Da: "Curzio Bettio"Data: 04 febbraio 2013 16.13.17 GMT+01.00Oggetto: Curzio invia articolo su bombardamento israeliano sulla SiriaEcco un articolo che illustra bene, sempre a mio parere, l'attuale situazione politico-militare in Siria e una possibile spiegazione dell'attacco aereo di Israele su postazioni siriane, avvenuto la settimana scorsa. Cordialissimi saluti. Curzio
L’attacco aereo israeliano contro la Siria: il disperato tentativo di salvare dal fallimento la guerra “sotto copertura USA-NATO”.
Quando i Sionisti e gli “Jihadisti” si prendono per mano.
di Tony Cartalucci ; Global Research News
(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
Global Research, 31 gennaio 2013
Il 29 gennaio 2013, Israele ha scatenato attacchi aerei contro la Siria, in flagrante violazione della Carta delle Nazioni Unite, del diritto internazionale, e in diretta violazione della sovranità della Siria, sulla base di “sospetti” trasferimenti di armi chimiche.
The Guardian in un suo articolo dal titolo “Israel carries out air strike on Syria,” “Israele compie un raid aereo sulla Siria”, afferma:
“Gli aerei da guerra israeliani hanno attaccato un obiettivo vicino al confine siriano-libanese dopo diversi giorni di avvertimenti sempre più intensi lanciati da funzionari del governo di Israele contro la Siria, a causa di un presunto ammassamento di armi.”
Inoltre, il documento continua:
“Israele ha messo in guardia pubblicamente che ci sarebbe stata un’azione militare per impedire che le armi chimiche del regime siriano cadano nelle mani di Hezbollah in Libano o in quelle di “jihadisti globali”, che combattono all’interno della Siria.
Il servizio di spionaggio militare israeliano afferma di stare controllando ventiquattro ore su ventiquattro la zona via satellite per possibili convogli che trasportano armi.”
In realtà questi “jihaidisti globali” sono di fatto armati e finanziati dagli Stati Uniti, dall’Arabia Saudita e da Israele almeno a partire dal 2007 (by the US, Saudi Arabia, and Israel since at least as early as 2007.)
Inoltre, a tutti gli effetti, sono costoro i diretti beneficiari dell’attuale aggressione da parte di Israele.
I “sospetti” di Israele su “trasferimenti di armi”, ovviamente, restano da confermare, perché lo scopo dell’attacco non era quello di impedire il trasferimento di “armi chimiche” agli Hezbollah in Libano, ma di provocare un conflitto più ampio volto non alla difesa di Israele, ma al salvataggio delle forze terroriste delegate dell’Occidente, che si dibattono in difficoltà all’interno della Siria nel tentativo di sovvertire e rovesciare la nazione siriana.
Il silenzio delle Nazioni Unite è assordante.
Mentre la Turchia ospita apertamente basi di terroristi stranieri, (arming and funding them) armati e finanziati dall’Occidente, dall’Arabia e dal Qatar, pronta cassa, (Saudi, and Qatari cash ) per condurre incursioni nella vicina Siria, qualsiasi attacco siriano sul territorio turco avrebbe come conseguenza immediata la mobilitazione delle Nazioni Unite.
Al contrario, alla Turchia è consentito, per anni, di condurre attacchi aerei (to conduct air strikes) e perfino invasioni di terra del confinante Iraq, seppure parziali (partial ground invasions), per attaccare gruppi di Curdi accusati di minacciare la sicurezza della Turchia.
È chiaro che questo doppio metro di giudizio è da tempo applicato anche in favore di Israele.
Israele, insieme a Stati Uniti & Arabia Saudita, fra gli sponsor più importanti di Al Qaeda.
Va ricordato che nel lontano 2007, veniva ammesso da funzionari degli Stati Uniti, dell’Arabia Saudita e del Libano che erano proprio gli Stati Uniti, Israele e l’Arabia Saudita ad intenzionalmente armare, finanziare, e organizzare questi “jihadisti globali” direttamente vincolati ad Al Qaeda, allo scopo esplicito di rovesciare i governi di Siria ed Iran.
