RETROSPETTIVA SULLA STRAGE MEDIATICA DI RACAK,
la provocazione congiunta di UCK ed OSCE per far salire la tensione
alle stelle in Kosmet alla vigilia dei bombardamenti della NATO
Una retrospettiva piu' completa su:
> http://www.freerepublic.com/forum/a38ebcce74c9d.htm
oppure
> https://www.cnj.it/home/it/informazione/jugoinfo/728-721-retrospettiva-completa-su-racak.html
---
Il seguente articolo e' apparso su "Il Manifesto" del 15/4/2000:
L'esca di Racak - TIZIANA BOARI
Un massacro di civili inermi. Così un anno fa la comunità internazionale
e gran parte della stampa definì il ritrovamento dei
cadaveri di 45 albanesi nel villaggio di Racak, presso Stimlje, nel
Kosovo meridionale, dove il giorno prima si erano svolti
violenti scontri tra truppe serbe e guerriglieri dell'Uck. I corpi
ritrovati rilevavano ferite da arma da fuoco e molti
presentavano mutilazioni di vario genere.
William Walker, il capo della missione Osce (Kvm) incaricata da metà
ottobre 1998 di verificare l'applicazione del cessate il
fuoco tra serbi e kosovari concordato tra Milosevic e Holbrooke, si recò
sul luogo in tarda mattinata e convocò per il giorno
stesso una conferenza stampa, in cui affermò di aver trovato "i corpi di
oltre venti uomini che erano stati chiaramente giustiziati
là dove giacevano (...) Tutti eranoin borghese; tutti apparivano come
umili abitanti del villaggio".
Walker definì l'episodio "un massacro, un crimine contro l'umanità" e
non esitò ad attribuirne la responsabilità alle truppe
serbe, chiedendo l'ntervento dell'allora procuratore capo del Tribunale
Internazionale dell'Aja, la canadese Louise Arbour.
A bruciapelo
Si parlò di un'esecuzione, di colpi sparati a bruciapelo contro civili
inermi. Gli Usa puntavano ad un intervento militare
immediato; l'Europa, pur scossa dall'atrocità dei fatti, cercò
un'ulteriore mediazione diplomatica con la convocazione della
conferenza di Rambouillet. Alla vigilia del suo fallimento pilotato
(dagli Usa e dall'UCK, N.d.G.E.), furono resi noti in modo
sommario i risultati delle autopsie: secondo le dichiarazioni del medico
finlandese incaricato dall'UE, Helena Ranta, "nessun
elemento fa dedurre che non si trattasse di civili disarmati", uccisi
nel luogo del loro ritrovamento. Il mondo
fraintese i suoi "commenti personali", scritti e divulgati in quel
momento e in quella forma sotto evidenti pressioni politiche, ed
emise il verdetto di condanna contro i serbi.
L'episodio di Racak fu strumentalizzato per preparare l'opinione
pubblica ad una escalation militare, per fornire la
giustificazione morale alla guerra. Doveva essere un massacro, un
crimine contro l'umanità per chiarire al mondo chi fossero
i "buoni" e chi i "cattivi". Oggi, sulla base della documentazione
esclusiva in nostro possesso, possiamo dire che la verità fu
sottaciuta. Non possiamo affermare di sapere cosa accadde quel 15 e 16
gennaio di un anno fa, ma possiamo stabilire in
modo fondato ciò che non accadde.
E questo sulla base delle copie dei protocolli - finora tenuti segreti e
ora da noi esaminati - delle 40 autopsie eseguite
parallelamente dai patologi jugoslavi e bielorussi, e dal team di medici
forensi finlandesi incaricati dall'UE e guidati dalla
dottoressa Helena Ranta; nella documentazione sono inoltre contenuti
quattro rapporti riservati dell'Osce sul ritrovamento di
Racak, redatti il 16 e il 17 gennaio 1999.
Esaminando le due serie di protocolli di autopsia, ci si accorge che
fondamentalmente quelli firmati unicamente dagli jugoslavi
e bielorussi e quelli firmati anche dai finlandesi si equivalgono nelle
conclusioni. Le prove dimostrano che non fu un'esecuzione
e non è sicuro che si trattasse di civili inermi.
Il professor Dusan Dunjic, patologo dell'Istituto di medicina forense di
Pristina, afferma - nel suo articolo "The (Ab)use of
Forensic Medicine" - che prima di eseguire le autopsie, il suo team
effettuò la prova del guanto di paraffina, rilevando in 37
casi su 40 tracce di polvere da sparo sulle mani dei cadaveri. Ma di ciò
nei documenti firmati ufficialmente non è rimasta
traccia. E anche le cifre, il numero e soprattutto l'identità dei morti
registrati non sono elementi indiscutibili.
Al contrario, su questo punto le contraddizioni e i misteri irrisolti
restano tanti.
Cos'è dunque che "non accadde"?
Quante erano le vittime?
Il 15 gennaio 1999 a Racak, una roccaforte dell'Uck piena di trincee,
scoppiarono violenti combattimenti tra guerriglieri e
truppe serbe. Nel rapporto speciale dell'Osce, redatto in data 17
gennaio, il 12 gennaio i leader locali dell'Uck riferivano che
oltre un migliaio di civili aveva abbandonato i villaggi di Belince,
Racak, Petrova e Malopoljce per rifugiarsi sulle colline.
