Lunedì 10 Dicembre 2012 09:56

Monti e la Siria. Vogliamo parlarne?


di  Francesco Santoianni*

Gli inquietanti sviluppi della guerra in Siria pongono tutti noi di fronte a scelte precise. 
Gli ultimi sviluppi della guerra dell’Occidente e delle Petromonarchie alla Siria (sofisticati armamenti consegnati ai “ribelli”, dispiegamento di missili Patriot in Turchia, invio - ormai alla luce del sole - di “istruttori militari”....) e la recente, agghiacciante, dichiarazione di Napolitano al 
Consiglio supremo della Difesa pongono i compagni e le organizzazioni, che parteciperanno all’assemblea del 15 dicembre a Roma e che promettevano il loro impegno qualora si fosse manifestato un “attacco esterno” alla Siria, di fronte a precise scelte.

Una è continuare a far finta che in Siria sia in corso un’altra “primavera araba”, per sostenere la quale la principale (e l’unica) cosa da fare è abbaiare – insieme al Governo Monti, i suoi partiti e i suoi mass media – contro il “regime di Assad”, additando nel contempo come “rossobruni” coloro che non si uniscono al coro; un’altra è aderire ad uno dei tanti ineffabili appelli che si limitano ad invocare per la Siria una generica “fine delle violenze” e/o “l’invio di una delegazione internazionale composta da personalità di alto livello allo scopo di discutere con i principali attori politici per aprire la strada a una soluzione politica del conflitto armato”; l’altra è mobilitarsi contro il Governo Monti anche per quello che sta facendo alla Siria.

Una scelta quest’ultima, ancora oggi, fatta da pochissimi compagni. 

Eppure il Governo Monti ha dapprima rotto le relazioni diplomatiche con Damasco, poi comminato sanzioni (anche per alimenti e apparecchiature medicali!), poi riconosciuto ufficialmente i “ribelli” (prima quelli del CNS ora quelli della Coalizione) quali “legittimi rappresentanti del popolo siriano”, poi – seguendo lo stesso copione della guerra alla Libia – ha inviato, più o meno nascostamente, soldi, armi e mercenari (come i quattro arrestati ad agosto alla frontiera con il Libano), poi ha negato il visto di ingresso a parlamentari siriani venuti ad incontrare loro colleghi italiani, poi ha spalleggiato la Turchia nelle sue provocazioni....

E tutto questo mentre notizie di “armi di distruzioni di massa” in mano ad Assad e di “bombardamenti indiscriminati sulla popolazione” continuano ad inondare i nostri mass media. Quasi a sottacere le ormai centinaia di autobombe fatte esplodere (nei mercati, nelle strade, davanti gli ospedali...) dai “ribelli”; le migliaia di civili inermi assassinati dai “ribelli” per non essersi schierati contro Assad; le centinaia di migliaia di profughi che scappano dalla guerra e dalla pulizia etnica e religiosa imposta dai “ribelli”.

Eppure la denuncia di questo massacro, ordito anche dal Governo Monti, ha trovato poco spazio in manifestazioni come Il NoMontiDay del 27 ottobre, nonostante l’invito rivolto dalla Rete NoWar.

Sarebbe più che mai opportuno uscire da ambiguità, resistenze e reticenze – sostanzialmente, le stesse di quelle che, un anno fa, hanno impedito il nascere di un movimento di massa contro la guerra alla Libia - che trovano il loro essere nella illusione che, in un modo o nell’altro, la distruzione di uno “stato canaglia”, pur se per mano dell’Occidente, può sprigionare un movimento di massa, un’altra “primavera araba”. La sorte toccata alla Libia è sotto gli occhi di tutti.

E sono stati proprio gli orrori della Libia (e dell’Iraq, e dell’Afghanistan...) a cementare, purtroppo, la stragrande maggioranza della popolazione siriana in oceaniche manifestazioni pro Assad. Non a caso per la Siria, il copione imposto dall’Occidente, si è concretizzato subito, (già dal marzo 2011) in assalti militari condotti da mercenari; un ininterrotto crudele stillicidio di attentati, esecuzioni, assalti.... mirante a far collassare la Siria. Altro che “manifestanti, a mani nude, repressi dal regime” idolatrati, in Italia, in qualche manifestazione. 