Questo veniva ribadito dal giornalista vincitore del Premio Pulitzer Seymour Hersh nel suo articolo sul New Yorker, “The Redirection,” in cui affermava:
“Per indebolire l’Iran, che è prevalentemente sciita, l’amministrazione Bush ha deciso, in buona sostanza, di riconfigurare le sue priorità in Medio Oriente.
In Libano, l’amministrazione ha collaborato con il governo dell’Arabia Saudita, che è sunnita, in operazioni clandestine che hanno lo scopo di indebolire Hezbollah, l’organizzazione sciita sostenuta dall’Iran.
Inoltre, gli Stati Uniti hanno preso parte ad operazioni segrete dirette contro l’Iran e il suo alleato Siria. Un prodotto collaterale di queste attività è stato il rafforzamento di gruppi estremisti sunniti che sposano una visione militante dell’Islam e sono ostili agli Stati Uniti d’America e sodali con Al Qaeda.”
Di Israele, è specificamente indicato:
“Il cambiamento di politica ha indotto l’Arabia Saudita e Israele in un nuovo abbraccio strategico, soprattutto perché entrambi i paesi vedono l’Iran come una minaccia alla loro esistenza. I due paesi sono stati impegnati in colloqui diretti, e i Sauditi, che credono che una maggiore stabilità in Israele e in Palestina possa rendere l’Iran meno influente nella regione, sono i più convinti nel portare avanti i negoziati arabo-israeliani.”
Per giunta, funzionari sauditi sottolineavano come il loro paese avesse la necessità di esercitare un’attenta azione di equilibrio in modo da non rendere evidente il suo ruolo nel sostenere le ambizioni USA-Israele in tutta la regione:
“I Sauditi affermavano che, secondo il punto di vista del loro paese, ci si assumeva un rischio politico nell’imbarcare gli Stati Uniti nella sfida contro l’Iran: Bandar è già visto nel mondo arabo come troppo vicino all’amministrazione Bush.”
[ N.d.tr.: Bandar bin Sultan è un membro della famiglia reale saudita ed è stato ambasciatore dell’Arabia Saudita negli Stati Uniti dal 1983 al 2005. Nel 2005, è stato nominato Segretario Generale del Consiglio di Sicurezza Nazionale. Il 19 luglio 2012 ha assunto l’incarico di Direttore generale dell’Agenzia di intelligence dell’Arabia Saudita per volontà diretta del re Abdullah.]
Un ex diplomatico mi interpellava così: “Abbiamo due incubi, che l’Iran acquisisca la bomba atomica e che gli Stati Uniti attacchino l’Iran. Preferisco che siano gli Israeliani a bombardare gli Iraniani, e noi allora potremo condannare gli Israeliani. Se lo fanno gli Stati Uniti d’America, la colpa sarà nostra!”
Può interessare ai lettori sapere che, mentre la Francia invade e occupa vaste aree del Mali in Africa, accusando il Qatar di finanziare e armare gruppi terroristici nella regione collegati ad Al Qaeda (accusing the Qataris of funding and arming Al Qaeda-linked terrorist groups), la Francia, gli Stati Uniti e Israele stanno lavorando in tandem con il Qatar, finanziando e armando questi stessi gruppi in Siria.
In effetti, il centro studi statunitense, la Brookings Institution, ha un suo “Doha Center” con sede proprio in Qatar, mentre il Brookings “Saban Center” di Haim Saban, un cittadino israelo-statunitense, organizza incontri, e molti componenti del suo consiglio di amministrazione sono
anche residenti a Doha, Qatar.
.
Doha è anche servita da sede territoriale per la creazione (as the venue for the creation) della più recente “Coalizione siriana” dell’Occidente, guidata da Moaz al-Khatib, un sostenitore senza alcun imbarazzo di Al Qaeda (an unabashed supporter of Al Qaeda).
