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“Eroi partigiani”? I “nostri” alleati locali di cinque guerre in venti anni
di Marinella Correggia (28 marzo 2012)
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Sono stati molti i dittatori filoccidentali appoggiati dagli Usa in nome dell’aurea regola “è un figlio di, ma è il nostro figlio di”, come ebbe a dire il presidente Franklin Delano Roosevelt del dittatore nicaraguense Somoza.
Quando poi accade che l’Occidente debba rovesciare un regime (dittatoriale o meno) inviso da sempre o caduto in disgrazia, allora subentrano altri “nostri figli di puttana”: i presunti rivoluzionari locali. E’ successo più volte dal 1991. La tragedia è che mentre i dittatori filoccidentali erano odiati da quella galassia pacifista/movimentista/ong di persone impegnate contro la guerra, le ingiustizie internazionali e la violazione dei diritti umani, ebbene questa stessa galassia più volte ha preso lucciole per lanterne quanto ai locali “nemici dei dittatori”. Gli occidentali sono incapaci di fare rivoluzioni a casa loro; e tentano “rivoluzioni per procura”. Ma scelgono male. Prendono regolarmente per “partigiani della libertà” quelli che ben presto si rivelano un’accozzaglia del peggio. Non solo: si affidano agli stessi soggetti locali che sono sponsorizzati dall’Impero. Magari invocando giustificazioni per assurdo (della serie: “beh, se è dovuta intervenire la Natoper aiutare i ribelli in Libia, anche se sappiamo che la Natoha fini propri, i ribelli hanno i loro, è l’eterogenesi dei fini“).
Naturalmente i governi occidentali interessati a defenestrare a turno i “dittatori che uccidono il loro stesso popolo” (se uccidessero un altro popolo sarebbe meglio o peggio?, vien da chiedersi davanti a questa frase collaudata) hanno tutto l’interesse a spacciare i loro interventi armati diretti e indiretti per “protezione delle popolazioni civili e disarmate in rivolta” e per “sostegno alla democrazia”. E a eleggere i loro protetti locali a “legittimi rappresentanti” di un intero popolo, sia esso schierato con la rivolta oppure no.
E’ successo in tutte e cinque le guerre occidentali per ragioni geostrategiche. En passant è poi successo anche senza guerre, con l’infinità di rivoluzioni “colorate” soprattutto nell’Est europeo e con i tentati colpi di stato (si pensi a quello contro il “dittatore” Chavez del Venezuela, eletto un’infinità di volte). E sta succedendo in Siria. E, prima, in Libia, in Afghanistan, in Iraq.
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Siria: Fides, Human Rights Watch e perfino Foreign Affairs...
Recenti notizie dalla Siria: pulizia etnica, torture, assassini, rapimenti. Le accuse che da un anno si rivolgono al governo e all’esercito, che da un anno starebbero reprimendo atrocemente una “rivoluzione disarmata o che al massimo si autodifende” (come sostiene il leader del Consiglio nazionale siriano Bhuran Ghalioun)? No. Si parla di crimini compiuti dall’opposizione armata. E non lo dice “il regime di Damasco”. Lo dicono rispettivamente un’agenzia cattolica e una multinazionale dei diritti umani.
L’agenzia cattolica Fides, leggiamo su Contropiano, riprende l’allarme lanciato dalla chiesa ortodossa siriana e il 21 marzo parla di “Pulizia etnica a Homs. Bande di mercenari di Al Qaeda provenienti da Libia e Iraq e appartenenti alla brigata Faruq vicina ad Al Qaeda cacciano decine di migliaia di cristiani dalle loro case di Homs senza permettere loro di portare nulla. I militanti jihadisti avrebbero già espulso il 90% dei cristiani di Homs. Andando casa per casa nei quartieri di Hamydiya e Bustan al-Diwan.
Dal canto suo l’organizzazione statunitense Human Rights Watch, autrice in dicembre di un lungo rapporto di denuncia del governo siriano (redatto solo sulla base di interviste a disertori e oppositori), stavolta sulla base di video e di denunce di residenti riferisce di torture mortali, rapimenti e perfino di una impiccagione compiuti da gruppi vicini all’Esercito siriano libero (la galassia dell’opposizione armata che ha un rapporto di collaborazione con il Cns). Insomma le stesse grandi Ong, che come i media occidentali mainstream sono stati strumenti di propaganda di vari governi nel produrre una escalation della crisi e nel demonizzare il regime” (http://english.al-akhbar.com/content/new-phase-syria-crisis-dealmaking-toward-exit), scoprono improvvisamente che l’opposizione compie atti contro i diritti umani. Parlare di “rivoluzione siriana”, poi, sembra fuori luogo. E molto reale pare invece l’ipotesi del complotto straniero da parte di Stati Uniti, Israele e alcuni paesi arabi contro l’asse Tehran-Damasco-Hezbollah, ritenuto l’unico vero ostacolo all’egemonia americana e israeliana in Medio Oriente (http://www.foreignaffairs.com/articles/137338/patrick-seale/assad-family-values?page=show). Della rivolta di oggi contro Bashar Assad i Fratelli musulmani sembrano essere stati i principali destinatari di armi e finanziamenti da parte di Libia, Qatar, e altri, ed essere aiutati da jihadisti arrivati da fuori e che comunque operano sotto l’ombrello del Syrian National Council.
