Dello stesso autore raccomandiamo anche la lettura del saggio in cinque parti:

Perché l\'uscita dall\'euro è internazionalista

Parte Prima. L\'ideologia dominante è il cosmopolitismo non il nazionalismo 
http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/notizia/Economia/2017/3/24/49123-perche-luscita-dalleuro-e-internazionalista-intervento-di/
http://contropiano.org/fattore-k/2017/07/04/perche-luscita-dalleuro-internazionalista-093581
http://www.resistenze.org/sito/os/ep/osephc27-019036.htm
Parte Seconda. Nazione, Stato e imperialismo europeo
http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/2017/6/20/49642-perche-luscita-dalleuro-e-internazionalista-intervento-di/
https://www.sinistrainrete.info/europa/10046-domenico-moro-perche-l-uscita-dall-euro-e-internazionalista-2.html
http://contropiano.org/fattore-k/2017/07/10/perche-luscita-dalleuro-e-internazionalista-parte-ii-093776
http://www.resistenze.org/sito/os/ep/osephf20-019337.htm
Parte Terza. Oltre il rifiuto del politico. L\'euro come anello fondamentale del recupero della lotta politica

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Quale antifascismo nell’epoca dell’euro e della democrazia oligarchica?

Pubblicato il 1 ott 2017

di Domenico Moro
Sul fascismo e sulla polemica sui recenti provvedimenti di legge credo sia necessaria qualche precisazione. Ogni provvedimento formale di legge che vada contro simboli e organizzazioni fasciste, più o meno espliciti, va accolto con favore e anzi caldeggiato. È in atto una rinascita di questo tipo di organizzazioni, che rappresentano, comunque e sempre, un grave pericolo. Queste organizzazioni, anche se hanno, almeno per il momento, prospettive limitate, possono prosperare nel clima di crisi e di peggioramento delle condizioni sociali che si sta affermando. Di fatto, esse non rappresentano agli occhi di chi ha il potere vero, quello economico, una opzione credibile di gestione complessiva del sistema, ma sono sempre un pedone della scacchiera che si può usare, e si usa già oggi strumentalmente, per distrarre l’attenzione delle masse verso pericoli fittizi, creare confusione e accentuare le contraddizioni presenti all’interno delle classi subalterne. Premesso questo, il termine fascismo è usato da tempo estensivamente, per definire varie forme di autoritarismo e/o violenza politica. Se questo è più o meno comprensibile sul piano della polemica politica, tuttavia non mi sembra molto utile ai fini della comprensione della realtà, delle sue specificità attuali e quindi della capacità di sviluppare una lotta efficace sulla distanza.
Come vedremo più avanti, l’antifascismo è oggi, forse più che negli anni ’60 e ‘70, la base necessaria a una politica di sinistra e di perseguimento degli interessi delle classi subalterne. A patto, però, di capire le differenze e soprattutto le analogie con l’oggi del fascismo storico e della forma fascista di governo e di non restringere la funzione dell’antifascismo al contrasto (per quanto necessario, lo ripetiamo) a simboli e gruppi più facilmente identificabili direttamente con quella tradizione.

 

  1. Specificità del fascismo
Sono diverse le forme di governo che, pur non essendo assimilabili al fascismo, sono autoritarie e fanno uso di violenza più o meno esplicita e diffusa. Sarebbe bene chiarire che il fascismo, inteso come forma specifica di governo politico, non è solamente o specificatamente caratterizzato da autoritarismo e violenza. In primo luogo, nel modello fascista queste caratteristiche sono spinte agli estremi e sono esplicitate in modo aperto, attraverso una contro-mobilitazione di massa e l’organizzazione di unità paramilitari. Non è di poco conto che nel fascismo il Parlamento sia progressivamente abolito (dalla legge Acerbo che assegnava i due terzi dei voti alla lista che avesse ottenuto un quarto dei voti nel 1923, fino alla trasformazione del Parlamento in Camera dei fasci e delle corporazioni nel 1939), che siano eliminati partiti, sindacati, elezioni, libertà di stampa, divisione dei poteri, ecc. e che esistano milizie paramilitari fasciste istituzionalizzate. Soprattutto, tali caratteristiche hanno un segno sociale preciso: sono dirette per conto dell’élite del capitale contro i subalterni, in particolare contro il movimento dei salariati – sindacati, partiti, organizzazioni di vario tipo -, allo scopo di disarticolarne la capacità di resistenza. In secondo luogo, il fascismo è il prodotto necessario di una fase storica ben precisa e per certi aspetti diversa da quella attuale, a partire dal livello dei rapporti di produzione capitalistici, una fase in cui l’accumulazione e le imprese operano soprattutto su base nazionale, mentre oggi operano in gran parte su una base multinazionale. Il fascismo è stata la forma della lotta di classe e della riorganizzazione dell’accumulazione da parte dell’élite del capitale nazionale in un periodo di crisi e di capitalismo autarchico e non globalizzato, in cui prevalgono gli imperi territoriali a base nazionale e non l’imperialismo delle multinazionali, in cui esistono una alternativa reale di sistema nell’Urss e forti organizzazioni socialiste e comuniste in Occidente. Non da ultimo, è un sistema sorto dopo una guerra spaventosa, in paesi sconfitti o consumati da questa (e dalla crisi del ’29), come la Germania e l’Italia, e in cui ci si prepara al regolamento dei conti del secondo round, la guerra europea tra imperi (senza preoccuparsi di far esplodere il debito pubblico) e non a una sorta di nuovo “Grande gioco” delle guerre per procura contro Paesi terzi. Tanto per non fare confusioni, il fascismo è stata la forma di governo di paesi imperialisti, centrali nel sistema economico mondiale, ed è ben diverso, ad esempio, dalle dittature militari del Sud America o di Paesi africani o asiatici periferici, generalmente espressione di borghesie dipendenti (la borghesia compradora) o direttamente degli interessi dei Paesi imperialisti dominanti.

