VICENZA SABATO 4 MAGGIO
MANIFESTAZIONE popolare contro USARMY
ore 10.00 presso la stazione ferroviaria (lato viale Dalmazia), dietro lo striscione che avrà la scritta:
LA CRISI E’ DEL CAPITALE. LA GUERRA ANCHE.
NO ai LICENZIAMENTI. NO alle BASI
Il 25 aprile a Vicenza si è svolta una assemblea pubblica regionale col titolo “DALLA CRISI ALLA GUERRA?”. Hanno partecipato attivamente più di trenta rappresentanti e/o aderenti a molte realtà organizzate e no delle province di Vicenza Padova e Venezia; molti altri hanno aderito all’appello di convocazione pur non potendo essere presenti.
Il dibattito ha verificato una sostanziale convergenza di vedute in tutta l’area della “sinistra di classe”, pur con diverse sottolineature: sia rispetto alle cause generali dell’attuale crisi sistemica e alle relazioni fra gli aspetti economici, politici e militari della lotta epocale in corso (nonostante le “alleanze” di facciata) fra i gruppi dirigenti del capitale imperialista - in particolare quelli con base negli USA e nella UE (Italia compresa) -, sia rispetto alle tragiche conseguenze di tutto ciò per le classi lavoratrici e popolari, specie nei paesi meno “competitivi”, in termini non solo di perdita dei diritti conquistati nel passato, ma di aumento di povertà, emarginazione e imbarbarimento della vita sociale e civile - “guerre fra poveri” indotte dai ricatti padronali e dalla complicità dei partiti e sindacati “di regime” -.
Nessuna classifica è neutrale, né perfetta. Ma mettendone insieme due o tre, o anche di più, ne viene fuori un quadro abbastanza nitido di un paese e della sua classe politica. Se parliamo di spese, infatti, parliamo di “scelte politiche”. Si spende di più per quello che è considerato più importante, di meno per quel che non interessa. Una questione di “valori” politici ed etici, progettuali, che presiede alla distribuzione dello “sforzo”.
Per esempio. L'Italia è penultima in Europa per la percentuale di spesa pubblica destinata alla cultura: appena l'1,1%, a fronte della media del 2,2% dei 27 Paesi dell'Ue, matematicamente il doppio. Dietro di noi c'è solo la Grecia, ma negli utlimi tre anni Atene non ha più avuto una politica economica appena appena discrezionale. I governi italiani, dunque, l'hanno ridotta per scelta quasi libera. In fondo, siamo anche l'unico paese del mondo industrializzato ad avere avuto un ministro dell'economia che dichiarava “la cultura non si mangia” (Giulio Tremonti). Lo avessero pensato i predecessori, staremmo ancora a dipingere cervi nelle grotte...
In compenso, nel 2012 l’Italia è salita al decimo posto nel mondo – quarta in Europa - tra i paesi con le più alte spese militari. Eravamo undicesimi, nel 2011; si vede che il governo “tecnico” ci ha messo del suo. 34 miliardi di dollari l'anno, ovvero 26 miliardi di euro, 70 milioni al giorno. Mentre tagliava tutto, aumentava la spesa militare (acquisto di F35, missioni all'estero, ecc). Il dato viene dal Sipri, istituto internazionale con sede a Stoccolma.
Ma l'Italia dà un grande contributo anche ai profitti finanziari. Il 17,3% della spesa pubblica se ne va infatti per il pagamento degli interessi sul debito. Peggio, ancora una volta, stanno solo Grecia (24,6%), Cipro (24,1%) e Ungheria (17,5%).
L'identikit di questo paese ne esce quindi fuori nitido: si impegna come servo militare dell'imperislismo più forte (è il più fedele esecutore europeo degli ordini Usa, dopo la Gran Bretagna), ha deciso di mantenere nell'ignoranza perenne la propria popolazione tagliando il cordone ombelicale con la propria storia culturale trimillenaria, si svena per pagare interessi su un debito che (al 130% del Pil) ognun sa che non potrà mai essere restituito.
Nessun libro, ma solo moschetto! Neanche il fascismo era arrivato a tanto...
Ecco a cosa servono le larghe intese in Italia
C'era chi pensava che i poteri forti fossero scesi in campo per l'Ilva e che le larghe intese servissero a queste operazioni a metà fra la politica e l'economia.