Tutti questi sono particolari che dimostrano gli accordi complottistici documentati da Seymour Hersh nel 2007.
Il Wall Street Journal, sempre nel 2007, riferiva sui piani dell’amministrazione degli Stati Uniti di Bush per creare un sodalizio con i Fratelli Musulmani della Siria, e sottolineava come il gruppo fosse l’ideologico ispiratore delle organizzazioni terroristiche collegate con la stessa Al Qaeda. Nell’articolo intitolato “To Check Syria, U.S. Explores Bond With Muslim Brothers” – “Per controllare la Siria, gli Stati Uniti vanno alla ricerca di un collegamento con i Fratelli Musulmani” si legge:
“In un pomeriggio umido di fine maggio, circa 100 sostenitori del più grande gruppo di oppositori siriani in esilio, il Fronte di Salvezza Nazionale, si sono riuniti davanti all’ambasciata di Damasco per protestare contro il governo del presidente siriano Bashar Assad. I partecipanti hanno gridato slogan anti-Assad e innalzato striscioni con su scritto: “Cambiamo il regime adesso!”.
Il Fronte di Salvezza Nazionale riunisce democratici liberali, Curdi, marxisti ed ex funzionari siriani, nel tentativo di trasformare il regime dispotico del presidente Assad.
Ma la protesta di Washington è anche servita da connessione fra una coppia di attori, la peggioassortita - il governo degli Stati Uniti e la Fratellanza Musulmana.”
L’articolo inoltre segnalava:
“Negli ultimi mesi, anche diplomatici e politici statunitensi hanno incontrato legislatori e parlamentari di fazioni collegate con la Fratellanza Musulmana in Giordania, Egitto ed Iraq per ascoltare le loro opinioni sull’attuazione di riforme democratiche in Medio Oriente, come asserito dai funzionari degli Stati Uniti.
Il mese scorso, un’unità del servizio segreto del Dipartimento di Stato ha organizzato una conferenza di esperti sul Medio Oriente per esaminare i pro e i contro di un impegno con la Fratellanza, in particolare in Egitto e in Siria.”
Il documento descrive i legami ideologici e operativi tra la Fratellanza e Al Qaeda:
“Oggi, le relazioni fra la Fratellanza e gli attivisti islamisti, con Al Qaeda in particolare, sono fonte di molte discussioni.
Osama bin Laden e altri leader di Al Qaeda citano le opere dell’ideologo della Fratellanza, Sayyid Qutb (accusato di apostasia e giustiziato in Egitto il 29 agosto 1966 tramite impiccagione), come fonte di ispirazione per la loro crociata contro l’Occidente e i dittatori arabi. Membri del braccio armato della Fratellanza egiziana e siriana hanno continuato ad assumere ruoli di primo piano nel movimento di Mr. bin Laden.”
Eppure, nonostante tutto questo, gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e il Qatar, insieme ad Israele e alla Turchia, stanno apertamente tramando con costoro; per anni hanno continuato ad armare e finanziare questi gruppi terroristici di estremisti decisamente settari, in tutto il mondo arabo, dalla Libia all’Egitto, e ora in Siria e ai suoi confini.
I timori di Israele che questi terroristi arrivino ad impossessarsi di “armi chimiche” sono assurdi. Costoro già se ne erano impossessati nel 2011 in Libia (in Libya in 2011 ) con la complicità degli Stati Uniti, della NATO, della Gran Bretagna, dell’Arabia Saudita, del Qatar e perfino di Israele.
Di fatto, i medesimi terroristi libici sono alla testa dei gruppi di miliziani stranieri (are spearheading the foreign militant groups) che si stanno riversando all’interno della Siria, attraverso il confine turco-siriano.
Quello che l’attacco di Israele può davvero significare
In buona sostanza, la spiegazione di Israele sul perché ha colpito la vicina Siria è debole come non mai, per il timore che armamenti possano cadere nelle mani di terroristi, considerando i suoi documentati rapporti allacciati da lungo tempo con questi “jihaidisti globali” nel finanziarli ed armarli.
