A.N.V.R.G. ASSOCIAZIONE NAZIONALE VETERANI E REDUCI GARIBALDINI
GIUSEPPE GARIBALDI
(Ente Morale – D.P.R. 29-3-1952 N.1060) Largo Porta S.Pancrazio, 9 -00153 ROMA
Presidente
Annita Garibaldi Jallet
Cari amici,
Il 24 ottobre scorso, l'Associazione Nazionale Combattenti della guerra di Liberazione, presieduta dall'Ambasciatore Alessandro Cortese de Bosis, ha organizzato a Roma, presso il Comando della Guardia di Finanza, un convegno dedicato alle Forze Armate italiane presenti all'estero nel settembre 1943.
Chiamata a trattare, in nome dell'ANVRG, della Divisione Garibaldi in Jugoslavia, ho svolto la relazione che accludo, come contributo per la celebrazione del prossimo 2 dicembre, 70° anniversario dei fatti dolorosi e gloriosi.
Tra gli altri nostri contributi, il nostro Ufficio Storico, il cui direttore è il dott. Matteo Stefanori, ha prodotto, in collaborazione con l'Istituto per la storia della Resistenza di Torino, un documentario che in questi giorni possiamo vedere su Rai Storia. Ricordiamo che a Porta San Pancrazio disponiamo di una ricca biblioteca sull'argomento, di un archivio fotografico unico e di grande bellezza, consultabile sul monitor della Sala del Museo dedicata alla Divisione Garibaldi dove sono tutt’ora conservati i cimeli.
Buon 2 dicembre a tutti, nel dovere della memoria e nella speranza della pace. Annita Garibaldi
La Divisione Italiana Partigiana Garibaldi
La vicende di questa Divisione italiana che ha combattuto il nemico nazista in Jugoslavia dal 1943 al 1945 a fianco dell’esercito di liberazione di Tito sono ben conosciute, sia grazie all’opera dell’Ufficio storico del Ministero della Difesa e della speciale Commissione per lo studio della resistenza dei militari italiani all’estero, sia grazie all’imponente memorialistica dei suoi reduci, la quale continua ancora ad alimentare la nostra rivista “Camicia Rossa”.
Nel contesto politico internazionale degli anni 1945-46, la posizione dei reduci fu guardata con sospetto. Si erano spenti i governi di liberazione nazionale, non soffiava più il vento del nord. Iniziò una nuova guerra, la guerra fredda. I reduci, restituiti per la maggior parte alla vita civile, vollero allora rimanere uniti per ricordare e decisero di formare una associazione.
L’Associazione Nazionale Veterani Garibaldini era rinata nel 1944 nella Roma liberata dalle ceneri delle associazioni disciolte nel 1926. Di queste ormai vi erano in vita solo alcuni veterani, per ultimi quelli della campagna delle Argonne del 1914. Aderirono ovviamente coloro che si erano rifiutati di riconoscersi nella Federazione delle Associazioni garibaldine nata nel novero del Regime. Ma a Roma non si sciolsero, sotto varie spoglie, alcune associazioni che avevano fatto parte della Federazione e le amnistie avrebbero rapidamente contribuito a confondere gli ideali della nuova associazione con un generico garibaldinismo. Si sarebbe arrivati, probabilmente, a breve termine ad una fusione tra tutte le associazioni.
Roma, 12 novembre 2013
Tra la fine del 1945 e i primi mesi del 1946, alcuni reduci della Divisione Garibaldi si erano riuniti a Firenze con il proposito di costituire una loro associazione. Ma poi si convinsero, sotto la pressione di alcuni veterani, che era meglio confluire in massa nella vecchia associazione, le cui tradizioni patriottiche e gli scopi morali, fissati dallo statuto sociale, avevano bisogno dell’apporto di chi vedeva nel nome di Garibaldi il legame tra Risorgimento e Resistenza . L’Associazione, spostando il suo baricentro a Firenze, si allontanò dai compromessi di Roma. L’Associazione diventò “Veterani e Reduci “, e fu riconosciuta come ente morale dal Ministero della Difesa nel 1952. Presieduta fino a due anni or sono da esponenti della Divisione Garibaldi, ha conservato gelosamente la sua identità, e la conserverà curandone musei e biblioteche che illustrano tutte le campagne del Risorgimento, dalla Repubblica Romana a Mentana, dall’Armata dei Vosgi alle Argonne, alla Resistenza garibaldina militare e civile.