C'era chi pensava - continuando su questa linea - che le larghe intese servissero alla TAV e alle grandi opere.
C'era chi pensava che Napolitano fosse il presidente della guerra in Afghanistan e che le larghe intese servissero a puntellare una guerra Nato che va sempre peggio.
Ma non era prevedibile che di mezzo ci fossero anche le armi atomiche.
Ora lo sappiamo: gli USA rendono compatibili le atomiche in Italia con gli F-35, lo rivela The Guardian.
«Si tratta di un aumento significativo del livello di capacità per il dispositivo nucleare degli Usa di base in Europa», ha detto Hans Kristensen, della Federation of Nuclear Scientists, scrive il Guardian, «e va in direzione opposta rispetto all'impegno preso da Obama nel 2010 di non dispiegare nuove armi nucleari».
Napolitano, Berlusconi, Monti e quello che sarà il prossimo segretario del PD serviranno a saldare il patto di ferro con il "Premio Nobel per la Pace" che rilancia le armi atomiche in Italia mentre da tempo se ne chiedeva lo smantellamento.
Vedi anche:
Guardian: 70 atomiche Usa custodite in Italia
saranno adeguate per il lancio con gli F-35
A sorpresa rispetto agli impegni di Obama sul disarmo, il Pentagono stanzia 11 miliardi di dollari per interventi di 'ammodernamento' dei 200 ordigni B61 ospitati da basi Nato europee: 50 sono ad Aviano, 20 a Ghedi. L'operazione ruota intorno al controverso caccia-bombardiere di ultima generazione
ROMA - Dagli Usa arriva un apparente voltafaccia rispetto agli impegni di Barack Obama verso il disarmo nucleare. Il Pentagono si appresta infatti a spendere 11 miliardi di dollari per ammodernare 200 ordigni nucleari tattici B61 allocati in Europa per trasformarli in "bombe atomiche intelligenti (teleguidate)" sganciabili dal controverso caccia di ultima generazione F-35, di cui si doterà anche l'Italia. E' quanto rivela il britannico Guardian.Le B61 sono ordigni americani conservati negli arsenali Nato europei. Sono 'nascosti' in Belgio, Olanda, Germania, Turchia, ma anche in Italia sul cui territorio sono ancora presenti 90 di questi ordigni (70 secondo le ultimissime stime): 50 ad Aviano in Friuli e 40 (20) a Ghedi, in provincia di Brescia.
Si tratta di atomiche piuttosto antiquate, ma sempre armi di distruzione di massa, realizzate alla fine degli anni Sessanta: pesano fino 320 kg, sono lunghe 3,56 metri ed hanno un diametro di 33 cm. La loro potenza massima è di 340 chilotoni (oltre 30 volte la bomba di Hiroshima) ma quelle depositate in Europa, il modello B61 Mk12, si fermano a 50 chilotoni (un chilotone corrisponde alla potenza esplosiva di 1.000 tonnellate di tritolo).
Degli 11 miliardi di dollari stanziati, il Pentagono - che nel 2010 si era impegnato a ridurre il numero degli ordigni atomici e a non svilupparne di nuovi - ne spenderà 10 per prolungare la vita operativa delle B61 e uno per dotare ogni ordigno di alette di coda per trasformarle in bombe atomiche guidate. Alla fine le 200 nuove B61 saranno pronte tra il 2019 e il 2020 in tempo per essere usate dal discusso caccia-bombardiere 'invisibile' F-35.
Quello degli F-35 rappresenta il più ambizioso e costoso programma della storia militare non solo statunitense:2.443 aerei per 323 miliardi di dollari.L'Italia ha di recente confermato il proprio impegno all'acquisto, pur riducendo gli ordini a 90 esemplari.
In teoria un F-35 potrebbe penetrare indisturbato (perchè non rilevabile ai radar) lo spazio aereo di qualsiasi nazione e sganciare una di queste bombe atomiche tattiche. A quanto riferisce il Guardian, secondo l'amministrazione Obama, l'aggiunta delle alette di coda per rendere indirizzabili (Gbu) le B61 non rappresenta "un significativo cambiamento per cui non viola gli impegni del 2010".
(21 aprile 2013)
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