(francais / italiano)
Chi e perché mette a ferro e fuoco la Siria
1) Bahar Kimyongür: Il terrorismo anti-siriano e i suoi collegamenti internazionali
2) Nino Orto: Le Alture del Golan tra guerra e pace
3) PsyOp imminente de l’OTAN contre la Syrie
4) Socialismo siriano
5) Thierry Meyssan: Chi combatte in Siria?
=== 1 ===
(En francais: Le terrorisme anti-syrien et ses connexions internationales
Il terrorismo anti-siriano e i suoi collegamenti internazionali
di Bahar Kimyongür
Fin dall’inizio della “primavera” siriana, il governo di Damasco ha affermato di essere in guerra contro bande di terroristi. La maggior parte dei media occidentali denunciano questa tesi come propaganda di Stato, che serve per giustificare la repressione contro i movimenti di protesta. Se è evidente che questa tesi viene calata come sacrosanta dallo Stato baathista, che ha una reputazione di poca tolleranza verso i movimenti di opposizione che sfuggono al suo controllo, va detto comunque che non è falsa. Effettivamente, molteplici elementi senza ombra di dubbio accreditano la tesi del governo siriano.
In primo luogo, esiste il fattore della laicità.
La Siria è in questo caso l’ultimo Stato arabo laico.(1) Le minoranze religiose godono dei medesimi diritti della maggioranza musulmana. Per certe frange religiose sunnite, campioni dell’idea della guerra contro l’«Altro», chiunque egli sia, la laicità araba e l’uguaglianza inter-religiosa, incompatibili con la sharia (legge islamica), costituiscono una offesa contro l’Islam e rendono lo Stato siriano più detestabile di un’Europa «atea» o «cristiana». Ora, la Siria ha almeno dieci diverse chiese cristiane, con sunniti che sono Arabi, Curdi, Circassi o Turcomanni, con cristiani non arabi come gli Armeni, gli Assiri o i Levantini, con musulmani sincretisti e quindi non classificabili, come gli Alawiti e i Drusi. Pertanto, il compito di mantenere salda questa struttura etnico-religiosa fragile e complessa si dimostra così difficile, che solo un regime laico, solido e necessariamente autoritario può assolverlo.
La Siria è in questo caso l’ultimo Stato arabo laico.(1) Le minoranze religiose godono dei medesimi diritti della maggioranza musulmana. Per certe frange religiose sunnite, campioni dell’idea della guerra contro l’«Altro», chiunque egli sia, la laicità araba e l’uguaglianza inter-religiosa, incompatibili con la sharia (legge islamica), costituiscono una offesa contro l’Islam e rendono lo Stato siriano più detestabile di un’Europa «atea» o «cristiana». Ora, la Siria ha almeno dieci diverse chiese cristiane, con sunniti che sono Arabi, Curdi, Circassi o Turcomanni, con cristiani non arabi come gli Armeni, gli Assiri o i Levantini, con musulmani sincretisti e quindi non classificabili, come gli Alawiti e i Drusi. Pertanto, il compito di mantenere salda questa struttura etnico-religiosa fragile e complessa si dimostra così difficile, che solo un regime laico, solido e necessariamente autoritario può assolverlo.
Poi, esiste il fattore confessionale.
In ragione dell’origine del presidente Bachar El-Assad, il regime siriano è indebitamente descritto come «alawita». Questa definizione è totalmente falsa, diffamatoria, settaria, vale a dire razzista. Innanzitutto è falsa, perché lo stato maggiore, la polizia politica, i diversi servizi di informazione, i membri del governo sono nella grande maggioranza sunniti, come pure una parte non trascurabile della borghesia. I nostri media, per fare sensazione, non mancano di sottolineare l’origine sunnita della signora Asma al-Assad, moglie del presidente, con lo scopo di demonizzarla. Ma evitano deliberatamente di citare la vice-presidente della Repubblica araba di Siria, la signora Najah Al Attar, la prima ed unica donna araba al mondo ad occupare una carica così elevata. La signora Al Attar non è soltanto di origine sunnita, ma è anche la sorella di uno dei dirigenti in esilio dei Fratelli Musulmani, esempio emblematico del paradosso siriano.
In ragione dell’origine del presidente Bachar El-Assad, il regime siriano è indebitamente descritto come «alawita». Questa definizione è totalmente falsa, diffamatoria, settaria, vale a dire razzista. Innanzitutto è falsa, perché lo stato maggiore, la polizia politica, i diversi servizi di informazione, i membri del governo sono nella grande maggioranza sunniti, come pure una parte non trascurabile della borghesia. I nostri media, per fare sensazione, non mancano di sottolineare l’origine sunnita della signora Asma al-Assad, moglie del presidente, con lo scopo di demonizzarla. Ma evitano deliberatamente di citare la vice-presidente della Repubblica araba di Siria, la signora Najah Al Attar, la prima ed unica donna araba al mondo ad occupare una carica così elevata. La signora Al Attar non è soltanto di origine sunnita, ma è anche la sorella di uno dei dirigenti in esilio dei Fratelli Musulmani, esempio emblematico del paradosso siriano.
In realtà, l’apparato statale baathista è il riflesso quasi perfetto della diversità etnico-religiosa che prevale in Siria. Il mito a proposito della «dittatura alawita» è talmente grottesco, che perfino il Gran Mufti sunnita, lo sceicco Bedreddine Hassoune, ed ancora il comandante della polizia politica Ali Mamlouk, anch’egli di confessione sunnita, sono a volte classificati come alawiti dalla stampa internazionale. (2) La cosa più strabiliante è che questa stampa medesima porta acqua al mulino di certi mezzi di informazione siriani salafiti (sunniti ultra-ortodossi), che diffondono la menzogna secondo cui il paese sarebbe stato usurpato dagli alawiti, che, secondo loro, sarebbero agenti sciiti. Questi stessi salafiti accusano gli sciiti di essere negazionisti (Rawafid, Sciiti estremisti eretici che maledicono i Compagni), perché rifiutano, tra le altre cose, la legittimità del Califfato, vale a dire del governo sunnita delle origini dell’Islam.
