GUERRA GUERRA GUERRA

1) Siria e dintorni
– Siria: Obama bombarda la tregua (LINKS)
– Perche' non aderiamo all'appello ed alla manifestazione del 24 settembre (Lista Comitato No Guerra No Nato e Rete No War Roma)
– I crimini degli Usa in Siria e quei sedicenti 'sinistri alternativi" sempre dalla parte sbagliata della storia... (Mauro Gemma)
2) Libia e dintorni
– L’Italia e’ in guerra (Rete campana contro la guerra e il militarismo)
– I miliziani di Misurata che l’Italia va a curare sono criminali di guerra (Marinella Correggia, Il Manifesto del 16.9.2016)
3) Esplosive mail della Clinton (Manlio Dinucci, Il Manifesto del 20.9.2016)


Si veda anche:

Videocorso per smascherare le bufale di guerra (SiBiaLiRia 9.9.2016)
“Tu dammi le fotografie e io ti darò la guerra” tuonava l’editore William Hearst al suo fotografo Frederick Remington che, nel 1898, non trovava a Cuba nessuna scena che giustificasse una invasione USA.
Da allora molte cose sono cambiate, ovviamente in peggio. E oggi, secondo Sheldon Rampton – già autore di un libro che ha fatto scuola – soltanto negli USA, le organizzazioni governative e gli istituti, organizzazioni e fondazioni ad esse aggregate spenderebbero annualmente più di un miliardo di dollari per promuovere, tramite la Rete, le guerre dell’Impero. Un lavoro condotto, spesso con maestria, da legioni di giornalisti, pubblicitari, esperti in video… e che gli ignari utenti della Rete (un miliardo e mezzo di persone solo Facebook) provvedono a diffondere in ogni dove.
Per cercare di arginare questo fiume di menzogne, pochi attivisti NoWar e qualche giornalista ancora onesto si industriano nell’analizzare e smascherare le “bufale” che – sopratutto dopo la guerra alla Libia del 2011 – ci vengono tutti i giorni propinate. E per far crescere questa fondamentale rete di controinformazione Sibialiria ha realizzato un videocorso che illustra alcuni segreti di bottega per smascherare queste bufale.
Qui sotto le prime due puntate.
Prima puntata (Sibia Liria, 8 set 2016)
Seconda puntata (Sibia Liria, 8 set 2016)


=== 1: Siria e dintorni ===

ISIS Air Force: gli aerei di Obama fanno strage di soldati siriani (PandoraTV, 18 set 2016)
Mentre l'attenzione del mondo è deviata da un attentato a Manhattan, è in atto una svolta drammatica della guerra siriana. Un raid aereo USA uccide decine di militari e all'istante parte l'offensiva ISIS. Mosca accusa Washington: li protegge...

Siria: Obama bombarda la tregua. Usa in (colpevole) confusione (di Marco Santopadre, 19 settembre 2016)
... Un grosso, ennesimo regalo dell'amministrazione Obama ai cosiddetti 'ribelli moderati', dopo la pioggia di milioni che sono spesso serviti ad armare e addestrare miliziani passati poi ad al Qaeda o a Daesh...

Attacco Usa sulle truppe siriane, il racconto delle vittime (PandoraTV, 20 set 2016)
Sabato 17 settembre, a soli cinque giorni dall’accordo tra Russia e Usa sulla tregua in Siria, due caccia F-16 jet e due aerei di supporto A-10 della coalizione occidentale hanno lanciato quattro attacchi aerei contro le postazioni dell’esercito siriano nella montagna di Al-Tharda. Sessantadue le vittime tra i soldati siriani. Oltre 100 i feriti. La zona è ora sotto il controllo dello Stato Islamico...

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Comunicato della Lista Comitato No Guerra No Nato e della Rete No War Roma

 

PERCHE' NON ADERIAMO ALL'APPELLO ED ALLA MANIFESTAZIONE DEL 24 SETTEMBRE

Pur avendo sostenuto per anni la lotta del popolo curdo, siamo molto preoccupati delle scelte che una parte della sua dirigenza ha imposto in Siria. Queste scelte e le loro conseguenze non sono assolutamente messe in discussione dall’appello per il 24 settembre:

 

1)     Non viene minimamente condannato il fatto che l'esercito turco ha invaso uno stato indipendente, la Siria, in cui gli stessi Curdi vivono, violandone platealmente la sovranità.

