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Riflessioni di Tamara Bellone del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia


9 gennaio 2013

Quella guerra dimenticata. A 14 anni dalla guerra nei Balcani


Nell’estate del 2000 ero in Jugoslavia, per la precisione in Serbia a Kraljevo (1), in un campo di profughi serbi provenienti dal Kosovo. Un professore di storia in pensione organizzava corsi per intrattenere i bambini e i ragazzini. Mi disse: “L’aggressione della NATO alla Jugoslavia è stata la più grande sconfitta della classe operaia europea.” Infatti nel 1999, durante i bombardamenti sulla Serbia e il Montenegro (allora ancora erano Jugoslavia) l’opposizione alla guerra fu blanda, se da un lato la CGIL si schierò in modo vergognoso con il governo dalemiano, la sinistra, a parte il sindacato di base e qualche rara eccezione tra gli intellettuali, si fermò al “né con la NATO né con Milošević”.
Purtroppo ciò si ripercosse anche sul “dopo bombardamenti”. Gli aiuti agli operai jugoslavi della Zastava di Kragujevac furono frutto della solidarietà di molte fabbriche, ma ebbero per lo più il carattere di aiuto umanitario, non essendoci né vera e propria solidarietà politica. In realtà la Jugoslavia, polmone d’Europa, fu devastata da un immane disastro ecologico, che si ripercuote fino ad ora nella popolazione non solo della Serbia, ma dell’intera regione: basti pensare alle bombe cadute in Adriatico...
Si trattò di una vera e propria catastrofe, in quanto furono colpiti impianti industriali del settore chimico e petrolchimico, farmaceutico, alimentare, elettrico: serbatoi delle industrie petrolifere di decine di metri ridotti ad altezze di metri, fiumi inquinanti da quantità spropositate di componenti chimici, oli velenosi e cancerogeni immessi nel terreno...
Lo studio di questo tipo di catastrofe non è stato mai fatto, in quanto ben presto fu assalito il Parlamento serbo, da organizzazioni giovanili e non (Otpor) addestrate dai servizi americani, e lo stesso Milošević venne prelevato e portato all’Aja, dove poi morì in circostanze sospette. Nella provincia del Kosovo (ma non solo) furono inoltre sparati proiettili all’uranio impoverito, con ovvie conseguenze sulla salute della popolazione.
Durante e subito dopo i bombardamenti, gli operai e l’esercito si misero al lavoro in condizioni estreme per rimuovere le rovine, ripristinare gli impianti, e ricostruire. Nel frattempo, in Kosovo, arrivarono i soldati della KFOR nella miniera di piombo e zinco di Trepča (2), perché “le quantità di inquinanti che emanava erano sopra la soglia consentita dalla UE...”. Gli impianti della miniera erano sottoutilizzati, data la guerra, la Jugoslavia non faceva parte della UE, eppure coloro che avevano causato una delle più grandi catastrofi ecologiche del pianeta, si permettevano di occupare la miniera con una scusa grottesca...
Una vera e propria bonifica su tutto il territorio non c’è stata: e infatti la FIAT di Marchionne ha preteso che la zona su cui sorge la Zastava fosse bonificata, a spese... del governo serbo. Le conseguenze dell’aggressione NATO sono stati politiche: la costituzione di uno staterello etnico a partire da quella che era una provincia della Serbia e un territorio autonomo della Jugoslavia, staterello riconosciuto tra l’altro anche dall’Italia, è stato un precedente importante nella violazione del diritto internazionale, come del resto l’aggressione stessa nel ’99 aveva aperto le porte a quegli ossimori come “guerra umanitaria” che tanti danni hanno arrecato alla coscienza civile europea e alla capacità di analisi della sinistra, aprendo le porte ad ulteriori aggressioni, invasioni, uccisioni di capi di Stato o di nemici (ci ricordiamo i sorrisetti del segretario di stato Hillary Clinton di fronte al linciaggio di Gheddafi?). La dissoluzione della (già allora mini) Jugoslavia con la formazione di Serbia e Montenegro ha fatto capire che era di nuovo possibile alle potenze occidentali tracciare confini più consoni alle loro mire strategiche ed economiche. Una conseguenza militare è la costruzione della base americana in Kosovo, appunto. La prima operazione fu la costituzione di un governo più ligio ai desiderata di USA e UE (quando vi fu contrasto tra gli obiettivi vi furono attentati come quello a Đinđić). In generale all’interno i provvedimenti richiesti erano liberalizzazioni e privatizzazioni.
La devastazione del territorio jugoslavo (dai monumenti ortodossi, alle foreste, alle acque) fu necessaria per la deindustrializzazione dell’area dei Balcani e la completa penetrazione nel territorio della ex-Jugoslavia delle multinazionali. Basti ricordare che nel ’99 fu bombardata la fabbrica di medicinali Galenika, statale, mentre fu risparmiata la parte in possesso di privati (Soros), e che fu risparmiata un’acciaieria, che fu in seguito acquistata dalla U.S. Steel. Ma ad una scala molto differente non sta succedendo anche in Italia? Non c’è forse deindustrializzazione e nello stesso tempo progetti insensati di grandi opere pubbliche a scapito dell’ambiente e della salute? Non aveva ragione il professore di storia di Kraljevo? Perché nonostante tutti i richiami dei compagni jugoslavi, la sinistra europea non è stata in grado di opporsi con maggiore fermezza alla guerra, perché in troppi hanno bevuto le menzogne sulla pulizia etnica?