Tuttavia, da un lato, vi sono notevoli differenze tra alawiti e sciiti, sia sul piano teologico che nelle pratiche religiose. Nello specifico, la deificazione di Ali (nipote di Maometto), la dottrina trinitaria, la credenza nella metempsicosi ed inoltre il rifiuto della sharia da parte degli alawiti sono fonti di critiche da parte dei teologi sciiti, che non mancano mai di accusarli di estremismo (ghulat). D’altro canto, se esiste una religione di stato in Siria, questa è l’Islam sunnita di rito hanafita, rappresentato fra gli altri dallo sceicco Muhammad Saïd Ramadan Al Bouti e dal Gran Mufti della Repubblica, lo sceicco Badreddine Hassoune, i cui saggi discorsi contrastano con gli appelli all’omicidio e all’odio degli sceicchi wahhabiti. Ma tutto questo non importa. Per spiegare l’alleanza contro gli Stati Uniti e contro il sionismo formata dall’asse Damasco – Teheran – Hezbollah, la stampa e i mezzi di informazione agli ordini dei sunniti ultra-conservatori ripetono in coro che la Siria è sotto il dominio degli alawiti, che costituirebbero una «setta sciita». Visto che la Siria riceve l’appoggio della Cina, della Russia, del Venezuela, di Cuba, del Nicaragua e finanche della Bolivia, logicamente bisognerebbe concludere che Hu Jintao, Putin, Chavez, Castro, Ortega e Morales sono essi stessi degli alawiti, o almeno dei cripto-sciiti!
Per terzo, esiste il fattore nazionalista.
Conviene ricordare che per i salafiti la Siria proprio non esiste. Questo nome sarebbe, come quello dell’Iraq, una fabbricazione degli atei. Nel loro gergo ispirato dal Corano, l’Iraq si chiama Bilad al Rafidaïn (la terra dei due Fiumi) e la Siria, Bilad al-Cham (la terra di Cam). Colui che adotta l’ideologia nazionalista, e si consacra alla liberazione del proprio paese, commette un peccato di associazione (shirk). Egli viola il principio deltawhid, l’unicità divina, e per questo merita la morte. Per questi fanatici, la sola lotta approvata da Allah è lajihad, la guerra definita «santa», scatenata nel nome di Allah con l’obiettivo di estendere l’Islam. In quanto corollario del nazionalismo arabo, il pan-arabismo, questa idea progressista di unità e di solidarietà inter-araba, è a fortiori un sacrilegio, in quanto mina il concetto di «Umma», la madre patria musulmana.
Conviene ricordare che per i salafiti la Siria proprio non esiste. Questo nome sarebbe, come quello dell’Iraq, una fabbricazione degli atei. Nel loro gergo ispirato dal Corano, l’Iraq si chiama Bilad al Rafidaïn (la terra dei due Fiumi) e la Siria, Bilad al-Cham (la terra di Cam). Colui che adotta l’ideologia nazionalista, e si consacra alla liberazione del proprio paese, commette un peccato di associazione (shirk). Egli viola il principio deltawhid, l’unicità divina, e per questo merita la morte. Per questi fanatici, la sola lotta approvata da Allah è lajihad, la guerra definita «santa», scatenata nel nome di Allah con l’obiettivo di estendere l’Islam. In quanto corollario del nazionalismo arabo, il pan-arabismo, questa idea progressista di unità e di solidarietà inter-araba, è a fortiori un sacrilegio, in quanto mina il concetto di «Umma», la madre patria musulmana.
Come ha ricordato di recente il presidente Bachar El-Assad in un’intervista accordata al giornale Sunday Telegraph, la lotta che si sta scatenando attualmente sul suolo siriano vede opposte due correnti inconciliabili fra loro: il pan-arabismo e il pan-islamismo (3). Questo conflitto originale introduce un fattore storico, su cui si fonda la minaccia terroristica in Siria. Dal 1963, la Siria baathista conduce in realtà una vera e propria guerra contro i movimenti jihadisti. L’esercito governativo e i Fratelli Musulmani si sono affrontati in numerosi scontri che si sono tutti risolti con la vittoria del potere siriano. Queste vittorie sono state strappate al prezzo di molte vittime, l’esercito non ha esitato a seminare il terrore per raggiungere i suoi scopi. Nel 1982, l’esercito di Hafiz al-Assad ha martellato interi quartieri della città di Hama per superare la resistenza jihadista, massacrando senza distinzione militanti e civili innocenti. Ci sono stati almeno 10 mila morti causati dai bombardamenti e negli scontri per le strade. Si sono susseguite delle vere e proprie cacce all’uomo lanciate contro i Fratelli Musulmani siriani attraverso tutto il paese, costringendoli all’esilio. Comunque, la repressione non è ancora riuscita a sradicare la tradizione guerriera e nemmeno lo spirito di vendetta degli jihadisti siriani.
Ora, analizziamo paese per paese quali sono i movimenti terroristici che le truppe siriane stanno attualmente affrontando.
Il fronte libanese
Nell’aprile 2005, l’Occidente si è rallegrato nel vedere le truppe siriane abbandonare il Libano, dopo 30 anni di presenza ininterrotta. Questo evento era stato attivato dall’attentato che aveva preso di mira l’ex primo ministro libanese-saudita Rafiq Hariri noto per la sua ostilità verso la Siria, attentato immediatamente imputato dall’Europa e dagli Stati Uniti al regime di Damasco, senza la minima prova e prima dell’inizio di una qualsiasi inchiesta. Una «rivoluzione dei Cedri», sostenuta dai laboratori «per i diritti dell’uomo» della CIA, aveva costretto le truppe siriane a lasciare il Libano. Appena i carri armati siriani si erano ritirati, i gruppi salafiti sono riemersi, sguainando le loro spade e la loro predicazione settaria. Questi movimenti si sono insediati nel nord del Libano, dalle parti di Tripoli di maggioranza sunnita, e poi, via via, nei campi palestinesi del Libano, profittando delle divisioni politiche e della debolezza militare delle organizzazioni palestinesi, così come della politica di non-intervento dell’esercito libanese in questi campi.
Tra il 2005 e il 2010, i gruppi jihadisti hanno condotto la guerra contro tutti i sostenitori veri o presunti del regime di Bashar al-Assad, come le popolazioni sciite, alawite o i militanti di Hezbollah. Alcuni di questi movimenti sono arrivati a varcare il confine siro-libanese per bersagliare le truppe del potere baathista sul loro stesso territorio. L’attivismo anti-siriano dei gruppi salafiti libanesi armati ha conosciuto una recrudescenza con l’inizio della crisi siriana del 2011. Comunque, queste formazioni sono state soppiantate da movimenti salafiti non combattenti. Il 4 marzo 2012, circa duemila salafiti guidati da Ahmad Al Assir, un predicatore della città di Saïda (Sidone) divenuto la stella in ascesa del sunnismo libanese, sfilavano a Beirut per protestare contro il regime di Bashar al-Assad. Dietro un imponente cordone di sicurezza composto da poliziotti e militari, alcune centinaia di contro-manifestanti del partito Baath libanese protestavano contro la parata.