Anche i timori di Israele su Hezbollah sono parimenti infondati - Hezbollah, o i Siriani, o gli Iraniani fossero stati interessati a piazzare armi chimiche in Libano, lo avrebbero già fatto, e certamente lo avrebbero fatto utilizzando altri mezzi ben diversi da convogli in piena vista semplicemente “attraversanti il confine”.
Hezbollah. ha già dimostrato di essere in grado di sconfiggere l’aggressore Israele con armi convenzionali, come dimostrato durante l’estate del 2006.
In realtà, la pressione esercitata sulle frontiere della Siria sia da Israele che dal suo partner, la Turchia del primo ministro Recep Tayyip Erdogan, al nord, fa parte di un piano documentato per allentare la pressione sulle milizie che operano all’interno della Siria, armate e finanziate dall’Occidente, da Israele, dall’Arabia Saudita-Qatar.
Il sopracitato centro studi di politica estera degli Stati Uniti, finanziato da Fortune 500 (vedi pagina 19) [Fortune 500-funded (page 19)], la Brookings Institution - che aveva nel suo programma progetti per un cambiamento di regime in Libia, così come in Siria e nell’Iran, (in Libya as well as both Syria and Iran) – ha ribadito questo in modo specifico nel suo rapporto intitolato “Assessing Options for Regime Change. - Valutazione delle opzioni per un cambio di regime.”
[N.d.tr.: Fortune 500 è una lista annuale compilata e pubblicata dalla rivista Fortune che classifica le 500 maggiori imprese societarie statunitensi misurate sulla base del loro fatturato.]
Nell’immagine: Medio Oriente; marzo 2012; Memo # 21 della Brookings Institution “Assessing Options for Regime Change (.pdf), - Valutazione delle opzioni per un cambio di regime”.
“La Siria è intrappolata sull’orlo di un precipizio che si sta sgretolando, e comunque avvenga il crollo, questo comporterà rischi significativi per gli Stati Uniti e per il popolo siriano.
Il brutale regime di Bashar al-Assad sta impiegando le sue forze militari lealiste e criminali settari per schiacciare l’opposizione e riaffermare la sua tirannia.
Anche se Bashar cadesse, la Siria non potrebbe dirsi fuori dei guai: esiste un’alternativa sempre più probabile all’attuale regime, vale a dire una sanguinosa guerra civile del tutto simile ai conflitti a cui noi abbiamo assistito in Libano, Bosnia, Congo, e più di recente in Iraq.
Gli orrori di un tale conflitto potrebbero perfino eccedere la brutale riaffermazione del controllo di Assad, ed espandersi a macchia d’olio ai paesi vicini della Siria – Turchia, Iraq, Giordania, Libano, ed Israele – con risultati disastrosi per loro e per gli interessi usamericani nel Medio Oriente.
Tuttavia, la rivolta in Siria, che ora sta entrando nel suo secondo anno di attività, offre anche alcune rilevanti opportunità, che potrebbero derivare dalla caduta del regime di Bashar al-Assad, la cui famiglia ha governato il paese con pugno di ferro per oltre quarant’anni.
La Siria è il più vecchio e il più importante alleato dell’Iran nel mondo arabo, e il regime iraniano ha puntato doppio su Assad, fornendogli aiuto finanziario e sostegno militare per puntellare il suo regime. L’uscita di scena di Assad potrebbe assestare un duro colpo a Teheran, isolando ulteriormente l’Iran in un’epoca in cui questo paese può vantare pochi amici nella regione e nel mondo.
Per giunta, Damasco è risoluto nel suo atteggiamento ostile nei confronti di Israele, ed inoltre il regime di Assad sta appoggiando da tanto tempo gruppi terroristici, come Hezbollah ed Hamas, e in qualche occasione ha aiutato i terroristi di al-Qaeda ed elementi dell’ex regime in Iraq.
