c/o Via Darsena – ingresso base navale MM (banchina Tullio Marcon)
http://www.nomuos.info/war-games-usa-e-nato-in-sicilia-no-grazie/
Il Convegno – promosso da Pax Christi Italia, Mosaico di pace, Comi-tato No Guerra No Nato, Comunità Le Piagge, Unione Suore Domeni-cane San Tommaso D’Aquino – si è svolto l’11 giugno 2016 nel Complesso S. Niccolò a Prato.
APPELLO DA SOTTOSCRIVERE E DIFFONDERE
Sono in fase di sviluppo negli Stati Uniti – documenta la U.S. Air Force – le bombe nucleari B61-12, destinate a sostituire le attuali B61 installate dagli Usa in Italia e altri paesi europei.
La B61-12 – documenta la Federazione degli scienziati americani (Fas) – non è solo una versione ammodernata della B61, ma una nuova arma nucleare: ha una testata nucleare a quattro opzioni di potenza selezionabili, con una potenza media pari a quella di quattro bombe di Hiroshima; un sistema di guida che permette di sganciarla a distanza dall’obiettivo; la capacità di penetrare nel terreno per distruggere i bunker dei centri di comando in un attacco nucleare di sorpresa.
Le B61-12, che gli Usa si preparano a installare in Italia, sono armi che abbassano la soglia nucleare, ossia rendono più probabile il lancio di un attacco nucleare dal nostro paese e lo espongono quindi a una rappresaglia nucleare.
Secondo le stime della Fas, gli Usa mantengono oggi 70 bombe nucleari B61 in Italia (50 ad Aviano e 20 a Ghedi-Torre), 50 in Turchia, 20 rispettivamente in Germania, Belgio e Olanda, per un totale di 180. Nessuno sa però con esattezza quante effettivamente siano le B-61, destinate ad essere sostituite dalle B61-12.
Foto satellitari – pubblicate dalla Fas – mostrano che, per l’installazione delle B61-12, sono già state effettuate modifiche nelle basi di Aviano e Ghedi-Torre.
L’Italia, che fa parte del Gruppo di pianificazione nucleare della Nato, mette a disposizione non solo il suo territorio per l’installazione di armi nucleari, ma – dimostra la Fas – anche piloti che vengono addestrati all’attacco nucleare con cacciabombardieri italiani sotto comando Usa.
L’Italia viola in tal modo il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari, firmato nel 1969 e ratificato nel 1975, che all’Art. 2 stabilisce: «Ciascuno degli Stati militarmente non nucleari, che sia Parte del Trattato, si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, né il controllo su tali armi e congegni esplosivi, direttamente o indirettamente».
Chiediamo che l’Italia cessi di violare il Trattato di non-proliferazione e, attenendosi a quanto esso stabilisce, chieda agli Stati uniti di rimuovere immediatamente qualsiasi arma nucleare dal territorio italiano e rinunciare a installarvi le nuove bombe B61-12 e altre armi nucleari.
Liberare il nostro territorio nazionale dalle armi nucleari, che non servono alla nostra sicurezza ma ci espongono a rischi crescenti, è il modo concreto attraverso cui possiamo contribuire a disinnescare l’escalation nucleare e a realizzare la completa eliminazione delle armi nucleari che minacciano la sopravvivenza dell’umanità.
BOZZA DI MOZIONE DA PROPORRE AI PARLAMENTARI E AI RAPPRESENTANTI IN ENTI LOCALI
CONSIDERATO che – secondo i dati forniti dalla Federazione degli Scienziati Americani (FAS) – gli Usa mantengono oggi 70 bombe nucleari B61 in Italia (50 ad Aviano e 20 a Ghedi-Torre), 50 in Turchia, 20 rispettivamente in Germania, Belgio e Olanda, per un totale di 180.
CONSIDERATO che – come documenta la stessa U.S. Air Force – sono in fase di sviluppo negli Stati Uniti le bombe nucleari B61-12, destinate a sostituire le attuali B61 installate dagli Usa in Europa.