Da Aarida a Naqoura, tutto il Libano ha trattenuto il respiro. E il suo cuore si stringe ogni volta che spari risuonano dai quartieri di Tripoli di Bab Tebbaneh e Jebel Mohsen. Dal momento che in questo paese la linea di frattura politica è prevalentemente confessionale, con una maggioranza sunnita anti-Assad e una maggioranza sciita pro-Assad, ed inoltre con i cristiani divisi che si ritrovano nei due campi, l’assillo della guerra civile è onnipresente. Ma il governo di unità nazionale cerca di calmare le acque e di garantire la neutralità rispetto al conflitto siriano. Per questo, certi gruppi salafiti non perdono nemmeno un’occasione per seminare il caos in questi due paesi geograficamente inter-dipendenti e complementari. Ecco una breve descrizione di alcuni di questi movimenti settari attivi in Libano, che minacciano la Siria da molti anni.
Gruppo di Sir El-Dinniyeh
Questo movimento sunnita, diretto fra il 1995 e il 1999 da Bassam Ahmad Kanj, un veterano delle guerre in Afghanistan e in Bosnia, è apparso in seguito alle lotte fra differenti correnti islamiche tendenti a controllare le moschee di Tripoli. Nel gennaio 2000, il gruppo di Dinniyeh ha tentato di creare un mini-Stato islamico nel Nord del Libano. I miliziani hanno assunto il controllo dei villaggi del distretto di Dinniyeh, ad est di Tripoli. 13.000 soldati libanesi sono stati inviati per domare questa ribellione jihadista. I sopravvissuti all’attacco si sono trincerati nel campo palestinese di Ayn el Hilwe, nel Libano meridionale. Dopo il ritiro delle truppe siriane, nell’aprile 2005, i combattenti del gruppo di Dinniyeh sono tornati a Tripoli, dove esistevano ancora delle cellule clandestine. Lo stesso anno, il Ministro degli Interni libanese ad interim, Ahmed Fatfat, che è appunto originario di Sir El-Dinniyeh e che, per altro, ha la cittadinanza belga, si è battuto per la liberazione dei prigionieri del gruppo di Dinniyeh, e questo con lo scopo di ottenere l’appoggio politico dei gruppi sunniti e salafiti del Nord del Libano.
Fatah al Islam
Movimento sunnita radicale del Nord del Libano. Fatah al Islam ha letteralmente occupato la città di Tripoli con la complicità di Saad Hariri e del suo partito, la Corrente del Futuro. Hariri voleva servirsi di questi sunniti radicali per contrastare gli Hezbollah sciiti libanesi e il governo siriano. Tra gli alleati di Hariri, il gruppo chiamato «Fatah el Islam», dissidente del movimento nazionale palestinese, ha assunto il controllo del campo di Nahr El Bared. Questo movimento terrorista ha assassinato 137 soldati libanesi in maniera brutale, soprattutto durante riti satanici che si concludevano con decapitazioni. Il 13 febbraio 2007, Fatah el Islam ha fatto saltare in aria due autobus nel quartiere cristiano di Alaq-Bikfaya. Dal maggio al settembre 2007, l’esercito libanese poneva l’assedio al campo palestinese di Nahr el Bared, dove i combattenti jihadisti si erano rintanati, e solo dopo intensi combattimenti degni dell’operazione siriana di Baba Amro riusciva a neutralizzarli.
Non meno di 30.000 Palestinesi sono fuggiti dai combattimenti. Per quanto riguarda il campo di Nahr el Bared, venne ridotto in macerie.Pochi mesi dopo, Fatah al Islam veniva coinvolto in un attentato mortale che scuoteva Damasco. Infatti, il 27 settembre 2008, il santuario sciita di Sayda Zainab a Damasco diventava l’obiettivo di un attacco suicida che uccideva 17 pellegrini. Fatah Al Islam è spesso citato quando scoppiano combattimenti a Tripoli tra il quartiere sunnita di Bab Tabbaneh e il quartiere alawita di Djébel Mohsen.
Jounoud Al Cham (I soldati del Levante)
Movimento radicale sunnita nel sud del Libano, dalle origini diverse.Alcuni dei suoi membri sarebbero arrivati dal gruppo di Dinniyeh, mentre altri sarebbero veterani dell’Afghanistan, avendo combattuto sotto il comando di Abou Moussab Al Zarqawi. La maggior parte dei suoi combattenti sarebbero Palestinesi «takfiri», vale a dire in conflitto contro le altre religioni e i non credenti. Jounoud Al Cham sarebbe responsabile di un attentato nel 2004 a Beirut, che ha ucciso un dirigente di Hezbollah. Per diversi anni, il gruppo ha cercato di assumere il controllo del campo palestinese di Ain el Hilwe situato vicino alla città di Sidone. Nel 2005, il gruppo fa parlare di sé per le sue scaramucce quotidiane con l’esercito siriano. Jounoud al-Sham si trova sulla lista delle organizzazioni terroristiche pubblicata dalla Russia. Tuttavia, non si trova sulla lista delle organizzazioni terroristiche straniere del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. (4)
Ousbat Al Ansar (la Lega dei partigiani)
Presente sulla lista delle organizzazioni terroristiche, Ousbat al-Ansar si batte per «istituire in Libano uno Stato sunnita radicale». Noto per le sue spedizioni punitive contro tutti i musulmani «devianti», Ousbat al-Ansar ha fatto assassinare personalità sunnite come lo sceicco Nizar Halabi. Per lo stesso motivo, ha fatto saltare in aria strutture pubbliche giudicate empie: teatri, ristoranti, discoteche…Nel gennaio 2000, ha attaccato a colpi di razzi l’ambasciata russa a Beirut.Erede del gruppo di Dinniyeh, questa formazione si infiltra nel campo palestinese di Ain el Hilwe nel Libano meridionale. Quando, nel settembre 2002, ho visitato i campi palestinesi del Libano, l’inquietudine dei resistenti palestinesi era palpabile. Molti di loro erano stati uccisi durante i tentativi di assunzione del controllo dei campi da parte di questo gruppo, considerato essere vicino ad Al Qaeda. Nel 2003, quasi 200 membri di Ousbat Al Ansar hanno attaccato le sedi di Fatah, il movimento palestinese di Yasser Arafat, causando la morte di otto persone, di cui sei membri di Fatah.
