L’arte della guerra
A Tripoli Di Paola e 20 Puma
Manlio Dinucci
Mentre promette nel suo spot elettorale «riforme radicali contro gli sprechi e la corruzione», Mario Monti invia a Tripoli il ministro della difesa Di Paola con un pacco dono da circa 100 milioni di euro: 20 veicoli blindati da combattimento Puma, consegnati «a titolo gratuito» (ossia pagati con denaro pubblico dai contribuenti italiani) ai governanti libici, il cui impegno anti-corruzione è ben noto. Un gruppo di potere, al cui interno sono in corso feroci faide, chiamato in causa dallo stesso Consiglio di sicurezza dell’Onu per «le continue detenzioni illegali, torture ed esecuzioni extragiudiziarie».
Tutto perfettamente legale, però. La legge sulle missioni internazionali delle Forze armate per «il consolidamento dei processi di pace e stabilizzazione», approvata tre settimane fa dal senato con voto bipartisan quasi unanime, autorizza la spesa per prorogare l’impiego di personale militare italiano in attività di «assistenza, supporto e formazione in Libia» allo scopo di «ripristinare la sicurezza pubblica». L’Italia si accoda così agli Stati uniti, che stanno formandouna forza d’élite libica con il compito ufficiale di «contrastare e sconfiggere le organizzazioni terroriste ed estremiste violente».
Le stesse usate nel 2011 dalle potenze occidentali per seminare il caos in Libia, mentre la Nato la attaccava con i suoi cacciabombardieri e forze speciali (comprese quelle qatariane) infiltrate. Le stesse organizzazioni terroriste che vengono oggi armate e addestrate dalla Nato, anche in campi militari in Libia, per seminare il caos in Siria.
Il segretario alla difesa Leon Panetta ha dichiarato al Congresso che, sin dall’anno scorso, il Pentagono arma i«ribelli» in Siria. La maggior parte non è costituita da siriani, ma da gruppi e militanti di altre nazionalità, tra cui turchi e ceceni. Da fonti attendibili risulta che vi siano anche criminali sauditi, reclutati nelle carceri, cui viene promessa l’impunità se vanno a combattere in Siria.
Compito di questa raccogliticcia armata è quello di seminare il terrore all’interno del paese: con autobombe cariche di esplosivi ad alto potenziale, con rapimenti, violenze di ogni tipo soprattutto sulle donne, assassini in massa di civili. Chi non è debole di stomaco può trovare su Internet video girati dagli stessi «ribelli»: come quello di un ragazzino che viene spinto a tagliare la testa, con una spada, a un civile con le mani legate dietro la schiena.
Sempre più, in Siria come altrove, la strategia Usa/Nato punta sulla «guerra segreta». Non a caso Obama ha scelto quale futuro capo della Cia John Brennan, consigliere «antiterrorismo» alla Casa bianca, specialista degli assassini a distanza con i droni armati, responsabile della «kill list» autorizzata dal presidente. Dove non è escluso che ci fosse anche il nome di Chokri Belaid, il dirigente tunisino ucciso da killer professionisti con tecnica tipicamente terrorista.
(il manifesto, 12 febbraio 2013 - http://www.ilmanifesto.it/)
Elezioni 2013, panico a palazzo: cosa si inventeranno i lavapiatti della Nato?
A pochi ore dal voto il palazzo è nel panico. Se ne sentono di ogni colore. Da quel poveraccio di Giannino, caleidoscopio vivente, che si è inventato il master in America, e due lauree finte (esagerato!); a Bersani, che forse progetta di comprare un mazzo di grillini; a Berlusconi, che sogna il sorpasso come nel famoso film; a Monti che, sempre più ieratico, celebra la messa nel tempio bancario con corredo di cagnolini. Quest’ultimo, francamente, è il più comico della compagnia.
