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Da: Claudia Cernigoi
Data: 28 dicembre 2010 19.46.58 GMT+01.00
Oggetto: aggiornamento sito

Per finire in gloria il 2010 ho inserito questo articolo nel nostro sito
buona lettura!
Claudia
 


MATCH INZERILLI VERSUS SPETIC A TRIESTE.

Il 9 dicembre scorso, a Trieste, in occasione della presentazione del nuovo libro del giornalista Silvio Maranzana (“La (dis)unità d’Italia. Guerra anticomunista sul fronte orientale dagli Arditi a Gladio”, ed. Italo Svevo), si è svolto un confronto a due tra il generale gladiatore Paolo Inzerilli, ed il giornalista senatore Stojan Spetič, già consulente della Commissione parlamentare Mitrokhin.
Senza storia i primi due interventi: quello della sociologa Ornella Urpis che ha candidamente esordito dicendo di non sapere nulla dell’argomento ma di essere intervenuta solo perché amica dell’autore; ancora peggio quello dello storico Diego Redivo che ha esposto una singolare teoria (che noi avevamo sperato fosse soltanto sua personale, ma ci hanno detto che in realtà ha anche altri seguaci) in merito al decorso della storia del 900. 
Semplificando (se abbiamo capito bene, altrimenti, se abbiamo frainteso, chiediamo scusa e pubblicheremo smentita): tutti i conflitti nazionalistici ed ideologici sarebbero sorti dopo la Prima guerra mondiale, dove essendo il comunismo sviluppatosi in un paese “slavo” (la Russia) questo avrebbe creato una “attrattiva” nei confronti delle altre popolazioni “slave” che avrebbero in tal modo “alimentato” la propria lotta nazionalistica e questo fattore, assieme allo sfascio dell’Impero austroungarico, avrebbe provocato le contrapposizioni tra il neonato regno di Jugoslavia e l’Italia. Questa analisi, che non tiene conto di tutte le motivazioni sociali, economiche e geopolitiche della situazione creatasi dopo la rivoluzione industriale e dopo la prima guerra mondiale, ci ha davvero lasciato basiti, ma tant’è, è vero che noi non siamo storici accademici e spesso nemmeno riconosciuti come ricercatori storici.
Torniamo ora al clou della serata, cioè il match vero e proprio, che ha visto un particolarmente brioso Stojan Spetič attizzare il pacato generale Paolo Inzerilli su alcuni argomenti “caldi”.
La prima osservazione fatta da Spetič è stata che nella nostra zona per descrivere quanto avvenuto tra la Seconda guerra mondiale e l’inizio degli anni ’90 più che di “guerra fredda” si sarebbe dovuto parlare di “guerra a bassa intensità”, visto che qui si sono trovati a lavorare servizi di vari Stati, la Gladio, l’organizzazione “O”, il Noto servizio e chi più ne ha più ne metta, dove il pretesto per il mantenimento di queste strutture in zona era quello della difesa dei confini mentre, dato che il confine orientale dopo il 1945 non era sicuramente più in discussione, in realtà si trattò di un gioco interno al Paese, una scusa per condurre una lotta al di là della legalità contro avversari come il PCI e più genericamente le sinistre, una lotta contro il cosiddetto “pericolo comunista” in Italia. 
Spetič ha anche evidenziato come nella Benecjia (la cosiddetta “Slavia veneta”, ovvero le alte valli del Natisone, al confine tra il Friuli e la Slovenia), dove i comunisti erano una sparuta minoranza, la comunità slovena, cattolica e di destra, fu pesantemente repressa.
La definizione di bassa intensità ha trovato d’accordo il generale Inzerilli, che però ha tenuto a precisare che solo nella zona di Trieste vi sono state tensioni motivate dalla presenza di più etnie, in altre parti la convivenza tra etnie non ha mai creato problemi. Ma va evidenziato che Inzerilli ha esordito dicendo “la parola alla difesa”, come se avesse interpretato le osservazioni del senatore come delle “accuse”. In effetti il generale si è mostrato, oltre che sulla difensiva, anche piuttosto reticente e “giustificativo”, in un modo che ci ha ricordato l’intervento fatto da un altro gladiatore, Giorgio Mathieu, a Trieste lo scorso gennaio (nel corso della presentazione del libro “Gladio” di Pannocchia e Tosolini), teso a ribadire l’estraneità di Gladio a tutto quanto possa essere accaduto in Italia nell’ambito della strategia della tensione. Essendo noi seguaci della vecchia teoria della “scusa non richiesta colpa manifesta”, ogni volta che ci troviamo di fronte interventi così sfacciatamente giustificazionisti, non possiamo fare a meno di drizzare le orecchie ed accettare col beneficio del dubbio le dichiarazioni di Inzerilli.