Il mito dell’Esercito Libero Siriano (ELS)
Bisogna riconoscerlo: i cacciatori di dittatori che popolano le redazioni delle grandi testate giornalistiche sono diventati abilissimi nell’arte del camuffamento, quando si tratta di presentare i «resistenti» che servono gli interessi del loro campo. Nei panni di veri chirurghi estetici, trasformano l’Esercito Libero Siriano (ELS) in un movimento di resistenza democratica di bravi e simpatici militanti, composto da disertori umanitari disgustati dalle atrocità commesse dall’esercito regolare siriano. Non c’è dubbio alcuno che l’esercito del regime baathista non va tanto per il sottile, e commette imperdonabili abusi contro i civili, che costoro siano terroristi, manifestanti pacifisti o semplici cittadini presi fra due fuochi. A questo riguardo, gli importanti mezzi di comunicazione ci bombardano fino alla nausea dei crimini imputabili alle truppe siriane, qualche volta a ragione, ma più spesso a torto. Perché, in termini di crudeltà, l’ELS non si comporta veramente meglio. Solo qualche raro giornalista, come l’olandese Jan Eikelboom, osa mostrare il rovescio della medaglia, quello di un ELS sadico e ignominioso.
Anche la corrispondente a Beirut di Spiegel, Ulrike Putz, scalfisce la reputazione dell’ELS. In un’intervista pubblicata sul sito web del settimanale tedesco, Ulrike Putz ha evidenziato l’esistenza di una «brigata di becchini» incaricati dell’esecuzione dei nemici della loro sinistra rivoluzione a Baba Amr, il quartiere di Homs, insorto e poi ripreso dall’esercito siriano.(5) Un massacratore intervistato da Der Spiegel attribuisce alla sua brigata di beccamorti da 200 a 250 esecuzioni, quasi il 3% del bilancio complessivo delle vittime della guerra civile siriana dello scorso anno. Per quanto riguarda le agenzie umanitarie, è stato necessario attendere la data fatidica del 20 marzo 2012 perché un’eminente Organizzazione Non Governativa, vale a dire Human Rights Watch, la cui denominazione tradotta significa esattamente «Sentinella dei Diritti Umani», finalmente riconoscesse le torture, le esecuzioni e le mutilazioni commesse dai gruppi armati che si oppongono al regime siriano. Dopo 11 mesi di terrorismo degli insorti … Alla buon’ora dell’infallibile «sentinella»! «Sah Al Naum», come si dice in arabo a qualcuno che si risveglia. Passiamo ad altre informazioni, che vanno ad intaccare ancor di più la reputazione di questo Esercito libero siriano e dei suoi sostenitori atlantisti.
Secondo fonti militari e diplomatiche, l’ELS, questo esercito di cosiddetti «disertori», sarebbe carente di effettivi militari. Per ovviare a questa carenza di combattenti, l’ELS arruolerebbe dei salafiti, senza andare tanto per il sottile. Questo è il caso del battaglione dell’ELS «Al Farouq», che si è reso celebre per i suoi rapimenti di ingegneri civili e di pellegrini iraniani, per i suoi metodi di tortura e per le sue esecuzioni sommarie. La difficoltà di reclutare soldati di leva provenienti dall’esercito regolare è dopo tutto abbastanza logica, dato che un disertore è per definizione un uomo che abbandona il combattimento. Disertare significa abbandonare la guerra. Nel caso siriano, numerosi disertori abbandonano il paese e si costituiscono come rifugiati. La propaganda di guerra occidentale afferma che se costoro abbandonano l’esercito o non rispondono alla chiamata alle armi, questo avviene perché si rifiutano di uccidere manifestanti pacifici. In realtà, queste giovani reclute temono tanto di ammazzare quanto di venire ammazzate. Essi devono affrontare un nemico invisibile, rotto alle tecniche della guerriglia, che spara alla cieca indifferentemente contro i favorevoli o i contrari al regime, e che non esita a liquidare i suoi prigionieri secondo un sordido rituale di decapitazioni e smembramenti.
Il terrore che ispirano questi gruppi armati dissuade legittimamente numerosi giovani dal rischiare la loro vita circolando in uniforme. Ecco che allora fanno la scelta di abbandonare l’esercito regolare e il paese.Per esempio, i disertori Curdi siriani si rifugiano nella regione autonoma del Kurdistan iracheno. Soprattutto a Erbil, in un quartiere popolato da Curdi siriani, che per questo è stato soprannominato «la piccola Qamishli». [Qamishli è una città della Siria, a maggioranza curda e assira, N.d.T.] Altri raggiungono i campi di rifugiati in Iraq, Libano, Turchia o Giordania. Il termine «disertore», che serve a designare i militari che hanno fatto diserzione per raggiungere il campo avverso e sparare contro i loro vecchi camerati, risulta dunque inappropriato in questo caso. Sarebbe più corretto definire «transfughi» questi rifugiati. Ecco un’analisi di Maghreb Intelligence, un’agenzia che non può essere sospettata di collusione con il regime di Damasco, e che sostiene la tesi della smobilitazione dei giovani di leva, della debolezza dell’ELS e della presenza di salafiti armati presenti negli scontri:
«Secondo un rapporto proveniente da una ambasciata europea a Damasco e corroborato da inchieste condotte da centri ricerca francesi alla frontiera turca, l’Esercito Libero Siriano – ELS – nel suo complesso non conterebbe più di 3000 combattenti. Costoro sono per la maggior parte armati di fucili da caccia, diKalachnikov e di mortai di fabbricazione cinese provenienti dall’Iraq e dal Libano. Secondo questo documento, l’ELS non è stata in grado di arruolare la maggioranza dei ventimila militari che avrebbero disertato dall’esercito di Bachar Al Assad. D’altro canto, l’ELS è particolarmente presente nei campi di rifugiati insediatisi sul territorio della Turchia. A Hama, Deraa e Idlib, sono soprattutto gruppi armati salafiti che si contrappongono all’esercito siriano. Questi salafiti, particolarmente violenti e determinati, provengono per la maggior parte dai movimenti sunniti radicali attivi in Libano.»(6)
Oltre ad essere spietato, infiltrato da gruppi settari e in carenza di effettivi, l’Esercito Libero Siriano è disorganizzato. Non presenta una direzione centrale ed unificata.(7) Numerose indicazioni, tra cui importanti sequestri di armi condotti presso diversi posti di frontiera del paese, dimostrano che l’ELS riceve armi dall’estero e questo, sin dall’inizio della rivolta, veniva smentito dall’ELS, prima di arrivare a chiedere apertamente un intervento militare straniero sotto forma di bombardamenti, di supporto logistico, o la creazione di zone cuscinetto. Allo scoppio dell’insurrezione, il gruppo dissidente armato, ovviamente, non voleva fornire l’immagine di una quinta colonna che agisce per conto di forze straniere, nemmeno compromettere i suoi generosi mecenati, che comunque si possono indovinare. Ci si dovrà ricordare che nel documentario di propaganda anti-Bashar realizzato da Sofia Amara, dal titolo «Siria: Permesso di uccidere», e diffuso dalla catena televisiva franco-tedesca Arte nell’ottobre 2011, un soldato dell’ELS stava per rivelare i suoi rifornitori stranieri, quando un suo superiore gli intimava di tacere.
