Il nuovo saggio di Domenico Losurdo offre un notevolissimo contributo al rinnovamento tanto filosofico quanto politico del marxismo, in Italia e negli altri paesi che, come l’Italia, sono stati segnati da un destino particolare : quello di avere visto la presenza di un potente movimento operaio, democratico e comunista pur essendo delle potenze chiaramente imperialiste, sia prima che dopo la creazione della NATO. Proprio questa situazione sembra aver presieduto all’involuzione del movimento di pensiero che si richiamava a Marx o che era sgorgato dalle fila delle internazionali socialiste in Europa occidentale. Un saggio non è un trattato : e così Losurdo non tenta di ripercorrere tutte le vie che hanno imboccato tutti i protagonisti e i teorici di questo movimento politico-filosofico. Non è qui il punto. Come infatti precisa il sottotitolo, e al di là del dichiarato contrasto con le tesi di Perry Anderson, il focus dell’autore è cercare di capire « come nacque » il marxismo occidentale (in opposizione al marxismo detto orientale), « come morì » e soprattutto – in tacita opposizione con la visione pessimistica di Costanzo Preve – « come può rinascere ».
La tesi centrale del libro consiste nel rilevare che la variante occidentale del marxismo ha trascurato sempre più la questione essenziale dell’imperialismo, prima chiudendola nel recinto del « terzomondismo » (definizione paternalistica e condiscendente), poi addirittura sostituendole la nozione di « totalitarismo », funzionale alla Guerra Fredda e all’attuale neocolonialismo guerrafondaio. Distorsione del pensiero più autenticamente marxiano che nasce dalla tendenza ad isolare in Marx il genio filosofico puro, dimenticando l’organizzatore politico e il pensatore enciclopedico e tentacolare, oppure a pensarlo come teorico di un capitalismo disincarnato, antiumanistico. Ora, basterebbe il concetto marxiano di divisione internazionale del lavoro in seno al modo di produzione capitalista e alla realtà del mercato mondiale a legittimare la teorizzazione dell’imperialismo prodotta successivamente da Lenin. Giacché i centri mondiali della produzione capitalistica impongono in effetti la divisione del lavoro tra i territori, siano essi Stati autonomi, colonie o semicolonie, con tutte le sofferenze e i costi, umani ed economici, che ne conseguono.
Una volta posta fra parentesi tale articolazione coatta del lavoro tra centro e periferie, ecco che riesce facile concentrarsi sulle contraddizioni fra capitale e lavoro nelle sole metropoli avanzate, relegando il resto del pianeta a « Terzo mondo ». Oppure, su un altro versante, restringere la filosofia di Marx ed Engels a puro dibattito nel salotto buono della storia della filosofia europea, perdendo di vista gli altri aspetti caratteristici della sfera marxiana e (come Losurdo dimostra brillantemente) ritornare nell’alveo dell’imperialismo più classico e indossare di nuovo i panni dell’intellettuale tradizionale, al servizio del potere neocoloniale e della sua propaganda « umanitaria ».
Le basi materiali di tali ritorni (o rinunce) non sono certo mancate : potente è stato, durante la Guerra Fredda, l’arruolamento tra le fila della piccola o media borghesia di tanti intellettuali dapprima critici del capitalismo o compagni di strada dei PC occidentali, via l’ampliamento e la progressiva massificazione delle università, in primo luogo di quelle umanistiche, notoriamente ripari di menti progressiste… da convertire quanto prima alle logiche del capitale e all’ideologia liberale. E una volta liquidato, in Italia, il PCI, è stato facile convicere i sedicenti neo-socialdemocratici della bontà della politica offensiva messa in atto dalla NATO dopo la fine della Guerra fredda.
Se questa è la costatazione di partenza, Domenico Losurdo offre al lettore lo squadernamento di un panorama totalmente altro – e quanto mai salutare. Lo fa in due modi : da un lato, sviluppando nei capitoli successivi una serrata argomentazione logica, che tocca tutti i principali nodi teorici in cui il marxismo occidentale si è in un primo tempo distaccato da quello, ben più efficace e realista, dei Paesi socialisti, e poi, in un secondo tempo, fuorviato nei buoni sentimenti dell’avversione al « totalitarismo » ; dall’altro lato, come in una sorta di spartito musicale, orchestrando e riprendendo nei punti-chiave del suo discorso i riferimenti a fatti macroscopici della storia mondiale che i marxisti occidentali e il loro pubblico dimenticano volentieri : per citare solo alcuni esempi, il ruolo direttore della rivolta degli schiavi di Santo Domingo e Haiti, la presenza di proprietari di schiavi nella storia dei governi statunitensi, la diversa cronologia della Prima Guerra mondiale se vista dal mondo coloniale e in particolare dalla Cina, l’anteriorità delle tesi razziste prodotte da esponenti delle potenze liberali rispetto alle teorizzazioni dei nazisti.