CONSIDERATO che – come documenta la FAS – la B61-12 non è solo una versione ammodernata della B61, ma una nuova arma nucleare, con un sistema di guida che permette di sganciarla a distanza dall’obiettivo, con una testata nucleare a quattro opzioni di potenza selezionabili, con capacità di penetrare nel terreno per distruggere i bunker dei centri di comando in un attacco nucleare di sorpresa.
CONSIDERATO che foto satellitari, pubblicate dalla FAS, mostrano le modifiche già effettuate nelle basi di Aviano e Ghedi-Torre per installarvi le B61-12.
CONSIDERATO che l’Italia mette a disposizione non solo il suo territorio per l’installazione di armi nucleari, ma anche piloti che – dimostra la FAS – vengono addestrati all’uso di armi nucleari con aerei italiani.
CONSIDERATO che l’Italia viola in tal modo il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari, firmato nel 1969 e ratificato nel 1975, il quale all’Art. 2 stabilisce: «Ciascuno degli Stati militarmente non nucleari, che sia Parte del Trattato, si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, né il controllo su tali armi e congegni esplosivi, direttamente o indirettamente».
I PROPONENTI CHIEDONO al Governo di rispettare il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari e, attenendosi a quanto esso stabilisce, far sì che gli Stati Uniti rimuovano immediatamente qualsiasi arma nucleare dal territorio italiano e rinuncino a installarvi le nuove bombe B61-12 e altre armi nucleari.
PER CONTATTI:
Coordinatore nazionale del CNGNN, Giuseppe Padovano
cell. 393 998 3462
e-mail: giuseppepadovano.gp @ gmail.com
Tempi di crisi, di rotture; alcune lente, altre velocissime. Dopo dieci anni di crisi economica globale, che hanno avuto il loro epicentro negli usa e in Europa, "la politica" non appare più in grado di gestire alcunché. "Il mercato" ha da tempo spossessato gli Stati di buona parte dei loro strumenti strategici per concentrarli in istituzioni sovranazionali inattingili alla volontà delle popolazioni, am permeabilissime alle istanze del grande capitale, soprattutto finanziario.
In un quadro di crisi degli assetti geostrategici – in particolare dopo il voto per la Brexit e l'elezione di Trump alla presidenza Usa – le vecchie alleanze sembrano molto meno solide. Quasi improvvisamente.
Inevitabile, in questo quadro, che le potenze regionali si scoprano militarmente deboli, davanti a "protettori" storici improvvisamente interessati da tutt'altri scenari.
Ma se in un paese chiamato Germania si comincia a discutere pubblicamente della "necessità" di costruire armamenti nucleari "indipendenti", dopo 70 anni di tabù assoluto, è il caso di prendere atto che qualcosa di enorme si è rotto.
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Il riarmo delle testate nucleari tedesche potrebbe trasformarsi in una tragedia nazionale
Il riarmo delle testate atomiche oggi, per la Germania, potrebbe mettere a rischio anche l'ordine mondiale.
Da “Foreignpolicy.com”, Rudolph Herzog, 10 marzo 2017
Traduzione e cura di Francesco Spataro
Dal 1945 ad oggi, nessuno si è più preoccupato dei passi compiuti dalla Germania circa la bomba atomica, ma questo atteggiamento è destinato a cambiare. I commentatori tedeschi, stanno dibattendo da alcuni giorni, se il Paese si debba dotare di nuovo di armi nucleari oppure no. Il più importante quotidiano berlinese, “Der Tagespiel”, ha dato il via alla discussione sulla sua piattaforma online, due mesi dopo le elezioni USA, pubblicando un cosiddetto “articolo d’opinione”, in cui si sosteneva che il Presidente Donald Trump aveva intenzione di chiudere di scatto l’ombrello nucleare della NATO, e che l'unico modo di controbattere le minacce russe percepite era dunque quello di rendersi più indipendenti.
Ma la via a questa “indipendenza”, richiederebbe, un deterrente nucleare tedesco. “Ne va dei nostri interessi fondamentali,” sostiene il politologo Maximilian Terhalle; e continua: “Le circostanze così vitali potrebbero voler dire che Berlino, non dovrebbe ricevere alcun consenso, sulla materia, da parte degli altri 27 membri della Unione Europea.”