Il fronte giordano
La fedeltà della monarchia hashemita a Washington e a Tel Aviv è ormai un luogo comune.Per soddisfare i suoi alleati, la Giordania è stata anche il primo regime arabo ad invitare Bashar el-Assad ad abbandonare il potere.Il 22 febbraio 2012, il corrispondente de Le Figaro, Georges Malbrunot, rivelava che la Giordania aveva acquistato dalla Germania quattro batterie anti-missili Patriot usamericani «per proteggere Israele contro possibili attacchi aerei condotti dalla Siria.»(8) Questi missili sarebbero stati installati ad Irbid, non lontano dal confine siriano. Già nel 1981, questa Monarchia, sicura alleata degli Stati Uniti, aveva consentito all’aviazione da guerra di Israele di violare il suo spazio aereo per andare a bombardare il reattore nucleare iracheno di Osirak.
In politica interna, la Giordania non mostra un atteggiamento più progressista. Anzi, per decenni, Amman ha incoraggiato i Fratelli musulmani secondo un calcolo politico motivato dal desiderio di sradicare il nemico principale, vale a dire l’opposizione laica di sinistra (comunista, baathista e nasseriana). Secondo M.Abdel Latif Arabiyat, ex ministro ed ex portavoce del Parlamento giordano:«I Fratelli musulmani non rappresentano un’organizzazione rivoluzionaria, ma esaltano la stabilità. Con l’ascesa al potere dei partiti nazionalisti e di sinistra, noi abbiamo stipulato un’alleanza informale con le autorità»(9). Nel 1970, i Fratelli musulmani si sono schierati con la Monarchia quando il re Hussein ordinava l’annientamento dei Fédayins palestinesi. La Fratellanza musulmana non ha detto una parola di fronte al massacro del «Settembre Nero», in cui furono massacrati circa 20 mila Palestinesi. Da questa strategia di manipolazione dei Fratelli musulmani in Giordania, in ultima analisi, sono costoro a risultare i vincitori, visto che attualmente costituiscono il principale movimento di opposizione nel paese. Per il Regno hashemita, i Fratelli musulmani rappresentavano un male minore rispetto sia alla sinistra, ma anche in relazione ai movimenti jihadisti. Questo matrimonio di interesse non è durato per tanto tempo. E alla fine, la Monarchia si è vista costretta a reprimere un movimento diventato troppo potente. Nel frattempo, la Giordania ha subito diversi attentati terroristici. Nel 2005, sono alcuni alberghi della capitale Amman ad essere presi di mira da gruppi salafiti. Abou Moussab Al Zarqawi, l’ex capo di Al Qaïda in Iraq, lui stesso è originario di Zarqa, una città giordana situata a nord-est di Amman.
La rivolta contro il regime siriano è scoppiata a Deraa, una città del sud della Siria vicina al confine con la Giordania, ed ha risvegliato gli appetiti di conquista delle fazioni jihadiste di base in Giordania, che si erano ben moderate in seguito alle numerose perdite subite all’interno dei ranghi di Al Qaïda. Fra le altre, troviamo la Brigata Tawhid, una piccola formazione armata jihadista formata da parecchie decine di combattenti, in precedenza attivi all’interno di Fatah Al-Islam, che si infiltrano in Siria per attaccare l’esercito governativo. (10) Il portale giordano di informazioni liberal Al Bawaba rivela che la città di confine di Ramtha accoglie mercenari libici pagati dall’Arabia Saudita e dal Qatar. D’altronde, essendo situato tra la Siria e l’Arabia Saudita, il Regno hashemita costituisce un passaggio obbligato per tutti gli jihadisti, gli istruttori e i convogli militari inviati da Riyad.
Il fronte saudita
Sull’esempio del Regno hashemita, la lealtà della dinastia Saud allo Zio Sam non è un segreto per nessuno, e questo dal momento del Patto di Quincy firmato sull’incrociatore americano (il Quincy, da cui il nome del Patto) tra Roosevelt e Saud Bin Abdulaziz nel febbraio del 1945. Questo accordo avrebbe permesso agli Stati Uniti di garantirsi un approvvigionamento energetico senza ostacoli in cambio della protezione del suo vassallo nell’affrontare i loro comuni avversari nella regione, in modo particolare il nazionalismo arabo e l’Iran, di cui alcuni territori erano passati sotto l’influenza sovietica.Allo scoppio della crisi siriana, gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita stavano festeggiando le loro «nozze di gelsomino» per i loro 66 anni di vita insieme, sigillando il più grande contratto di armamenti nella storia: 90 miliardi di dollari, che prevedono la modernizzazione della marina e dell’aviazione da guerra saudite. Come si può immaginare, lo Stato wahhabita non poteva restava immobile di fronte agli eventi che stanno scuotendo la Siria, un paese faro del nazionalismo arabo ed inoltre amico dell’Iran, nemico giurato dei Sauditi.