All’osservazione di Spetič che tra i documenti inseriti nell’istruttoria di Mastelloni si trova un ordine trovato alla caserma Ariete di Udine dove si diceva a 3700 “membri” (Spetič ha ribadito di non essere in grado di dire se fossero membri di Gladio – stante che tutti gli interessati ribadiscono che i “gladiatori” non erano più di 622 – o di quale altra struttura) che in caso di bisogno si dovevano “eliminare i comunisti ed i preti slavi” dalle valli del Natisone, ordine questo diverso da quello diffuso nel resto d’Italia che prevedeva di internare i comunisti e non eliminarli.
Su questo Inzerilli ha commentato che se fosse stato per lui avrebbe radiato dall’albo dei generali il generale che aveva ordinato un tanto, ma non ha smentito né confermato l’esistenza e la genesi di questo documento. 
Poi Spetič ha asserito che dopo il 1948 la Jugoslavia era diventata un alleato degli “occidentali” e quindi non veniva più considerata probabile un’eventuale invasione da parte dei paesi del patto di Varsavia attraverso la “soglia di Gorizia”, ma piuttosto attraverso il Brennero, passando dalla neutrale Austria, valutando che l’Armata jugoslava e la Difesa popolare avrebbero tenuto bloccati gli eserciti del patto di Varsavia se avessero voluto invadere l’Italia attraverso la Jugoslavia.
A questo Inzerilli ha ribattuto che, mentre il cambio politico di Tito fu un dato di fatto, l’Italia non aveva cambiato idea sulla possibilità di essere invasa ed ha definito una “boiata pazzesca” il documento che parlava della possibilità di ingresso dal Brennero, non c’era alcuna sicurezza che l’esercito jugoslavo fosse fedele a Belgrado ma che una buona parte di esso avrebbe collaborato con l’Urss.
Spetič ha poi parlato di vari piani per creare incidenti di frontiera in modo da aumentare la tensione al confine, ed ha citato la nota “Operazione Delfino” del 1966 (della quale ha diffusamente parlato il settimanale “Avvenimenti” nel numero del 22/1/92) operazione che ipotizzava il malcontento dei triestini per le politiche economiche del governo ed in questa circostanza la creazione di un’alleanza tra cittadinanza e non meglio identificati “slavi” che avrebbero dato vita ad una insurrezione da reprimere (insorgenza, nella terminologia gladiatoria). In preparazione a questa insorgenza erano previste azioni eversive provocatorie, che creassero un malcontento nella sinistra, e qui Spetič ha parlato di fatti realmente avvenuti (tra il 1961 e il 1962, specifichiamo), come un attentato al prof. Schiffrer (esponente socialista che aveva fatto parte del CLN triestino); un attentato dinamitardo che distrusse parzialmente la sede del PCI; un fallito attentato alla redazione del quotidiano in lingua slovena Primorski Dnevnik. Noi aggiungiamo che per tutte queste azioni i colpevoli furono identificati in un gruppo di estremisti di destra, inseriti in due gruppi definiti “diretta emanazione del MSI” dagli inquirenti, e cioè Avanguardia Nazionale ed i grottisti del GEST, tra i quali brillava quell’Ugo Fabbri che ha più volte definito la propria attività “orgogliosamente eversiva”.
(Delle attività del GEST e dei suoi adepti, grottisti neri abbiamo accennato, anche se l’argomento richiederebbe uno studio apposito, nel dossier “1972” disponibile in questo stesso sito).
La risposta di Inzerilli è stata che la “Operazione Delfino” era in realtà una semplice esercitazione a tavolino tra quadri che ricoprivano i ruoli di “rossi” e di “neri” (una sorta di Risiko per alti ufficiali?), ma in realtà non era successo niente di quanto scritto, e che questa è stata l’unica esercitazione del genere in 35 anni di attività della Gladio.
Come al solito, quando ci troviamo a sentire queste cose nell’ambito delle relazioni sull’attività della Gladio, noi ci poniamo un paio di problemi. Perché da un lato ci viene descritta l’esistenza della struttura Gladio come necessaria per “garantire la resistenza” nel nostro Paese in caso di attacco da parte dell’Armata Rossa (resistenza che l’esercito regolare del nostro Paese non avrebbe potuto gestire, secondo quanto detto da Franco Tosolini nel corso del sopra citato convegno di gennaio scorso), mentre da un’altra parte c’è questa “minimizzazione” del ruolo della struttura, come nel caso della descrizione della “Operazione Delfino” da parte di Inzerilli, cioè alcuni ufficiali che, strapagati con le nostre tasse, passano le giornate a fare wargames da tavolino.
Sarebbe bello ci spiegassero quale, di queste due descrizioni, delinei la realtà della struttura Gladio.
Il fatto è che, come ha puntualizzato Spetič, la stesura dell’“Operazione Delfino risale alla primavera del 1966, ma a Trieste nell’ottobre del 1966 avvenne una vera e propria rivolta, perché la politica economica del governo aveva sancito la chiusura del Cantiere San Marco, con ripercussioni in termini di licenziamenti tali da mettere in ginocchio l’intera economia cittadina. Ed in quell’occasione la cittadinanza scese in piazza, tirò su barricate, si svolsero degli scontri che non degenerarono in tragedie non sappiamo se per mera fortuna o se per la lungimiranza di chi organizzò l’ordine pubblico. E dato che durante questi scontri si trovarono uniti rivoltosi di sinistra con rivoltosi di destra (per la distruzione del circolo del sindacato ACLI del rione operaio di San Giacomo furono successivamente identificati diversi attivisti di destra), non ci sarebbe stato nulla di strano se tra le migliaia che furono in piazza in quei giorni ve ne fosse stato anche qualcuno facente parte della struttura Gladio.