Proprio a febbraio, “Die Ziet”, rispettabile settimanale del Paese, ha compiuto un supplemento di indagine, con un articolo che terminava con un duro e spiacevole avvertimento: la Germania potrebbe ignorare il cambiamento dei tempi, oppure investire velocemente nella “Force de Frappe”, o “Forza d'urto”, la forza di dissuasione nucleare francese.
Infranto un tabù di lunga data e con i vari Dottor Stranamore che si aggirano furtivamente fra i mass media nazionali, non c’è voluto molto tempo, prima che qualcuno condannasse queste dichiarazioni. Ottfried Nassauer, a capo del Centro Informazioni per la Sicurezza Transatlantica con sede a Berlino, in un pezzo su “Der Freitag”, un popolare settimanale, ha fatto risalire il concetto di un ordigno atomico tedesco a “un'ala conservatrice, nazionalista e di estrema destra… che soffre di manie di grandezza o si vuole solo divertire ad aprire il vaso di Pandora.” In realtà, alcune di quelle persone, che sono saltate fuori evocando una bomba tedesca (mascherandola debolmente con il termine “Eurobomba”), sembra non abbiano aspettato altro, per sbattere l’idea fra la popolazione.
Con tutto questo dibattito in pieno svolgimento, dovrebbe tornarci alla mente il perché tutto ciò sia un'idea ridicola, e terribilmente pericolosa.
Tanto per cominciare, la Germania è firmataria del Trattato di non proliferazione nucleare, o NPT, e sarebbe quindi illegale, per il Paese, acquisire la bomba. Se una Nazione così influente, all’improvviso si chiamasse fuori da un accordo ancora in vigore e che per quasi mezzo secolo è stato efficace, minerebbe la credibilità del NPT stesso, e sarebbe un esempio estremamente negativo. Altri Paesi potrebbero seguire velocemente questa pratica, scegliendo l’opzione di rinuncia per acquisire la bomba. Nonostante l’Iran sia un ovvio candidato, vicini amici degli Stati Uniti potrebbero sostenere che le garanzie di sicurezza dell’America non sono più affidabili. Vengono alla mente, Giappone, Corea del Sud, Taiwan, ed anche l’Arabia Saudita; paesi situati in zone problematiche, difficili, vicine sia al paria nucleare nordcoreano e alla polveriera del Mar Cinese Meridionale, che all’orrore senza fine dei conflitti che stanno espandendosi in Medio Oriente.
Come un qualsiasi stato “nucleare canaglia”, la Germania si troverebbe anche a perdere molta della sua credibilità nel “potere dolce”, di persuasione e convincimento, conquistato con così tanta fatica.
Ma mentre questi sono argomenti razionali, c’è un altro aspetto del dibattito sulla Germania che va considerato, e che è considerevolmente più sconvolgente di queste particolarità tecniche legali: l’amnesia autoinflitta dei cittadini sulle possibilità di una catastrofe nucleare.
I commentatori che strepitano e reclamano una bomba di produzione tedesca, sembrano aver dormito per la maggior parte del XX secolo, quando il Paese era in prima linea parlando di sterminio nucleare. Quell’esperienza ha reso la Germania depositaria di una conoscenza, guadagnata duramente, sui pericoli di questi armamenti; ma alcuni tedeschi sembrano intenzionati a svuotare questo cassetto dei ricordi.
Richiamiamo alla mente alcuni degli strabilianti progetti ed incidenti, che sono accaduti fuori e dentro la Germania, al culmine del periodo nucleare.
Oggi, gli USA e la Russia hanno ancora una riserva di ordigni nucleari pari a 14.000 testate; durante la Guerra Fredda, questo numero, già enorme, era anche molto più alto ed alcuni degli ordigni più pericolosi erano proprio puntati su obiettivi tedeschi. Per la maggior parte della Guerra Fredda, gli strateghi militari Americani furono convinti che i vertici politici dell’Unione Sovietica, stavano complottando per invadere l’Europa Occidentale con i loro eserciti tradizionali. Per scoraggiare il nemico al di là della Cortina di ferro, e bilanciare eserciti NATO relativamente più piccoli, l’Amministrazione USA, sotto il Presidente Dwight Eisenhower, decise di optare per la teoria del “chi più spende, meno spende.” Questo voleva dire, che le testate nucleari erano piazzate in Europa Occidentale per garantire una massiccia ritorsione, se l’Unione Sovietica avesse deciso di inviare i carri armati, per infiltrarsi al di là del confine.