Hanno paura. Le sedie traballano. Il fatto è che non sono abituati ad avere un’opposizione, e adesso ne avranno più d’una: che immaginano composta di selvaggi sconosciuti e vocianti, orde di popolo che stanno per invadere il parlamento. Che fare? Ci sarà da piangere e da ridere. Questo conferma quanto dissi prima che cominciasse la campagna elettorale: che si sarebbe dovuto fare ogni sforzo per costruire una unica lista di opposizione; che c’erano le condizioni per mettere in pericolo il premio di maggioranza al Pd.
Comunque una chiara maggioranza non ci sarà. Meglio così che affondare come dei topi nella trappola europea, per giunta senza formaggio. Dunque sarà opportuno prepararsi a ballare nel mare in tempesta. Del resto anche “loro” si preparano. Avrete notato che Napolitano è stato convocato a Washington, da Obama, a pochi giorni dal voto. Siamo all’impudenza, visto che non mi sovviene nulla di analogo. Di che avranno parlato?
Io penso abbiano parlato del ‘pasticcio italiano’. Risulta che si è parlato anche delle basi americane e Nato, in Italia. E anche questo non è stato evento casuale. Ma non si sono limitati a questo. Certamente uno dei punti all’ordine del giorno è stato la ‘crisi di governo’ che uscirà dalle urne. Notato il paradosso? Le urne dovrebbero produrre le condizioni per fare un governo e, invece, produrranno una crisi di governo. E dunque perché stupirsi se Napolitano fosse andato da Obama a spiegargli che si appresta a cucinargli, e cucinarci, un altro ‘governo tecnico’? Certo non sarà un Monti-2, perché Monti finirà quarto, addirittura dietro Grillo. E potrebbe non essere nemmeno un Bersani-1, che al massimo sta nella parte del cameriere del Bar Sport Centrale (con annessa ricevitoria del Lotto) di Reggio Emilia.
Impresa che potrebbe costringerli, i manovratori, a inventare un nuovo maggiordomo Goldman Sachs. Che sarebbe il loro ideale organizzatore dello shopping dei gioielli industriali italiani, con una privatizzazione da fare quasi invidia a quella del 1992. Fatta a base di dollari falsi, cioè inventati.
Il fatto è che il primo tentativo di governo che faranno produrrà, loro malgrado, un ‘gabinetto di guerra’. Avete dimenticato la Siria? Male. Tenetela presente perché andremo in Siria a zampettare nel sangue. Avete dimenticato l’Iran? Male. Tenetelo a mente, perché incombe un attacco israelo-americano, checché ne dica, o finga di dire, Barack Obama. Napolitano gli ha sussurrato nell’orecchio che “noi ci saremo”. Come al solito, per non smentire ciò che si dice nei corridoi di Bruxelles, cioè che noi siamo considerati ilavapiatti della Nato. Niente di nuovo.
E così avremo occasione di misurare la statura dell’opposizione in Parlamento. Già, perché questa volta ci sarà un’opposizione. Anzi ce ne saranno tre. Quali?, direte.
Ci sarà il battaglione di Grillo, e sarà inopinatamente grosso. Tanto grosso, appunto, da terrorizzare i piani alti. Ci sarà il drappello di Ingroia, e potrebbe essere discreto. Ci sarà anche una parte dei “selliani”. Ora io non so cosa succederà a tutta questa gente dopo il 25 febbraio. Immagino considerevoli problemi nel tenere insieme le truppe del Movimento 5 Stelle. Prevedo che la lista Ingroia sarà soggetta a forti scossoni e laceranti nelle sue componenti dipietrista, verde slavato e falcemartellista. Ma prevedo anche che ci saranno maldipancia pre-diarrea anche in non pochi deputati entrati nella lista di Vendola con l’idea ingenua di fare da spalla sinistra a un programma di destra.