2)     Non viene chiarito che gli stessi Curdi della Siria, ed i loro alleati delle "forze democratiche siriane" (spezzoni di vecchie formazioni jihadiste facenti capo al sedicente Esercito Libero Siriano), hanno per primi essi stessi violato la sovranità del loro paese consegnando nelle mani dell'alleato esercito statunitense una serie di basi su suolo siriano. 

3)     Viene taciuto che gli stessi statunitensi si servono di queste basi per attaccare e minacciare l'esercito nazionale siriano che difende l'unità, l'indipendenza e la sovranità del paese, mentre contemporaneamente l'esercito nazionale viene bombardato anche da Israele, che cura anche i feriti di Fateh al-Sham (ex al-Nusra) e dell'ISIS nei propri ospedali..
L'ultimo deliberato bombardamento dell'esercito USA sulle posizioni  dell'esercito siriano a Deir Es Zor, città assediata dalle bande dell'ISIS,  che ha causato decine di morti, favorendo così gli attacchi dell'ISIS, dovrebbe far riflettere sulle reali intenzioni degli USA. Gli Statunitensi stanno anche sabotando la tregua umanitaria concordata con la Russia, non onorando l'impegno preso di costringere le formazioni armate da loro controllate a cessare il fuoco ed a distaccarsi dai terroristi estremisti dell’ex al-Nusra ed ISIS. 


Fin dagli anni '90 i neocons USA nei loro documenti indicavano una serie di paesi da distruggere perché non compatibili con i loro sogni di domino mondiale, tra cui la Siria, la Jugoslavia, l'Iraq, l'Iran, la Libia e altri paesi. A partire dall'amministrazione di Bush jr le indicazioni dei neocons sono state adottate ufficialmente come strategia della politica estera statunitense. Di questo ci sono oltre che i fatti, varie testimonianze, a partire da una famosa intervista rilasciata nel 2008 dal generale Wesley Clark.  
Come conseguenza, fin dal 2011 è stata formata una vasta alleanza filo-imperialista con l'intento di distruggere lo stato siriano laico e progressista, uscito dalle lotte anticoloniali, così come già è stato fatto per la Jugoslavia, Libia, Iraq, Ucraina, Somalia, Costa d'Avorio, Sudan.
Di questa alleanza fanno parte USA, UE, NATO, Turchia, Arabia Saudita, Qatar, e bande di mercenari jihadisti terroristi che fanno capo all’ex al-Nusra, ISIS, e presunte formazioni "moderate" legate agli USA.
Il movimento curdo siriano, che dichiara di voler lottare per una Siria democratica, dovrebbe precisare se intende portare avanti le proprie rivendicazioni nell'ambito dello stato laico e progressista siriano, che ha assicurato pieni diritti alle donne, e alle numerose religioni ed etnie presenti nel paese,  o cercare illusoriamente di realizzare le proprie aspirazioni a costo della distruzione della Siria, programmata da tempo dall'imperialismo,  con la creazione di uno staterello fantoccio, stile Kosovo.
Altrettanta chiarezza richiediamo a tutte quelle organizzazioni sedicenti pacifiste e di sinistra, che non mancano occasione di attaccare e demonizzare il governo della Siria, e che oggi trovano un facile alibi nell'adesione all'ambigua manifestazione del 24.

                        

                        Roma 19/9/2016         Lista Comitato No Guerra No Nato,   Rete No War Roma

                        Per adesioni: comitatononato@...


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I crimini degli Usa in Siria e quei sedicenti 'sinistri alternativi" sempre dalla parte sbagliata della storia...

di Mauro Gemma*

90 soldati dell'esercito del governo legittimo siriano sono stati uccisi da un raid statunitense, per stessa ammissione delle autorità USA. In compenso, la convocazione da parte russa del Consiglio di Sicurezza dell'ONU viene definita "un atto di cinismo" da parte della rappresentante americana. 

