70 ANNI FA...
La fuga degli antifascisti jugoslavi dalla Rocca di Spoleto (PG) e gli albori della Resistenza in Valnerina


Fonte: I PARTIGIANI JUGOSLAVI NELLA RESISTENZA ITALIANA
Storie e memorie di una vicenda ignorata
di Andrea Martocchia - con contributi di Susanna Angeleri, Gaetano Colantuono, Ivan Pavičevac
Prefazione di Davide Conti, Introduzione di Giacomo Scotti
Roma, Odradek, 2011 - http://www.partigianijugoslavi.it/

dalle pp. 26, 32-34:


<< In Umbria, a partire dal 1942, tanti jugoslavi – montenegrini, sloveni, croati – furono destinati alle miniere di lignite o alle fornaci di mattoni della Regione; altri furono rinchiusi nelle carceri di Perugia e Spoleto; altri ancora – la maggioranza – furono internati in campi di concentramento, il principale dei quali fu quello di Colfiorito, presso Foligno. [...]  
Il vero nucleo organizzativo-militare della costituenda brigata partigiana della Valnerina fu costituito da quelli scappati dalla Rocca di Spoleto: 

"un folto gruppo di jugoslavi (...) vi erano detenuti per motivi politici. Scarse testimonianze si hanno di questa evasione. Essa comunque avvenne nella notte tra il 13 ed il 14 ottobre 1943." [...]  

Svetozar Laković [nome di battaglia "Toso"], che era nativo di Berane (Montenegro), racconta: 

"Come partigiano della prima ora nel 1941, fui arrestato qui nel Montenegro da fascisti italiani e condannato a vent’anni di carcere. Fui dapprima, assieme ad altri compagni nelle carceri dell’Italia del nord [Volterra] e quindi trasferito a Rocca di Spoleto. Noi jugoslavi eravamo circa 150, c’erano anche una cinquantina di prigionieri politici greci e gli altri erano italiani. Dopo la capitolazione apprendemmo che dai vari campi di concentramento i prigionieri cominciavano a fuggire. Paventando di essere consegnati ai tedeschi (...) effettuammo un attacco in forze contro la guardia del carcere, una trentina di carabinieri; li disarmammo e riuscimmo a fuggire. Ci dividemmo in quattro gruppi ed io mi posi al comando di un gruppo (avevamo con noi qualche fucile)." [...]  

Otello Loreti, un antifascista di Spoleto che già il 13 settembre si era dato alla macchia, ricordò così quella evasione:

"Ero a conoscenza che nella Rocca di Spoleto vi era un forte nucleo di detenuti politici jugoslavi, prevalentemente studenti condannati dai tribunali ustascia ed italiani. Infatti questi detenuti erano inviati a lavorare nei vari laboratori ed aziende della città ed è stato per questo motivo che sono venuto in contatto con alcuni prigionieri. La sera del 13 ottobre, verso le 17, tutti i detenuti erano stati rinchiusi nelle loro celle. Era rimasto fuori Giuseppe [...], uno slavo che esercitava il mestiere di fabbro. Giuseppe aggredì una guardia di servizio, gli tolse l’arma e lo obbligò ad aprire le celle in modo da far uscire gli altri. Accorsero altre guardie che si fecero disarmare facilmente. I detenuti, armi alla mano, obbligarono il Direttore [Guido Melis] ad aprire la porta principale ed anche il magazzino viveri dove si rifornirono di vettovaglie. Gli jugoslavi disarmarono poi altre guardie e quindi dal Ponte delle Torri presero la via dei boschi dopo essersi divisi in tre gruppi per meglio sfuggire alle ricerche."

Loreti ed il suo piccolo gruppo, costituito assieme ad Umbro Giulidori e Mario Leonardi, [...] intercettarono gli jugoslavi in fuga, a Raischio, nella proprietà del marchese della Genga, e per loro approntarono la sistemazione in un fienile.

"I boschi circostanti Spoleto erano loro familiari in quanto vi erano stati condotti in occasione di alcuni bombardamenti aerei, per cui fu abbastanza agevole per essi dileguarsi e raggiungere la montagna dove si incontrarono con noi che già ci eravamo dati alla macchia. Il Direttore del Carcere di Spoleto dottor Melis ritardò a dare l’allarme e questo agevolò, in un certo senso, la fuga degli jugoslavi. Per questo ritardo il Direttore fu arrestato insieme alla famiglia ed a molte guardie di servizio e detenuto nel carcere di Perugia fino alla Liberazione."

Il primo scontro a fuoco con i tedeschi in cerca degli evasi si verifica già il giorno 14 nel paesino di Caso. In questa località i partigiani di Loreti riescono a rifornirsi di alcuni fucili che erano nascosti in un fienile; a dare man forte c’è poi lo stesso Ernesto Melis [il figlio del Direttore del carcere, che si pone alla guida di una sua banda partigiana] con i suoi uomini, dotati di mitragliatrici: presi tra due fuochi, i tedeschi si danno alla fuga. [...]  

La banda Melis, anche in virtù della sua composizione, si prefiggeva obiettivi diversi rispetto a quelli dei partigiani comunisti – tali erano Loreti, gli jugoslavi guidati da “Toso”, e tutti quelli che negli stessi giorni si radunavano attorno ad Alfredo Filipponi presso Terni. Lo stesso Loreti non aderì mai alla “Melis” e preferì unirsi agli jugoslavi; con loro entrò nella brigata “Gramsci” di Filipponi e condivise tutte le vicende della Resistenza in zona. Ci fu comunque un periodo di “interregno” ed incertezza che durò fino alla fine del mese di ottobre. Ai primi di novembre Ernesto Melis d’accordo con lo stato maggiore della sua banda ne decise lo scioglimento “tattico”, per evitare che i propri famigliari – che nel frattempo erano stati tutti arrestati – corressero rischi eccessivi. In seguito, sia i militari di Melis che gli jugoslavi di “Toso” si trasferirono in altre zone ritenute più sicure. Gli jugoslavi in particolare scelsero come base Mucciafora in Alta Valnerina...