Il giorno dopo invece, i verificatori della Kvm trovarono a Racak 350
persone, il rapporto non menziona affatto che potesse
trattarsi di guerriglieri Uck. Alcuni giornalisti internazionali
presenti sul posto il 15 sera riferirono di non aver rilevato niente di
strano nel paese, meno che mai la presenza di vittime di un eccidio. Il
16 i primi ad arrivare sul luogo, secondo testimoni
diretti, furono gli americani della missione Usa di osservazione
diplomatica in Kosovo (Uskdom), su segnalazione di fonti
locali, probabilmente dell'Uck. Il rapporto Osce parla invece di un
gruppo di verificatori che arrivò nel primo mattino,
trovando, su una collina dietro al villaggio, 23 cadaveri di uomini,
tutti uccisi da colpi di arma da fuoco sparati alla testa da
una "distanza estremamente ravvicinata" (extremely close range).
Lungo un sentiero vicino al villaggio, come in fila, furono rinvenuti i
corpi di altri 3-4 uomini, apparentemente "colpiti mentre
fuggivano". All'interno del villaggio, con la specifica tra parentesi
"uccisi al di fuori, ma i cadaveri sono stati riportati a casa da
alcune famiglie", 18 corpi, tutti di adulti maschi, ad eccezione di un
bambino e di una donna. Di questi, 11 corpi risultano
rinvenuti all'interno delle case del villaggio, 5 uccisi a Racak ma
"portati a Malopoljce dalla loro famiglia": probabili guerriglieri
portati via dalla "famiglia" dell'Uck?
L'Osce non menziona la probabile presenza di guerriglieri tra i caduti,
avvalorando lo scenario dell'esecuzione sommaria
contro civili. Peraltro il 15 mattina il Media Center di Pristina,
legato al governo serbo, chiamò gli operatori della Ap tv e altri
giornalisti stranieri (tra questi l'inviato di Le Monde Christophe
Chatelot, quello di Liberation Pierre Hasan e quello de Le
Figaro Renaud Girard) segnalando loro che avrebbero dovuto trovarsi a
Racak alle 10,30. Qualcosa stava accadendo.
Alle 14,30 dello stesso giorno, il Media Center comunicava che nel
villaggio controllato dall'Uck era stato portato a termine
un attacco antiguerriglia e che "15 terroristi" erano stati uccisi.
Perché un organo governativo avrebbe dovuto inviare un
gruppo di giornalisti in un luogo dove si stava compiendo un massacro
preordinato dai serbi?
I "criteri" dell'Aja
Di sicuro si sa che il giorno dopo, l'Esercito di Liberazione del Kosovo
aveva riportato tra le sue file sei morti, che sarebbero
saliti a otto, e sei feriti: lo afferma un rapporto interno dell'Ue
datato 17 gennaio (nr. 10829), come riportato dal quotidiano
tedesco Berliner Zeitung. l'Uck inoltre aveva annunciato che 22 suoi
guerriglieri erano stati giustiziati dalla polizia serba: sul
reale numero dei morti dunque regna ancora una certa confusione. Per la
raccolta delle prove e per l'identificazione dei morti,
altro capitolo poco chiaro, l'Osce si basò sulle testimonianze degli
abitanti del villaggio. I protocolli delle autopsie infatti
attribuiscono un numero in codice per ogni cadavere e indicazioni di
base per la sua identificazione, ovvero sesso, età
largamente approssimativa (ad es. "25-45 anni"), statura e corporatura.
Ma nessun nome.
Con quali criteri dunque il Tribunale internazionale dell'Aja ha
associato i 45 nomi presenti nell'elenco degli "assassinati a
Racak" (inserito tra i capi di imputazione emessi contro i vertici di
Belgrado il 22 maggio 1999) con i 40 cadaveri ritrovati e
sottoposti ad autopsia dai medici forensi? Secondo l'inchiesta tedesca
condotta dal quotidiano "Berliner Zeitung", almeno 13
delle 45 persone elencate dal Tribunale internazionale oggi non
risultano seppellite nel "cimitero dei martiri" di Racak. Tra le
43 tombe che compongono il cimitero, invece, compaiono una dozzina di
nomi estranei all'elenco. Che fine hanno fatto quei
cadaveri? Chi erano in verità?
Il balletto delle autopsie
Torniamo a Racak. Dopo il ritrovamento, i cadaveri furono portati nella
moschea dalla popolazione locale (e dall'Uck che li
controllava a vista): come prescrive la religione musulmana, avrebbero
dovuto essere seppelliti entro 48 ore dalla morte. Il 17
gennaio, il magistrato inquirente del tribunale distrettuale di
Pristina, Danica Marinkovic, si recò a Stimlje, presso Racak, per
iniziare le dovute indagini sul caso, come previsto dalle leggi
jugoslave. Il capo delle operazioni della Kvm, generale John
Drewienkiewicz, le offrì una scorta disarmata per entrare nel
villaggio, sotto controllo dell'Uck. I guerriglieri, secondo un
comunicato stampa della Kvm (n.12/99), avrebbero concesso
l'entrata di un gruppo disarmato. Ma la Marinkovic non si fidò e chiese
di entrare con poliziotti armati. La mediazione fallì, le
truppe serbe occuparono il villaggio per recuperare i cadaveri e
trasferirli all'obitorio di Pristina dove un gruppo di 4 medici
forensi jugoslavi e 2 osservatori bielorussi potè avviare le autopsie.