E intanto, mentre l'imperialismo statunitense prosegue la sua aggressione alla Siria in aperta violazione della tregua raggiunta in questi giorni, c'è chi, nella "sinistra" cosiddetta "radicale", si appresta a manifestare il 24 settembre con comunicati che contengono affermazioni di questo tipo: "(...) sosteniamo la lotta dei settori democratici e progressisti siriani contro il dittatore Assad. Stati Uniti e Russia, riavvicinatasi alla Turchia, hanno trovato un fragile accordo per il cessate il fuoco fatto sulle spalle della popolazione siriana (...)" (dal comunicato di adesione di "Sinistra anticapitalista" alla manifestazione della rete Kurdistan).

Siamo alle solite. Quando la situazione richiede chiarezza e determinazione da parte di tutte le forze antimperialiste e progressiste a fianco di stati e popoli che combattono per affermare la propria sovranità e diritto a decidere del proprio futuro, ecco che arrivano le sconclusionate truppe di certa "sinistra radicale" ad aggiungere la propria voce di "utili idioti" di aggressioni imperialiste, disegni secessionisti e rivoluzioni colorate.  

Nei momenti decisivi è sempre stato così. Fin dai tempi in cui, certi ultra-rivoluzionari (i signori dell'attuale "Sinistra anticapitalista", per primi) non esitavano a schierarsi con i tagliagole dell'UCK, con i bombardieri di Radio B92 di Belgrado, con i "ribelli di Bengasi", con le Pussy Riots e chi più ne ha più ne metta. Sempre dalla parte sbagliata. Sempre con chi è finanziato e foraggiato dall'imperialismo yankee.

E adesso aspettiamo solo che i sostenitori delle bande terroriste siriane al servizio degli USA, sabato prossimo riempiano le piazze di Roma, sotto lo sguardo compiaciuto di tanti sedicenti "sinistri alternativi" di casa nostra.

*Direttore di Marx 21. Fonte: L'Antidiplomatico



=== 2: Libia e dintorni ===


Una presa di posizione della Rete campana contro la guerra  sulla decisione dello scorso 13 settembre con la quale l'Italia torna ad avventurarsi in Libia. Il documento è stato pensato e formulato anche nel percorso di sostegno e diffusione della mobilitazione NO MUOS del 2 Ottobre.

Rete campana contro la guerra e il militarismo
 

L’ITALIA E’ IN GUERRA

Con la decisione dello scorso 13 settembre, l'Italia torna ad avventurarsi in Libiaoltre 300 militari, di cui 200 paracadutisti della Folgore, una portaerei, uno stormo di cacciabombardieri, diversi droni e tre basi militari impegnate in Italia (Trapani, Gioia del Colle, Sigonella), per una missione che, ipocritamente spacciata come missione “umanitaria” dal nome evocativo di Ippocrate (in onore del “padre” della medicina), si configura a tutti gli effetti come una missione di guerra, con un impegno pesante in uomini e mezzi, che espone ancora di più l'Italia al rischio di ritorsioni ed accelera la militarizzazione in corso nel Mediterraneo.

L'Italia era già attivamente presente in Libia dallo scorso 10 febbraio, con l’intervento di forze speciali, al fianco di quelle britanniche, presso Misurata, in un'altra operazione dal nome altisonante (Solida Struttura), a difesa dei pozzi e delle infrastrutture petrolifere. Con lo schieramento di questo ulteriore contingente militare,  proprio nel momento in cui cresce la battaglia tra le fazioni libiche ed i loro sponsor internazionali per l’accaparramento della cosiddetta “Mezzaluna Petrolifera”,  l'Italia si conferma protagonista nell’aggressione ai Paesi dell’Africa, nord e sub-sahariana, e del Medio e Vicino Oriente. 

Oltre alla Libia, infatti, i soldati italiani sono presenti in Afghanistan, dove il contingente italiano si è addirittura rafforzato superando i 700 militari, e anche massicciamente in Iraq, non solo con un proprio contingente (500 uomini) a difesa della Diga di Mosul, ma anche nell'operazione strategica (Prima Parthica) di addestramento dell'esercito iracheno e nell'operazione delle forze speciali (Centuria) che impegna circa 100 uomini, di base a Taqaddum, non distante da Ramadi e da Falluja, con compiti di coordinamento e di sostegno alle forze armate irachene. In totale oltre 1000 militari, vale a dire, la seconda forza militare straniera nel Paese dopo quella USA.

