Da "Il manifesto" del 18 Febbraio 2000:
VATICANO
A SAN PIETRO L'ORO DI PAVELIC
Duemila sopravvissuti al genocidio del regime ustascia fanno causa allo
Ior: rivendicano il tesoro depositato, o donato per grazia ricevuta, da
Pavelic al Vaticano
- MARCO AURELIO RIVELLI -
U na bomba che esplode scuotendo il Vaticano: George Zivkovich, classe
1937, serbo di religione ortodossa, residente in California, si è
recentemente rivolto ai tribunali americani citando in giudizio la Santa
Sede, e più precisamente l'Istituto per le opere di religione, lo Ior, cioè
la banca vaticana già protagonista di numerosi scandali negli ultimi
decenni. Zivkovich, che, ragazzo, era scampato al genocidio serbo
perpetrato dagli ustascia croati negli anni 1941-1945, rivendica il tesoro
che l'ex dittatore Ante Pavelic aveva lasciato in custodia, o donato per
grazia ricevuta, al Vaticano nel '45. Lo affiancano nell'azione giudiziaria
circa 2.000 compatrioti.
Il regime ustascia, portato al governo in Croazia in quegli anni, grazie
all'invasione delle forze dell'Asse, fu il più feroce espresso dai
nazifascisti. Più feroce ancora di quello hitleriano, ed è tutto dire: in
quello stato che contava poco più di sei milioni di abitanti, un terzo dei
quali serbi di religione ortodossa, gli ustascia massacrarono un milione di
questi unitamente a 50 mila ebrei e 30 mila zingari, cioè il 20 per cento
della popolazione. All'eccidio parteciparono numerosi sacerdoti e frati
cattolici con la complicità di vescovi, con la connivenza del Primate,
arcivescovo Stepinac, recentemente beatificato, il tutto con l'implicito
beneplacito di Pio XII.
Crollato il suo regno, Pavelic scappò insieme ai suoi gerarchi e a 500
religiosi cattolici fra i più compromessi nell'eccidio, trovando rifugio a
Roma dove visse per tre anni nascosto nel Collegio di San Girolamo degli
Illirici, in Via Tomacelli, edificio protetto dalla extraterritorialità
vaticana. Non giunse a mani vuote, ma, come tutti gli ospiti che si
rispettino, portò un dono: l'oro, i gioielli e i titoli rapinati alle
vittime. Anche a Stepinac aveva lasciato un presente, trentasei casse
d'oro, che l'arcivescovo si fece incautamente scoprire un anno dopo dal
governo di Tito. Il Vaticano ricambiò il munifico omaggio facendo fuggire
questo criminale in Argentina nel 1949, vestito in abiti talari e munito di
adeguato passaporto. Con le stesse modalità la Santa Sede aiutò a fuggire
duecento ustascia e cinquemila delinquenti nazisti, l'aristocrazia del
crimine, fra i quali il Dottor Mengele, Walter Rauff, Adolf Eichmann, Erick
Priebke, Franz Stangl. A capo dell'Organizzazione di soccorso vaticana, che
attivò quella che gli alleati denominarono rat line, la via dei topi, vi
erano Draganovic, monsignore ed ex colonnello ustascia, e il vescovo Alois
Hudal, titolare in Roma della chiesa di Santa Maria dell'Anima, uomo di
fiducia di papa Pacelli. Le memorie di Hudal pubblicate in tedesco dopo la
sua morte, rappresentano la più dettagliata documentazione della via dei
topi: "compito svolto per incarico del Vaticano", come egli afferma.
Dell'oro croato nascosto in Vaticano correvano voci fin dall'immediato
dopoguerra nell'ambiente dei servizi segreti. Gli ustascia emigrati in
Argentina si confidarono con le autorità di quel paese, attivando la stessa
Evita Peron, subito partita per l'Italia allo scopo di convincere Pio XII a
rispettare gli impegni presi con Pavelic di restituirgli una parte del
bottino. Evita tornò a Buenos Aires a mani vuote perché l'oro non era stato
restituito, ma affidato in gestione al vescovo Alberto di Jorio, presidente
dello Ior, e al suo alter ego Bernardino Nogara.
La regia vaticana nella via dei topi viene documentata per la prima volta
da un rapporto - top secret - inviato il 15 maggio 1947 dall'addetto
militare Usa a Roma Vincent LaVista, al Segretario di Stato americano
George Marshall, che dettaglia le responsabilità vaticane e la
partecipazione di numerosi sacerdoti all'attività illegale e clandestina.
LaVista informa che grossi quantitativi di oro, trafugato alle vittime,
sarebbero stati occultati nei Palazzi Apostolici. Questo documento segue di
poco quello dell'agente speciale del Tesoro Usa Emerson Bigelow, che
documenta come nelle casse vaticane sia finito un quantitativo d'oro per un
valore di 200 milioni di franchi svizzeri, depredato dagli ustascia.