Di fronte alle esperienze emancipatrici, per quanto epiche e contraddittorie, emerse con le diverse creazioni di Stati che hanno cercato di rendersi realmente indipendenti dal sistema imperialistico, il marxismo occidentale ha spesso preferito velarsi gli occhi, rifugiandosi in un ribellismo miope e in utopie certo già presenti in Marx ed Engels, ma assolutizzate e usate questa volta strumentalmente contro il movimento di liberazione dall’orrore coloniale. Dal punto di vista di questa rigenerazione utopistica di marca millenarista (Losurdo preferisce dire « messianica »), sembrano grigie e povere le storie così avvincenti dei popoli che, sotto la guida di leader ispirati dal marxismo, hanno preso in mano il loro destino e vittoriosamente resistito agli attacchi delle potenze imperiali (di cui il nazismo è parte integrante), riuscendo non solo a rimettere in discussione la divisione internazionale del lavoro decisa dai centri del capitale, ma anche a recuperare in buona parte il tremendo distacco tecnologico rispetto ai Paesi ricchi, costruendo nazioni coese e capaci di resistere ai loro attacchi. L’esempio della Cina è sotto gli occhi di chiunque lo voglia prendere in considerazione.
Oltre alla fuga in avanti millenaristica, il marxismo occidentale ha spianato la strada ad un ritorno dell’eurocentrismo, quando non addirittura del neo-imperialismo trasfigurato nelle pretese guerre di esportazione della democrazia occidentale, veicolando un pregiudizio eurocentrico, inconsciamente razzista. Il nuovo contributo di Losurdo, facendo séguito a una stringente serie di saggi dedicati a grandi temi politici (dalla lotta di classe al pacifismo, dalla nozione di sinistra a quelle di liberalismo e di impero), aiuta quindi ad aprire gli occhi di certa sinistra post-marxista sulla realtà del mondo attuale così com’è. Perché il metodo messo magistralmente in opera da Losurdo e consistente nel vagliare alla luce di queste realtà rimosse o accantonate le tesi e le concezioni di vari pensatori, da Horkheimer a Negri-Hardt passando per la Arendt e Foucault, non è solo quello della proverbiale « cartina di tornasole ». La Cina, il Vietnam, Cuba (o, dall’altro lato, i Paesi martirizzati come l’Indonesia, il Cile, le Isole Filippine…) non sono né metafore né esempi : sono Paesi, parti del mondo, punti nevralgici della dialettica di classe nel mondo di oggi, instrinsecamente legati alla storia suscitata dalla Rivoluzione d’Ottobre e portata avanti con coerenza e sforzi sovrumani dall’Unione Sovietica.
Se tanta parte del marxismo occidentale ha preferito rimuoverli, non per questo tali giganteschi eventi cessano di esistere. Ben al contrario, essi sono al centro della transizione oggi in corso, di cui l’Europa occidentale o gli Stati Uniti d’America non constituiscono il punto d’osservazione più adeguato. In queste contrade del Primo mondo, solo alcuni analisti politici hanno le idee chiare. Si veda quanto scrive il politologo polono-statunitense (e influente consigliere di presidenti come Carter e Reagan) Zbigniew Brzezinski in un articolo dell’aprile 2016, intitolato Verso un riallineamento mondiale :
« Quanto avviene oggi nel Medio Oriente potrebbe essere solo l’inizio di un più ampio fenomeno che emergerà nei prossimi anni in Africa, Asia e persino tra i popoli pre-coloniali dell’emisfero occidentale. I periodici massacri dei loro non così lontani antenati, perpetrati da coloni e procacciatori di ricchezze ad essi associati e provenienti in larga parte dall’Europa occidentale (da paesi che oggi sono, almeno nelle intenzioni, fra i più aperti alla coabitazione multietnica), hanno avuto come risultato negli ultimi due secoli circa l’assassinio delle genti colonizzate su una scala paragonabile ai crimini nazisti della Seconda Guerra mondiale. Le vittime sono letteralmente centinaia di migliaia, addirittura milioni. L’autoaffermazione politica, che l’indignazione e il dolore differiti rafforzano, è un motore potente che oggi ritorna in campo, assetato di vendetta, non soltanto nel Medio Oriente musulmano, ma molto probabilmente anche in altre regioni. Gran parte dei dati non possono essere attestati con esattezza ma, presi nell’insieme, sono scioccanti . [1]»
E prosegue enumerando i più gravi massacri della storia coloniale, dal secolo XVI in poi. Come suggerisce Losurdo, il marxismo occidentale per rinascere ed incidere di nuovo sulla realtà deve fare i conti con la realtà, con questa tragica storia, pena l’incomprensione totale e il rifugiarsi nella comoda postura dell’anima bella.