Nel 1956, il SAC, il Comando Aereo Strategico, (incaricato della detenzione e dell’impiego dell'arsenale nucleare strategico N.d.T.), stabilì che in caso di attacco venissero sganciate ben 91 testate nucleari solo su Berlino Est, alcune delle quali destinate esplicitamente a distruggere la “popolazione”, anche se questo violava i trattati internazionali. La sponda sovietica aveva ammassato una potenza nucleare simile, seguendo la fredda logica della corsa agli armamenti.
Prima dell’avvento dei missili balistici intercontinentali entrambe le parti sganciarono in aria delle bombe 24/7 (bombe a frammentazione N.d.T.), ciascuna armata con una carica esplosiva nucleare. Questa situazione aumentò significativamente le tensioni, e portò ad una serie di incidenti imbarazzanti, come quello tristemente noto come Incidente di Palomares del 1966, nel quale un bombardiere USA B52 si schiantò vicino ad un villaggio spagnolo, perdendo il suo carico, fatto di quattro bombe all’idrogeno. “Hanno iniziato a tremarmi le ginocchia, quando ho visto la testata di uno di questi ordigni”, ha dichiarato uno dei tecnici che recuperarono le bombe in un’intervista per il mio libro “Breve storia di una follia nucleare”.
La sostituzione delle squadre specializzate in allarme bomba, con missili nucleari, alla fine, invece di tranquillizzare la popolazione, ha semmai aumentato la probabilità di un Armageddon (il biblico giorno del giudizio finale, N.d.T.). Il fatto che fossero stati posizionati al largo delle spiagge statunitensi ha poi quasi condotto ad uno scontro nucleare planetario, durante la crisi dei missili a Cuba. Ad un certo punto, una flotta USA iniziò a calare bombe di profondità contro un sottomarino russo, che stava facendo strascico, a largo dei Caraibi. Il capitano russo, Valentin Savistski, ordinò immediatamente di preparare la difesa, con i siluri nucleari, ma aveva comunque bisogno del permesso degli altri due comandanti dell’unità per distruggere l’ordigno; uno di loro acconsentì all’istante, l’altro, tale Vasili Arkhipov, li persuase a non contrattaccare, e anzi a calmarsi un poco.
Non sarebbe stata l'unica volta in cui la III Guerra Mondiale fu evitata per la reazione ragionevole di un uomo con la testa sulle spalle. Nel 1983, la valutazione dell’ufficiale sovietico Stanislav Petrov, su un segnale radio da loro ricevuto come pericoloso era in realtà un falso allarme, ancora una volta salvò il mondo dalla catastrofe.
La Germania, comunque, è stata la Nazione che si è avvicinata molto probabilmente più di ogni altro paese all'aspetto più pericoloso della corsa agli armamenti: lo stazionamento di missili a corto e medio raggio, più notoriamente noti come Pershing II, che in 15 minuti, sono in grado di colpire Mosca. Un'instabilità così diffusa, una sensazione di vivere sempre sulle spine, portava entrambi i Paesi a pensare che nessuna delle parti in causa avrebbe mai avuto tempo sufficiente per una reazione razionale. Non sorprende che questo abbia portato ad innumerevoli situazioni di tensione, durante le quali le superpotenze credevano, erroneamente, di essere sotto attacco. La sola cosa certa era che la Germania fosse il piano di scontro più probabile per un conflitto nucleare.
Durante la Guerra Fredda, molte delle aree di confine fra la Germania Est e quella Ovest furono minate con ordigni nucleari. Se l'Armata Rossa avesse attaccato, gli USA avrebbero potuto in pochi attimi trasformare gran parte della regione ad est del fiume Reno, in una terra di nessuno. Tutta questa apocalittica massa di macerie, avrebbe sicuramente dissuaso l'eventuale avanzata dei Sovietici. Nessun governo tedesco ebbe mai il coraggio di dare informazioni su questo progetto fino al 1974, quando Helmut Schmidt divenne Cancelliere.
