2010: Perché la giornata della Memoria non funziona
Dieci anni fa l’ormai famosa Legge del 20 luglio 2000 istituiva la Giornata della Memoria. Nel 2004 una seconda legge istituiva il Giorno del Ricordo per commemorare le vittime delle foibe. La vicina Slovenia - a titolo quasi di rappresaglia - nel 2005 istituiva la “Festa del ritorno del Litorale Sloveno alla madrepatria” di segno e intenti ovviamente opposti. Nelle scuole italiane così da una decina d’anni a colpi di Giornate si promuove la Memoria. Purtroppo però a fare un bilancio degli ultimi dieci anni la Memoria così tanto promossa sembra non avere dato i frutti che si speravano. Sembra anzi che si siano verificati imprevisti fenomeni.
In primo luogo la istituzionalizzazione della “Giornata della Memoria” ha generato sin dai primi anni la “corsa al testimone”. Ogni scuola che avesse intenzione di promuovere la sua manifestazione voleva avere in aula qualcuno che avesse vissuto la tragedia. Ovviamente per motivi di naturale biologia i testimoni anno dopo anno si sono fatti sempre più scarsi.
In secondo luogo si è generato il fenomeno del “turismo della Memoria”. Personalmente trovo agghiacciante sentire parlare di “gita ad Auschwitz”. Basta digitare su Google la frase “gita ad Auschwitz” e spuntano fuori 14.000 riferimenti. Solitamente si ritrovano i resoconti di studenti, di gruppi, di persone che ripercorrono l’esperienza della “gita”. L’uso del termine “gita” è certamente - in chi lo usa - pieno di buone intenzione. Alcuni lo correggono pudicamente completandolo in “gita di istruzione”. Resta il fatto che non si può andare in “gita” ad Auschwitz perché Auschwitz non dovrebbe essere un luogo dove si va in gita. Certi concetti passano anche per l’uso del vocabolario e il vocabolario che si è imposto in questi ultimi anni è diventato sempre più banalizzante.
Un terzo fenomeno è stato la parcellizzazione della Memoria. Il dettato della Legge del 2000 voleva essere il più largo possibile ed invece si è rivelato terribilmente stretto. Tanto stretto da far uscire dalla vicenda ricordata schiere di vittime che evidentemente non meritano di rientrare nella Memoria. Così poiché pochi si sentono in dovere di ricordare anche i disabili, gli omosessuali, i soldati sovietici, gli oppositori politici e tutte le altre categorie di vittime. Questa Memoria “selettiva” ha provocato delle comprensibili reazioni. Durante la giornata della Memoria da qualche anno le associazioni che difendono la dignità delle vittime poco ricordate durante la Giornata della Memoria organizzano le proprie attività. Anche noi negli anni abbiamo organizzato mostre, partecipato a dibattiti nello sforzo di ricordare gli eventi in modo completo. Ma anche qui soltanto chi ha voce, possibilità di farsi sentire dai media riesce a imporre il proprio messaggio.
La spiacevole sensazione che la Memoria rimanga una questione di capacità di farsi sentire sembra essere decisamente reale.