NOTE
1. Towards a global realignment, « The American interest », 11/6 : « What is happening in the Middle East today may be just the beginning of a wider phenomenon to come out of Africa, Asia, and even among the pre-colonial peoples of the Western Hemisphere in the years ahead. Periodic massacres of their not-so-distant ancestors by colonists and associated wealth-seekers largely from western Europe (countries that today are, still tentatively at least, most open to multiethnic cohabitation) resulted within the past two or so centuries in the slaughter of colonized peoples on a scale comparable to Nazi World War II crimes: literally involving hundreds of thousands and even millions of victims. Political self-assertion enhanced by delayed outrage and grief is a powerful force that is now surfacing, thirsting for revenge, not just in the Muslim Middle East but also very likely beyond. Much of the data cannot be precisely established, but taken collectively, they are shocking. »
di Alessandro Pascale
Domenico Losurdo si supera ancora. Dopo aver realizzato capolavori storico-filosofici come Controstoria del liberalismo, Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, La non-violenza. Una storia fuori dal mito e La lotta di classe, uno degli ultimi grandi intellettuali marxisti-leninisti italiani realizza un'opera di cui oggi più che mai si sentiva un bisogno essenziale.
Il marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere, propone una novità dimenticata da molti, fin dalla ripresa della categoria coniata da Maurice Merleau-Ponty negli anni '50 e sviluppata da Perry Anderson negli anni '70: il fatto cioè che il marxismo non coincida esclusivamente con le elaborazioni intellettuali di stampo occidentale, né tantomeno con quelle critiche al sistema dei “socialismi reali”. Già dalla lettura de Il dibattito nel marxismo occidentale di Perry Anderson emergeva chiaramente come la divaricazione che si era venuta creando tra due marxismi (uno “occidentale eterodosso” e uno “orientale ortodosso”) fosse in realtà soprattutto un processo che accentuava la specializzazione settoriale degli autori occidentali su aspetti per lo più marginali e secondari della società, oltre che il distacco sempre maggiore tra teoria e prassi. Se i vari Kautsky, Luxemburg, Trockij, Lenin erano dirigenti di partito che non mancavano di realizzare opere complete di analisi economica e politica su ogni aspetto della realtà, non altrettanto facevano i marxisti successivi, i quali dalle aule universitarie concentravano sempre più l'attenzione sul campo della cultura e filosofia, perdendo il contatto soprattutto con le categorie economiche e politiche.
L'accusa di Losurdo è però ben diversa, anche perché questo crinale rischierebbe di mettere in discussione anche autori ben riconducibili al marxismo-leninismo, come Lukàcs e Gramsci, i quali pure non hanno ad esempio mai affrontato uno studio sistematico e analitico delle questioni economiche. Losurdo contesta in realtà alla gran parte del pantheon del marxismo occidentale di aver dimenticato la grande questione della lotta anticolonialista, non capendo anzitutto gli enormi meriti storici del socialismo nell'aver favorito la decolonizzazione di gran parte del cosiddetto “Terzo Mondo”, ma anche la fine della segregazione razziale, della schiavitù formalizzata, oltre che del sostanziale asservimento femminile.
Su questi temi Losurdo si era già espresso più volte in passato, mostrando adeguatamente i meriti storici immensi dei movimenti comunisti e dei “socialismi reali” e le enormi contraddizioni del movimento liberale. L'elemento di novità sta ora nell'andare a smantellare sistematicamente, uno dopo l'altro, tutti i numi tutelari che per decenni hanno sostituito i nomi di Marx, Engels, Lenin e Gramsci come punti di riferimento per le nuove generazioni di sinistra. A salire sul banco degli imputati, con accuse più o meno gravi, sono Della Volpe, Colletti, Tronti, Althusser, Bloch, Horkheimer, Adorno, Sartre, Marcuse, Arendt, Timpanaro, Foucault, Agamben, Negri, Hardt, Holloway, David Harvey, fino a giungere a Zizek e Badiou. Nessuno ne esce indenne.
Lo scontro è titanico e maestoso e non pretende di essere esaustivo, ma traccia un percorso illuminante con cui si chiarificano tutti i limiti intellettuali e politici di questa sfilza illustre di personalità; soprattutto si comprendono le origini degli errori ideologici introiettati in profondità negli strati sociali della sinistra attuale, sia in Italia che più in generale in campo europeo. Dal ragazzo che frequenta i centri sociali, all'elettore moderatamente progressista, dal militante iscritto ad un'organizzazione comunista al frequentatore di circoli ARCI, dal sindacalista più o meno radicale all'attivista per i diritti umani, tutto il mondo della sinistra è cresciuto negli ultimi decenni in un contesto culturale di sconfitta e incomprensione che è stato alimentato pervicacemente non solo dai media e dalle strutture dell'imperialismo, ma paradossalmente dalla stessa sinistra più o meno marxista, o autodicentesi tale.