Perché la Divisione Venezia, la Divisione Taurinense ed altri piccoli corpi dispersi nel marasma della Jugoslavia dell’8 settembre 1943 scelsero il nome di Divisione Garibaldi ? La primogenitura della scelta è controversa, ma sembra tuttavia che debba essere fatta risalire allo stesso Tito che , credendo di dovere ricomporre all’interno dell’esercito partigiano jugoslavo i pezzi sparsi dell’Esercito italiano e di eserciti di altre nazionalità, doveva dare loro un nome che fosse, da una parte, considerato al disopra delle parti ma d’altra parte si riallacciasse al volontariato militare internazionale della guerra di Spagna, al quale Tito stesso si ispirava. D’altra parte, sostiene Stefano Gestro, uno degli storici della Divisione Italiana più serio e documentato, “ il nome di Garibaldi era conosciuto e venerato tra i jugoslavi e specialmente tra i montenegrini fin dal 1862 perché reparti di Garibaldini avevano combattuto in Jugoslavia durante le guerre di insurrezione contro i turchi e gli austriaci”. E in ben altre circostanze ancora, fino ai tempi moderni. 1 Ma non vi era d’altra parte nome che più chiaramente potesse significare il mantenimento della identità italiana da parte di quei due corpi che avrebbero costituto l’unica Divisione, la “Garibaldi”. Il fatto che ambedue, seppur distanti sul territorio, abbiano optato per questo nome, lascia intendere che la scelta sia stata suggerita dall’alto. Una scelta giusta che voleva affermare non la fusione in una grande formazione internazionale, ma la caratteristica di corpo italiano dei nuovi “partigiani” della Divisione “ Venezia “ di Oxilia e della Divisione “Taurinense” di Vivalda.
La Divisione Garibaldi si costituisce il 2 dicembre 1943, ben 5 mesi, si noti, dopo il 25 luglio, data della caduta del regime mussoliniano. Al momento l’Italia sembra volere assicurare la continuità dello Stato, con la presenza di un Re e di un governo, il Governo Badoglio, che ha i crismi della legittimità. Questa legittimità è assicurata , per gli Alleati, dal Governo del Re, che oltretutto essendo rifugiato a sud, è sotto loro controllo. Ma in Italia e tra i nostri reparti all’estero sono diverse settimane, se non alcuni mesi, che si fanno tutte le ipotesi sul futuro dell’alleanza germano- italiana, sapendo che questa, più di ogni altra ragione, è la posta in gioco nel rovesciamento del regime di Mussolini. Si parla di resa italiana, di sbarco anglo-americano. I cetnici tentano di ricreare una struttura politico-militare con l’aiuto degli occupanti tedeschi, i quali cercano di infiltrarsi nei territori occupati dagli italiani prevedendo che presto gli italiani potrebbero non essere più alleati.
Lo storico Eric Gobetti ha coniato una formula efficace: gli italiani ormai sono “alleati del nemico”, dice.2 La zona d’occupazione italiana è come congelata, non vi si svolgono più rappresaglie. Ci sono azioni sporadiche ma Gobetti parla di “ senso di abbandono e di inutilità”. L’incertezza, la mancanza di disposizioni precise, fa circolare un’aria di sconfitta che mina il morale degli uomini. Mantenere la disciplina in queste condizioni è molto difficile, benché arrivino messaggi che si vogliono stimolanti o minacciosi dall’Italia. Il generale Roatta è capo di Stato maggiore dell’Esercito. Non esita a fare fucilare 28 alpini che si sono arresi senza eccessiva resistenza ai partigiani. I militari italiani hanno perso le loro motivazione. E ben prima dell’8 settembre si ritrovano privi di istruzioni. Questo spiega che il comportamento sia diverso, secondo la posizione geografica dei corpi, e persino dei singoli ufficiali. Per esempio, una Compagnia del Battaglione “Intra”, capitano Piero Zavattaro Ardizzi , aggredito dai partigiani, ne uccide uno e si prepara ad una azione a vasto raggio in collaborazione con i tedeschi. L’azione è prevista, fortunatamente, solo per il 9 settembre. Altri come Pirzio Biroli, conosciuto per i massacri compiuti sui partigiani, ma genero del Generale Von Hassel, fucilato dopo l’attentato a Hitler guidato da Stauffenberg , riesce ad arrivare in Italia e a Sud e si vede affidare dagli americani compiti nell’Esercito alleato. Le poche notizie che arrivano della situazione della patria contribuiscono alla confusione generale.