Non pensiamo agli ordigni, ormai un numero incalcolabile, bensì al fatto che in Germania, sia Est che Ovest, continuarono ad essere ammassate un gran numero di armi nucleari “tattiche”, testate con cariche esplosive minime, che potevano essere disattivate anche da ufficiali di basso grado; uno di questi, denominato Davy Crockett, dal nome del leggendario trapper mito del Far West, era di dimensioni così ridotte che si poteva incastrare sopra ad un fucile dotato di un rinculo minimo ed essere sparato anche da un singolo uomo.
Tra gli strateghi militari Americani, c’è sempre stata una pericolosa tendenza a credere che un conflitto nucleare potesse, in qualche modo, essere limitato all'interno dei confini della sola Germania. Henry Kissinger, più realistico, suggerì neanche tanto velatamente che un conflitto nucleare, anche se su scala ridotta, sarebbe stato possibile anche fuori da quei confini. Ha così dichiarato, una volta: “Se saremo costretti ad una guerra, causata da un'aggressione sovietica, tenteremo in ogni modo di contenere le perdite; non vorremmo usare più forza di quella necessaria a difendere la salvezza del mondo libero.” Anche nell'ottimistica visione di Kissinger dell'Armageddon, le cosiddette “perdite contenute” avrebbero significato comunque una vasta porzione di Germania.
L'altro schieramento non credeva alla verosimiglianza di quei limiti. “Se gli Americani avessero lanciato anche solo un piccolo ordigno l'Unione Sovietica avrebbe di sicuro contrattaccato, scatenando ben presto una guerra nucleare generalizzata.” Queste le dichiarazioni del Generale Evgeni Maslin, ex-capo dell'unità per la salvaguardia nucleare dell'URSS, durante un'intervista da me raccolta. Se anche gli USA fossero sopravvissuti ad uno scontro di questo genere, la Germania non sarebbe stata più come prima.
La Germania ha avuto una lettera “x” (una sorta di marchio) dipinta su di sé, da sempre. I tedeschi, sebbene in gran parte ne ignorino i dettagli terribili, ne sono ben consci; dalla fine degli anni ’70 in poi, si formò un movimento per la pace molto forte che culminò con manifestazioni di massa, come il raduno del 1986, dove più di 200.000 persone bloccarono un sito dove la Nato intendeva installare 96 missili nucleari Cruise. I dimostranti si resero conto che la cosa, illogica nella strategia NATO, si fondava sul fatto che il Paese poteva essere salvato dalla catastrofe nucleare soltanto se si fosse reso conto che, in caso di non installazione delle rampe missilistiche, sarebbe stato distrutto. Così la Germania, si accorse della barbarie presente nella logica degli armamenti nucleari: come ogni giro di vite, può irrigidire o peggiorare l'escalation; quando uno scudo è più grande, induce ad usare una spada più affilata. Secondo una recente ricerca, l'85% dei tedeschi sostiene che gli ordigni nucleari USA devono essere rimossi dal proprio territorio.
Rimane la questione, un poco retorica, se tutto questo porterà a prendere una posizione; una spia, in questo senso, potrebbe essere rappresentata dalla chiusura dell'impianto per l'arricchimento dell'uranio da parte dell’URENCO (compagnia britannica di carburanti che si occupa anche di arricchimento dell'uranio, N.d.T.), che sembra essere imminente. In una Germania che presumibilmente si sta armando, riprendersi questa struttura potrebbe essere di vitale importanza, se si vuole investire in una infrastruttura nucleare.
Sebbene tutto questo ragionamento, per ora, sembra essere distante, potrebbe diventare preoccupante però, più avanti nel tempo, anche per il resto del mondo. Ricordiamoci che questa disputa si sta tenendo in un Paese che, per ben due volte, ha dato fuoco alle micce, nei decenni scorsi. Dopo la devastante esperienza del Terzo Reich, la Germania ha lavorato sodo per riconquistarsi un senso di credibilità morale, chiedendo comprensione e perdono alle sue vittime e cercando una qualche redenzione. Data la sua storia, è un vero miracolo che oggi il Paese sia così rispettato al mondo. (Al contrario, il Giappone, è ancora considerato un Paese emarginato, un paria, dalla maggior parte dei paesi confinanti, a causa dei suoi comportamenti, durante il periodo della guerra). Se la Germania si armerà con il nucleare, metterà decisamente a repentaglio le sue sorprendenti conquiste.