Da parte di Losurdo non arrivano scomuniche né accuse di tradimento, sia chiaro. Ma la lettura rende evidente come ci sia stato, in particolar modo dal secondo dopoguerra ad oggi, un profondo e costante cedimento culturale nel campo del marxismo occidentale, di fronte alle offensive ideologiche della borghesia. L'essersi affidati a dei “cattivi maestri”, oltre che l'incapacità di non aver saputo replicare agli attacchi della borghesia (agevolati, è sempre bene ricordarlo, dalla modalità disastrosa con cui il movimento comunista si è inflitto l'autoflagellazione della “destalinizzazione”) sono eventi causati secondo Losurdo all'aver “dimenticato” la questione coloniale.
Sorge però l'impressione che il giudizio del professore sia fin troppo generoso e assolutorio. Ad essere venuti meno tra l'intellighenzia occidentale sono anzitutto la conoscenza essenziale dei pilastri del marxismo e del leninismo, la cui ignoranza o ripudio sono difficilmente ammissibili per degli intellettuali che hanno avuto un peso culturale così grande. Pesa come un macigno insomma l'incapacità di aver saputo maneggiare con adeguatezza le categorie del materialismo storico e del materialismo dialettico, a partire dal venir meno di una categoria essenziale per un filosofo marxista: quella della totalità. Senza capacità di avere una visione complessiva della realtà diventa impossibile svolgere un adeguato bilancio, non solo morale e storico, ma politico. E questa è l'accusa più generosa che si possa fare, per quanto sia già grave, perché le alternative sono ben peggiori: l'indifferenza o il pressapochismo con cui le questioni coloniali sono state trattate da certi autori potrebbero far sorgere il sospetto di un razzismo congenito, introiettato, forse non consapevole ma che implica l'adesione ad uno stretto eurocentrismo che non a caso ha avuto come conseguenza la rimozione della categoria dell'imperialismo, o la sua assurda estensione arbitraria a qualunque sistema capitalista che abbia relazioni economiche con altri Paesi, accettando come vie nazionali dei “socialismi di mercato”.
Altra tendenza deleteria, legata teoreticamente alle precedenti, è quella di scadere in un massimalismo messianico utopistico che porta al predominio di una critica fine a sé stessa, puramente distruttiva (non a caso percorso tipico di chi ha fatto del marxismo una pura “teoria critica”) e intrapresa da “anime belle” incapaci di elevarsi a soggetto compartecipe delle esperienze realizzate di emancipazione, e anzi ostili a qualsiasi modello socio-politico che non realizzi immediatamente tutte le proprie speranze ed esigenze.
In conclusione Losurdo spiega bene come il “marxismo occidentale” sia nato, abbia “inquinato” le sinistre in campo cultural-politico e come pur continui a sopravvivere ridotto ormai ad una serie di autori per lo più autoreferenziali e sempre più inconcludenti o fallimentari.
La pars destruens è perfetta. Manca forse una soluzione adeguata sul percorso da intraprendere. Il ritorno ad un marxismo-leninismo concretamente antirazzista e ben conscio della questione colonial-imperialista è senz'altro la base teorica di partenza. Sgombrare il campo dall'adesione acritica di ogni altra moda filosofica sinistroide è però passo necessario ma non sufficiente. Se la pars destruens è una boccata di ossigeno, la pars construens non può limitarsi solo alla difesa complessiva della Storia del socialismo, né alla difesa acritica dei governi socialisti esistenti.
Il prossimo passo da compiere è una necessaria riflessione costruttiva sul marxismo-leninismo, capace non solo di analizzare i suoi immensi meriti storici (cosa qui già fatta egregiamente), ma che analizzi anche i suoi limiti, senza i liquidazionismi o revisionismi in cui sono caduti gli autori del marxismo occidentale, ma senza nemmeno evitare di affrontare la questione del perché i comunisti siano entrati storicamente in crisi proprio nei Paesi europei storicamente “colonizzatori”.
Questo è un campo in cui i comunisti di tutto il mondo non si sono ancora avventurati con la necessaria serietà e consapevolezza. Il marxismo orientale perché aveva effettivamente problemi più importanti di cui occuparsi. Il marxismo occidentale perché ha sostanzialmente perso 70 anni di tempo a diventare subalterno all'ideologia borghese. Speriamo che la questione posta possa essere di spunto per il prossimo libro di Losurdo.