All’annuncio dell’Armistizio i nostri corpi rimangono isolati. Quali sono le soluzioni? Qualcuno fugge verso l’Italia, la famosa fuga verso il mare; qualcuno, pochi elementi, si unisce ai nazisti, nei campi tedeschi finiscono i prigionieri italiani fatti dagli stessi tedeschi. Alcuni tentano di resistere ai tedeschi, rimanendo uniti, altri sono persino abbandonati dai loro ufficiali, altri raggiungono i partigiani dai primi di settembre. Lo sbandamento è prima di tutto morale, e colpisce soprattutto ovviamente chi si ritrova in piccoli gruppi o isolato.
Emblematico il caso della Divisione “Venezia” che confluisce tutta intera nell’Esercito partigiano, evitando perdite e sbandamenti. I resti del Divisione “Taurinense” seguono poco dopo, ed altri piccoli distaccamenti come la Divisione “Italia”. Gli ufficiali stessi agiscono secondo coscienza, chi tentando di mantenere unita la sua formazione, chi aderendo alla Repubblica di Salò.
Ma quale era la situazione alla data dell’Armistizio? L’8 settembre, il territorio della Slavia del Sud, comprendente il Montenegro, il Sangiaccato e le Bocche di Cattaro, era presidiato dal XIV ( 14 ) Corpo d’Armata. Vi erano dislocati:
La Divisione Alpina Taurinense ( generale Lorenzo Vivalda, poi vicecomandante),
La Divisione di montagna Venezia ( generale G.B.Oxilia, poi comandante )
La Divisione di fanteria Ferrara ( generale Antonio Franceschini ), che si proclamò subito fascista e filo tedesca. La Divisione di fanteria Emilia ( generale Ugo Buttà ).
Gli effettivi erano di 16.986 uomini, di cui 803 ufficiali e 1589 sott’ufficiali.
Il comandante generale di Corpo d’Armata Carlo Ravnich, ultimo comandante della Garibaldi, così commenta:
“Tutti gli altri (meno la Divisione Ferrara ) iniziarono la lotta con grande entusiasmo e spirito di abnegazione, animati dalla ferma volontà di resistere ad ogni costo ai nemici storici della Patria, spregiando gli umilianti ordini che questa o quella fazione armata intendeva imporre. ...Essi sentivano di dovere seguire solo la via stabilita dal legittimo Governo d’Italia, anche se questo non era in grado di scendere nei particolari... ( splendido eufemismo ). Tutti coloro che intrapresero volontariamente l’eroica determinazione ebbero ben chiara la visione delle avversità eccezionali che avrebbero incontrato in terra straniera. “
Ravnich definisce la zona “ povera di tutto fuorché di sassi”, gli abitanti nemici tra di loro ma comunque nemici dello straniero, ed il nemico spietato.
La Divisione “Emilia” riesce ad accorparsi, altri gruppi sono decimati. Il battaglione “Intra” segue una formazione nazionalista jugoslava, accorgendosi troppo tardi che collabora con i tedeschi, ai quali il battaglione “Aosta” si arrende l’8 ottobre.
Tra l’ultima decade di settembre e la prima di ottobre del 1943, quando nasce l’idea di collegarsi con i partigiani e di ripiegare verso l’interno del territorio, in Bosnia, la “Taurinense” ha più di 400 morti, così come quasi 400 sono i morti della “Venezia” e del battaglione di lavoratori. A questo si aggiunge una micidiale epidemia di tifo petecchiale.
Questo disastro dura per tutto ottobre 1943, alcuni aiuti cominciano a pervenire nel mese di novembre, ma insufficienti. Ci si deve spostare di continuo, nel freddo e nella fame, e combattendo. Dall’8 settembre al 2 dicembre 1943 si compie il passaggio delle Divisioni suddette nell’Esercito di Liberazione Jugoslavo. Il 2 dicembre, a Pljevlja ( Plevia) le due brigate della Divisione “Taurinense” e le sei brigate della Divisione “Venezia”, per rafforzarsi e razionalizzare l’uso del materiale, si uniscono nella Divisione Italiana partigiana Garibaldi. Si costituiscono tre brigate, e 10 battaglioni di lavoratori. La Brigata “Aosta “ed altri gruppi rimangono con la loro identità affiancati alla Divisione Garibaldi.