A tutto ciò si deve aggiungere la presenza italiana nell'ambito della “Coalizione Internazionale”, a guida USA, in Siria, con compiti di appoggio logistico e di supporto militare, nella guerra civile e per procura che, da più di cinque anni a questa parte, ha già provocato più di 250 mila vittime, e il rinnovato attivismo militare del nostro Paese in Africa. La cosiddetta “lotta ai trafficanti di uomini” e la strategia di “contenimento” dei flussi migratori e di militarizzazione delle rotte dei migranti lanciata proprio durante il semestre italiano di presidenza della Unione Europea (“Processo di Karthoum”), sta “legittimando”, oltre alla massiccia partecipazione e al coordinamento delle missioni militari nel Mar Mediterraneo, gli accordi bilaterali di collaborazione militare con diversi Paesi dell’area.  

All'inizio dello scorso mese di agosto, ad es., Italia e Sudan hanno sottoscritto un protocollo di cooperazione anti-migranti, che prevede il blocco e il rimpatrio, vere e proprie deportazioni forzate, verso il Sudan. Il governo italiano, insieme a quello tedesco, sta finanziando, addestrando e supportando i reparti scelti delle forze armate sudanesi per bloccare con ogni mezzo il flusso di migranti, in fuga da guerre e povertà, verso il Mediterraneo. 

Non meno significativo è l'impegno del governo Renzi per un riarmo in grande stile dell'Europa: va in questa direzione il piano elaborato dai Ministri Gentiloni e Pinotti, anticipato nella lettera a “Le Monde” e già portato al tavolo del summit con Merkel e Hollande, per una “Schengen della Difesa”. Il piano prevede che un’avanguardia di Paesi - la troika costituita da Italia, Francia e Germania - lavori in tempi rapidi all’integrazione europea nel campo della difesa per rafforzare le capacità militari comuni ed accrescere l’autonomia di azione dell’Europa con la costituzione di un vero e proprio Esercito Europeo ed un'aggressiva struttura di Difesa Militare dell'Unione. Insieme a questo andrebbe rilanciata anche l'industria europea della difesa.  Ad es. c’è  l’accordo per lo sviluppo del drone europeo Euromale tra Francia, Germania e Italia e procede il completamento del sistema satellitare europeo Galileo che renderà i paesi aderenti alla Ue – e non solo – del tutto indipendenti dal sistema satellitare Usa, il Gps.

Ovviamente, gli stanziamenti necessari per tutto saranno fuori dal Patto di Stabilità, quotidianamente invocato per avallare le politiche antisociali di tutti i  governi europei. Già oggi, la spesa militare europea ammonta a centinaia di miliardi e i dati SIPRI ed il rapporto (http://www.iai.it/sites/default/files/pma_report.pdf) stimano per i 31 Paesi europei presi in considerazione un aumento in media nel 2016 pari all’8,3 per cento rispetto al 2015. Solo in Italia spendiamo in strutture militari, armamenti, missioni all'estero, circa 100 milioni al giorno.

Anche il fatturato militare nel continente è stratosferico; solo l’Italia nel 2015 ha esportato per un valore di oltre 8,2 miliardi di euro, un boom del 186 per cento rispetto al 2014! Si tratta di armi vendute,  per esempio,  agli Emirati Arabi e all’Arabia Saudita, che le usano per armare i gruppi della jihad e per la guerra contro lo Yemen; oppure alla Turchia e all’Egitto, dove vengono violati in modo scandaloso i diritti umani.

La necessità del riarmo dell'Europa e dell'esercito europeo è stata richiamata da un’altra italiana, Federica Mogherini. Nel minaccioso intervento dello scorso 3 settembre, a Bratislava, l'Alto Rappresentante UE, da una parte ha confermato il “pieno sostegno” al governo turco (nei giorni stessi dell'invasione della Siria da parte dell'esercito turco e della durissima repressione che in Turchia sta colpendo il popolo curdo, gli attivisti e gli oppositori al regime di Erdogan); dall'altra ha auspicato un rafforzamento, anche e soprattutto militare, dell'Unione Europea, una vera e propria “Fortezza Europa”.