Riyad alimenta il terrorismo anti-siriano attraverso diverse modalità: diplomatiche, economiche, religiose, logistiche e, ben s’intende, militari. La Casa di Saud ha sponsorizzato gli jihadisti attivi in Siria, incoraggiandoli attraverso i suoi strumenti di propaganda, e accreditandoli a mettere il paese a ferro e fuoco. Ad esempio, dopo aver autorizzato la jihad in Libia, e aver invocato l’eliminazione di Mouammar Gheddhafi, lo sceicco Saleh Al Luhaydan, una delle più prestigiose autorità giuridiche e fatalmente religiose del paese, si è dichiarato favorevole allo sterminio di un terzo dei Siriani per salvarne gli altri due terzi. Sulla emittente televisiva saudita Al-Arabiya TV, il predicatore Aidh Al-Qarni ha dichiarato che «Ammazzare Bashar è più importante dell’ ammazzare Israeliani!»(11) È sempre da Riyadh, e attraverso la catena relevisiva Wessal TV, che Adnan Al Arour ha lanciato un appello per fare a pezzi gli Alawiti e dare la loro carne ai cani.
Le recenti dichiarazioni cristianofobe dello sceicco Abdul Aziz bin Abdullah, riportate da Arabian Business, sicuramente non giungono a rassicurare i Cristiani di Siria: sulla base di un hadith (narrazione secondo la tradizione orale) che riporta la dichiarazione del profeta Maometto sul letto di morte, «non dovranno esserci due religioni nella penisola arabica», lo sceicco saudita Abdullah, la massima autorità wahhabita al mondo, ne deduce che è necessario distruggere «tutte le chiese presenti nella regione». I Cristiani di Siria, prede dell’odio religioso, trovano in questa affermazione un motivo in più per sostenere Bashar al-Assad.
Molti sono i cittadini siriani ostili al regime di Bashar Assad, che tuttavia si preoccupano del padrinato del loro movimento democratico da parte di una teocrazia, che ancora decapita le donne accusate di stregoneria, che tortura i suoi oppositori politici nelle prigioni, e che non riconosce né un Parlamento né elezioni. Sotto il sole di Riyadh esiste anche Bandar, che non ha bisogno di presentazioni. Il suo ruolo torbido negli attentati di Londra, nel finanziamento di gruppi armati salafiti rivendicato dall’interessato, le sue collusioni con il Mossad, il suo odio verso Hezbollah, verso la Siria e l’Iran fanno del principe saudita Bandar bin Sultan, segretario generale del Consiglio Nazionale per la Sicurezza, un elemento fondamentale del piano per distruggere la Siria laica, multiconfessionale, sovrana e non sottomessa. Non vi è quindi alcun motivo reale per essere sorpresi quando la dittatura saudita si è impegnata ad aiutare il suo vicino e rivale Qatar nel pagare gli stipendi ai mercenari anti-Siriani, in occasione della riunione degli “Amici della Siria” ad Istanbul.
Il fronte del Qatar
Il Qatar è soprattutto una gigantesca base militare degli Stati Uniti, la più grande esistente all’esterno degli Stati Uniti. Ed inoltre, per inciso, è il regno di un piccolo emiro mediocre, falso e avido. Nel suo regno, non c’è Parlamento, nessuna Costituzione, nessun partito, tanto meno le elezioni. Nel 1995, ha organizzato un colpo di Stato contro il suo stesso padre.Appena arrivata al potere, la petromonarchia golpista si lancia in un vasto programma di partenariato economico con Israele, preconizzando in modo speciale la commercializzazione del gas del Qatar verso lo Stato sionista. Nel 2003, l’emiro del Qatar autorizza l’amministrazione Bush a servirsi del suo territorio per scatenare l’aggressione contro l’Iraq. Con il resto della sua famiglia, controlla tutta la vita economica, politica, militare e culturale del paese. La celebre catena televisiva Al Jazeera è il suo giocattolo personale. In poco tempo, ne ha fatto una potente arma di propaganda anti-siriana. Grazie alle notizie false, tendenziose e risibili di Al Jazeera, la CIA e il Mossad possono dedicarsi alle loro vacanze!
Il nome di Sua Maestà: Hamad Ben Khalifa al Thani. La «Primavera araba»? Ne è il principale procacciatore di fondi. Per lui, tutto si compra: lo sport, l’arte, la cultura, la stampa, e perfino la fede. Quindi, potete immaginare, una rivoluzione…! L’anno scorso, l’emiro Hamad ha inviato 5.000 commandos per sostenere la ribellione jihadista contro la Libia, Stato sovrano. Ora, il suo nuovo gioco del casinò è la Siria, e i ribelli di questo paese, gettoni da puntare. Quando questi ultimi hanno subito una battuta d’arresto da parte dell’esercito arabo siriano, l’emiro ha gridato al genocidio. Hamad e la sua cricca, è l’ospedale che si fa beffe della carità. E parlando della carità, egli ha appena assunto un notorio predatore della pace e della democrazia, lo sceicco Al Qardawi, tanto per islamizzare il messaggio dell’emittente televisiva. Ma, malgrado i suoi dollari e le sue campagne di mobilitazione contro la Siria, Al Jazeera è un esercito in rotta. Le colate di disinformazione che si riversano a proposito della Siria dagli studi della catena televisiva hanno determinato le dimissioni dei suoi personaggi più in vista.
Da Wadah Khanfar a Ghassan Ben Jeddo, da Louna Chebel a Eman Ayad, Al Jazeera ha dovuto subire importanti defezioni, che passano inosservate nella stampa occidentale. Nel marzo 2012, anche Ali Hachem e due suoi colleghi hanno abbandonato il bastimento della pirateria informativa del Qatar. Alcune e-mail di Ali Hashem trapelate hanno riguardato misure di censura assunte da Al Jazeera rispetto ad immagini di combattenti contro Bashar, che si infiltravano in Siria dal Libano, in data aprile 2011. Dunque, queste immagini fanno risalire la presenza di un’opposizione armata di natura terroristica agli inizi della cosiddetta «Primavera siriana». La loro pubblicazione avrebbe ridotto a brandelli l’impostura secondo la quale il movimento anti-Bashar non si sarebbe radicalizzato che alla fine dell’anno 2011, una tesi fatta propria da tutte le cancellerie occidentali.Malgrado questi scandali a ripetizione, i «nostri» media continuano a considerare Al Jazeera come una fonte affidabile, e il suo padrone, l’emiro Hamad, come un apostolo della democrazia siriana.