Le prime quindici dimostrano che non c'è prova del
massacro e che - al contrario di quanto affermato da William Walker e
dai rapporti Osce - le ferite non sono state causate da
proiettili sparati a distanza ravvicinata (meno due casi, in cui si
rileva una presenza sospetta di polvere da sparo intorno al
foro di entrata del proiettile, si esclude tuttavia lo sparo a
bruciapelo e si rimanda alla "necessità di ulteriori analisi", una
costante di tutti i protocolli).
Ma il mondo vuole le prove delle responsabilità serbe, urla al massacro
e accusa di faziosità il team di patologi slavi. Qui
entra in gioco Helena Ranta e il suo gruppo di medici finlandesi a
partire dal 22 gennaio.
Non controfirma le prime 15 autopsie eseguite dai colleghi slavi e
decide di rifarle: nessuno ci ha detto che la dottoressa
Ranta cercherà, sull'onda emotiva del fatto, le prove di un massacro
contro civili inermi, senza utilizzare mai la prova del
guanto di paraffina che avrebbe indicato se tra i caduti c'erano dei
guerriglieri (come invece risulta al suo collega jugoslavo). Cosa dicono
dunque i risultati? Per tutti i casi, meno uno (RA-34),
"non c'è prova di proiettili sparati a bruciapelo o a distanza
fortemente ravvicinata". Le ferite sono in molti casi numerose, di
tipo diverso. La maggioranza, oltre che al torace e alla testa, riporta
ferite da arma da fuoco alle mani e alle gambe. Frequenti
le ferite di striscio nella zona della testa. Le traiettorie dei
proiettili sono variabili e diverse anche su uno stesso corpo;
perlopiù si tratta di colpi alla schiena o laterali, qualche frontale.
Un particolare elemento di comprensione dell'accaduto è
dato dalle autopsie della donna (Ra- 36, tra i 20 e i 30 anni) e del
bambino (Ra-13, tra i 10 e i 15 anni), entrambe deceduti a
causa di una ferita nella zona toracica causata rispettivamente da un
solo proiettile. Riferimenti al ferimento di questi due
soggetti si ritrovano nel rapporto speciale dell'Osce datato 17 gennaio
che, relativamente al 15 riporta: "Nel tardo pomeriggio
una pattuglia di verificatori della Kvm è riuscita ad entrare nel
villaggio di Racak. I verificatori hanno visto un albanese morto
e cinque civili feriti inclusa una donna e un bambino sofferenti per
ferite da arma da fuoco. La Kvm ha inoltre ricevuto altri
rapporti non confermati relativi ad ulteriori decessi".
Le autopsie
Secondo protocolli finlandesi, i proiettili utilizzati risultano
provenienti da "armi di piccolo calibro, di grande potenza". In un
caso è stata rilevata l'azione di un proiettile a frammentazione.
In un caso (Ra-3) troviamo il cadavere di un uomo "ben nutrito, di
un'età stimata tra i 25-45 anni" che presenta ben 35 ferite,
tutte di diametro diverso, 20 delle quali da arma da fuoco, abrasioni
multiple nella zona degli arti inferiori, costole rotte e
oggetti sensibili ai raggi X. Le cause del decesso sono chiaramente
riportate: tra le più frequenti, ferite alla testa, al torace,
emorragie interne.
Per tutti non è stato ufficialmente possibile determinare la categoria
delle modalità del decesso, ovvero cosa accadde: nulla di
ufficiale conferma la tesi del massacro. E le mutilazioni che tanto
sdegnarono l'opinione pubblica? Il termine "mutilazione" non
ricorre in alcun caso. I referti indicano invece ferite o perdita di
tessuti o materiale organico post mortem., "presumibilmente"
causati da morsi di animali.
In sette casi è presente lo stato di putrefazione del corpo. Un uomo tra
i 20 e 40 anni risulta decapitato (Ra-31); il cadavere
di un uomo anziano (Ra-26) tra i 60 e 75 anni presenta all'analisi
enfisema polmonare, fibrosi e adesione pleurica.
Un solo protocollo, quello relativo al cadavere Ra-34, parla di colpo di
arma da fuoco sparato a distanza relativamente
ravvicinata ("relatively close range"), come dedotto dai residui di
polvere da sparo ritrovati intorno al foro d'entrata del
proiettile. Ma non si tratta, precisa l'autopsia, di uno sparo a
bruciapelo ("contact discharge").
In conclusione, 39 casi su 40 escludono nettamente l'ipotesi
dell'esecuzione sommaria.
Le autopsie furono realizzate tra il 22 e il 29 gennaio 1999 dai medici
finlandesi a Pristina, che però vollero eseguire alcune
analisi e accertamenti a Helsinki.
Accertamenti per altro non conclusi quando su Helena Ranta furono
esercitate pressioni affinché rendesse pubblici i risultati
delle autopsie, cosa che la dottoressa non riteneva affatto opportuna.
Quale fu la vera ragione di tanta
insistenza? Il rapporto diffuso il 17 marzo alla stampa riportava
chiaramente la natura del documento, sottolineando che si
trattava dei commenti che esprimevano "l'opinione personale
dell'autrice" e non una comunicazione ufficiale. Ma nessuno
ci fece caso: tutti vi lessero le prove dell'eccidio. L'Esercito di
Liberazione del Kosovo e gli Stati uniti registrarono una vittoria
strategica.
Tre giorni dopo la missione dell'Osce guidata dall'americano William
Walker abbandonava il Kosovo verso Skopje. L'esca
di Racak era stata gettata e il pesce europeo aveva abboccato. Quel che
bastò a scatenare la guerra.
Una distrazione fatale, troppi silenzi. E' ora di fare chiarezza.
