All’attenzione di ANPI e ANVRG: SULLA ONORIFICENZA A TITO

Posted on 1 ottobre 2013 by admin
 

Da: Dieci Febbraio <diecifeb @ diecifebbraio.info>

Oggetto: All’att.ne di ANPI e ANVRG

Data: 25 luglio 2013 09.48.27 GMT+02.00

A: info @ anpi.it, comitatonazionale @ anpi.it, anpisegreteria @ libero.it, ufficiostampa @ anpi.it, camiciarossa @ virgilio.it, annita.garibaldi @ fastwebnet.it

 
 
Spett.li 
Ass. Naz. Partigiani Italiani (ANPI)
Ass. Naz. Veterani e Reduci Garibaldini (ANVRG)

Riportiamo in calce il documento recentemente prodotto dalla ANVGD (Ass. Naz. Venezia Giulia Dalmazia) con il quale si richiede “al Presidente Napolitano, al Presidente del Consiglio Letta e all’Ufficio Cerimoniale del Quirinale” di revocare la onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana a suo tempo (1969) conferita al maresciallo TITO, rectius Josip BROZ, dall’allora presidente Saragat.

L’iniziativa della ANVGD va respinta e denunciata nella maniera più energica per i motivi di merito, di metodo e di opportunità che andiamo sinteticamente ad esporre nel seguito.

Riteniamo che le vostre Associazioni siano le più titolate a rispondere nella necessaria maniera a questa operazione di riscrittura revisionista della Storia, che è motivata da cieco furore ideologico. Nel porre una questione apparentemente solo specifica e simbolica, la ANVGD getta invece generale discredito sul movimento antifascista e partigiano più forte e massiccio che si sia sviluppato in Europa nel corso della II Guerra Mondiale, quello jugoslavo, e colpendone il leader politico e militare infanga l’insieme dei valori e delle speranze che quel movimento ha rappresentato. Nello specifico jugoslavo la ANVGD sceglie di schierarsi dalla parte dei perdenti, dalla parte dei nazionalismi, che allora come oggi hanno minato la convivenza delle genti balcaniche. La ANVGD insulta così non solo i valori di Fratellanza e Unità cui la Resistenza jugoslava si richiamò sempre, sia testualmente che nella realtà dei fatti, ma anche proprio lo spirito unitario, internazionalista e anti-nazionalista che la Resistenza Europea nel suo complesso ha inverato.

Le vostre Associazioni hanno per finalità istituzionale quella di tutelare le memorie ed i valori delle Resistenze europee, di sottolinearne il carattere unitario e di ribadire le ragioni delle parti che, in quel conflitto disumano voluto dal Fascismo e dal Nazismo, si allearono assieme per la vittoria della libertà e della giustizia sociale. In particolare per quanto riguarda l’Italia, è vostro compito istituzionale-statutario quello di tramandare la memoria del sacrificio dei combattenti “garibaldini”, partigiani italiani in Jugoslavia, che dopo l’8 Settembre a decine di migliaia scelsero di stare dalla parte giusta, coordinando le proprie azioni con quelle dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia guidato da Tito. In proposito ha scritto opportunamente Sandro Pertini:

« La nascita del nuovo esercito italiano “inteso come esercito democratico antifascista e parte integrante della coalizione antihitleriana nella seconda guerra mondiale” deve essere anticipata, alcuni mesi prima della storica battaglia per la conquista di Monte Lungo a Cassino, al 9 ottobre 1943, quando il Generale Oxilia, Comandante della Divisione di Fanteria da montagna “Venezia”, forte di dodicimila uomini, dette ordini alle sue truppe di attaccare i nazisti, coordinando le azioni militari con l’esercito popolare di liberazione della Jugoslavia.

(…) Emerge l’imponente contributo offerto dagli italiani alla lotta per la liberazione della Jugoslavia: per numero, perchè si è parlato di circa 40mila italiani coinvolti nella lotta partigiana; per mezzi, ricordo l’armamento, l’assistenza tecnica e logistica offerta dalle unità italiane all’esercito di liberazione jugoslavo. Con commozione rilevo sopra a tutto il grande sacrificio di vite umane compiuto dagli italiani: di 24mila soldati italiani che l’8 settembre 1943 costituivano gli effettivi delle divisioni “Venezia” e “Taurinense” furono meno di 3500 i sopravvissuti.