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Le prospettive in Serbia sono incerte, basate sulla mitizzazione dell’adesione alla UE, anche se i Paesi confinanti, già annessi, hanno gravi difficoltà economiche. La globalizzazione non offre grandi opportunità ai Paesi piccoli, a meno di improbabili fusioni... La Serbia importa il doppio di quello che esporta, con forti legami con la Comunità europea, sicché il cambio euro-dinaro è soggetto ad improvvise tensioni, a seconda del malessere economico dell’Unione (115 dinari circa per 1 euro). L’inflazione è dell’ordine del 10% e, in un contesto di depressione economica, erode in maniera drammatica il potere d’acquisto dei salari - già molto bassi rispetto alle medie europee, mentre i prezzi sono già allineati a quelli internazionali, e tendono a salire.
Ciò risulta in modo evidente da un dato tragico: la spesa delle famiglie per i consumi alimentari supera il 40% della spesa totale (in Italia è dell’ordine del 15%). Se si aggiungono le spese “incomprimibili” si vede che l’economia domestica serba è di pura sopravvivenza. In tale contesto, parlare di investimenti, di capitale straniero, è illusorio. Il salario medio è di circa 370 euro, alcune decine di migliaia di lavoratori lavorano senza percepire il salario. Il tasso di disoccupati è al 26%. Per quanto riguarda la FAS (Fiat Auto Serbia), come noto è nata dal contratto (capestro) tra la FIAT e il governo serbo, per assicurare un po’ di lavoro alla città di Kragujevac (3), dove per anni la Zastava, un tempo Crvena Zastava (Bandiera Rossa), aveva prodotto automobili (la più famosa è la Yugo), esportate in diverse parti del mondo, e dove, a poco a poco, con embarghi, bombardamenti, dopoguerra, la produzione era diminuita in modo impressionante. I dipendenti della FAS sono 2300, di cui 270 impiegati, il resto sono operai. I lavoratori sono neo assunti, a parte 720 che provengono dalla vecchia Zastava (la FIAT ha licenziato quasi tutti i lavoratori della Zastava). La linea funzionante è quella della 500L. Le auto prodotte sono spedite via mare da Bar (Montenegro) a Bari due volte la settimana, e una volta la settimana vanno anche in Germania. I turni di lavoro sono due (6-16 e 20-6) e molti lavoratori fanno anche un paio di ore di straordinario. La settimana lavorativa è di 4 giorni (dal lunedì al giovedì). Pause: 10 minuti, poi la mezz’ora per la mensa, altre due pause di 10 e 15 minuti.
I lavoratori della FAS si sono già mobilitati contro le pesantissime condizioni di lavoro: la FIAT si dichiara disponibile a trattare su aumenti di salario (10%) ma non su orari e turni. Gli iscritti al Samostalni Sindikat sono 860. Mi preme ricordare che il sindacato dei metalmeccanici della Zastava fu boicottato in generale dai sindacati europei e dai partiti di sinistra europei, in quanto “seguace di Milošević”... e spesso accusato di nefandezze.
In compenso il governo serbo è oberato dalle richieste della FIAT e minacciato da Marchionne: oltre alla bonifica, il governo serbo deve pagare anche le infrastrutture (strade, autostrade,...) cittadine e regionali, per consentire i trasporti delle merci FIAT. Attualmente ha richiesto una proroga, in quanto, come immaginabile, il bilancio dello Stato non consente gli ingenti pagamenti (4). Come dice una sindacalista della Zastava: è il governo serbo a pagare i lavoratori della FAS...