---
*** LINK ALLA DETTAGLIATISSIMA ANALISI DI CHRIS SODA ***
The very best and most thorough analysis of Racak was done by Chris Soda
from Windsor, Ontario, and provided by
Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.. It is titled "Complete analysis of the
indicent at Racak, Jan. 15/99" and runs into 22 printed
pages. You should be able to get it by requesting it from the
yugoslaviainfo.
Hi All, just to add link to excellent analysis by Chris Soda.
Chris Soda's analyses available on yugoslavia info:
> http://www.egroups.com/message/yugoslaviainfo/618?&start=3
Send this to your favorite spinmaster, along with this quote:
These acts are punishable:
(b) Conspiracy to commit genocide;
(c) Direct and public incitement to commit genocide;
(e) Complicity in genocide.
Art. 3 Genocide Convention of 1948
http://www.tufts.edu/departments/fletcher/multi/texts/BH225.txt
...
---
> http://www.emperors-clothes.com/articles/Johnstone/Recak.html
The Racak Incident
by Diana Johnstone Paris, 20 January 1999
French newspaper and television reports today feature evidenc apparently
ignored by U.S.
media, suggesting that the "Racak massacre" so vigorously denounced by
the U.S.-imposed
head of the OSCE (Organization for Security and Cooperation in Europe)
"verifiers" mission
to Kosovo, William Walker, was a setup. This coincides with reports in
the German press
indicating strong irritation with Walker among other OSCE members.
Meanwhile, the ineffable
State Department spokesman James Rubin appeared tonight on CNN for short
glimpses
between Clinton impeachment dronings, plodding forward amid questions
from journalists
even more gung-ho for NATO bombings than he and his bride Christiane
Amanpour, whose
love story apparently owes so much to the common anti-Serb cause. It
seems the U.S. is
clueless as to the doubts being cast elsewhere on the "massacre" story,
and the only questions
well-paid U.S. journalists could conjure up were variations on the
theme, "why isn't cowardly
NATO already bombing the Serbs?"
RENAUD GIRARD has covered virtually all the Yugoslav wars of
disintegration on the spot
for the French daily "Le Figaro". Here is my rough but accurate
translation of his lead article
published on January 20, 1999:
KOSOVO: OBSCURE AREAS OF A MASSACRE
The images filmed during the attack on the village of Racak contradict
the Albanians' and
the OSCE's version Racak. Did the American ambassador William Walker,
chief of the
OSCE cease-fire verification mission to Kosovo, show undue haste when,
last Saturday, he
publicly accused Serbian security forces of having on the previous day
executed in cold
blood some forty Albanian peasants in the little village of Racak? The
question deserves
to be raised in the light of a series of disturbing facts.
In order to understand, it is important to go through the events of the
crucial day of
Friday in chronological order.
At dawn, intervention forces of the Serbian police encircled and then
attacked the village
of Racak, known as a bastion of UCK (Kosovo Liberation Army, KLA)
separatist guerrillas.
The police didn't seem to have anything to hide, since, at 8:30 a.m.,
they invited a
television team (two journalists of AP TV) to film the operation. A
warning was also given
to the OSCE, which sent two cars with American diplomatic licenses to
the scene. The
observers spent the whole day posted on a hill where they could watch
the village.
At 3 p.m., a police communique reached the international press center in
Pristina
announcing that 15 UCK "terrorists" had been killed in combat in Racak
and that a large
stock of weapons had been seized.
At 3:30 p.m., the police forces, followed by the AP TV team, left the
village, carrying with
them a heavy 12.7 mm machine gun, two automatic rifles, two rifles with
telescopic sights
and some thirty Chinese-made kalashnikovs.
At 4:40 p.m., a French journalist drove through the village and met
three orange OSCE
vehicles. The international observers were chatting calmly with three
middle-aged
Albanians in civilian clothes. They were looking for eventual civilian
casualties.
Returning to the village at 6 p.m., the journalist saw the observers
taking away two very
slightly injured old men and two women. The observers, who did not seem
particularly
worried, did not mention anything in particular to the journalist. They
simply said that
they were "unable to evaluate the battle toll".
The scene of Albanian corpses in civilian clothes lined up in a ditch
which would shock the
whole world was not discovered until the next morning, around 9 a.m., by
journalists soon
followed by OSCE observers. At that time, the village was once again
taken over by
armed UCK soldiers who led the foreign visitors, as soon as they
arrived, toward the
supposed massacre site.
Around noon, William Walker in person arrived and expressed his
indignation. All the
Albanian witnesses gave the same version: at midday, the policemen
forced their way into
homes and separated the women from the men, whom they led to the
hilltops to execute
them without more ado. The most disturbing fact is that the pictures
filmed by the AP
TV journalists -- which Le Figaro was shown yesterday -- radically
contradict that
version. It was in fact an empty village that the police entered in the
morning, sticking
close to the walls. The shooting was intense, as they were fired on from
UCK trenches
dug into the hillside.
The fighting intensified sharply on the hilltops above the village.
Watching from below,
next to the mosque, the AP journalists understood that the UCK
guerrillas, encircled, were
trying desperately to break out. A score of them in fact succeeded, as
the police
themselves admitted.
What really happened? During the night, could the UCK have gathered the
bodies, in fact
killed by Serb bullets, to set up a scene of cold-blooded massacre? A
disturbing fact:
Saturday morning the journalists found only very few cartridges around
the ditch
where the massacre supposedly took place. Intelligently, did the UCK
seek to turn a
military defeat into a political victory? Only a credible international
inquiry would make it
possible to resolve these doubts. The reluctance of the Belgrade
government, which has
consistently denied the massacre, thus seemsincomprehensible.