Il battesimo del fuoco è del 5 dicembre, a Pljevlja ( Plevia). Le perdite sono di 560 uomini, molti sono i prigionieri, soprattutto tra i lavoratori che non sono armati. Altri morti e feriti in quei giorni nella cosiddetta “ Tomba degli italiani “. Molti dubbi rimangono sul comportamento dei partigiani: furono avvertiti dell’avanzata tedesca, e si ritirarono in tempo, lasciando gli italiani senza le informazioni utili. Difficile non pensare ad un terribile strascico del periodo precedente, alle sofferenze subite dai partigiani per mano italiana.
Se vi furono molte manifestazioni di solidarietà del popolo jugoslavo verso gli italiani che combattevano con i partigiani, sentimenti che appaiono soprattutto nei numerosi diari e testimonianze dei sopravissuti, rimane vero che i partigiani non ebbero sempre come principale preoccupazione la lotta ai tedeschi, alla quale esposero volentieri gli italiani. Gli jugoslavi erano dilaniati da lotte interne e l’occupazione del territorio dalle varie frazioni prevaleva spesso sul fronte comune contro il nemico, come si vide alla fine della guerra quando l’Armata tedesca si ripiego abbastanza indisturbata dal sud della Jugoslavia verso l’Austria perché l’Esercito jugoslavo si muoveva verso la Venezia Giulia e l’Istria.
“Anche questa azione rappresentava in campo internazionale il corollario della prevalente concezione politica della guerra partigiana, per cui, ancor prima di avere totalmente sconfitto il nemico, occorreva mettere le mani sui pegni che la futura vittoria alleata doveva assicurare. “3 scrivono Viazzi e Taddia.
I combattimenti dureranno per dodici mesi ininterrotti, su tutto il territorio della Bosnia, con ingenti perdite, talvolta di corpi interi. Si lotta contro cetnici, ustascia, musulmani e truppe bulgare, oltre che tedeschi. La Divisione riesce ad inquadrare altri italiani rimasti sbandati, vive e soffre ma unita, sentendosi investitasi del ruolo di rappresentare l’Italia. Il cappellano militare benvoluto da tutti, la solidarietà tra questi uomini è esemplare, va oltre i loro personali convincimenti politici e religiosi, e la disciplina eccellente, considerato il contesto.
La 1° Brigata è a Sarajevo quando arriva inaspettato, nel febbraio 1945, l’ordine di riunione a Ragusa per il rimpatrio, previsto per il 7 marzo. Dall’8 marzo partirono a scaglioni vari gruppi composti complessivamente di 3913 tra ufficiali, sott’ufficiali e truppa, poi 5870 sbandati tra cui 209 mogli e figli.
Al dolore della sofferenza di tutti, delle tante morti, si aggiunge l’amarezza del “dopo “. Per capire l’accaduto alla Divisione Garibaldi dopo il rientro, concluso l’8marzo 1945, bisogna partire dal messaggio che Umberto di Savoia manda a Taranto, dove sono accolti i rientranti, al col. Ravnich il 16 marzo 1945:
“Ho stamane nei vostri soldati molto ammirato magnifico aspetto veramente degno loro eroico comportamento. A Lei, ufficiali militari tutti della Divisione Garibaldi rinnovo il mio saluto affettuoso e i miei migliori voti augurali. Umberto di Savoia. “
Il magnifico aspetto... dei vivi naturalmente. .. E’ vero che nel quadro generale della guerra, gli eventi della Jugoslavia possono non sembrare avere avuto un grande rilievo. La “ Garibaldi “ non ha avuto molto risaltonelle rievocazioni storiche e nelle celebrazioni: i reduci se ne sono sempre lamentati.
Se al ritorno i caduti accertati sono 3556, i dispersi sono circa 5000. Si raggiunge dunque, decorsi i tempi della speranza, il numero di 8500 caduti.
Anche nell’opera di Viazzi e Taddia voluta dalla Commissione presieduta dal Generale Elio Muraka, talvolta severa nel denunciare una autogiustificazione e una autocelebrazione dei reduci, si riconosce che “ dal punto di vista storico, può essere di grande efficacia morale riscontrare che nel crollo generale al momento dell’armistizio ci sono state delle strutture che hanno retto e che, pur tra insidie di ogni genere, hanno tenuto fede all’obiettivo primario di salvaguardare il proprio onore militare.”
