16 aprile 2013

Alleati del nemico. L'occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943)


di Eric Gobetti
casa editrice: Laterza
anno di pubblicazione: 2013
collana: Quadrante Laterza
pagine: 208
prezzo: 19,00 euro
disponibile anche in formato Ebook

Negli anni cruciali della Seconda guerra mondiale, l’Italia fascista impiega enormi risorse militari, diplomatiche, economiche e propagandistiche per imporre il suo dominio su circa un terzo dell’intero territorio jugoslavo. È una parabola breve, in cui però si condensa tutta la pochezza dell’impero di Mussolini: dai sogni di dominio sui Balcani nella primavera del 1941 al senso di sconfitta nell’estate del 1943. Efficacemente osteggiati dai partigiani di Tito, gli occupanti stringono ambigue alleanze con diverse realtà collaborazioniste, contribuendo a scatenare una feroce guerra civile. Vittime e carnefici al tempo stesso, i soldati del regio esercito combattono con pochi mezzi e scarse motivazioni ideali, costretti a vivere mesi e mesi in condizioni estreme, vinti dalla noia, dalla paura, dall’abbandono e, in fondo, anche dal fascino del ribelle.

Eric Gobetti è uno studioso del fascismo e della Jugoslavia particolarmente sensibile al tema delle identità e dei conflitti nazionali. È autore di "Dittatore per caso. Un piccolo duce protetto dall’Italia fascista" (L’ancora del Mediterraneo 2001), "L’occupazione allegra. Gli italiani in Jugoslavia (1941-1943)" (Carocci 2007) e del diario-reportage "Nema problema! Jugoslavie, dieci anni di viaggi" (Miraggi edizioni 2011). Ha inoltre curato il volume collettaneo "1943-1945. La lunga liberazione" (Franco Angeli 2007).

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Alleati del nemico

Vittorio Filippi 15 maggio 2013

Una recente pubblicazione ripercorre la storia e le contraddizioni dell'occupazione italiana della Jugoslavia, tra il 1941 e il 1943. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Attaccata dalle truppe tedesche (soprattutto) ed italiane, nell’aprile del 1941 la fragile Jugoslavia monarchica dei Karadjordević capitola e viene rapidamente smembrata. All’Italia arrivano in dote il Montenegro, la Dalmazia, la Slovenia meridionale, il Kosovo e qualcosa della Macedonia; inoltre nasce, con tutela ed ispirazione fasciste, lo Stato degli ustascia croati (l’NDH) guidati da Ante Pavelić.
Il potere italiano che vi si insedia mescola la forte presenza dei militari (si arriverà a ben 300 mila unità, venti divisioni), i diplomatici di Ciano, gli interessi dei gruppi industriali e finanziari nonché il protagonismo dei Savoia, che hanno pur sempre una regina che viene dal Montenegro. In più c’è da fare i conti con la complessità etnica e perfino antropologica dei Balcani: l’invasione dell’Asse scoperchia infatti un vaso di Pandora fatto di nazionalismi, di violenze etniche e di persecuzioni – soprattutto tra serbi, croati e musulmani - in cui è difficile muoversi e soprattutto capire.
Gli italiani cercano di barcamenarsi con la solita politica del divide et impera ed all’impiego dei collaborazionisti, raggruppati nella Milizia volontaria anticomunista (Mvac). Ma ricorrono anche alla spietatezza della repressione, che mette assai in crisi lo stereotipo del buon soldato italiano. Tanto è vero che fucilazioni, deportazioni (solo il campo sull’isola di Rab/Arbe ospiterà 10 mila prigionieri) e saccheggi daranno agli italiani l’immagine ben poco nobile di incendiari di case (palikući) e di rubagalline. Anche se, a dire il vero, l’atteggiamento verso gli ebrei sarà invece spesso benevolente, arrivando addirittura ad azioni di salvataggio.
A complicare il tutto c’è, a cavallo tra il 1941 ed il 1942, lo scoppio della sanguinosa guerra civile, che opporrà i partigiani di Tito alle forze collaborazioniste, tra cui, di fatto, vi sono i cetnici filomonarchici. Gli italiani diventano, paradossalmente, “alleati del nemico”, secondo la formula con cui l’autore titola efficacemente il libro. Alleati cioè dei cetnici serbi contro gli ustascia ormai sotto influenza tedesca. Una situazione surreale che vede il vojvodadei cetnici Mihailović collaboratore degli italiani ma al tempo stesso ministro della guerra del governo jugoslavo in esilio a Londra, un governo formalmente in conflitto con l’Italia. Per di più da parte dei generali italiani gioca un vero e proprio pregiudizio anti croato e, viceversa, una sorta di ammirazione verso serbi e montenegrini. Che sono visti come guerrieri leali mentre i primi vengono giudicati “untuosi e falsi”.
Ad accentuare la confusione – o la schizofrenia – dei sentimenti italiani vi è anche una crescente ammirazione del movimento partigiano titoista a cui l’autore dedica due paragrafi proprio per sottolinearne la presa ideale e la modernità internazionalistica ed insieme patriottica che sa proporre. Tanto è vero che in diverse unità italiane si attivano contatti con i partigiani, contatti che poi al crollo dell’8 settembre produrranno la totale collaborazione militare con questi ultimi.
Alla metà del 1943 la presenza italiana è ormai in disfacimento e priva di prospettive. In soli due anni l’occupazione di un’area che voleva essere lo sbocco ideale dell’espansionismo nazionalista italiano si era “balcanizzata” sprofondando nella confusione, nell’impotenza e nello scoramento. Oltre a perdere 15 mila uomini tra caduti e dispersi.
La sconfitta dei cetnici, indeboliti dalla loro ambiguità oltre che dalla caduta dell’alleato italiano, toglierà ogni alternativa politica alla Jugoslavia che nasce dalle lotte partigiane. Che sarà repubblicana, federale e socialista. Ma questa è già un’altra storia.