---
Bollettino di controinformazione del
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Il seguente articolo e' apparso su "Il Manifesto" del 15/4/2000:
L'esca di Racak - TIZIANA BOARI
Un massacro di civili inermi. Così un anno fa la comunità internazionale
e gran parte della stampa definì il ritrovamento dei
cadaveri di 45 albanesi nel villaggio di Racak, presso Stimlje, nel
Kosovo meridionale, dove il giorno prima si erano svolti
violenti scontri tra truppe serbe e guerriglieri dell'Uck. I corpi
ritrovati rilevavano ferite da arma da fuoco e molti
presentavano mutilazioni di vario genere.
William Walker, il capo della missione Osce (Kvm) incaricata da metà
ottobre 1998 di verificare l'applicazione del cessate il
fuoco tra serbi e kosovari concordato tra Milosevic e Holbrooke, si recò
sul luogo in tarda mattinata e convocò per il giorno
stesso una conferenza stampa, in cui affermò di aver trovato "i corpi di
oltre venti uomini che erano stati chiaramente giustiziati
là dove giacevano (...) Tutti eranoin borghese; tutti apparivano come
umili abitanti del villaggio".
Walker definì l'episodio "un massacro, un crimine contro l'umanità" e
non esitò ad attribuirne la responsabilità alle truppe
serbe, chiedendo l'ntervento dell'allora procuratore capo del Tribunale
Internazionale dell'Aja, la canadese Louise Arbour.
A bruciapelo
Si parlò di un'esecuzione, di colpi sparati a bruciapelo contro civili
inermi. Gli Usa puntavano ad un intervento militare
immediato; l'Europa, pur scossa dall'atrocità dei fatti, cercò
un'ulteriore mediazione diplomatica con la convocazione della
conferenza di Rambouillet. Alla vigilia del suo fallimento pilotato
(dagli Usa e dall'UCK, N.d.G.E.), furono resi noti in modo
sommario i risultati delle autopsie: secondo le dichiarazioni del medico
finlandese incaricato dall'UE, Helena Ranta, "nessun
elemento fa dedurre che non si trattasse di civili disarmati", uccisi
nel luogo del loro ritrovamento. Il mondo
fraintese i suoi "commenti personali", scritti e divulgati in quel
momento e in quella forma sotto evidenti pressioni politiche, ed
emise il verdetto di condanna contro i serbi.
L'episodio di Racak fu strumentalizzato per preparare l'opinione
pubblica ad una escalation militare, per fornire la
giustificazione morale alla guerra. Doveva essere un massacro, un
crimine contro l'umanità per chiarire al mondo chi fossero
i "buoni" e chi i "cattivi". Oggi, sulla base della documentazione
esclusiva in nostro possesso, possiamo dire che la verità fu
sottaciuta. Non possiamo affermare di sapere cosa accadde quel 15 e 16
gennaio di un anno fa, ma possiamo stabilire in
modo fondato ciò che non accadde.
E questo sulla base delle copie dei protocolli - finora tenuti segreti e
ora da noi esaminati - delle 40 autopsie eseguite
parallelamente dai patologi jugoslavi e bielorussi, e dal team di medici
forensi finlandesi incaricati dall'UE e guidati dalla
dottoressa Helena Ranta; nella documentazione sono inoltre contenuti
quattro rapporti riservati dell'Osce sul ritrovamento di
Racak, redatti il 16 e il 17 gennaio 1999.
Esaminando le due serie di protocolli di autopsia, ci si accorge che
fondamentalmente quelli firmati unicamente dagli jugoslavi
e bielorussi e quelli firmati anche dai finlandesi si equivalgono nelle
conclusioni. Le prove dimostrano che non fu un'esecuzione
e non è sicuro che si trattasse di civili inermi.
Il professor Dusan Dunjic, patologo dell'Istituto di medicina forense di
Pristina, afferma - nel suo articolo "The (Ab)use of
Forensic Medicine" - che prima di eseguire le autopsie, il suo team
effettuò la prova del guanto di paraffina, rilevando in 37
casi su 40 tracce di polvere da sparo sulle mani dei cadaveri. Ma di ciò
nei documenti firmati ufficialmente non è rimasta
traccia. E anche le cifre, il numero e soprattutto l'identità dei morti
registrati non sono elementi indiscutibili.
Al contrario, su questo punto le contraddizioni e i misteri irrisolti
restano tanti.
Cos'è dunque che "non accadde"?
Quante erano le vittime?
Il 15 gennaio 1999 a Racak, una roccaforte dell'Uck piena di trincee,
scoppiarono violenti combattimenti tra guerriglieri e
truppe serbe. Nel rapporto speciale dell'Osce, redatto in data 17
gennaio, il 12 gennaio i leader locali dell'Uck riferivano che
oltre un migliaio di civili aveva abbandonato i villaggi di Belince,
Racak, Petrova e Malopoljce per rifugiarsi sulle colline.
