organizzazione di cui non si sa molto, definita dall’agente dell’OSS Peter Tompkins nel suo “L’altra resistenza” “la più efficiente e la più estesa rete di spionaggio in Italia (…) col ruolo di informatore sulle attività politiche e militari del Clnai”), il capitano prese alloggio presso i Gesuiti di via del Ronco 12.
Prendiamo nota che la chiesa di via del Ronco era quella in cui il commissario Collotti si recava a messa ogni mattina prima di iniziare il “lavoro” nella sede dell’Ispettorato in via Cologna.
Dopo avere preso contatti con diverse persone (tra i quali membri della Marina, come Arturo Bergera, e della X Mas, come Stelio Montanari, e Luigi Poletta; il colonnello del Genio Navale Mario Ponzo; gli esponenti del CLN Giuliano Girardelli e Mario Maovaz e l’ex tenente dei Carabinieri Armando Lauri), in seguito alle manovre di un delatore, Giorgio Bacolis (responsabile anche dell’arresto di altri antifascisti, tra cui Mario Maovaz, corriere del Partito d’Azione, che fu fucilato il 28/4/45), Podestà fu arrestato da quattro agenti di Collotti il 6/2/45. Nella relazione Podestà scrive di essere stato condotto in auto in via Cologna e mentre si trovava nella “sala degli agenti”, proprio di fronte all’ufficio di Collotti, sarebbe riuscito ad eludere la sorveglianza delle guardie e nascondere “dietro un mobile” un’agenda nella quale “proprio quella mattina” aveva “appuntato il nuovo indirizzo di Nemo” (Nemo era Enrico Elia, il dirigente la rete che da lui prese il nome).
In sintesi Podestà scrive che la sua intenzione era di “trasformare in mio collaboratore il Collotti stesso”, e per giungere a questo risultato si intrattenne a parlare con il commissario di spiritismo e di italianità. Alla fine si accordarono che Collotti non avrebbe infierito sui collaboratori di Podestà, né avrebbe indagato presso altre persone sulla presenza di Podestà a Trieste. Però dato che Collotti non voleva far capire alla SS che collaborava con Podestà, aveva bisogno di una copertura e quindi doveva fingere di trattare il capitano come un qualunque arrestato. Per portare avanti la finzione, spiega Podestà, egli diede a Collotti delle informazioni, cioè che abitava presso la famiglia Rocco, conosciuta tramite Bergera (il che provocherà l’arresto di queste persone, alcune delle quali furono anche torturate); e fece poi anche il nome di Girardelli.
A metà febbraio Podestà chiese un incontro con Collotti nel corso del quale gli propose di “diventare mio collaboratore promettendogli di far valere i suoi meriti all’arrivo degli Alleati”, al che Collotti gli fece capire che “doveva aver fatto assegnamento dentro di sé su qualcosa di simile fin dal nostro primo colloquio”.
Gli accordi cui arrivarono sarebbero stati che Collotti avrebbe chiesto a Podestà di fornire informazioni relative agli slavi, ed a sua volta avrebbe fornito a Podestà “agevolazioni per lo svolgimento del mio compito anche mettendo a disposizione la macchina dell’Ispettorato”. Dopo questo accomodamento Podestà fu inviato alla sede della SS, dove il maresciallo Hibler gli chiese di scrivere una relazione sulla sua attività e la mattina dopo, dopo avere letto lo scritto, accettò la proposta di Collotti di prenderlo come collaboratore nella lotta antislava.
Si potrebbe quindi pensare che nel maggio 1945 Podestà, Bergera e Ponzo siano stati arrestati dalle autorità jugoslave perché Podestà si era accordato con la SS e con Collotti di fornire loro informazioni sulle attività antinazifasciste, ma il motivo probabilmente è un altro, molto meno ideologico, da quanto traspare dalla stessa citata relazione di Podestà.
Il capitano scrive che era stato incaricato dal CLN triestino di organizzare la Regia Marina in previsione dell’arrivo degli alleati (ricordiamo che a Trieste, sottoposta al governo germanico, c’era la Marina Repubblicana) “per poterla rimettere nelle mani di chi di diritto”, e così il 30 aprile Podestà prese, in nome del CLN, il comando dei reparti della Marina, compresa la X Mas, dalla caserma della quale portarono via “tutto il vettovagliamento”, spostandolo nel comando della Marina. Podestà, consapevole degli ordini del CLN di evitare scontri con l’esercito jugoslavo, ma non volendo d’altra parte consegnare allo stesso i fondi del comando della Marina, ne prelevò la maggior parte dalla cassa ed affidò la somma a Lorenzo Maniscalco (un sottonocchiero della Decima inquadrato nell’Ispettorato Speciale), che avrebbe dovuto portarli a casa di Ponzo. Maniscalco però fu coinvolto in una sparatoria ed ucciso durante il tragitto; i soldi rimasero all’obitorio dove Podestà non poté recuperarli perché nel frattempo era stato arrestato dagli Jugoslavi assieme a Bergera in casa di Ponzo, perché trovato in possesso del documento firmato da loro tre nel quale veniva verbalizzato l’asporto della somma di denaro dal Comando Marina. Ponzo fu arrestato un paio di giorni dopo e successivamente i tre furono portati in carcere a Lubiana, dove Ponzo morì (sembra fosse ammalato già al momento dell’arresto), mentre gli altri rientrarono a Trieste nel 1947.
Non è dato sapere se i tre a Lubiana subirono un processo, né tantomeno gli esiti di questo, ma da quanto abbiamo letto appare abbastanza chiaramente che il motivo del loro arresto sarebbe stato una \"banale\" questione di appropriazione indebita di fondi dell’esercito, senza andare alla ricerca di motivazioni di equilibri politici.
Questo, aggiunto al fatto che Podestà aveva deciso (per motivi di intelligence non chiari alla luce della documentazione da noi finora reperita) di collaborare col nazifascismo tradendo gli alleati (l’esercito jugoslavo) dello Stato che lui rappresentava come ufficiale di collegamento inviato dal Regno del Sud ed il CLN triestino, e che, sempre nell’ottica di ottenere questa collaborazione con Collotti e la SS, aveva causato gli arresti e le torture dei suoi stessi più stretti collaboratori, dovrebbe portare quantomeno ad un ridimensionamento della sua figura finora considerata positivamente dagli storici.
ottobre 2010