A dispetto, quindi, della propaganda renziana sulla cooperazione civile e la “inclusione attraverso la cultura”, l'Italia, con i suoi oltre 7000 militari impegnati nelle missioni internazionali, è oggi uno dei Paesi al mondo più attivi sul fronte della guerra e della militarizzazione. La presenza delle forze armate italiane negli scenari più sensibili degli approvvigionamenti strategici e delle risorse energetiche (Libia, Iraq, Afghanistan) mostra chiaramente il carattere strategico ed imperialistico di questa proiezione internazionale, che nulla ha di difensivo né, tanto meno, di “umanitario”.

L’utilizzo strumentale della lotta al terrorismo, la paura diffusa a piene mani nei confronti del “pericolo islamico”, le campagne razziste e xenofobe contro gli immigrati, sono parte della macchina di propaganda finalizzata ad ottenere il consenso a questa politica di aggressione ed al militarismo crescente e ad arginare e criminalizzare qualsiasi opposizione. 

Perfino la modifica del processo decisionale e del modo come vengono discusse in Parlamento le missioni militari è coerente con questa esigenza di compattamento sciovinistico e militare. 

Nel silenzio tombale dei media, lo scorso 14 luglio, è stata approvata in via definitiva la nuova “legge quadro sulle missioni internazionali”, la quale disciplina (art. 1) «la partecipazione delle forze armate, delle forze di polizia … e dei corpi civili di pace a missioni internazionali istituite nell'ambito dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) o di altre organizzazioni internazionali cui l'Italia appartiene» (in particolare, come ben si comprende, la NATO), toglie (art. 2) al Parlamento, che può intervenire solo con generici “atti d'indirizzo”, la facoltà di approvare o respingere, in modo vincolante, le missioni militari, e dà, viceversa, al Governo (art. 2 e art. 3), pieni poteri nella realizzazione e nella conduzione delle missioni di guerra del nostro Paese. 

In pratica il Parlamento italiano (che certo non si è distinto nell’opposizione alle missioni militari passate e presenti) è stato esautorato (o meglio, votando questa legge, si è autoesautorato) da qualsivoglia potere decisionale in merito alle iniziative militari, delegando totalmente ogni decisione sulla guerra al potere esecutivo, che può agire senza, in alcuni casi, che il Parlamento venga neppure messo al corrente di tali iniziative. 

A questa accelerazione nella svolta autoritaria si accompagna la crescente repressione di quanti lottano contro la guerra e la militarizzazione del territorio. Solo poche settimane fa, proprio mentre il governo Renzi imponeva il dissequestro del MUOS, decine e decine di attivisti NO MUOS sono stati denunciati per la loro strenua opposizione a questo micidiale strumento di guerra.

Contro la messa in funzione del MUOS, contro l’uso delle basi militari presenti in Sicilia, contro le politiche razziste, gli hotspot e i CIE, il movimento NO MUOS ha indetto la manifestazione del 2 ottobre

Come “Rete campana contro la guerra ed il militarismo” siamo schierati al loro fianco. Facciamo appello a tutti gli antimilitaristi, ai comitati, alle associazioni, ai compagni tutti a sostenere e rafforzare questa mobilitazione anche con iniziative sui propri territori per rilanciare sul piano nazionale un movimento contro la guerraOpporsi al governo Renzi, contrastare questo stato di cose significa, oggi più che mai, lottare contro la guerra e la militarizzazione. 

Non possiamo, infatti, illuderci di difendere i nostri diritti e di contrastare gli attacchi alle nostre condizioni di vita rimanendo indifferenti o dimostrandoci concilianti con l’oppressione e la violenza del “nostro” Paese su altri Paesi. Le aggressioni economiche e militari verso altri popoli e la politica dei continui sacrifici per “uscire dalla crisi economica” che ci impoverisce quotidianamente, sono due facce della stessa medaglia e hanno identici responsabili.

Diciamo NO all’intervento militare in Libia e chiediamo il rientro delle truppe italiane impegnate nelle missioni all’estero.