Quindi, il collasso del regime potrebbe procurare significativi vantaggi agli Stati Uniti e ai loro alleati nella regione.
Comunque, spodestare effettivamente Assad non sarà facile. Sebbene l’amministrazione Obama per mesi abbia lanciato appelli perché Assad se ne vada, ogni opzione politica per la sua rimozione si è incrinata, e qualcuno potrebbe anche rendere la situazione ancora peggiore, ad esempio proponendo una ricetta all’inazione.
Tuttavia, fare nulla significa stare a guardare mentre Assad massacra il suo popolo, e la Siria sprofonda nella guerra civile, con il rischio della dissoluzione dello Stato.
Già la violenza è incredibile: dal marzo 2012, nel tentativo di far crollare il regime, almeno 8.000 Siriani sono stati uccisi e migliaia sono stati arrestati e torturati. Nello stesso tempo, la Siria si sta disgregando. L’opposizione siriana rimane divisa e l’Esercito Libero Siriano è più una sigla, che una formazione armata significativa e coesa.
Al-Qaeda sta sollecitando combattenti a gettarsi nella mischia siriana, e sono in aumento uccisioni settarie e atrocità. Dovesse la violenza aumentare di intensità, i paesi vicini della Siria potrebbero accrescere la loro ingerenza, l’instabilità potrebbe espandersi, e paesi come l’Iraq e il Libano già di per sé fragili potrebbero vedersi ulteriormente indeboliti.
Allora, per la protezione degli interessi degli Stati Uniti, Assad non può prevalere.
Ma dal crollo della Siria, dalla sua rovina a causa della guerra civile, potrebbe derivarne un bene come un male.
Per questo, la politica degli Stati Uniti deve muoversi con grande equilibrio, cercando di rimuovere Assad, ma in maniera tale che la Siria rimanga uno Stato integro, in grado di controllare i propri confini e di assicurare l’ordine interno.
Alla fine, in buona sostanza, la rimozione di Assad potrebbe dimostrarsi non tanto realizzabile.”
In questo documento non si fa segreto che l’umanitaria “responsabilità di fornire protezione” per salvare la Siria non è altro che un pretesto per un cambio di regime a lungo pianificato.
Brookings indica come gli sforzi israeliani nel sud della Siria, in combinazione con il dispiegamento da parte della Turchia di grandi quantità di armamenti e truppe lungo il confine a nord, potrebbero contribuire efficacemente a un cambiamento di regime violento in Siria:
“Inoltre, i servizi di intelligence di Israele hanno una forte conoscenza della Siria, così come delle attività all’interno del regime siriano che potrebbero essere utilizzate per sovvertire le basi del potere del regime ed esercitare pressioni per la rimozione di Assad.
Israele potrebbe posizionare forze sopra o vicino le alture del Golan e, in tal modo, potrebbe distrarre forze del regime dall’opera di soppressione dell’opposizione. Questa dislocazione di forze potrebbe suscitare nel regime di Assad timori di un conflitto su più fronti, particolarmente se la Turchia è disposta a fare lo stesso sul suo confine, e se l’opposizione siriana viene alimentata con forniture costanti di armi e di addestramento. Una tale mobilitazione potrebbe forse convincere gli alti gradi militari della Siria a cacciare Assad, con l’obiettivo di salvare se stessi.
I sostenitori di questa strategia reputano che questa pressione addizionale potrebbe far pendere la bilancia contro Assad all’interno della Siria, se altre forze venissero schierate tutte nella stessa direzione in modo opportuno.” - page 6, Assessing Options for Regime Change, Brookings Institution - pagina 6, della “Valutazione delle opzioni per un cambio di regime”, Brookings Institution.