Il quarto fenomeno è la capacità della Memoria istituzionale di cancellare alcuni parti fondamentali della storia. La Giornata della Memoria è diventata un atto liturgico nel quale ricordare la morte di milioni di individui. Morte provocata da un gruppo ben definito di nazisti le cui azioni non vengono spiegate se non con la rassicurante categoria della follia. In modo tale che quando il sole tramonta sul 27 gennaio tutti noi ci sentiamo rassicurati perché i folli sono stati sconfitti e noi - noi i buoni e sani - siamo fondamentalmente differenti, siamo migliori. Sembra paradossale ma la Giornata della Memoria sta provocando una orribile semplificazione storica grazie alla quale i nazisti tedeschi furono gli unici responsabili dell’orrore. Il resto va assolto con la fine della giornata di commemorazione. Diventa così stupefacente constatare come in nome della Memoria istituzionalizzata ci si dimentichi che senza il resto degli europei i nazisti non avrebbero potuto realizzare il loro progetto di sterminio. Grazie alla perversione delle parole di Hannah Arendt la “banalità del male” è diventata un prodotto estraneo alla vita dell’Europa. In realtà il male non fu né banale né confinato alla scrivania di Eichmann. Ci furono delatori, spie, collaboratori che in ogni nazione occupata o alleata denunciarono vicini di casa, ex amici, conoscenti. Ci furono organi di polizia che collaborarono nelle retate degli ebrei in ogni nazione, Italia compresa. Ma di queste responsabilità si parla molto poco o non se ne parla affatto. Il carnefice fotografato dall’iconografia istituzionale è un tedesco, ha la divisa da SS e agisce sempre come un corpo estraneo rispetto al luogo in cui opera. Si parla poco di italiani che accompagnano sino all’uscio di casa, sino al nascondiglio i carnefici diventando carnefici essi stessi. Sarebbe certamente imbarazzante scoprire che nella propria città magari il bisnonno del mio compagno di banco che viene in “gita” ad Auschwitz collaborò a far funzionare il forno crematorio con le sue denunce e la sua volonterosa collaborazione. Meglio che la Memoria tramandi la solita figura del nazista spietato. Un segnale di questa cancellazione è l’amore per i “Giusti”. Anche qui negli ultimi anni si è assistita ad una specie di corsa alla ricerca di chi mettendo in pericolo la propria vita salvò le vittime dal loro destino. A metà del 2009 i Giusti tra le Nazioni riconosciuti dallo Yad Vashem erano 22.765 di cui 468 italiani. Questo sparuto numero di persone ha il grande merito psicologico di aver salvato delle vittime allora e di salvare noi dalla cattiva coscienza. Forse proprio il fatto che siano in Italia soltanto 468 ci dovrebbe spingere a pensare a quanti “ingiusti” ci furono. A quanti “armadi della vergogna” idealmente esistono per contenere i nomi di tutti coloro che nella migliore delle ipotesi non fecero nulla e nella peggiore si attivarono per compiere il male.
Così anche sotto questo aspetto la Giornata della Memoria sottintende una non dichiarata Giornata della Dimenticanza che placa ogni coscienza. E questo è tanto più vero in un Paese come il nostro dove il mito degli “italiani brava gente” è radicato e intoccabile. Insomma più - doverosamente - ricordiamo le vittime e celebriamo gli eroi del bene, più - colpevolmente - rimuoviamo sistematicamente l’idea di responsabilità e il ricordo dei responsabili. Il cattivo è sempre un altro, il cattivo per definizione non ha un volto e non lo avrà più.
Infine la Giornata della Memoria in questi dieci anni di attività ha generato e rinforzato lo slogan - ripetuto come un mantra - che si usa alla fine di ogni manifestazione: “mai più”. Poco importa come fare a far sì che la Storia non si ripeta, l’importante è retoricamente dirsi “mai più”, magari con espressione decisa e sentimento di profonda convinzione.
Ha ragione David Bidussa quando scrive: “In realtà la scommessa intorno al Giorno della memoria è stata persa da tempo. Se non irrimediabilmente, certo in misura rilevante. Quella scommessa riguardava e ancora riguarda – perché il problema è ancora aperto in tutti i suoi aspetti – la costruzione di una coscienza storica attrezzata.
E’ esattamente qui che nasce il problema. Perché il confronto con la storia non ha generato una consapevolezza”.
“Mai più” significa che la Memoria diventa elemento attivo del presente e guida per l’agire futuro. Se ci ustionassimo una mano sul fuoco faremmo bene a dire “mai più” e faremmo bene a non riavvicinare troppo la mano ad un altro fuoco. Faremmo bene ad avere coscienza di cosa è il fuoco. Ma se dicessimo solo “mai più” per poi rimettere la mano sul fuoco alla prima occasione saremmo soltanto degli stupidi che un giorno all’anno ricordano il dolore provato per continuare poi a viverlo il giorno dopo.