Diciamo NO alle spese militari  che continuano a crescere  mentre si continuano a tagliare  le spese sociali.

Schieriamoci dalla parte dei dannati della terra rivendicando il diritto all’accoglienza per tutti gli immigrati. 

 

Rete campana contro la guerra ed il militarismo

Napoli, 16/09/2016


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I miliziani di Misurata che l’Italia va a curare sono criminali di guerra

di Marinella Correggia

Chissà cosa pensano dell’«operazione Ippocrate» i libici di Tawergha. Cinque anni fa, i 40mila cittadini di pelle nera che popolavano questa città furono oggetto di pulizia etnica: parecchi uccisi e imprigionati, tutti gli altri deportati in massa proprio dalle milizie dichiaratamente razziste di Misurata che l’Italia va a soccorrere. In effetti dei molti gruppi armati libici ai quali l’operazione Nato «Unified Protector» nel 2011 fece da forza aerea, le Misrata Brigates – decine di migliaia di combattenti, già parte essenziale della compagine islamista Fajr sostenuta dal Qatar – sono forse il peggio. Altro che gli «eroi in ciabatte», prima protagonisti della «rivoluzione» libica nel 2011, poi della «lotta contro Daesh a Sirte» nel 2016.

Dall’agosto 2011 Tawergha, in fondo un simbolo della «nuova Libia», è una città fantasma e semidistrutta. Gli abitanti fuggirono in massa mentre i «ribelli» vittoriosi uccidevano molti di loro, ne imprigionavano altri – accusandoli di stupri senza prove e chiamandoli mercenari – e davano fuoco alle case, con il pubblico consenso dell’appena insediato primo ministro libico Mahmoud Jibril, capo del Consiglio nazionale di transizione (Cnt). I fuggiaschi si rifugiarono nel sud della Libia e in campi profughi sparsi in diverse città oppure si spostarono in Tunisia ed Egitto. Da allora hanno condotto una vita grama.


Il 31 agosto scorso il rappresentante dell’Onu per la Libia Martin Kobler ha propiziato a Tunisi un accordo di riconciliazione fra Misurata e Tawergha che prevede fra l’altro il ritorno in condizioni di sicurezza degli sfollati, il ripristino a cura del governo libico di un minimo di servizi sociali – compresa la rimozione delle mine-, risarcimenti per gli uccisi e le proprietà danneggiate.

Non sarà facile rendere operativo ed equo un patto che risulta leonino fin dall’esordio: richiama infatti la dichiarazione del 23 febbraio 2012 con la quale «i leader delle tribù di Tawergha porgevano le scuse a Misurata per qualunque azione compiuta da qualunque residente di Tawergha». Nessuna scusa, invece, da parte degli autori della pulizia etnica.

Nel mirino dei misuratini, autori anche della cacciata di molte famiglie dall’area di Tamina, sono finiti poi un numero importante di cittadini non libici, africani subsahariani linciati o imprigionati senza processo né prove. La caccia al nero non è storia solo del 2011. L’inviato del New Statesman pochi mesi fa si è sentito rispondere dal guardiano dell’obitorio di Misurata che i corpi nella stanza erano di africani uccisi, magari per un telefonino.

Gli armati di Misurata hanno compiuto stragi di civili e attacchi indiscriminati anche durante l’assedio, nel 2012, alla città di Bani Walid accusata di ospitare sostenitori del passato regime. E al tempo dell’assedio di Sirte, con Misurata sempre in prima linea, fu impedito l’accesso alla Croce rossa nella città. Nell’agosto 2014 fioccarono invano altre accuse di crimini: le milizie Fajr guidate da Misurata, nel prendere il controllo di Tripoli e delle aree circostanti avevano costretto alla fuga migliaia di civili distruggendone le proprietà.

Impunità assoluta per i «ribelli» di Misurata anche rispetto ai crimini compiuti nelle loro carceri autogestite, con maltrattamenti e torture all’ordine del giorno e nessuna garanzia di equo processo a carico di detenuti qualificabili come politici. E mentre l’Ue chiudeva gli occhi per anni al traffico di armi verso le coalizioni jihadiste di Fajhr Libia, la città di Misurata rimane un hot spot, con ovvie complicità, in un altro traffico: quello di esseri umani.