 

  1. Analogie e differenze tra l’oggi e il periodo fascista
Oggi, il modello egemone di dominio di classe, proprio nei Paesi imperialisti e dominanti, è quello, secondo la definizione di Agamben, della democrazia governamentale, in cui l’esecutivo prevale sul parlamento, o, secondo un’altra definizione possibile, della democrazia oligarchica. Del resto, l’analogia dell’attualità con il fascismo sta nel fatto che esso, analogamente alla democrazia oligarchica, è espressione diretta – l’uno senza mediazioni di classe, l’altra con mediazioni ridotte e addomesticate – del dominio del vertice del capitale industriale e bancario. Gli strumenti, però, sono diversi, perché la fase di sviluppo del capitale è diversa. Oggi, i meccanismi democratici formali sono conservati, mentre l’attenzione dell’opinione pubblica si concentra, sempre però sul piano formale e non sostanziale, sui diritti civili, a copertura del drastico peggioramento delle condizioni materiali e democratiche della maggioranza della popolazione. Tuttavia, il dominio di classe è tanto più saldo quanto più i suoi meccanismi appaiono “neutrali” e “oggettivi”. I meccanismi della “lotta di classe democratica”, il patto sociale tra capitale e lavoro salariato, sancito dalle Costituzioni antifasciste dopo la seconda guerra mondiale, è saltato. È saltato grazie non alla violenza aperta ma grazie a una serie di modifiche, all’apparenza democratiche, e presunte neutrali e necessarie dal punto di vista della sostenibilità economica (l’”eccesso” di debito pubblico e quindi di spesa sociale). Queste misure si concretizzano nell’introduzione di leggi elettorali maggioritarie, nella modifica dei regolamenti parlamentari (che enfatizzano il ruolo dei decreti legge governativi sulle leggi parlamentari), e soprattutto dell’uso di meccanismi “oggettivi”, che vedono il mercato e le sue regole, al centro del processo decisionale.
Mentre in altri paesi – Usa e Regno Unito – la controrivoluzione conservatrice si è attuata senza strumenti esterni allo stato nazione, in Europa continentale, dove c’erano rapporti di forza e una storia specifici, è stata usata l’integrazione europea, cioè i trattati, i vincoli alla spesa e la gabbia dell’euro, cioè elementi “esterni” e “oggettivi”. Insomma, non c’è stato bisogno, come fece Mussolini, di porre fine prima con la violenza e poi formalmente con una legge al governo parlamentare svincolando l’esecutivo da qualsiasi limitazione, perché è stato, molto più semplicemente, bypassato. Anzi, è stato molto meglio conservarlo, con le mani legate e ridotto a camera di compensazione dei contrasti tra fazioni dell’élite, che svelare in modo aperto la natura repressiva del potere. Da questo punto di vista, il fascismo, al di là della specificità della fase in cui è sorto, ha dimostrato tutti i suoi limiti, relativi alla rigidità del processo di governo, ad esempio per la impossibilità di avvicendamento del personale di governo, e alla difficoltà di mediare tra le componenti del capitale. L’attacco ai politici, individuati come causa dei problemi (anche in questo c’è un’analogia della critica alla casta odierna con il fascismo e il suo antiparlamentarismo e la sua polemica contro i politici traditori e corrotti) è inserito all’interno di una subordinazione della politica all’economia, che poi è la subordinazione dei corpi intermedi, mentre le decisioni oggettive sono prese dai governi in consessi europei e/o internazionali.
Oggi, la diffusione a livello di massa del nazionalismo e della xenofobia sono in gran parte il prodotto dell’Europa. In parole semplici, la Le Pen è il prodotto dei Macron, o meglio di chi gli sta dietro, cioè l’élite del capitale. Pretendere di curare il male, rappresentato dalla prima, con il secondo è come curare la febbre, cioè il sintomo, inoculando altre dosi di virus, cioè con la causa. Ma c’è dell’altro, più importante. L’Europa determina la ripresa del vero nazionalismo – non quello plebeo e populista – ma quello concreto degli interessi geostrategici e economici, mediante l’aumento dei divari tra potenze europee e la riduzione della domanda interna, che accentuano la tendenza all’espansione estera. Ne consegue la modifica dei rapporti di forza pregressi e quindi l’aumento della competizione e della concorrenza, non solo tra capitali ma anche tra stati, e della aggressività militare. In sostanza si afferma, pur nel contesto della globalizzazione e dell’ideologia cosmopolita, un nuovo nazionalismo. L’aggressione della Francia contro la Libia di Gheddafi, al fine di scalzare l’Italia dal controllo di petrolio e appalti, non sono dovute Le Pen, ma al “democratico” Sarkozy, mentre lo stop alla acquisizione dei cantieri navali francesi da parte di Fincantieri non è dovuta alla nazionalista Le Pen ma a Macron, all’alfiere dell’internazionalismo liberale e dell’europeismo.