“Mai più” significa che la Giornata della Memoria non è una “gita”, non è il momento retorico, l’inaugurazione del Memoriale sul quale esercitare il rito del prossimo anno. “Mai più” significa agire in coerenza con la consapevolezza maturata. E se una consapevolezza fosse stata prodotta oggi la “gita” più vera sarebbe ad un campo di Rom nella nostra città, in qualche area dove lavoratori migranti vivono ammassati come bestie in attesa di raccogliere i pomodori, in qualche casa fatiscente dove italiani meno fortunati muoiono per crolli inevitabili, in qualche mensa che si sforza di alleviare la povertà, in qualche centro diurno per disabili costretto da fondi sempre più scarsi a lavorare sempre meno. Perché le vittime che oggi celebriamo con la Giornata della Memoria sono lì dove altre vittime continuano ad essere: nella sfera della nostra retorica.
Il discorso del Presidente della Repubblica, tenuto al Quirinale in occasione della Giornata della Memoria, ci sconcerta e rattrista, come italiani antifascisti, come ebrei e come persone che, al disopra di ogni fazione politica, ritengono una assoluta esigenza di giustizia assicurare al popolo Palestinese libertà ed indipendenza, al popolo israeliano pace e armonia con i suoi vicini e con gli stessi suoi cittadini non ebrei ma arabi, il 20% della popolazione dello stato ebraico. Ci sconcerta il fatto che l’illustre personaggio non sappia sottrarsi alla retorica celebrativa che pare disinformata della realtà dei fatti di oggi e vogliamo dirgli: Signor Presidente, siamo tutti ben convinti che lo sterminio perpetrato dai nazisti – non solo degli Ebrei, ma anche degli Zingari - sia il più atroce e irrazionale crimine razzista che un moderno Stato nazionale abbia organizzato ed attuato con atroce, burocratica precisione. Molti di noi, o delle nostre famiglie, hanno memoria diretta di quella tragedia. Proprio per questo non ammettiamo che Israele, diventato stato nazionale, usi nei riguardi dei Palestinesi di cui ha occupato la Terra manu militari metodi iniqui e oppressivi, peggiori dei ghetti e dei pogrom usati a suo tempo contro gli Ebrei in Europa. Ogni sorta di persecuzione, angheria e crudeltà è attuata nei Territori palestinesi contro gli abitanti locali, a cui Israele confisca la terra. Ed ogni sorta di discriminazione contro i palestinesi che pure sono cittadini di Israele è usata nello stato ebraico. Lei ne è certamente informato, Signor Presidente, e sembra che se ne renda conto, perché alla sua condanna dell’antisionismo, che Lei impropriamente identifica con l’antisemitismo, aggiunge l’espressione “…al di là dei governi che si alternano nella guida di Israele", evidentemente alludendo alle azioni di questi governi. Noi siamo convinti che sia ingiusto ed inaccettabile che lo sterminio degli ebrei, di cui europei sono stati gli autori e le vittime, sia fatta pagare ai palestinesi, privandoli di terra e libertà. Siamo rattristati, e sdegnati, che il sionismo abbia usato e usi tuttora dei peggiori metodi di sopraffazione del nazionalismo razzista, invece di stabilire rapporti di amicizia con il popolo palestinese, che viveva da sempre in quella terra. Si sarebbe potuto mostrare che la cultura internazionalista ed universalista degli ebrei contribuiva a cambiare il mondo in senso ugualitario, antirazzista, libero e democratico.