Per l’onore d’Italia, infatti, avevano combattuto questi soldati, e nella posizione presa accanto ai partigiani jugoslavi avevano cercato la coerenza dell’impostazione antitedesca che l’armistizio imponeva ma che nell’incertezza della sorte della guerra, e di notizie precise, nessuno si sentiva di sostenere come la scelta “ giusta “ moralmente e, si sperava, vincente militarmente.4 L’onore consisteva di avere potuto finalmente combattere il fascismo, che si fosse poi monarchici, repubblicani, comunisti, liberali, cattolici o laici, non importava. Chi non lo voleva combattere sul terreno se ne era andato, almeno questo era chiaro. E l’avere al momento del ritorno riposto sui laceri vestiti dell’armata “stracciona” le stellette e le insegno dell’Esercito italiano diceva chiaramente la certezza di avere combattuto nella fedeltà all’impegno iniziale, che non era diretto al Regime vigente bensì alla patria. 5
Al momento del ritorno, i reduci della Divisione Garibaldi sono alquanto imbarazzanti. E’ vero che sbarcano a Brindisi e sono mandati al deposito di Taranto, ma sopra la linea gotica soffia ancora il “vento del nord”, e diversi vogliono combattere ancora. I tempi del loro reinserimento saranno lunghi e faranno si che non lo potranno fare. Altri saranno mandati in congedo.
Si sta delineando il nuovo equilibrio del mondo. In Europa le zone d’influenza sono ormai chiare, e la Jugoslavia è zona molto sensibile. Tuttavia considerare, con Viazzi e Taddia, quei 18 mesi “una catabasi, un ritorno durato troppo a lungo “ lascia veramente sgomenti. Si sarebbe dato una colorazione politica “ negli ultimi mesi ad una vicenda rimasta fino allora nei cannoni tradizionali di una formazione militare, sorpresa all’estero dall’armistizio, che aveva inteso salvaguardare il proprio onore e la propria dignità respingendo umilianti condizioni di resa.” Ma avrebbero combattuto con tanto slancio soldati che miravano solo al ritorno in patria, non lottavano loro anche per la democrazia e per la libertà, che uniti nella lotta portavano ciascuno in cuore con il colore della propria coscienza politica ?
In quanto concerne la Divisione Garibaldi, ci fu un notevole divario tra la storia ufficiale e la memoria dei singoli. La memorialistica ha tramandato una storia molto sofferta e mai dimenticata. Stefano Gestro fu forse il migliore nello scrivere, ma era anche un poeta, e i Quaderni di camicia rossa hanno pubblicato le sue poesie come tante altre testimonianze: “Crocefisse nel sangue, dissolte nella neve, disperse nel vento, erano esse le storie che dovevamo raccontare e che mai avrebbero fatto la verità della storia ufficiale”.
Ci furono opere di notevole spessore, come quella di Giacomo Scotti , che sembrano un grido di dolore, composto, da soldato, una testimonianza dettagliata, inconfutabile anche su chi raggiunge i partigiani prima dell’8 settembre. Li chiamarono ” disertori “. Rileggiamo “ il verde Lim “, di Eugenio Lisserre, e tanti altri. Ognuno seguì la sua coscienza e la sua sensibilità. L’archivio del Generale Ravnich, monarchico , fu da lui consegnato alla Fondazione Maria José di Savoia, ed è irraggiungibile. Non può non venire il sospetto che l’ultimo comandate della Divisione Garibaldi non avesse come prima preoccupazione la memoria della lotta partigiana dei nostri soldati.
Ci sono tanti reduci che non vollero mai più parlare della loro esperienza, e rientrarono nella vita civile come erano entrati , di leva, nell’Esercito. L’Associazione è servita a dare voce ai garibaldini moderni, per non dimenticare e tracciare una linea retta tra i valori Risorgimento e della Resistenza. Un indirizzo lo diede il nome di Garibaldi: strumentalizzato per un ventennio, fu portato sul campo di battaglia a ritrovare se stesso, restituendolo alla democrazia.
24 ottobre 2013.
2 E.GOBETTI Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia 1941-1943. Laterza, Bari, 2013.
4 L.MANNUCCI Per l’onore d’Italia. ANVRG 1985,1994.
5 GESTRO S. L’armata Stracciona. L’epopea della Divisione Garibaldi in Montenegro (1943-1945). Regione Toscana. 1976.