Vedremo. Ma non è difficile prevedere che per molti di queste new entry all’opposizione sarà molto scomodo, o proprio inaccettabile, andare in guerra. Alcuni – li conosciamo già per nome e cognome - in guerra ci andranno senza problemi, magari cantando inni di pace. Ma molti altri non ci andranno. Altri ancora, ingenui, ma onesti, avranno bisogno di molto Maloox per votare i provvedimenti del fiscal compact. Insomma c’è odore di bruciato. Il nostro prode Napolitano, tra una telefonata e l’altra a Mancino, ha sicuramente promesso a Obama che terrà il timone e poi lo passerà a persona fidata, ma potrebbe non poter mantenere le promesse.
Molto di quello che succederà dipenderà anche da quello che facciamo noi (che siamo fuori). Se riusciremo a far sorgere dal paese una forte protesta sociale, cioè se creeremo una solida ‘maniglia’, allora parecchi di questi homines novi all’opposizione potrebbero impugnarla, aggrapparvisi. Ma questo presuppone l’avvio della tessitura di una grande coalizione di ‘salvezza nazionale’. Quello che non si è saputo e potuto fare prima di questo voto, lo si potrebbe cominciare a fare adesso. E potrebbe essere molto utile in vista di possibili elezioni anticipate, o per le europee del 2014, o per fronteggiare la repressione che verrà. Sicuro che verrà. Se guardo alle notizie che vengono da oltre Oceano, che ci annunciano un piano per costruire 30 mila droni di sorveglianza, che saranno in grado di spiare sui cittadini americani 24 ore su 24, penso che laggiù preparano qualche offensiva orwelliana contro i loro cittadini.
Quelli che, qui, adesso, tremano stanno preparando, d’intesa con Washington, un “piano B”. Ma quando si ha paura si possono fare mosse false, anche senza volere. In questi casi – è accaduto nella storia – mentre ci prepariamo per difenderci, potremmo anche cominciare a pensare di poter vincere.
US blocks UN resolution condemning Damascus terror bombings
By Alex Lantier - 23 February 2013
Yesterday US officials blocked a Russian-sponsored resolution at the United Nations Security Council condemning Thursday’s multiple terror bombings in the Syrian capital, Damascus.
The death toll of the bombings, which came amid the ongoing US-led proxy war to oust Syrian President Bashar al-Assad, rose to 83 yesterday, with over 200 wounded. Some 22 people died in three car bombings in northern Damascus. The main car bomb in central Damascus near the ruling Baath Party headquarters and a school killed 63, including many children.
Though no one has taken responsibility for the bombing, it was widely suspected to be the work of the Al Nusra Front, an Al Qaeda-linked group active in the US-backed opposition to Assad, which recently declared that it would launch an offensive to “liberate Damascus.”
When Russian officials presented a UN Security Council Resolution condemning the Damascus terror bombings, the US delegation refused to pass it. Whatever tactical differences exist in Washington over how extensively to arm Al Qaeda and the broader, Islamist-dominated Syrian opposition, the US government stands behind terrorism and mass murder as tools of its Middle East policy.
Explaining its position, US mission spokeswoman Erin Peltin said: “We agreed with the Russian draft of a statement from the Security Council and only sought to add similar language on the regime’s brutal attacks on the Syrian people. Unfortunately, Russia refused to engage on a credible text.”
This is a cynical dodge, aimed at downplaying the responsibility of the United States and its allies in terror attacks in Syria.
Peltin’s comments make clear that, confronted with a resolution denouncing the bombings, the US delegation recognized that it was not the Assad regime that was being criticized. It therefore added text to the resolution attacking the Syrian government—though it was in fact the target of the terror bombing—and trying to direct blame away from the terrorist forces in the US-backed opposition. Russia then refused to pass the resolution as amended by US officials.
The Syrian National Coalition, the Western-backed opposition umbrella group, descended into absurdity as it blamed the bombings on Assad. Yesterday it issued a statement on its Facebook page: “The terrorist Assad regime bears the most responsibility for all the crimes that happen in the homeland, because it has opened the doors to those with different agendas to enter Syria and harm its stability, so it can hide behind this and use it as an excuse to justify its crimes.”