 

  1. Quale antifascismo oggi e perché è importante
Dunque, se, da una parte, va condotta una lotta contro il fascismo tradizionale e classico, utilizzando ogni strumento possibile, non va dimenticato che il problema centrale è rappresentato dalla democrazia oligarchica e dai suoi meccanismi. Questa è la forma del dominio da parte dell’élite economica, così come, negli anni ’20 e ’30, con condizioni storiche e sociali molto diverse, lo era il fascismo. La vera analogia sta nell’essere entrambi espressione diretta e immediata (sottolineo: diretta e immediata) del potere oligarchico dello strato di vertice del capitale, associato all’élite burocratica e tecnica statale (e, oggi in Europa, anche sovrastatale). La classe socio-economica che ormai quasi cento anni fa, nel ’22, trovò espressione nel fascismo oggi, mutata essa stessa, lo trova nelle forme della democrazia oligarchica e nei meccanismi dell’integrazione europea. È per questa ragione che l’antifascismo è non solo attuale, ma è ancora più attuale oggi rispetto a qualche decennio fa. Non solo e non tanto per prevenire lo sviluppo dei gruppi dichiaratamente fascisti e di estrema destra, che pure stanno rialzando la testa e vanno contrastati. E certamente non perché in Italia sia possibile una opzione fascista, scartata a favore di altre forme di soluzione delle contraddizioni sociali già negli anni ’60 e ’70, in contesti ben più “caldi” di quelli odierni. Ma perché lo strato di vertice del capitale, come negli anni ’20 e ’30 in Italia e Germania durante il fascismo, sta affermando il suo dominio senza mediazioni o con mediazioni corporative e non di classe, ricreando analoghe situazioni e meccanismi di concentrazione del potere politico all’interno e di espansione, anche aggressiva e militare, all’esterno. In entrambi i casi il sistema parlamentare è sostituito da un sistema governamentale, in cui è l’esecutivo (e all’interno di esso il premier) a dominare, egemonizzato nel fascismo dalla persona del duce o del führer (ma in Italia con una sorta di diarchia con la monarchia), oggi in modo più direttamente “elitario” e oligarchico.
Del resto, non è un caso che nel mirino della strategia di controriforma del capitale internazionale, come prova il documento The euro area adjustement: about halfway theredella banca J.P. Morgan (2013), venga indicata la necessità di modificare le costituzioni antifasciste in quanto incompatibili con l’integrazione europea (1). Non solo perché le Costituzioni sono contro il fascismo, ma soprattutto perché, essendo il prodotto della lotta contro il fascismo, esprimono contenuti che entrano in contraddizione con gli interessi dell’élite capitalistica. I gruppuscoli fascisti rialzano la testa perché annusano l’aria di cambiamento, e sentono affinità elettive con il contesto. Non si può essere antifascisti, in modo concreto e adeguato all’attualità, senza capire il ruolo non solo del neoliberismo ma degli strumenti concreti con cui si è attuato in Italia e in Europa occidentale, attraverso le leggi elettorali maggioritarie, la concentrazione del potere mediatico nelle mani dei grandi gruppi, la creazione di forme partito leggere e personalistiche, e soprattutto attraverso la leva dell’integrazione economica e valutaria europea. Non si può difendere la Costituzione o pensare alla sua attuazione senza affrontare il contesto dei vincoli europei e il fatto che il suo stesso testo è gravemente minato dall’introduzione dell’obbligo del paraggio in bilancio. Pretendere di essere antifascisti oggi senza capire tutto questo vuol dire pensare l’antifascismo soltanto come memoria storica, cosa che pure è importante, e non come componente vitale e perciò più forte del nostro essere e del nostro agire nel presente.
Il punto principale, va sempre ricordato, è sempre quello di capire la forma e le specificità del dominio (comprese analogie e differenze con il passato), per poterlo affrontare con efficacia.

Note
1 Report di JP Morgan (28 maggio 2013).



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