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Un libro che sfata i miti

Categoria: Cultura e spettacoli
Creato Venerdì, 25 Ottobre 2013 15:00
Scritto da Helena Labus Bačić

FIUME L’occupazione italiana di un vasto territorio dell’ex Jugoslavia e i crimini commessi in quei territori dall’esercito del regime fascista nel periodo dal 1941-1943 sono temi ancora spesso trascurati, sottaciuti dalla storiografia e dalla società italiana che, non avendo mai processato i suoi esponenti fascisti, nel dopoguerra ha prodotto il mito, diffusosi poi in tutto il mondo, dell’“italiano buono”. Nel libro ”Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia 1941-1943”, presentato ieri alla facoltà di Filosofia, lo storico italiano Eric Gobetti sfata il succitato mito e dipinge un quadro diverso dell’occupazione italiana dell’ex Jugoslavia, che ha compreso la Slovenia meridionale, l’Istria e Fiume, la Dalmazia, la Bosnia ed Erzegovina, il Montenegro e il Kosovo. Come rilevato dallo storico Pietro Purini, oltre che sfatare il cliché degli italiani buoni e sempre pronti ad aiutare la popolazione locale, Gobetti mette in luce la cattiva organizzazione, ovvero il caos organizzativo e istituzionalizzato all’interno dell’apparato italiano, in quanto in certi territori occupati determinate unità dell’esercito rispondevano a diversi comandi. 

“Le forze di occupazione si trovano a dover combattere con un movimento di resistenza forte ed efficace (i partigiani, nda) e in questo contesto, gli italiani si macchiano di crimini che non sono diversi da quelli che riguardano la Wehrmacht – sottolinea Purini -. Com’era il caso con gli occupatori tedeschi, anche quelli italiani fanno il conteggio delle vittime, uccidendo dieci jugoslavi per un italiano. Vengono distrutti e incendiati interi villaggi, istituiti campi di concentramento…”, aggiunge lo storico, ricordando che, nonostante le reiterate richieste del governo jugoslavo nel dopoguerra, questi crimini di guerra non sono stati mai processati, grazie all’amnistia richiesta da Togliatti. Purini sottolinea un altro aspetto interessante che viene analizzato nel libro, ossia il sistema delle alleanze che gli italiani instaurarono con la parte più conservatrice dei movimenti esistenti nei territori occupati, avviando collaborazioni con gli ustascia e i cetnici, per nominare soltanto quelli più rilevanti.
L’autore ha esordito affermando che l’occupazione italiana dell’ex Jugoslavia non è un tema marginale, anche se nel corso dei decenni è stato sempre sminuito dall’opinione pubblica sia jugoslava sia italiana. “Si è preferito parlare dell’occupazione tedesca, mentre quando si faceva riferimento all’Italia venivano menzionati sempre altri fronti di guerra dai quali il Belpaese è sempre uscito sconfitto. Nel caso jugoslavo, invece, l’Italia è un occupatore vincente, con addirittura 300mila soldati disseminati in questi territori. Per fare un paragone, in Russia vengono mandati appena 60mila uomini”, ha puntualizzato Gobetti, soffermandosi sul tema del collaborazionismo nei territori occupati. Dal 1941 al 1943, il comando di Tito e il movimento partigiano si rafforzano, mentre al contempo si sviluppano i movimenti collaborazionisti (primi fra tutti gli ustascia croati e i cetnici serbi). 
“L’aspetto del collaborazionismo è significativo da tutti i punti di vista. Gli italiani stabiliscono alleanze che spesso risultano delle contraddizioni che si trascinano in tutto il periodo di occupazione. L’alleanza con gli ustascia inizia già nel 1929, quando Ante Pavelić è in esilio in Italia. Ed è proprio lì che nasce il movimento ustascia, che raggiunge il suo apice nel 1941, quando Pavelić diventa dittatore dello Stato croato indipendente (NDH). Ma l’alleanza tra l’Italia e gli ustascia manifesta un’incoerenza interna. Infatti, gli ustascia sono fascisti e al contempo nazionalisti, per cui vogliono governare lo stesso territorio che è occupato dall’Italia (la Dalmazia). Quindi, questa è una contraddizione che porta gli italiani a stabilire un’alleanza con i cetnici, che sono filoinglesi, in quanto il loro governo si trova in esilio a Londra; di conseguenza si trovano in guerra con l’Italia. Una situazione paradossale.
Lo scrittore Giacomo Scotti, nel commentare quanto esposto da Gobetti, ha definito il volume ”Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia 1941-1943” come un libro coraggioso perché analizza un aspetto scomodo e sottaciuto della storia italiana. “Il fascismo ha gettato l’onta sul popolo italiano, per cui ammiro il coraggio di Gobetti, che ha messo in luce i delitti fascisti, rimasti coperti da troppo tempo”.

Al termine della presentazione abbiamo voluto sapere dallo storico Gobetti in che modo venga insegnata la Seconda guerra mondiale nelle scuole italiane. “In Italia è diffuso il concetto di ‘Norimberga mancante’, in quanto non c’è mai stato un processo simile in Italia. Questo ha favorito lo stereotipo dell’‘italiano buono’ e l’impressione che sia stato meno peggiore degli altri. Di conseguenza, nelle scuole superiori non si insegna la storia dell’Italia nella Seconda guerra mondiale e non si parla assolutamente dell’occupazione balcanica. Quest’ultima non si insegna nemmeno nelle università”, ha fatto notare Eric Gobetti. 

Helena Labus Bačić