It is well known that the opposition forces are carrying out terror bombings and stoking a sectarian civil war with the support of the US and its European and Middle East allies. In December, when the US State Department finally designated the Al Nusra Front as a terrorist group, it admitted that Al Nusra had carried out nearly 600 terror bombings in Syria over the previous year.
The anti-Assad opposition has received hundreds of millions of dollars from the Western-backed Saudi and Qatari monarchies. The day before the bombing, Qatar’s Al Thani monarchy gave another $100 million to the opposition. Such funds go to pay for weapons and salaries for opposition fighters, many of whom are mercenaries of the ultra-conservative Persian Gulf petro-monarchies.
The backing given by the US government to terrorist acts of mass murder at the UN highlights the fraudulence of the “war on terror.” Administrations, both Democratic and Republican, cited the threat of Al Qaeda to justify fundamental assaults on the democratic rights of the American people: the virtual elimination of restrictions on electronic surveillance, the use of torture, and ultimately the US president’s right to order the extra-judicial murder by drone strikes.
These policies were not dictated by principled opposition to terrorism, however, but by the cynical pursuit of US imperialist interests. In Syria, this has meant an unstable collaboration between Washington and Al Qaeda. The Assad regime is a key ally of Iran, a country with massive oil reserves and that is currently the main obstacle to US neo-colonial hegemony in the Middle East. To topple the Syrian regime and increase pressure on Iran, Washington was more than willing to politically support terror operations.
US-backed mass murder in Damascus constitutes a searing indictment of forces who argued that imperialist-backed guerrillas, and not a revolutionary struggle of the Syrian working class, would settle accounts with the Assad dictatorship. In the imperialist countries, these forces include both the mass media and petty-bourgeois “left” parties—like the International Socialist Organization in the United States, the Socialist Workers Party in Britain, the Left Party in Germany, and the New Anti-capitalist Party in France.
They bear political responsibility for crimes against the Syrian people carried out by forces that they have now spent years promoting.
Washington’s policy in Syria is stoking a confrontation not only with Syria and Iran, but also with China and Russia, Syria’s main ally. As then-US President George W. Bush noted in 2007, such conflicts threaten to ignite World War III. (See: “Iran: Why does Bush invoke the threat of World War III?”)
After consultations with Chinese officials, Russian Foreign Minister Sergei Lavrov denounced the US vote on the Syria terror bombing at the UN Security Council. He said, “We believe these are double standards, and see in it a very dangerous tendency by our American colleagues to depart from the fundamental principle of unconditional condemnation of any terrorist act—a principle which secures the unity of the international community in the fight against terrorism.”
The aggressive US policy in the Middle East—together with the US-backed policy in the Pacific of the new right-wing Japanese government of Prime Minister Shinzo Abe—appears to be driving China and Russia into a defensive alliance against Washington. On Thursday it was announced that the first foreign visit of China’s incoming president, Xi Jinping, would be to Moscow, sometime in March.
There, he reportedly plans to discuss boosting Chinese energy imports from Russia, to limit at least temporarily Chinese dependence on Middle East oil, as well as countries such as Syria and Iran that are threatened with US attack.
Komunisti pod kacigom
Četvrtak 17 januara 2013
Komunistička partija Francuske podržava francusku vojnu intervenciju u Maliju. U dokumentu objavljenom na njenom sajtu KP Francuske opravdava razloge interveniranja Armije u Maliju, potpuno pruhvativši tezu o borbi protiv terorizma, kako je predstavlja francuska vojna i politička vrhuška. Takva pozicija je jako zabrinjavajuća i treba je osporiti.
Odlučili smo se temom baviti u političkom ključu, zbog ponovne i dramatične, ko zna koje po redu, imperijalističke agresije, ovaj put Francuske na Mali, krenuvši od ozbiljnog stanja koje postoji u Francuskoj komunističkoj partiji, uvijek dosljedno istog, kad se radi o zauzimanju političkog stava, i to već godinama. Dokument objavljen na njenom sajtu opravdava razloge vojne intervencije i u potpunosti prihvaća tezu o borbi protiv terorizma, koju podržava vojni i politički vrh.