Oggi le sue parole, Signor Presidente, rischiano di portare acqua al mulino di chi, affamando i palestinesi, in particolare nella Striscia di Gaza, e costruendo il Muro in Cisgiordania, lavora a una nuova pulizia etnica, sempre in nome della 'sicurezza di Israele'. Ci aspettavamo che Lei, Signor Presidente, rappresentando la nostra Repubblica nata dalla Resistenza contro il nazifascismo oppressore, affermasse il principio di non discriminare per 'razza' e religione senza sottigliezze diplomatiche, che dimostrano la sudditanza italiana ai potenti del mondo e la colpevole incuria verso le terribili condizioni in cui vive, oggi, il popolo palestinese occupato.
Paola Canarutto, Giorgio Forti, Miryam Marino, Ornella Terracini – Rete-ECO (Rete degli Ebrei contro l'Occupazione)
Nicoletta Crocella e Mario Palmieri – Associazione Stelle Cadenti
Editoriale di Radio Città Aperta del 26 gennaio 2007
Di nuovo la retorica impazza. Si avvicina il "Giorno della memoria" e ministri, giornalisti, politici si affollano in iniziative di circostanza che ricordano l'immane massacro avvenuto durante la seconda guerra mondiale. L'iniziativa dovrebbe servire, negli intenti dei promotori, a rammentare alle giovani generazioni lo sterminio di milioni di vite in nome di un'assurda teoria razzista perseguita dai dirigenti nazisti. Chi non ha memoria non ha futuro, si ama recitare. Ricordare per non ripetere.
Sacrosante verità. Peccato che siano proprio i promotori di questa giornata a rimuovere e manipolare la storia.
Ha ragione Moni Ovadia quando afferma: "E' urgente vivificare il senso ultimo della Shoà nella battaglia contro ogni forma di razzismo, di sopraffazione, di offesa alla dignità e al diritto degli uomini. Solo il legame con le grandi battaglie per l'uguaglianza, la pace, la giustizia sociale (...) tiene viva quella memoria e la rilancia eticamente contro l'inaridimento celebrativo e l'isterilirsi nelle forme museali che ne fanno una comoda copertura delle false coscienze."
Si utilizza invece un pezzo di storia per offuscarne altri: così il massacro di un milione e mezzo di armeni da parte del regime occidentale turco scompare dalle ricorrenze, così come lo sterminio degli omosessuali, dei rom, dei portatori di handicap, dei malati di mente, degli antifascisti. Per non parlare del massacro di milioni di indigeni dell'America del Nord e del Sud, o degli abitanti originari dell'Australia. Fino ad arrivare alla negazione bipartizan delle responsabilità europee e italiane nella colonizzazione del continente africano.
Se da una parte il governo italiano vara una legge che punisce con il carcere chi propaganda idee razziste e discriminatorie, dall'altra il presidente della repubblica Giorgio Napolitano prende la palla al balzo e durante un discorso giustifica, in nome della memoria dei massacri di ieri, altri massacri. Nella fattispecie quelli perpetrati dallo Stato di Israele ai danni dei palestinesi e dei libanesi, solo per rimanere all'attualità.
Napolitano compie questa operazione indirizzando i suoi strali contro chi si oppone alla politica militarista e criminale di Israele, in nome del fatto che l'antisionismo sarebbe, a dir suo, una forma mascherata di antisemitismo. Quindi per il presidente della repubblica chi denuncia l'ideologia razzista di Israele, le sue continue aggressioni militari contro i popoli del Medioriente, la costruzione del muro dell'apartheid, la scientifica politica di colonizzazione e pulizia etnica all'interno dei territori palestinesi occupati, sarebbe da equiparare a chi nega la Shoà. Un ennesimo regalo ad Israele da parte di uno degli esponenti di spicco di quella sinistra italiana che negli ultimi anni è diventata il migliore alleato dei dirigenti di Tel Aviv. Una dichiarazione, quella di Napolitano, che assomiglia tanto, troppo, a quella proferita qualche giorno prima da Josè Maria Aznar. Il leader del partito popolare spagnolo, erede orgoglioso della dittatura di Franco, ci ha tenuto a ricordare che ''Per l'Europa è molto importante difendere Israele. Perchè, pur trovandosi in Medio Oriente, e' una nazione pienamente occidentale e la sua sparizione significherebbe la perdita della nostra posizione in quell'area del mondo''.