In un mondo, post-Brexit o post-Trump, molti cittadini del pianeta stanno riponendo le loro speranze, e molte aspettative, verso la Cancelliera Merkel e il suo Governo, per sostenere principi morali e portare a soluzione problemi come l'unità della UE, o la crisi dei rifugiati. Queste sono le sfide più grandi. Per essere alla loro altezza, la Germania deve attaccarsi ai suoi principi, come ogni nazione pacifica, e lavorare sodo per la cancellazione degli armamenti nucleari. Dovrebbe affrancarsi da percorsi pericolosi; in caso contrario, verrebbe inflitto un danno enorme, non solo all'ordine mondiale, ma anche alla Germania stessa.
da ilmanifesto.it
Il siluro lanciato attraverso il New York Times – l’accusa a Mosca di violare il Trattato sulle forze nucleari intermedie (Inf) – ha colpito l’obiettivo: quello di rendere ancora più tesi i rapporti tra Stati uniti e Russia, rallentando o impedendo l’apertura di quel negoziato preannunciato da Trump già nella campagna elettorale.
Il siluro porta la firma di Obama, che nel luglio 2014 (subito dopo il putsch di Piazza Maidan e la conseguente crisi con la Russia) accusava Putin di aver testato un missile nucleare da crociera, denominato SSC-X-8, violando il Trattato Inf del 1987 che proibisce lo schieramento di missili con base a terra e gittata compresa tra 500 e 5.500 km. Secondo quanto dichiarano anonimi funzionari dell’intelligence Usa, ne sono già armati due battaglioni russi, ciascuno dotato di 4 lanciatori mobili e 24 missili a testata nucleare.
Prima di lasciare l’anno scorso la sua carica di Comandante supremo alleato in Europa, il generale Breedlove avvertiva che lo schieramento di questo nuovo missile russo «non può restare senza risposta».
Taceva però sul fatto che la Nato tiene schierate in Europa contro la Russia circa 700 testate nucleari statunitensi, francesi e britanniche, quasi tutte pronte al lancio ventiquattr’ore su ventiquattro. E man mano che si è estesa ad Est fin dentro la ex Urss, la Nato ha avvicinato sempre più le sue forze nucleari alla Russia.
Nel quadro di tale strategia si inserisce la decisione, presa dall’amministrazione Obama, di sostituire le 180 bombe nucleari B-61 – installate in Italia (50 ad Aviano e 20 a Ghedi-Torre), Germania, Belgio, Olanda e Turchia – con le B61-12: nuove armi nucleari, ciascuna a quattro opzioni di potenza selezionabili a seconda dell’obiettivo da colpire, capaci di penetrare nel terreno per distruggere i bunker dei centri di comando. Un programma da 10 miliardi di dollari, per cui ogni B61-12 costerà più del suo peso in oro.
Allo stesso tempo gli Usa hanno realizzato in Romania la prima batteria missilistica terrestre della «difesa anti-missile», che sarà seguita da un’altra in Polonia, composta da missili Aegis, già installati a bordo di 4 navi da guerra Usa dislocate nel Mediterraneo e Mar Nero.
È il cosiddetto «scudo» la cui funzione è in realtà offensiva: se riuscissero a realizzarlo, Usa e Nato terrebbero la Russia sotto la minaccia di un first strike nucleare, fidando sulla capacità dello «scudo» di neutralizzare la rappresaglia.
Per di più, il sistema di lancio verticale Mk 41 della Lockheed Martin, installato sulle navi e nella base in Romania, è in grado di lanciare, secondo le specifiche tecniche fornite dalla stessa costruttrice, «missili per tutte le missioni», comprese quelle di «attacco contro obiettivi terrestri con missili da crociera Tomahawk», armabili anche di testate nucleari.
Mosca ha avvertito che queste batterie, essendo in grado di lanciare anche missili nucleari, costituiscono una violazione del Trattato Inf.
Che cosa fa l’Unione europea in tale situazione?