Il giorno dopo invece, i verificatori della Kvm trovarono a Racak 350
persone, il rapporto non menziona affatto che potesse
trattarsi di guerriglieri Uck. Alcuni giornalisti internazionali
presenti sul posto il 15 sera riferirono di non aver rilevato niente di
strano nel paese, meno che mai la presenza di vittime di un eccidio. Il
16 i primi ad arrivare sul luogo, secondo testimoni
diretti, furono gli americani della missione Usa di osservazione
diplomatica in Kosovo (Uskdom), su segnalazione di fonti
locali, probabilmente dell'Uck. Il rapporto Osce parla invece di un
gruppo di verificatori che arrivò nel primo mattino,
trovando, su una collina dietro al villaggio, 23 cadaveri di uomini,
tutti uccisi da colpi di arma da fuoco sparati alla testa da
una "distanza estremamente ravvicinata" (extremely close range).
Lungo un sentiero vicino al villaggio, come in fila, furono rinvenuti i
corpi di altri 3-4 uomini, apparentemente "colpiti mentre
fuggivano". All'interno del villaggio, con la specifica tra parentesi
"uccisi al di fuori, ma i cadaveri sono stati riportati a casa da
alcune famiglie", 18 corpi, tutti di adulti maschi, ad eccezione di un
bambino e di una donna. Di questi, 11 corpi risultano
rinvenuti all'interno delle case del villaggio, 5 uccisi a Racak ma
"portati a Malopoljce dalla loro famiglia": probabili guerriglieri
portati via dalla "famiglia" dell'Uck?
L'Osce non menziona la probabile presenza di guerriglieri tra i caduti,
avvalorando lo scenario dell'esecuzione sommaria
contro civili. Peraltro il 15 mattina il Media Center di Pristina,
legato al governo serbo, chiamò gli operatori della Ap tv e altri
giornalisti stranieri (tra questi l'inviato di Le Monde Christophe
Chatelot, quello di Liberation Pierre Hasan e quello de Le
Figaro Renaud Girard) segnalando loro che avrebbero dovuto trovarsi a
Racak alle 10,30. Qualcosa stava accadendo.
Alle 14,30 dello stesso giorno, il Media Center comunicava che nel
villaggio controllato dall'Uck era stato portato a termine
un attacco antiguerriglia e che "15 terroristi" erano stati uccisi.
Perché un organo governativo avrebbe dovuto inviare un
gruppo di giornalisti in un luogo dove si stava compiendo un massacro
preordinato dai serbi?
I "criteri" dell'Aja
Di sicuro si sa che il giorno dopo, l'Esercito di Liberazione del Kosovo
aveva riportato tra le sue file sei morti, che sarebbero
saliti a otto, e sei feriti: lo afferma un rapporto interno dell'Ue
datato 17 gennaio (nr. 10829), come riportato dal quotidiano
tedesco Berliner Zeitung. l'Uck inoltre aveva annunciato che 22 suoi
guerriglieri erano stati giustiziati dalla polizia serba: sul
reale numero dei morti dunque regna ancora una certa confusione. Per la
raccolta delle prove e per l'identificazione dei morti,
altro capitolo poco chiaro, l'Osce si basò sulle testimonianze degli
abitanti del villaggio. I protocolli delle autopsie infatti
attribuiscono un numero in codice per ogni cadavere e indicazioni di
base per la sua identificazione, ovvero sesso, età
largamente approssimativa (ad es. "25-45 anni"), statura e corporatura.
Ma nessun nome.
Con quali criteri dunque il Tribunale internazionale dell'Aja ha
associato i 45 nomi presenti nell'elenco degli "assassinati a
Racak" (inserito tra i capi di imputazione emessi contro i vertici di
Belgrado il 22 maggio 1999) con i 40 cadaveri ritrovati e
sottoposti ad autopsia dai medici forensi? Secondo l'inchiesta tedesca
condotta dal quotidiano "Berliner Zeitung", almeno 13
delle 45 persone elencate dal Tribunale internazionale oggi non
risultano seppellite nel "cimitero dei martiri" di Racak. Tra le
43 tombe che compongono il cimitero, invece, compaiono una dozzina di
nomi estranei all'elenco. Che fine hanno fatto quei
cadaveri? Chi erano in verità?
Il balletto delle autopsie
Torniamo a Racak. Dopo il ritrovamento, i cadaveri furono portati nella
moschea dalla popolazione locale (e dall'Uck che li
controllava a vista): come prescrive la religione musulmana, avrebbero
dovuto essere seppelliti entro 48 ore dalla morte. Il 17
gennaio, il magistrato inquirente del tribunale distrettuale di
Pristina, Danica Marinkovic, si recò a Stimlje, presso Racak, per
iniziare le dovute indagini sul caso, come previsto dalle leggi
jugoslave. Il capo delle operazioni della Kvm, generale John
Drewienkiewicz, le offrì una scorta disarmata per entrare nel
villaggio, sotto controllo dell'Uck. I guerriglieri, secondo un
comunicato stampa della Kvm (n.12/99), avrebbero concesso
l'entrata di un gruppo disarmato. Ma la Marinkovic non si fidò e chiese
di entrare con poliziotti armati. La mediazione fallì, le
truppe serbe occuparono il villaggio per recuperare i cadaveri e
trasferirli all'obitorio di Pristina dove un gruppo di 4 medici
forensi jugoslavi e 2 osservatori bielorussi potè avviare le autopsie.
Le prime quindici dimostrano che non c'è prova del
massacro e che - al contrario di quanto affermato da William Walker e
dai rapporti Osce - le ferite non sono state causate da
proiettili sparati a distanza ravvicinata (meno due casi, in cui si
rileva una presenza sospetta di polvere da sparo intorno al
foro di entrata del proiettile, si esclude tuttavia lo sparo a
bruciapelo e si rimanda alla "necessità di ulteriori analisi", una
costante di tutti i protocolli).