Successivamente Spetič ha parlato dell’ordine che prevedeva che gli infiltrati della Gladio che venivano scoperti avrebbero dovuto venire “eliminati” per non svelare l’esistenza dell’organizzazione: a questo il generale ha ribattuto che un tanto si legge nell’istruttoria di Casson, ma che non gli risulta che sia mai stato dato l’ordine di “eliminare” chicchessia, e dato che era lui a firmare gli ordini, avrebbe dovuto essere a conoscenza di una cosa del genere. Non è che una risposta data così sia del tutto esaustiva, anche perché (parere personale, ovviamente) sarebbe quantomeno originale che il responsabile di un tale ordine lo ammettesse così platealmente.
Spetič ha poi sollevato la questione dei Nasco, cioè dei depositi di esplosivo della Gladio, e nello specifico quello di Aurisina, che sarebbe diventato un deposito di scambio tra esplosivo jugoslavo (Vitezit) contrabbandato dagli ustaša per fare attentati in Italia (vi sono fondati sospetti che l’esplosivo di piazza Fontana fosse appunto il Vitezit) ed esplosivo italiano inviato in Jugoslavia per fare attentati lì. 
Inzerilli ha risposto sul Nasco dicendo che il deposito era chiuso, l’esplosivo sigillato, che non si trovava in grotta ma in un bunker e che parte dell’esplosivo era stato spostato in una scarpata da alcuni ragazzini che avevano scoperto il bunker e poi ritrovato successivamente; che l’esplosivo che c’era dentro non era italiano né jugoslavo, ma americano ed all’epoca in Italia questo tipo di esplosivo l’aveva solo la Gladio. Il generale ha poi attaccato Spetič per questa “teoria” che sarebbe stata, secondo lui, “presa da Cucchiarelli” (Paolo Cucchiarelli nel “Segreto di Piazza Fontana”, edito da Ponte alle Grazie, sostiene che l’esplosivo usato per la strage sarebbe stato il Vitezit, ipotesi che tra l’altro ci sembra essere al vaglio della magistratura), che secondo lui è inattendibile ed è stato molto contento che la stampa straniera non abbia preso in considerazione questo libro ed ha concluso affermando di averla ampiamente contestata ritenendola un’ipotesi come un’altra, ma per quanto lo riguarda “non sta in piedi” e “carte alla mano tutto questo è falso”.
Non crediamo sia così semplice definire “tutto falso” quanto sollevato da Spetič, né la “teoria” di Cucchiarelli, visto che, ammesso e non concesso che l’esplosivo dei Nasco fosse effettivamente solo esplosivo Nato, il problema che è stato posto non era che l’esplosivo del Nasco fosse stato usato per la strage di Milano, quanto il fatto che il Nasco venisse usato come deposito di scambio di esplosivo, ad uso e consumo di neofascisti italiani e jugoslavi.
Ed in questo contesto di misteri triestini Spetič ha anche ricordato la morte misteriosa di un giovane carabiniere, Bojan Claudi, che si era trovato a fare dei controlli presso un’altra cavità dove si svolgevano strani traffici di esplosivi, e rimase ucciso “per un incidente” nel 1974. Aveva forse visto qualcosa che non doveva vedere? si chiede il senatore, girando la domanda al pubblico.
Si è poi toccato l’argomento dei Nuclei di difesa dello Stato, che secondo Inzerilli erano “una istituzione molto strana”, che aveva dei compiti simili a quelli della Gladio (lotta contro l’invasore e contro il comunismo), ma questi reclutavano civili (gli “esterni”) che non dovevano essere né di destra né di sinistra (anche qui ci sono tornate in mente alcune affermazioni fatte da Tosolini nel corso della presentazione del suo libro “Gladio”, e cioè a domanda se avesse fatto ricerche su un eventuale passato in RSI o collaborazionista dei gladiatori, ha risposto di non avere fatto ricerche perché questa sarebbe stata una domanda sterile, dato che sicuramente sarebbero stati esclusi dall’arruolamento nella Gladio estremisti di destra e di sinistra mentre i socialisti venivano tranquillamente inseriti). Gli NDS nati secondo Inzerilli all’interno della III Armata, furono sciolti tra il 1972 ed il 1973, quando fu sciolta anche la III Armata (va detto che il giudice Salvini ha parlato di probabile scioglimento) ed erano protetti da una parte dei servizi (Inzerilli ha tenuto a precisare che non era la “sua” parte); che degli NDS avevano fatto parte Vincenzo Vinciguerra (l’autore confesso dell’attentato di Peteano, che provocò la morte di tre carabinieri) ed Amos Spiazzi (ufficiale dell’esercito pluriinquisito in un’infinità di indagini relative alla strategia della tensione, ma sempre uscito pulito dai giudizi cui è stato sottoposto), mentre lui, Inzerilli, è sempre stato estraneo agli NDS.