Il fronte iracheno
L’invasione dell’Iraq da parte delle truppe anglo-americane nel marzo 2003 ha svolto un ruolo cruciale nell’aumentare il numero dei jihadisti siriani. I posti di confine come Bou Kamal sono diventati punti di transito per i jihadisti siriani che vanno a combattere contro le forze di occupazione in Iraq. Numerosi sono stati i Siriani che sono accorsi ad ingrossare i ranghi dei battaglioni di Abu Musab al-Zarqawi. Dall’estate del 2011, il processo si è visibilmente invertito dato che ormai sono i miliziani iracheni sunniti ad attraversare la frontiera per andare a combattere contro le truppe siriane.
Al Qaeda
Il ramo iracheno di Al Qaeda denominato «Tanzim al-Jihad fi Bilad Qaidat al-Rafidayn» (Organizzazione della base della Jihad nella Terra dei Due Fiumi) conta molti reclutati provenienti dalla Siria. Si dice che il 13% dei volontari arabi presenti in Iraq erano Siriani.(12) Il terrore da loro scatenato era pari alla loro reputazione. Al Qaeda ha causato tali danni nell’ambito della resistenza sunnita irachena che i resistenti iracheni hanno dovuto rassegnarsi ad aprire un fronte anti-Al Qaeda. Nel 2006, vedeva la luce ad Anbar un Consiglio di emergenza che includeva la maggior parte dei clan e delle tribù della provincia ribelle. Il suo obiettivo era di fare pulizia dei terroristi di Al Qaida presenti nella provincia.(13) A Falloujah e a Qaim, i capi tribali, che inizialmente avevano aperto le braccia alla banda di Zarqawi, sono arrivati al punto da rovesciarle contro le armi. Per aver dichiarato guerra ad Al Qaeda, hanno ricevuto anche il sostegno da parte del governo iracheno.
Il terrore cieco di Al Qaeda ha fortemente neutralizzato la resistenza patriottica irachena. Tutti questi veterani della guerra contro gli Statunitensi, ma anche contro l’Iran, gli sciiti e i patrioti sunniti iracheni hanno trovato una nuova ancora nella guerra contro il regime di Damasco. Dal dicembre 2011 al marzo 2012, le città di Damasco, Aleppo e Deraa sono state bersaglio di numerosi attacchi suicidi o con autobombe, che hanno lasciato sul terreno decine di morti e feriti. Questi attentati sono stati rivendicati da Al Qaeda, o attribuiti all’organizzazione takfirista da parte delle autorità siriane e dagli esperti internazionali in questioni dell’anti-terrorismo, che confermano l’infiltrazione di terroristi provenienti dall’Iraq. [Al Qaeda, come organizzazione takfirista, accusa tutti gli islamici che non la appoggiano di essere apostati punibili con la morte, N.d.T.]
Jabhat Al-Nusra Li-Ahl al-Sham (Fronte di soccorso della popolazione del Levante)
Il 24 gennaio scorso, questa formazione ha annunciato la sua comparsa in vari forum islamici. Ma questa denominazione sembra essere una riduzione del titolo per esteso «Jabhat Al Nusra li Ahl Al Sham min Mujahideen al Sham fi Sahat al Jihad», ossia «Fronte di soccorso della popolazione del Levante dei Moudjahidines di Siria nei luoghi della Jihad». Secondo gli esperti del terrorismo, l’espressione «luoghi della Jihad» suggerisce che i membri di questo gruppo conducono la loro guerra santa su altri fronti come l’Iraq. Questo è anche ciò che viene rivelato dal leader del gruppo, Abu Mohammed al Julani, in un video pubblicato nella metà del mese di marzo. Al Julani significa Golanese, di provenienza dalle alture del Golan, con riferimento esplicito siriano. Come tutti i gruppi terroristici, Jabhat Al Nusra dispone di un organo di stampa: Al Manara al Bayda, il faro bianco.(14) Jabhat Al Nusra riceve l’appoggio di un prestigioso cyber-salafita, denominato Abou Moundhir al Shanqiti. Quest’ultimo ha emesso una fatwa, lanciando un appello a tutti i Musulmani a schierarsi nel campo di coloro che sollevano la bandiera della sharia in Siria.
Il fronte turco
In Turchia, paese membro della NATO da 60 anni, che presto ospiterà le strutture per lo scudo antimissilistico, è l’Esercito Libero Siriano che detiene il primato ed esercita il sopravvento. Il suo presunto leader, Riyadh Al Assaad, è ospitato nella provincia turca di Hatay, in precedenza siriana, e beneficia della diretta protezione del ministero degli affari esteri. Come tutti sanno, la Turchia è uno dei più acerrimi nemici del regime di Damasco. Temendo di «passare per imperialiste», le forze della NATO incitano Ankara a guadare il Rubicone, meglio dire l’Oronte nella circostanza, per muovere guerra contro la Siria. Numerose sono le fonti che danno conto di un asse Tripoli-Ankara nella guerra contro Damasco. Un trafficante d’armi libico sottolinea l’acquisto di attrezzature militari leggere da parte di Siriani a Misurata (15).
L’ex-ufficiale della CIA e direttore del Consiglio per l’interesse Nazionale degli Stati Uniti Philip Giraldi parla senza mezzi termini di un trasporto aereo di armi dall’arsenale del vecchio esercito libico verso la Siria, via la base militare usamericana di Incirlik situata nel sud della Turchia a meno di 180 km dalla frontiera con la Siria. Egli afferma che la NATO è già clandestinamente impegnata nel conflitto contro la Siria sotto la direzione della Turchia. Giraldi conferma inoltre le informazioni pubblicate lo scorso novembre dal Canard enchaîné, vale a dire che forze speciali francesi e britanniche assistono i ribelli siriani, mentre la CIA e forze speciali statunitensi forniscono loro dispositivi di comunicazione e spionaggio. Un altro agente della CIA, Robert Baer, nelle sue memorie(16) che hanno inspirato il film Syriana di Stephen Gaghan, con George Clooney come protagonista principale, ha dichiarato nell’estate 2011 che armi vengono inviate ai ribelli siriani dalla Turchia.(17)
Sibel Edmonds, l’interprete dell’FBI censurata per aver denunciato abusi commessi da parte dei servizi dello spionaggio degli Stati Uniti, puntualizza che la fornitura di armi ai ribelli siriani viene assicurata dagli Stati Uniti fin dal maggio 2011. Inoltre, gli Stati Uniti avrebbero installato in Turchia una «sezione per la comunicazione», il cui incarico è quello di convincere i soldati dell’esercito siriano a raggiungere le formazioni ribelli.(18) Il coinvolgimento di mercenari libici non sarebbe unicamente di natura logistica. Secondo molti testimoni oculari, fra cui un giornalista del quotidiano spagnoloABC, jihadisti libici e membri del Gruppo Islamico Combattenti Libici (GICL) sono concentrati alle frontiere siro-turche.(19)
Nella regione di Antiochia in Turchia, prevalentemente di lingua araba, che confina con la Siria, la popolazione locale si imbatte in un numero insolitamente elevato di Libici. Occupando gli alberghi più lussuosi della regione, costoro non passano inosservati. Alcuni di questi Libici sono autori di molteplici atti di vandalismo in certe zone turistiche, come ad Antalya. Miliziani libici che stazionano in Turchia hanno più di una volta attaccato e occupato la loro ambasciata ad Istanbul reclamando la loro paga.A questo strano panorama viene ad aggiungersi l’arresto di un Libico di 33 anni all’aeroporto di Istanbul in possesso di 2,5 milioni di dollari. Il primo di aprile, questo Libico faceva scalo ad Istanbul. La sua destinazione finale: la Giordania, un paese dove viene segnalato un numero significativo di Libici mercenari ammassati sul confine siriano. Bene, bene… (20)
E gli Stati Uniti in tutto questo?