Il contributo italiano, dunque, alla liberazione della Jugoslavia si colloca tra i maggiori che le Nazioni alleate e cobelligeranti fornirono a quelle forze partigiane e ripete un momento particolarmente significativo per l’amicizia e la collaborazione italo-jugoslava(…) L’avventura fascista aveva interrotto la fratellanza tra i due popoli che si era instaurata non soltanto negli anni duri della prima guerra mondiale, ma nel pieno del Risorgimento italiano, quando Giuseppe Mazzini nel 1857 pubblicò le sue “Lettere slave” e previde con estrema lucidità che il moto d’indipendenza degli Slavi del Sud sarebbe stato il più importante, dopo l’italiano, per l’Europa futura. » [Introduzione di Sandro Pertini a “Il contributo italiano alla Resistenza in Jugoslavia”, Atti del convegno di studi tenuto a Lucca il 21 giugno 1980. Istituto Storico Provinciale Lucchese della Resistenza. Lucca: Maria Pacini Fazzi Editore, 1981.]

Il carattere mistificatorio e anti-partigiano della operazione della ANVGD impone probabilmente dei passi formali e simmetrici, inclusa forse la scrittura di una memoria o contro-istanza da presentare agli stessi referenti istituzionali e da pubblicizzare ampiamente. Tale contro-istanza dovrebbe a nostro avviso evidenziare almeno le seguenti MOTIVAZIONI:

DI MERITO

Le gravissime accuse rivolte dal dr. Antonio Ballarin contro la figura di Tito sono tutte grossolanamente false.

Non è mai esistito piano jugoslavo per la “pulizia etnica” degli italiani, ma viceversa il movimento di liberazione jugoslavo, così come la Repubblica federativa che da esso scaturì, ebbero carattere eminentemente multinazionale e internazionalista.

Ad attestare questo è anche la semplice logica dei numeri: nel caso di Gorizia, cosa abbia a che fare l’arresto di 650 persone su circa 40.000 abitanti con una ipotetica “pulizia etnica”, in un contesto in cui tutta l’Europa era falcidiata da massacri di enormi proporzioni, è un mistero. La permanenza in Istria e Dalmazia di decine di migliaia di italiani dopo la seconda guerra mondiale e fino ad oggi, con tutte le loro prerogative culturali ed il pieno godimento dei diritti politici, sta a dimostrare l’insussistenza delle velenose accuse di Ballarin.

Il dr. Ballarin omette ogni riferimento concreto per un presunto ordine di «eliminazione degli elementi legati al fascismo e/o dichiaratisi antititoisti»: in effetti non può indicare alcun documento, perché non esiste nessun ordine del genere. Da quale fonte deriverebbero queste «stime più acceditate» e in base a quali elementi? La stessa categoria dei “titoisti” è dal punto di vista storiografico insussistente fino al 1948, quando con la rottura tra la Jugoslavia ed il Cominform si determinò effettivamente uno schieramento, che nulla però aveva a che fare con le nazionalità, ma divise invece i comunisti tra tendenze opposte.

Il suddetto ipotetico “ordine di eliminazione” non è mai esistito e peraltro non esiste alcun elemento che possa indicare Tito quale ispiratore di simili politiche di sterminio “etnico” o “politico”. La “presunzione di colpevolezza” della ANVGD nei confronti di Tito è una abiezione dal punto di vista storiografico ed è un puro pregiudizio ideologicamente connotato.

D’altronde, il 4 luglio 1941 non venne affatto proclamata una generica mobilitazione, ma il PC jugoslavo chiamò i popoli jugoslavi all’insurrezione, da condurre peraltro per gradi e inizialmente con azioni limitate: fu cioè l’atto con cui si diede inizio alla Resistenza antifascista in tutte quelle terre. Il modo sospettoso ed ingiurioso con cui il dr. Ballarin vi fa riferimento parla da solo in merito alle convinzioni ed alle finalità dell’estensore.

DI METODO 

L’istanza del dr. Ballarin non a caso si sofferma su possibili trucchi legali che consentano il ritiro dell’onorificenza. Trucchi legali, perché una tale eventualità non è contemplata dalla normativa specifica per un soggetto defunto, defunto peraltro dopo anni di governo pacifico caratterizzato da ottimi rapporti nel difficile contesto internazionale, e specialmente ottime relazioni di vicinato con l’Italia. I due paesi rafforzarono ulteriormente la loro amicizia negli anni successivi alla attribuzione dell’onorificenza, risolvendo annose questioni e dilemmi confinari che avevano avuto origine ben prima della II G.M. e si erano protratte ancora negli anni della Guerra Fredda. Con il Trattato di Osimo nel 1975 Italia e Jugoslavia pervenivano ad accordi storici con mutuo vantaggio: l’onorificenza attribuita da Saragat preludeva a quel clima di collaborazione e di fratellanza che ad Osimo avrebbe trovato una sanzione diplomatica. Il ritiro della onorificenza, legalmente insostenibile, sarebbe un atto di grave scorrettezza postuma non motivato da fatti successivi al 1969, ed il tradimento di quei sentimenti e aspirazioni alla pace che al tempo di presidenti come Saragat e Pertini si cercò di realizzare.