Su un altro punto il generale Inzerilli si è invece un po’ adombrato, quanto Spetič ha chiesto se lo svelamento dei nomi dei 622 gladiatori fosse stato finalizzato a rendere nota una struttura ormai bruciata per proteggerne delle altre, che andavano invece tenute nascoste perché ben più importanti, come la struttura detta “Anello”, (o “Noto servizio”, di cui avrebbe fatto parte anche un nostro concittadino, il dottor Giovanni Maria Pedroni).
Inzerilli ha subito ribattuto di avere “corretto la presentazione” di un libro scritto da una giornalista (qui gli sfuggiva il nome di Stefania Limiti, autrice de “L’Anello della repubblica” edito da Chiarelettere, ma va detto che in tutto il suo intervento il generale ha fatto meno nomi possibile) e che quello che l’aveva colpito nel leggere il libro era che “non esiste un pezzo di carta, non esiste un documento”, che queste cose potrebbero essere anche vere ma senza documenti non sono credibili, e tutti coloro che avrebbero parlato sono morti.
Ora, a prescindere dal fatto che non risulta che Inzerilli abbia “corretto” alcunché della presentazione del libro sull’Anello, va ricordato che quanto riportato nel libro fa parte di indagini giudiziarie ed anche se la gran parte dei testimoni sono morti, non è che una volta morto il testimone la sua testimonianza non ha più valore se essa è stata rilasciate in vita all’autorità giudiziaria, quindi anche in questa risposta possiamo notare una sorta di arrampicata sugli specchi da parte del generale.

Infine una breve annotazione sul fatto che Inzerilli ha più volte ribadito di avere più amici a sinistra che non a destra e che per esempio adesso sta curando la cronologia del sito di un “rifondarolo”, quello della Fondazione Cipriani (dove Luigi Cipriani, che era stato parlamentare demoproletario morì prima che si costituisse il partito della Rifondazione comunista, ma tant’è). Dato che per motivi miei di ricerca (inserisco qui una nota personale, by permission) frequento spesso il sito della Fondazione Cipriani, ho domandato al generale se la cronologia che egli cura è un’altra rispetto a quella curata nel sito dall’ex terrorista di destra Vincenzo Vinciguerra.
Non avrei mai immaginato che di fronte ad una domanda simile il generale si inalberasse dicendo che solo lui cura la cronologia, che Vinciguerra non c’entra e che basta aprire il sito per verificare chi è l’autore della cronologia.
In effetti aprendo il sito si legge:

http://www.fondazionecipriani.it/Kronologia/introduzione.htm
Genesi della Cronologia, Autori e ringraziamenti.
Questa storia italiana, esposta in forma cronologica, è nata come frutto dell\'ingegno e degli studi storici di Vincenzo Vinciguerra, prigioniero politico condannato al carcere a vita per la sua rivendicazione dell\'attentato di Peteano di Sagrado 

Senza entrare nel merito della qualifica di “prigioniero politico” data ad un terrorista assassino confesso, quanto riportato sopra smentisce indubbiamente Inzerilli. 
Ma perché il generale, che aveva dato dimostrazione di pacatezza durante tutto il dibattito (salvo essere un po’ più sanguigno nei suoi attacchi a Cucchiarelli e Limiti) se l’è presa tanto a cuore per una quisquilia simile?