KP Francuske ne samo da opravdava historiju neokolonijalizma i kontinuitet neokolonijalne uloge, koju je Francuska preuzela u Africi, već nije potrošila ni jednu jedinu riječ o bijednim životnim uvjetima, koje ova imperijalistička pod-sila natura afričkom stanovništvu, prisiljenom živjeti sa manje od dva dolara dnevno po stanovniku, dok je nacionalno bogatstvo (zlato, uran i nafta) zemlje namijenjeno popunjavanju blagajni multinacionalnih kompanija Sjedinjenih Država ili Evropske Unije. Partija Pierre Laurenta, pokretač je Front de Gauche – Lijevog Fronta, onog istog koji je podržao Hollandea na predsjedničkim izborima, a i danas ponovo podržava vladu francuskih socijalista i to u času kad ona s oružjem u ruci vodi agresivnu i neokolonijalnu politiku. KP Francuske namjerno odbija da sagleda razdiruće protivrječnosti, koje je stvorio kolonijalizam, najvidljivije u bijedi i u korupciji te ne želi da shvati, kako ta dva faktora bacaju u očaj stanovništvo Afrike. KP Francuske se potpuno slobodno opredijelila da zamijeni klasne i antiimperijalističke razloge iščitavanja krize u Srednjoj Africi tezom o humanitarnoj vojnoj intervenciji, koju promovira francuska buržoazija, uz pokriće Vijeća Sigurnosti Organizacije UN i NATO snaga.
Prisutnost oružanih islamskih formacijja zauzima političku prazninu nastalu zbog nestanka klasne perspektive. Nekoć su ovu perspektivu predstavljali demokratski pokreti otpora, napredni po usmjerenju, koje su francuski, belgijski i britanski useljenici fizički uništili. Oni su masakrirali i ubili na hiljade političkih kadrova, aktivista i zastupnika ideje antikolonijalne borbe, a među njima treba se sjetiti istaknutih figura afričkih revolucionara, kakvi su bili Thomas Sankara i Patrice Lulumba. Danas pobuna u Maliju ima reakcionarno obličje islamskih naoružanih odreda, a s tim u vezi treba imati u vidu, da su se nedavno te iste formacije ponudile za saveznika, za vrijeme sukoba u Libiji i u Siriji, upravo imperijalizmu.
Nismo u stanju, prema našim saznanjima, da utvrdimo snagu kao ni podršku, koje imaju naoružane islamske formacije; znamo pak da su evropske snage kao i one Sjedinjenih Država, dok su s jedne strane slamale nacionalni put samoodređenja i razvoja Afrike, s druge strane nametale servilne vlade u odnosu na sebe. To su činile kako bi stvorile neophodan institucionalni okvir, sasvim u sukladnosti sa vlastitom prošlošću i sa kolonijalnom praksom. I danas Pariz nameće predsjednike država, vojne komandante i potpuno uslovljava upravljačku klasu mnogih afričkih zemalja. To se vidjelo pri nedavnim mirovnim ugovorima u Centralnoj Afričkoj Republici kao i na Obali Slonovače: sad imamo istovjetno uplitanje i u Maliju.
Džihadistička prijetnja pruža sadašnjem francuskom predsjedniku Hollandeu priliku za pučistički nastup, kako bi s jedne strane nametnuo francusko prvenstvo u strateškoj kompeticijii sa SAD-om i sa Kinom u kontroliranju Centralne Afrike, a s druge, kako bi smanjio težinu oružanih islamskih formacija i dopustio Francuskoj da se suprotstavi, kao i za vrijeme nesretne agresije na Libiju, vlastitom vojnom silom ekonomsko-proizvodnoj hegemoniji Njemačke u natjecanju za prvenstvo u imperijalističkoj Evropi.
Prikrivajući oružanu obranu interesa francuske i evropske buržoazije KP Francuske postala je saučesnik agresije na narode Afrike.