Che la destra erede delle feroci dittature che furono complici dello sterminio degli ebrei e di tante altre categorie di esseri umani utilizzi strumentalmente la Shoà per appoggiare nuove politiche di genocidio contro altri "popoli di troppo" è lo schiaffo più grande alla Memoria. Così come l'atteggiamento subalterno della sinistra italiana è uno schiaffo in faccia al sacrificio compiuto da milioni di uomini e di donne che misero in gioco la propria vita nella Resistenza contro il fascismo e contro il nazismo.
Una nuova legge, quella varata dal ministro Mastella, punirà il negazionismo di chi cerca di cancellare lo sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Non ci aspettiamo, data l'attuale composizione della classe dirigente italiana, una legge contro chi si rende complice delle politiche criminali di Israele e degli Stati Uniti. Ma chiedere un sussulto di dignità ai settori più coerenti della sinistra italiana, a partire da una denuncia delle assurde posizioni espresse da Napolitano, è chiedere troppo? Sarebbe assurdo che la condanna del negazionismo sul passato si accompagnasse al sostegno del negazionismo sull'oggi.
Un intenso dibattito intorno al giorno della Memoria
di Adriano Ascoli
su redazione del 30/01/2007
Il giorno della memoria, dopo i primi anni di rodaggio, quest'anno si è manifestato con un insolito dibattito, largo ed eterogeneo, ben più ampio della nicchia iniziale che aveva portato alla sua istituzione. La memoria e gli argomenti in favore di un suo allargamento, vedi la questione della persecuzione razziale ai danni del popolo rom e di altre minoranze, è divenuta di attualità politica anche per una serie di elementi generali ed attuali ad essa connessi. Tra questi, il legittimo ingresso in questo dibattito di differenti settori delle comunità ebraiche, con voci in parte favorevoli ad allargare il ricordo a tutte le vittime e ad attualizzare il rifiuto di ogni discriminazione, in parte interessate a estendere ed attualizzare il discorso in chiave internazionale e in relazione ai rapporti con l'Iran. Questi elementi hanno contribuito ad allargare l'orizzonte di un argomento che sembrava confinato in un ambito esclusivamente memorialistico e rituale. Altri aspetti riguardano da vicino la politica italiana, come la proposta del Governo in carica di istituire un preciso reato di negazionismo.
Il tentativo di utilizzare questa tematica storica e memoriale, non priva di elementi di attualità, per introdurre un altro tassello dello "stato etico", con la proposta di istituire il reato di negazionismo, pare corrispondere ad un intento più ambiguo, con la costruzione di miopi Verità di Stato utili ad essere successivamente allargate (magari a questioni di tutt'altra natura: al comunismo, alla "rivoluzione" ecc. più di quanto già avviene per i reati eversivi), verità che diverrebbero vincolanti per tutti come una sorta di politically correct obbligatorio.