Mentre declama il suo impegno per il disarmo nucleare, sta concependo nei suoi circoli politici quella che il New York Times definisce «una idea prima impensabile: un programma di armamenti nucleari Ue».
Secondo tale piano, l’arsenale nucleare francese sarebbe «riprogrammato per proteggere il resto dell’Europa e posto sotto un comune comando europeo», che lo finanzierebbe attraverso un fondo comune. Ciò avverrebbe «se l’Europa non potesse più contare sulla protezione americana». In altre parole: qualora Trump, accordandosi con Putin, non schierasse più le B61-12 in Europa, ci penserebbe la Ue a proseguire il confronto nucleare con la Russia.
COLPO DI SONNO NUCLEARE
Il governo Gentiloni ha capovolto il voto del governo Renzi all’Onu, votando a favore dell'avvio di negoziati per il disarmo nucleare! La sensazionale notizia si è rapidamente diffusa, portando alcuni disarmisti a gioire per il risultato ottenuto. Per avere chiarimenti in proposito, il senatore Manlio Di Stefano (Movimento 5 Stelle) e altri hanno presentato una interrogazione, a cui il governo ha dato risposta scritta nel bollettino della Commissione Esteri. Essa chiarisce come sono andate le cose.
Il 27 ottobre 2016, durante il governo Renzi, l’Italia (accodandosi agli Stati uniti) ha votato «No», nella prima commissione dell'Assemblea generale, alla risoluzione che proponeva di avviare nel 2017 negoziati per un Trattato internazionale volto a vietare le armi nucleari, risoluzione approvata in commissione a grande maggioranza.
Successivamente, il 23 dicembre 2016 durante il governo Gentiloni, quando la stessa risoluzione è stata votata all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, l’Italia ha invece votato «Sì» insieme alla maggioranza.
Capovolgimento della posizione italiana? No, solo un errore tecnico. «Tale errore – spiega il governo nella risposta scritta – sembra essere dipeso dalle circostanze in cui è avvenuta la votazione, a tarda ora della notte». In altre parole il rappresentante italiano, probabilmente per un colpo di sonno, ha premuto il pulsante sbagliato. «L'erronea indicazione di voto favorevole – spiega sempre il governo – è stata successivamente rettificata dalla nostra Rappresentanza permanente presso le Nazioni Unite, che ha confermato il voto negativo espresso in prima commissione».
Il governo Gentiloni, come quello Renzi, ritiene che «la convocazione, nel 2017, di una Conferenza delle Nazioni Unite per negoziare uno strumento giuridicamente vincolante sulla proibizione delle armi nucleari, costituisca un elemento fortemente divisivo che rischia di compromettere i nostri sforzi a favore del disarmo nucleare». Insieme ai paesi militarmente non-nucleari dell'Alleanza Atlantica, «l'Italia è tradizionalmente fautrice di un approccio progressivo al disarmo, che riafferma la centralità del Trattato di non-proliferazione».
Il governo ribadisce in tal modo la centralità del Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari, ratificato nel 1975, in base al quale l’Italia «si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari né il controllo su tali armi, direttamente o indirettamente». Mentre in realtà viola il Trattato, poiché mantiene sul proprio territorio, ad Aviano e Ghedi-Torre, almeno 70 bombe nucleari Usa B-61, al cui uso vengono addestrati anche piloti italiani.
Quale sia l’«approccio progressivo al disarmo nucleare» perseguito dall’Italia lo dimostra il fatto che tra circa due anni essa riceverà dagli Usa, per rimpiazzare quelle attuali, le nuove bombe nucleari B61-12, sganciabili a distanza e con capacità penetranti anti-bunker. Armi nucleari da first strike dirette soprattutto contro la Russia, che, rendendo più probabile il lancio di un attacco nucleare dal nostro paese, lo esporranno ancora di più al pericolo di rappresaglia nucleare.
Il modo concreto attraverso cui possiamo contribuire all’eliminazione delle armi nucleari, che minacciano la sopravvivenza dell’umanità, è chiedere che l’Italia cessi di violare il Trattato di non-proliferazione e chieda di conseguenza agli Stati uniti di rimuovere immediatamente qualsiasi arma nucleare dal territorio italiano e rinunciare a installarvi le nuove bombe B61-12. Battaglia politica fondamentale se anche l’opposizione non fosse stata contagiata dal colpo di sonno, che assopisce perfino l’istinto di sopravvivenza.