Evropska ljevica bilo u vanjskoj bilo u unutrašnjioj politici podržava imperijalističku politiku EU; a u tim okolnostima KP Francuske potrudila se da dadne i ideološku podršku francuskom pod- imperijalizmu, koji se bori da zadrži ulogu odlučujuće sile u afričkoj regiji i na Sredozemlju, na područjima u koja već prodiru interesi Sjedinjenih Država kao i oni kineski. U Africi se vodi presudna igra između različitih imperijalizama, koji, mada su saveznici, ne prestaju da se otimaju za dominaciju nad strateškim regijama.
Malo vrijede stavovi obrane welfare statea u Francuskoj, od strane Ljevice (Gauche), ako se težina krize bude prevaljivala na narode i na zemlje, koji se nalaze u fazi razvoja. Francuska politika nastavlja nametati svojim bivšim kolonijama u Africi korišćenje afričkog franka (CFA) sa mijenjanjem koje odgovara Euru, a ta stvar dvostruko favorizira Pariz. Na to se još nadovezuju ugovori i ekonomske transakcije, koje ustvari drže afričke narode u stanju ovisnosti od imperijalizma te nije uopće slučajno da je 60% industrije Malija u francuskim rukama.
Interpretacija KPF završava se u duhu najklasičnijeg eurocentrističkog i imperijalističkog stava: «Moramo uvažavati ljude u Maliju i pomoći im da izgrade vlastitu budućnost». Taj stav objašnjava zašto 69% birača fronta Ljevice – Front de Gauche – pristaje na intervenciju u Maliju. Izbor što ga je učinila KPF rezultat je izvjesnog političkog puta koji danas nalazi ljevicu starog kontinenta angažiranu u korist imperijalističkog i neokolonijalističkog pola Evropske Unije.
To je oportunistički stav i više no kolaboracionistički, jer njegovi glavni akteri ima za cilj favoriziranje ideološke podložnosti radničke klase buržoaziji, oslanjajući se upravo na onu radnu aristokraciju, koja samu sebe doživljava kao «drugačiju i daleko razvijeniju» od ostalih dijelova međunarodne radničke klase, a naročito od one koja živi na Jugu svijeta, pa čak i od one koja postoji u zemljama nazvnim PIGS (Portugal, Italija, Grčka i Španija) u novoj međunarodnoj podjeli rada.
Ta se politika filo-imperijalističkog aktivizma mora obarati i osuđivati, djelujući na stvaranju međunarodnog fronta antikapitalističke i antiimperijalističke klase.
Uskoro ćemo ponovo opet analizirati situaciju u Centralnoj Africi i u Maliju, s instrumentima koji će nam dozvoljavati podrobnije tumačenje konfiguracije imperijalističke agresije što je upravo u toku, te ulogu Francuske i drugih evropskih zemalja počevši od servilnih stavova i od tako zvanog neokolonijalizma odrpanaca, među kojima Italija nimalo ne zaostaje. Uloga talijanske buržoazije, naročito one povezane s Euro-moćnicima i imperijalističkim polom, vrlo je istaknuta zbog vlastitih ekonomskih interesa. Italija je posebno zainteresirana za Afriku, što uvjetuje političke izbore istovjetne onima francuske buržoazije te stavove o tobožnjem humanitarnom ratu. Francuska je odlučila da brani vlastiti primat stavljajući po ko zna koji put EU i SAD pred svršen čin, akt kojim Pariz unilateralno tereti vrijednost vlastitih (bivših) kolonija u vlastitoj utrci za leaderstvom u Evropskoj Uniji.
Naš je cilj pokazati dinamiku tog sukoba, u kojem je sve vidnija utrka i kompeticija između imperijalističkih polova te natjecanje koje postoji između imperijalističkih zemalja i zemalja u ekonomskom uzdizanju, tako zvanih BRICS (Bratil, Rusija, Indija, Kina i Južna Afrika), od kojih se naročito Kina bori za hegemoniju na afričkom kontinentu.
(S talijanskog prevela Jasna Tkalec)