NOTE

(1) Kraljevo e Kragujevac furono teatro nell’ottobre del 1941 di due tra i più spaventosi eccidi della II Guerra Mondiale. L’esercito tedesco uccise rispettivamente circa 3000 e circa 7000 persone, in generale maschi, dai 15 anni agli 80. Infatti vi erano stati scontri tra partigiani e tedeschi, in cui erano morti una ventina di soldati tedeschi. E’ noto che i Tedeschi usavano un triste cambio nelle rappresaglie: per ogni soldato tedesco dovevano esser fucilati 10 Italiani, 50 Greci e 100 Slavi (Jugoslavi, Russi, ecc.). A Kragujevac “dovevano” essere fucilati 2000 civili, ne furono in alcuni giorni fucilati nell’orgia di sangue circa 7000: tra gli altri gli studenti e i professori del locale ginnasio e molti piccoli Rom lustrascarpe, che si erano rifiutati di lustrare gli stivali ai soldati tedeschi. A Kraljevo vennero fucilati tra gli altri molti operai e ferrovieri. Un racconto della strage si trova nel libro di Giacomo Scotti: Kragujevac, la città fucilata. Milano, 1967. Una famosissima poesia di Desanka Maksimović, Krvava bajka (La fiaba insanguinata), ricorda gli studenti uccisi. Nel parco delle rimembranze di Kragujevac, esistono monumenti, a suo tempo donati dalle varie Repubbliche della Jugoslavia, a ricordo della strage. Il più famoso è il monumento a forma di V, che simboleggia la classe sterminata. 
(2) Il complesso minerario di Trepča, ricco di piombo, zinco, argento, oro, fu nazionalizzato dalla Jugoslavia di Tito, come del resto tutte le risorse minerarie del territorio, in precedenza in mano a compagnie private francesi, inglesi, belghe. Attualmente, nel Kosovo “albanesizzato”, si parla di privatizzazione.
(3) Kragujevac fu fondata nel XIV secolo. Divenne il centro delle ribellioni nazionali nei primi decenni del 1800 contro l'occupazione turca, e nel periodo 1818-1839 fu la capitale del Regno di Serbia. Proprio di quel periodo furono dunque qui fondate le prime istituzioni culturali, economiche ed educative del Paese: la prima Università serba fu fondata proprio in questa città nel 1838, come pure le prime Scuole Superiori il Teatro e la Scuola Militare. In seguito a Kragujevac si sviluppò un forte movimento operaio comunista, là dove era nata una fabbrica di armi. Fu paragonata per la sua storia a Torino. L'Università di Kragujevac riveste ancora oggi particolare importanza soprattutto per l’Ingegneria meccanica.
(4) Le notizie riguardanti la FAS sono state raccolte da Gilberto Vlaic (CNJ) durante i periodici viaggi per portare avanti progetti di solidarietà della ONLUS Non Bombe ma Solo Caramelle- Trieste.