Ferma restando la specificità dello sterminio razziale operato dal nazismo, teso all'annientamento di ebrei, rom ecc. e la necessità di combattere la disinformazione negazionista, sarebbe allora conseguente introdurre in questo dibattito il riferimento ad altri aspetti della nostra storia recente finora rimasti nella quasi completa rimozione. L'elemento del finora negato ricordo delle conseguenze del colonialismo italiano in epoca appena antecedente il fascismo, e poi in modo ancora più sistematico nel periodo fascista, è qualcosa che non può restare nascosto. Esiste un ampissima documentazione storiografica, e storici di rilievo come Del Boca, Enzo Colotti, o il più giovane Luzzatto che curò la trasmissione altra storia su la7, sulle conseguenze della condotta delle forze armate italiane e del comandante Badoglio. Si parla di centinaia di migliaia, oltre un milione di civili morti, probabilmente di più. Dalla memoria degli italiani è scomparsa questa storia, eppure nelle campagne d'Africa e poi nei Balcani le popolazioni locali furono letteralmente decimate. In Africa fu massiccio l'uso di armi chimiche, la deportazione nei deserti di intere popolazioni, la costruzione di lager ai quali si ispirarono in seguito i nazisti. In Jugoslavia venivano rastrellati e avviati ai lager interi paesi, buona parte della popolazione di Lubiana fu internata, in molti casi in Slovenia venivano eliminati fisicamente gli uomini, talvolta anche donne e bambini in eccidi in tutto simili al nostro Marzabotto. La pratica dei reparti italiani non fu affatto dissimile da quella delle SS in Italia, ma il numero di morti che patì la popolazione jugoslava equivale a un vero e proprio genocidio, pianificato dal responsabile delle operazioni Roatta, il quale teorizzò perfino la "sostituzione" della popolazione slovena con quella italiana (l'operazione non andò a termine a causa della sconfitta italiana), mentre in Croazia si provvedeva all'eliminazione di chi rifiutava la conversione al rito cattolico osservato dai fascisti croati di Ante Pavelic.
Nessun italiano fu mai perseguito per questi crimini, molto ben documentati dalle autorità jugoslave negli anni immediatamente successivi alla guerra. Molti dei responsabili, tra cui il vertice badogliano non subirono alcuna conseguenza, il generale Roatta riparò nella Spagna franchista per tornare in seguito all'amnistia. Un'amnistia politica senza esclusioni che costituisce un caso unico nella storia della Repubblica, una pacificazione che certo non ha toccato i differenti e successivi conflitti politici e sociali degli anni "70 e a seguire. Paradossalmente, a seguito della seconda guerra mondiale, l'unico ufficiale a subire una condanna a morte da parte degli alleati fu il generale Bellomo, uno dei pochi che si unirono alla resistenza anti-nazista. Ma la cosa più importante del nostro rimosso, del negazionismo dei crimini italiani, è che anche chi subì delle condanne, lievi o presto amnistiate, non fu per i crimini commessi all'estero ma per fatti tutti italiani. In questo modo le pagine più nefaste del colonialismo italiano, e di una buona parte del regime fascista, furono riabilitate e rientrarono ambiguamente a far parte della nuova Repubblica. Pare che una foto del gen. Roatta sia tuttora appesa alle pareti dell'Archivio storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. Quel capitolo della nostra storia è stato semplicemente rimosso, negato. Una Storia che gli italiani non conoscono, un vuoto di memoria e di coscienza riempito con semplicità dalla propaganda di guerra o dalla disinformazione. Addirittura il film "Il leone del deserto" che narra della vicenda libica o il documentario della BBC "fascist legacy" (reperibile in rete) hanno subito una censura che ha negato al grande pubblico di conoscere questi fatti. Badoglio morì con tanto di funerali di stato e il suo paese porta oggi il suo nome. Un eroe. Italiani brava gente, è questo il messaggio ufficiale che riprende vigore proprio oggi alle prese con il manifestarsi del neo-colonialismo e degli effetti della guerra permanente. Gli unici strascichi furono le inascoltate richieste jugoslave di consegna dei criminali di guerra italiani, e le attuali richieste libiche di riconoscimento dei danni di guerra. L'Italia alla fine pagò solo ai sui liberatori cedendo parti della sua sovranità (tra le quali diverse basi militari), non alle proprie vittime alle quali non è mai andato alcun riconoscimento o risarcimento, neppure sul piano della memoria e della storia. Una storia che oggi, per un insieme intricato di motivi, sta inaspettatamente tornando di attualità. Oggi tutto ciò ridiventa argomento politico perché su questa storia, distorta ad uso e consumo di questo o quello, si gioca anche una parte del nostro futuro.