Manlio Dinucci | ilmanifesto.it, 07/02/2017
Finalmente il telefono ha squillato e Gentiloni, dopo una lunga e nervosa attesa, ha potuto ascoltare la voce del nuovo presidente degli Stati uniti, Donald Trump. Al centro della telefonata – informa Palazzo Chigi – la «storica amicizia e collaborazione tra Italia e Usa», nel quadro della «importanza fondamentale della Nato». Nel comunicato italiano si omette però un particolare reso noto dalla Casa Bianca: nella telefonata a Gentiloni, Trump ha non solo «ribadito l'impegno Usa nella Nato», ma ha «sottolineato l'importanza che tutti gli alleati Nato condividano il carico monetario della spesa per la difesa», ossia la portino ad almeno il 2% del pil, il che significa per l'Italia passare dagli attuali 55 milioni di euro al giorno (questi secondo la Nato, in realtà di più) a 100 milioni di euro al giorno. Gentiloni e Trump si sono dati appuntamento a maggio per il G7 a presidenza italiana che si svolgerà a Taormina, a poco più di 50 km dalla base Usa/Nato di Sigonella e di 100 km dal Muos di Niscemi. Capisaldi di quella che, nella telefonata, viene definita «collaborazione tra Europa e Stati Uniti per la pace e la stabilità».
Quale sia il risultato lo confermano gli Scienziati atomici statunitensi: la lancetta dell'«Orologio dell'apocalisse», il segnatempo simbolico che sul loro bollettino indica a quanti minuti siamo dalla mezzanotte della guerra nucleare, è stata spostata in avanti: da 3 a mezzanotte nel 2015 a 2,5 minuti a mezzanotte nel 2017. Un livello di allarme più alto di quello della metà degli anni Ottanta, al culmine della tensione tra Usa e Urss. Questo in realtà è il risultato della strategia dell'amministrazione Obama la quale, con il putsch di Piazza Maidan, ha avviato la reazione a catena che ha provocato il confronto, anche nucleare, con la Russia, trasformando l'Europa in prima linea di una nuova guerra fredda per certi versi più pericolosa della precedente.
Che farà Trump? Nella sua telefonata al presidente ucraino Poroshenko – comunica la Casa Bianca – ha detto che «lavoreremo con Ucraina, Russia e altre parti interessate per aiutarle e ristabilire la pace lungo le frontiere». Non chiarisce però se entro le frontiere dell'Ucraina sia compresa o no la Crimea, ormai distaccatasi per rientrare a far parte della Russia.
L'ambasciatore Usa all'Onu, Haley, ha dichiarato che le sanzioni Usa alla Russia restano in vigore e ha condannato le «azioni aggressive russe» nell'Ucraina orientale. Dove in realtà è ripresa l'offensiva delle forze di Kiev, comprendenti i battaglioni neonazisti, addestrate e armate da Usa e Nato. Contemporaneamente il presidente Poroshenko ha annunciato di voler indire un referendum per l'adesione dell'Ucraina alla Nato.
Anche se di fatto essa ne fa già parte, l'ingresso ufficiale dell'Ucraina nella Alleanza avrebbe un effetto esplosivo verso la Russia. Intanto si muove la Gran Bretagna: mentre intensifica la cooperazione delle sue forze aeronavali con quelle Usa, invia nel Mar Nero a ridosso della Russia, per la prima volta dalla fine della guerra fredda, una delle sue più avanzate unità navali, il cacciatorpediniere Diamond (costo oltre 1 miliardo di sterline), a capo di una task force Nato e a sostegno di 650 soldati britannici impegnati in una non meglio precisata «esercitazione» in Ucraina. Allo stesso tempo la Gran Bretagna invia in Polonia ed Estonia 1000 uomini di unità d'assalto e in Romania cacciabombardieri Typhoon a duplice capacità convenzionale e nucleare.
Così, mentre Gentiloni parla con Trump di collaborazione tra Europa e Stati Uniti per la pace e la stabilità, la lancetta dell'Orologio si avvicina alla mezzanotte nucleare.