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Libia: “ribelli”, “partigiani”, “rivoluzionari”, “brave persone”....
Il Doha Statement a chiusura della conferenza del “gruppo di contatto sulla Libia svoltasi in Qatar il 13 aprile 2011, così definiva gli oppositori al regime libico: “A differenza del regime attuale, il Consiglio nazionale transitorio è un interlocutore legittimo che rappresenta le aspirazioni del popolo libico – dialogo, riconciliazione, elezioni libere, società civile, diritti umani e costituzionali e riforme economiche”. Salvo per le ultime due parole, questa definizione degli oppositori al governo libico appariva già allora surreale: avvantaggiati dalle bombe della Nato che avevano chiesto a gran voce, i loro capi politici rifiutavano ogni dialogo. Quanto ai diritti umani, i video con i poliziotti e i neri impiccati dai “ribelli” armati già circolavano allora; poi sarebbe venuto l’atroce assedio a Sirte e ai suoi civili; e in seguito, nella “Libia libera post-Gheddafi”, le torture di massa, i diecimila prigionieri, la deportazione dei neri di Tawergha. Riconciliazione nazionale?La Libiaè nel caos della vendetta, del razzismo, del settarismo e delle milizie armate, altro che elezioni e civili.
Stanno ora in silenzio e non si scusano per il gigantesco abbaglio quelle formazioni ed esponenti della “sinistra” occidentale che di volta in volta chiamarono i gruppi armati libici “partigiani”, “giovani rivoluzionari”, “un gruppo di brave persone”, “civili attaccati armati per autodifesa”. Testuale.
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Afghanistan: rivoluzionari, i warlords?
C’erano una volta in Afghanistan i mujaidin che gli Usa e l’Arabia Saudita armarono per sloggiare l’Unione Sovietica e che poi distrussero Kabul e altre città e villaggi facendosi la guerra fra “signori della guerra”, nella prima parte degli anni 1990, fino all’arrivo dei talebani. Alcune fazioni anti-talebane, come l’Alleanza del Nord guidata da Ahmad Shah Massud, entrarono successivamente nelle grazie anche di alcuni attivisti d’Occidente. Rivoluzionario, Massud? Chiedete alle donne afghane esiliate del movimento Rawa (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) e vi diranno: “L’Alleanza del Nord come gli altri gruppi armati è responsabile di moltissimi crimini; quanto i talebani”. Nondimeno, nel 2001 i mujaidin che distrussero Kabul tornarono a essere gli alleati locali degli Usa, nei bombardamenti per sgominare i talebani. E il governo filoUsa post-bombardamenti ha visto i warlords in posizione dominante, a tutti i livelli (centrale e locale)
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Iraq: i curdi “buoni”
Alleati dell’Occidente contro Saddam dal 1991 in poi furono due formazioni curde dell’Iraq del Nord, capeggiate rispettivamente da Barzani e Talabani. A loro “protezione”, una no-fly zone dell’Onu che sarebbe durata fino alla successiva guerra all’Iraq nel 2003 riuscì a far diventare il Kurdistan iracheno un protettorato dell’Occidente. Che non era certo così gentile con i curdi rivoluzionari del Pkk, operanti nella Turchia alleata della Nato. Barzani e Talabani funsero spesso da cani da guardia dell’occidente contro, appunto, i curdi “cattivi” del Pkk quando questi sconfinavano pensando di proteggersi.
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Kosovo: i “guerriglieri indipendentisti dell’Uck”
1999: nella “guerra umanitaria” della Nato, chiamata “Forza determinata” e formalmente condotta sulla base di notizie false per “fermare il genocidio della popolazione kosovara a opera dell’esercito di Milosevic”, furono gli armati dell’Uck (Esercito di Liberazione del Kosovo) a fungere da alleati locali della Nato. L’Uck, di cui anche esponenti della sinistra europea si innamorarono brevemente, fu armato, addestrato, sostenuto da Ryiad come da Washington. Ma il governo “indipendente” di Pristina emerso dai bombardamenti della Nato nella primavera del 1999, ed emanazione dell’Uck stesso, si è rivelato un focolaio di criminali: attivi nel narcotraffico, implicati (come da denuncia del Consiglio d’Europa) nell’estrazione di organi da prigionieri serbi, persecutori della minoranza serba ancora presente in Kosovo dopo una pulizia etnica pressoché totale ai suoi danni...
(Intermezzo riguardante la guerra in Jugoslavia che insanguinò l’Europa nei primi anni 1990. Anche in quel caso, non solo i governi occidentali ma gli stessi “pacifisti” tendevano a considerare “buoni” i croati e musulmani contro i “cattivi” serbi. Ne risultò che la missione di interposizione Mir Sada, destinazione Sarajevo – agosto 1993 – dovette fare retrofront ben presto perché... i buoni croati e musulmani non erano più buoni e si bombardavano a vicenda e avrebbero bombardato certamente anche i poveri pulman italiani carichi di pacifisti).
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