Naturalmente, gli attacchi aerei all’interno della Siria vanno oltre “il posizionamento di forze”, e indicano forse il grado di esasperazione in Occidente, dove sembra abbiano eletto il loro capo canaglia, Israele, per un “intervento” sempre più accentuato con riferimento a un attacco all’Iran, proprio come si era progettato (just as they had planned in regards to attacking Iran) - e documentato da Brookings in un rapporto dal titolo “Which Path to Persia? - Quale percorso verso la Persia?”
Per quanto riguarda l’Iran, in questa relazione di Brookings si afferma specificamente:
“Sembra che Israele abbia già accuratamente pianificato e compiuto esercitazioni per un attacco di questa portata, e la sua forza aerea probabilmente è già dislocata il più vicino possibile all’Iran.
In quanto tale, Israele potrebbe essere in grado di lanciare l’attacco nel giro di settimane o addirittura di giorni, e questo dipende dalle condizioni meteo e di intelligence le più opportune.
In più, dal momento che Israele avrebbe pochissime necessità (o interessi) di garantirsi un appoggio regionale in questa operazione, Gerusalemme probabilmente si dimostra meno disposta ad attendere una provocazione iraniana prima di attaccare.
In breve, Israele potrebbe passare all’azione molto velocemente per dare esecuzione a questa opzione, se entrambe le dirigenze di Israele e degli Stati Uniti si decidessero che ciò avvenga.
Tuttavia, come osservato in precedenza, gli stessi attacchi aerei costituiscono in realtà solo l’inizio di questa politica. D’altra parte, gli Iraniani andrebbero senza dubbio a ricostruire i loro siti nucleari. Probabilmente il loro desiderio sarebbe quello di restituire pan per focaccia ad Israele, e anche potrebbero rivalersi contro gli Stati Uniti, (che potrebbero creare un pretesto per attacchi aerei statunitensi o addirittura un’invasione).”- pagina91, Which Path to Persia?, Brookings Institution.
E da queste affermazioni possiamo intuire e dedurre cosa ci sia nel retroscena, dietro l’attitudine guerrafondaia, altrimenti irrazionale, (otherwise irrational belligerent posture) di Israele nel corso della sua breve storia, così come nel suo più recente atto di aggressione non provocata contro la Siria.
Il ruolo di Israele è quello di recitare la parte del “cattivo”.
Come testa di ponte nella regione per gli interessi del capitale finanziario dell’Occidente, Israele introduce sempre un “piede nella porta” in ognuno dei molti conflitti desiderati fortemente dall’Occidente.
Bombardando la Siria, Israele spera di provocare un conflitto più ampio - un intervento che l’Occidente ha voluto e progettato fin dal momento in cui nel 2011 ha iniziato a soffiare sul fuoco di un conflitto violento in Siria.
Per la Siria e i suoi alleati – l’obiettivo ora deve essere quello di scoraggiare ulteriori aggressioni israeliane e di evitare a tutti i costi l’allargamento del conflitto. Se le forze terroristiche che agiscono per procura della NATO sono così deboli come sembra - incapaci di conquiste sul terreno sia tattiche che strategiche, e in fase di disgregazione a causa dei loro disperati attacchi, è solo una questione di tempo l’arresto subitaneo della campagna della NATO.
Come accennato prima, un tale insuccesso da parte della NATO sarà l’inizio della fine dell’aggressione, e degli interessi occidentali che l’hanno sfruttata come strumento per acquisire egemonia geopolitica.
Per questo è possibile che Israele si impegni in azioni sempre più estreme e disperate per provocare la Siria e l’Iran, visto che i suoi governanti rappresentano direttamente gli interessi del capitalismo straniero delle imprese e della finanza, non gli interessi migliori per il popolo di Israele, (tra cui la pace e perfino la sua sopravvivenza).
Per il popolo di Israele, questo deve rendersi conto che i suoi dirigenti in effetti non lo rappresentano, e nemmeno operano in favore dei suoi interessi, e che gli attuali governanti di Israele sono capaci, anzi entusiasti, di spendere le vite e le fortune dei loro cittadini al servizio degli interessi stranieri delle corporation e della finanza e dell’egemonia globale.
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