Tenuto conto delle affermazioni di alcuni agenti della CIA concernenti il coinvolgimento degli USA nella destabilizzazione della Siria, è ragionevole credere che l’amministrazione Obama sarebbe indifferente, o meglio compiacente, rispetto alla destabilizzazione di un paese che figura ancora nella lista degli «Stati canaglia», dato il suo appoggio alla resistenza palestinese e alla sua alleanza strategica con gli Hezbollah e l’Iran? A questo titolo, la Siria è citata tra i sette paesi contro i quali «l’uso dell’arma nucleare è possibile». A coloro che credono nell’inazione delle forze occidentali in Siria e alla loro buona fede nella loro difesa dei civili siriani, conviene far ricordare che già un anno fa la NATO, l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico sotto comando statunitense, giurava su tutti i santi di volere agire sotto la «responsabilità di proteggere» il popolo della Libia, e prometteva di attenersi alla Risoluzione1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, al fine di «impedire al dittatore Gheddafi di bombardare la sua popolazione», e che, immediatamente, la protezione dei cittadini libici si è trasformata in impegno militare in una guerra civile, in un colpo di stato, in attentati mirati e in bombardamenti alla cieca.
Ci si ricorderà anche che dopo aver annientato la città libica di Sirte, dove il leader libico si era trincerato, le forze della NATO lo hanno consegnato a bande di criminali che lo hanno torturato a morte. Questo sordido linciaggio è stato facilitato dagli Stati Uniti e dalla NATO, visto che in precedenza avevano dato la caccia e bombardato il suo convoglio. Tuttavia, Andres Fogg Rasmussen e i suoi compari, che hanno espresso soddisfazione per la morte di Gheddafi, avrebbero ripetuto per mesi che il leader libico non era il loro obiettivo. La cinica strategia degli USA e della NATO in Libia, che consisteva nel «non dire quello che si fa e non fare quello che si dice» è manifestamente quella che è stata scelta per la Siria. Effettivamente, e in via ufficiale, la NATO non ha l’intenzione di intervenire in questo paese. Rasmussen ha anche fatto presente che la sua organizzazione non armerà i ribelli.
Tuttavia, alcune e-mail da parte di una agenzia privata statunitense di spionaggio, la Stratfor Intelligence Agency, diffuse da Wikileaks il 27 febbraio scorso, indicano la presenza di forze speciali occidentali in Siria. Il verbale di una riunione, datato 6 dicembre 2011, sottintende che forze speciali sarebbero state presenti sul terreno alla fine del 2011. A questo proposito, una e-mail del direttore di analisi della Stratfor, Reva Bhalla, è inequivocabile.(21) Si parla di un incontro fra «quattro giovanotti, grado tenente colonnello, tra cui un rappresentante francese e uno britannico». Durante un colloquio della durata di quasi due ore, avrebbero accennato al fatto che squadre di Forze speciali erano già sul terreno, impegnate in missioni di ricognizione e nell’addestramento delle formazione delle forze di opposizione.
Gli strateghi occidentali riuniti negli Stati Uniti sembrano rifiutare l’ipotesi di un’operazione aerea sul modello Libia, e preferirebbero l’opzione di una guerra di logoramento attraverso attacchi di guerriglia e campagne di assassinio, in modo da «provocare un crollo del regime dall’interno». Avrebbero giudicato la situazione siriana molto più complessa di quella della Libia, e il sistema di difesa siriano molto più efficace, soprattutto per i suoi missili terra-aria SA-17 dislocati attorno a Damasco e lungo i confini con Israele e la Turchia. In caso di attacco aereo, l’operazione dovrebbe essere condotta dalle basi della NATO a Cipro. Queste le conclusioni dell’agenzia Stratfor. Se, finora, gli Stati Uniti non hanno mandato i loro bombardieri su Damasco, questo non è perché la conservazione del regime siriano gli conviene, ma perché questo regime non è un boccone facile. Comunque, fornendo il loro supporto ai gruppi armati, gli Stati Uniti si rendono nondimeno complici dei massacri in Siria. La NATO e gli Stati Uniti arrivano quindi a completare il simpatico quadretto familiare del terrorismo anti-siriano, a fianco delle monarchie del Golfo, dei mercenari libici, dei propagandisti salafiti e di Al Qaeda.
Conclusioni
Il terrorismo anti-siriano è una realtà che salta subito agli occhi, in senso proprio come in senso figurato. Il suo esordio arriva ben prima della primavera araba. Durante gli anni ‘70 e ‘80, i Fratelli musulmani siriani ne sono stati i principali attori. Dopo aver messo il paese a ferro e fuoco, furono schiacciati dall’esercito siriano, soprattutto ad Hama nel 1982. Il regime baathista puntava sui mezzi militari per sradicare questo flagello, ma come spesso accade, la repressione ha avuto al contrario l’effetto di prorogare o addirittura amplificare la minaccia. Con il ritiro siriano dal Libano nel 2005, i movimenti jihadisti si sono stabiliti e rafforzati nella regione libanese di Tripoli, quindi nei campi palestinesi del paese dei Cedri. Hanno ritrovato una nuova giovinezza e l’opportunità di prendersi la loro rivinci
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