Marinella Correggia – Il Manifesto del 16 settembre 2016


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L’arte della guerra 

Esplosive mail della Clinton 

Manlio Dinucci 


Ogni tanto, per fare un po’ di «pulizia morale» a scopo politico-mediatico, l’Occidente tira fuori qualche scheletro dall’armadio. Una commissione del parlamento britannico ha criticato David Cameron per l’intervento militare in Libia quando era premier nel 2011: non lo ha però criticato per la guerra di aggressione che ha demolito uno stato sovrano, ma perché è stata lanciata senza una adeguata «intelligence» né un piano per la «ricostruzione». 

Lo stesso ha fatto il presidente Obama quando, lo scorso aprile, ha dichiarato di aver commesso sulla Libia il «peggiore errore», non per averla demolita con le forze Nato sotto comando Usa, ma per non aver pianificato «the day after». 

Obama ha ribadito contemporaneamente il suo appoggio a Hillary Clinton, oggi candidata alla presidenza: la stessa che, in veste di segretaria di stato, convinse Obama ad 
autorizzare una operazione coperta in Libia (compreso l’invio di forze speciali e l’armamento di gruppi terroristi) in preparazione dell’attacco aeronavale Usa/Nato. 

Le mail della Clinton, venute successivamente alla luce, provano quale fosse il vero scopo della guerra:  bloccare il piano di Gheddafi di usare i fondi sovrani libici per creare organismi finanziari autonomi dell’Unione Africana e una moneta africana in alternativa al dollaro e al franco Cfa. 

Subito dopo aver demolito lo stato libico, gli Usa e la Nato hanno iniziato, insieme alle monarchie del Golfo, l’operazione coperta per demolire lo stato siriano, infiltrando al suo interno forze speciali e gruppi terroristi che hanno dato vita all’Isis. Una mail della Clinton, una delle tante che il Dipartimento di stato ha dovuto declassificare dopo il clamore suscitato dalle rivelazioni di Wikileaks, dimostra qual è uno degli scopi fondamentali dell’operazione ancora in corso. 

Nella mail, declassificata come 
«case number F-2014-20439, Doc No. C05794498», la segretaria di stato Hillary Clinton scrive il 31 dicembre 2012: «È la relazione strategica tra l’Iran e il regime di Bashar Assad che permette all’Iran di minare la sicurezza di Israele, non attraverso un attacco diretto ma attraverso i suoi alleati in Libano, come gli Hezbollah». Sottolinea quindi che «il miglior modo di aiutare Israele è aiutare la ribellione in Siria che ormai dura da oltre un anno», ossia dal 2011, sostenendo che per piegare Bashar Assad, occorre «l’uso della forza» così da «mettere a rischio la sua vita e quella della sua famiglia».

Conclude la Clinton: «Il rovesciamento di Assad costituirebbe non solo un immenso beneficio per la sicurezza di Israele, ma farebbe anche diminuire il comprensibile timore israeliano di perdere il monopolio nucleare». La allora segretaria di stato ammette quindi ciò che ufficialmente viene taciuto: il fatto che Israele è l’unico paese in Medio Oriente a possedere armi nucleari. 

Il sostegno dell’amministrazione Obama a Israele, al di là di alcuni dissensi più formali che sostanziali, è confermato dall’accordo, firmato il 14 settembre a Washington, con cui gli Stati uniti si impegnano a fornire a Israele i più moderni armamenti per un valore di 38 miliardi di dollari in dieci anni, tramite un finanziamento annuo di 3,3 miliardi di dollari più mezzo milione per la «difesa missilistica». 

Intanto, dopo che l’intervento russo ha bloccato il piano di demolire la Siria dall’interno con la guerra, gli Usa ottengono una «tregua» (da loro subito violata), lanciando allo stesso tempo una nuova offensiva in Libia, camuffata da operazione umanitaria a cui l’Italia partecipa con i suoi «parà-medici». Mentre Israele, nell’ombra, rafforza il suo monopolio nucleare tanto caro a Hillary Clinton.
 
(il manifesto, 20 settembre 2016)