Ma il mondo vuole le prove delle responsabilità serbe, urla al massacro
e accusa di faziosità il team di patologi slavi. Qui
entra in gioco Helena Ranta e il suo gruppo di medici finlandesi a
partire dal 22 gennaio.
Non controfirma le prime 15 autopsie eseguite dai colleghi slavi e
decide di rifarle: nessuno ci ha detto che la dottoressa
Ranta cercherà, sull'onda emotiva del fatto, le prove di un massacro
contro civili inermi, senza utilizzare mai la prova del
guanto di paraffina che avrebbe indicato se tra i caduti c'erano dei
guerriglieri (come invece risulta al suo collega jugoslavo). Cosa dicono
dunque i risultati? Per tutti i casi, meno uno (RA-34),
"non c'è prova di proiettili sparati a bruciapelo o a distanza
fortemente ravvicinata". Le ferite sono in molti casi numerose, di
tipo diverso. La maggioranza, oltre che al torace e alla testa, riporta
ferite da arma da fuoco alle mani e alle gambe. Frequenti
le ferite di striscio nella zona della testa. Le traiettorie dei
proiettili sono variabili e diverse anche su uno stesso corpo;
perlopiù si tratta di colpi alla schiena o laterali, qualche frontale.
Un particolare elemento di comprensione dell'accaduto è
dato dalle autopsie della donna (Ra- 36, tra i 20 e i 30 anni) e del
bambino (Ra-13, tra i 10 e i 15 anni), entrambe deceduti a
causa di una ferita nella zona toracica causata rispettivamente da un
solo proiettile. Riferimenti al ferimento di questi due
soggetti si ritrovano nel rapporto speciale dell'Osce datato 17 gennaio
che, relativamente al 15 riporta: "Nel tardo pomeriggio
una pattuglia di verificatori della Kvm è riuscita ad entrare nel
villaggio di Racak. I verificatori hanno visto un albanese morto
e cinque civili feriti inclusa una donna e un bambino sofferenti per
ferite da arma da fuoco. La Kvm ha inoltre ricevuto altri
rapporti non confermati relativi ad ulteriori decessi".
Le autopsie
Secondo protocolli finlandesi, i proiettili utilizzati risultano
provenienti da "armi di piccolo calibro, di grande potenza". In un
caso è stata rilevata l'azione di un proiettile a frammentazione.
In un caso (Ra-3) troviamo il cadavere di un uomo "ben nutrito, di
un'età stimata tra i 25-45 anni" che presenta ben 35 ferite,
tutte di diametro diverso, 20 delle quali da arma da fuoco, abrasioni
multiple nella zona degli arti inferiori, costole rotte e
oggetti sensibili ai raggi X. Le cause del decesso sono chiaramente
riportate: tra le più frequenti, ferite alla testa, al torace,
emorragie interne.
Per tutti non è stato ufficialmente possibile determinare la categoria
delle modalità del decesso, ovvero cosa accadde: nulla di
ufficiale conferma la tesi del massacro. E le mutilazioni che tanto
sdegnarono l'opinione pubblica? Il termine "mutilazione" non
ricorre in alcun caso. I referti indicano invece ferite o perdita di
tessuti o materiale organico post mortem., "presumibilmente"
causati da morsi di animali.
In sette casi è presente lo stato di putrefazione del corpo. Un uomo tra
i 20 e 40 anni risulta decapitato (Ra-31); il cadavere
di un uomo anziano (Ra-26) tra i 60 e 75 anni presenta all'analisi
enfisema polmonare, fibrosi e adesione pleurica.
Un solo protocollo, quello relativo al cadavere Ra-34, parla di colpo di
arma da fuoco sparato a distanza relativamente
ravvicinata ("relatively close range"), come dedotto dai residui di
polvere da sparo ritrovati intorno al foro d'entrata del
proiettile. Ma non si tratta, precisa l'autopsia, di uno sparo a
bruciapelo ("contact discharge").
In conclusione, 39 casi su 40 escludono nettamente l'ipotesi
dell'esecuzione sommaria.
Le autopsie furono realizzate tra il 22 e il 29 gennaio 1999 dai medici
finlandesi a Pristina, che però vollero eseguire alcune
analisi e accertamenti a Helsinki.
Accertamenti per altro non conclusi quando su Helena Ranta furono
esercitate pressioni affinché rendesse pubblici i risultati
delle autopsie, cosa che la dottoressa non riteneva affatto opportuna.
Quale fu la vera ragione di tanta
insistenza? Il rapporto diffuso il 17 marzo alla stampa riportava
chiaramente la natura del documento, sottolineando che si
trattava dei commenti che esprimevano "l'opinione personale
dell'autrice" e non una comunicazione ufficiale. Ma nessuno
ci fece caso: tutti vi lessero le prove dell'eccidio. L'Esercito di
Liberazione del Kosovo e gli Stati uniti registrarono una vittoria
strategica.
Tre giorni dopo la missione dell'Osce guidata dall'americano William
Walker abbandonava il Kosovo verso Skopje. L'esca
di Racak era stata gettata e il pesce europeo aveva abboccato. Quel che
bastò a scatenare la guerra.
Una distrazione fatale, troppi silenzi. E' ora di fare chiarezza.
---
*** LINK ALLA DETTAGLIATISSIMA ANALISI DI CHRIS SODA ***
The very best and most thorough analysis of Racak was done by Chris Soda
from Windsor, Ontario, and provided by
Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.. It is titled "Complete analysis of the
indicent at Racak, Jan. 15/99" and runs into 22 printed
pages. You should be able to get it by requesting it from the
yugoslaviainfo.