Fermiamo la guerra di Monti alla Siria. 

Se ci riuscissimo, acquisiremmo nei riguardi del popolo siriano quella credibilità indispensabile per fortificare le istanze di democrazia che hanno animato le vere “primavere arabe”. Se, invece, non facciamo nulla, se fingiamo che la Siria - come ieri la Libia - non esista, la prossima vittima sacrificale sarà l’Iran e poi la Bielorussia, e poi il Venezuela e poi Cuba... E forse, l’intero pianeta, con una nuova guerra mondiale.

Fermiamo la guerra di Monti alla Siria. 

Una guerra di aggressione che è doppiamente funzionale, all'apparato industriale e militare, alla rapina di risorse e a creare intorno a questa  un sistema di consenso funzionale alla democrazia delle bombe.

Fermiamo la guerra di Monti alla Siria. 

P.S. Ovviamente “Monti” o “Bersani”, la cosa non cambia.

* rete No War di Napoli



Lunedì 10 Dicembre 2012 09:26

Accelera l’escalation contro la Siria delle potenze occidentali, che sembrano decise a intervenire direttamente contro il paese dilaniato da una guerra civile che dura da quasi due anni senza che il sostegno internazionale ai ribelli abbia determinato la caduta del regime di Assad.

In particolare la stampa internazionale dà conto, nelle ultime ore, dell’attività frenetica di Gran Bretagna, Stati Uniti e Israele. Ieri il quotidiano britannico Sunday Times, citando fonti israeliane, ha scritto che unità speciali dell’esercito di Tel Aviv stanno agendo come ‘ricognitori’ in Siria con il compito di individuare armi chimiche e biologiche e di seguirne gli eventuali spostamenti. ''Nell'ultima settimana – dice la fonte, rimasta anonima - abbiamo avuto segnali di spostamenti e anche di munizioni che sono già state armate per colpire e abbiamo urgente bisogno di localizzarle''. La stessa fonte afferma che grazie ai suoi apparati di spionaggio – satelliti e droni – Israele è da anni a conoscenza dell’esatta collocazione delle armi chimiche e biologiche siriane. Ad affiancare Israele è il governo della Gran Bretagna, che da giorni ripete il mantra 'del pericolo rappresentato dalle armi chimiche in possesso di Assad'.

Ma un’altra fonte israeliana, questa volta rappresentata dal vicepremier Moshe Yaalon, contraddice questa versione dei fatti, affermando che “Non ci sono segnali che il regime siriano possa usare armi chimiche contro Israele”. Il che vorrebbe dire che i commando israeliani infiltrati in territorio siriano siano stati inviati a preparare una eventuale invasione del paese.

Rivela infatti ancora il Sunday Times che ha già preso il via un'operazione degli Stati Uniti per armare i ribelli siriani. Per la prima volta, secondo il giornale - che cita fonti diplomatiche bene informate - si avrebbero indicazioni precise sull'effettivo invio di armi agli insorti direttamente in territorio siriano. Secondo il domenicale britannico, mortai, granate e missili anti-tank viaggeranno attraverso paesi mediorientali ''amici'' che già sostengono i ribelli. Si tratterebbe per la maggior parte di armi recuperate (acquistate anche) dagli americani dagli arsenali libici di Muammar Gheddafi, deposto e assassinato un anno fa dopo l’intervento della Nato contro la Libia. Tra le armi consegnato all’Esercito Siriano Libero anche i missili anti-aerei portatili di fabbricazione russa Sa-7 'Strela', in grado di cambiare lo scenario sul terreno perché non consentirebbero più alle forze armate governative di colpire indisturbate dall'alto i miliziani ribelli.

L’altro ieri il governo siriano ha denunciato in una lettera all'Onu che ''alcuni Paesi'' potrebbero fornire armi chimiche ai ribelli spingendoli ad utilizzarle, per affermare poi che ''il governo siriano le ha usate''. Così come avvenne per l'Iraq, accusato di possedere armi di distruzione di massa – la famosa fialetta sventolata da Colin Powell all’Onu - che invece non esistevano, proprio per giustificare l'intervento armato contro il paese poi occupato e distrutto.