Hi All, just to add link to excellent analysis by Chris Soda.
Chris Soda's analyses available on yugoslavia info:
> http://www.egroups.com/message/yugoslaviainfo/618?&start=3
Send this to your favorite spinmaster, along with this quote:
These acts are punishable:
(b) Conspiracy to commit genocide;
(c) Direct and public incitement to commit genocide;
(e) Complicity in genocide.
Art. 3 Genocide Convention of 1948
http://www.tufts.edu/departments/fletcher/multi/texts/BH225.txt
...
---
> http://www.emperors-clothes.com/articles/Johnstone/Recak.html
The Racak Incident
by Diana Johnstone Paris, 20 January 1999
French newspaper and television reports today feature evidenc apparently
ignored by U.S.
media, suggesting that the "Racak massacre" so vigorously denounced by
the U.S.-imposed
head of the OSCE (Organization for Security and Cooperation in Europe)
"verifiers" mission
to Kosovo, William Walker, was a setup. This coincides with reports in
the German press
indicating strong irritation with Walker among other OSCE members.
Meanwhile, the ineffable
State Department spokesman James Rubin appeared tonight on CNN for short
glimpses
between Clinton impeachment dronings, plodding forward amid questions
from journalists
even more gung-ho for NATO bombings than he and his bride Christiane
Amanpour, whose
love story apparently owes so much to the common anti-Serb cause. It
seems the U.S. is
clueless as to the doubts being cast elsewhere on the "massacre" story,
and the only questions
well-paid U.S. journalists could conjure up were variations on the
theme, "why isn't cowardly
NATO already bombing the Serbs?"
RENAUD GIRARD has covered virtually all the Yugoslav wars of
disintegration on the spot
for the French daily "Le Figaro". Here is my rough but accurate
translation of his lead article
published on January 20, 1999:
KOSOVO: OBSCURE AREAS OF A MASSACRE
The images filmed during the attack on the village of Racak contradict
the Albanians' and
the OSCE's version Racak. Did the American ambassador William Walker,
chief of the
OSCE cease-fire verification mission to Kosovo, show undue haste when,
last Saturday, he
publicly accused Serbian security forces of having on the previous day
executed in cold
blood some forty Albanian peasants in the little village of Racak? The
question deserves
to be raised in the light of a series of disturbing facts.
In order to understand, it is important to go through the events of the
crucial day of
Friday in chronological order.
At dawn, intervention forces of the Serbian police encircled and then
attacked the village
of Racak, known as a bastion of UCK (Kosovo Liberation Army, KLA)
separatist guerrillas.
The police didn't seem to have anything to hide, since, at 8:30 a.m.,
they invited a
television team (two journalists of AP TV) to film the operation. A
warning was also given
to the OSCE, which sent two cars with American diplomatic licenses to
the scene. The
observers spent the whole day posted on a hill where they could watch
the village.
At 3 p.m., a police communique reached the international press center in
Pristina
announcing that 15 UCK "terrorists" had been killed in combat in Racak
and that a large
stock of weapons had been seized.
At 3:30 p.m., the police forces, followed by the AP TV team, left the
village, carrying with
them a heavy 12.7 mm machine gun, two automatic rifles, two rifles with
telescopic sights
and some thirty Chinese-made kalashnikovs.
At 4:40 p.m., a French journalist drove through the village and met
three orange OSCE
vehicles. The international observers were chatting calmly with three
middle-aged
Albanians in civilian clothes. They were looking for eventual civilian
casualties.
Returning to the village at 6 p.m., the journalist saw the observers
taking away two very
slightly injured old men and two women. The observers, who did not seem
particularly
worried, did not mention anything in particular to the journalist. They
simply said that
they were "unable to evaluate the battle toll".
The scene of Albanian corpses in civilian clothes lined up in a ditch
which would shock the
whole world was not discovered until the next morning, around 9 a.m., by
journalists soon
followed by OSCE observers. At that time, the village was once again
taken over by
armed UCK soldiers who led the foreign visitors, as soon as they
arrived, toward the
supposed massacre site.
Around noon, William Walker in person arrived and expressed his
indignation. All the
Albanian witnesses gave the same version: at midday, the policemen
forced their way into
homes and separated the women from the men, whom they led to the
hilltops to execute
them without more ado. The most disturbing fact is that the pictures
filmed by the AP
TV journalists -- which Le Figaro was shown yesterday -- radically
contradict that
version. It was in fact an empty village that the police entered in the
morning, sticking
close to the walls. The shooting was intense, as they were fired on from
UCK trenches
dug into the hillside.
The fighting intensified sharply on the hilltops above the village.
Watching from below,
next to the mosque, the AP journalists understood that the UCK
guerrillas, encircled, were
trying desperately to break out. A score of them in fact succeeded, as
the police
themselves admitted.
What really happened? During the night, could the UCK have gathered the
bodies, in fact
killed by Serb bullets, to set up a scene of cold-blooded massacre? A
disturbing fact:
Saturday morning the journalists found only very few cartridges around
the ditch
where the massacre supposedly took place. Intelligently, did the UCK
seek to turn a
military defeat into a political victory? Only a credible international
inquiry would make it
possible to resolve these doubts. The reluctance of the Belgrade
government, which has
consistently denied the massacre, thus seemsincomprehensible.
---
Bollettino di controinformazione del
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