Analoga affermazione viene dalle memorie di James V. Milano, comandante del
430 distaccamento del controspionaggio dell'Us Army's Counter Intelligence
Corps, il quale aggiunge altri particolari a quelli già noti.
Il 22 luglio 1997 il quotidiano francese Nice Matin, pubblica un articolo
intitolato "Oro croato al Vaticano?" L'amministrazione americana indaga su
un trasferimento di ottocento milioni di franchi francesi", nel quale è
scritto: "Bill Clinton ha annunciato ieri che il Dipartimento del Tesoro
sta studiando il documento d'archivio che rivela che la Santa Sede ha
conservato dell'oro dell'antico regime fascista di Croazia. Secondo il
documento, diffuso da una rete televisiva americana, una parte rilevante
delle riserve d'oro del regime fascista croato, del valore di circa
ottocento milioni di franchi, sotto forma di lingotti d'oro, sarebbe stato
immagazzinato presso il Vaticano, verso la fine della Seconda guerra
mondiale, per evitare che venisse sequestrato dagli alleati... Secondo voci
insistenti queste riserve, essenzialmente costituite da lingotti d'oro, in
seguito sarebbero state dirottate, a cura del Vaticano, verso la Spagna e
l'Argentina. L'estensore del documento afferma comunque di ritenere che
queste voci siano state diffuse dal Vaticano per nascondere la verità:
secondo lui quese riserve non hanno mai lasciato la cttà pontificia". La
Santa Sede, attraverso il portavoce del ppa, Joaquin Navarro Valls,
smentisce tutto, definendo le notizie riportate dal quotidiano francese
"informazioni senza alcun fondamento".
La certezza che il tesoro ustascia si trovi ancora in Vaticano riceve il
crisma dell'ufficialità il 2 giugno 1998 dal Rapporto Usa stilato dal
sttosegretario di Stato Usa Stuart Eizenstat, che afferma, fra l'altro, che
gli archivi ustascia furono portati in Vaticano, così come oro e gioielli.
Aggiunge che "anche se non ci sono prove dell'implicazione diretta del papa
e dei suoi consiglieri, sembra inverosimile che essi abbiano del tutto
ignorato ciò che stava accadendo. Le autorità vaticane hanno affermato di
non avere trovato alcun documento suscettibile di fare luce sulla questione
dell'oro ustascia". La reazione ufficiale di parte vaticana, espressa dal
portavoce pontificio Joaquin Navarro Valls è: "il segretario dell'Istituto
San Girolamo, che era all'epoca Krunoslav Draganovic, ha forse utilizzato
quest'oro unicamente a proprio titolo, senza l'autorizzazione dell'Istituto
e senza che il Vaticano lo sapesse".
L'avvocata americana Keelyn Friesen, che coordina l'azione giudiziaria
contro lo Ior e gli altri accusati di complicità nell'imboscamento del
tesoro ustascia promossa da Zivkovic e dai suoi compagni, promette
battaglia dura ed esige giustizia. Una giustizia, che se deve suonare
condanna per l'indegno agire di uomini della Chiesa, chiama anche in causa
tutti i successori di Pio XII.
--------- COORDINAMENTO ROMANO PER LA JUGOSLAVIA -----------
RIMSKI SAVEZ ZA JUGOSLAVIJU
e-mail: crj@... - URL: http://marx2001.org/crj
http://www.egroups.com/group/crj-mailinglist/
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VATICANO
A SAN PIETRO L'ORO DI PAVELIC
Duemila sopravvissuti al genocidio del regime ustascia fanno causa allo
Ior: rivendicano il tesoro depositato, o donato per grazia ricevuta, da
Pavelic al Vaticano
- MARCO AURELIO RIVELLI -
U na bomba che esplode scuotendo il Vaticano: George Zivkovich, classe
1937, serbo di religione ortodossa, residente in California, si è
recentemente rivolto ai tribunali americani citando in giudizio la Santa
Sede, e più precisamente l'Istituto per le opere di religione, lo Ior, cioè
la banca vaticana già protagonista di numerosi scandali negli ultimi
decenni. Zivkovich, che, ragazzo, era scampato al genocidio serbo
perpetrato dagli ustascia croati negli anni 1941-1945, rivendica il tesoro
che l'ex dittatore Ante Pavelic aveva lasciato in custodia, o donato per
grazia ricevuta, al Vaticano nel '45. Lo affiancano nell'azione giudiziaria
circa 2.000 compatrioti.
Il regime ustascia, portato al governo in Croazia in quegli anni, grazie
all'invasione delle forze dell'Asse, fu il più feroce espresso dai
nazifascisti. Più feroce ancora di quello hitleriano, ed è tutto dire: in
quello stato che contava poco più di sei milioni di abitanti, un terzo dei
quali serbi di religione ortodossa, gli ustascia massacrarono un milione di
questi unitamente a 50 mila ebrei e 30 mila zingari, cioè il 20 per cento
della popolazione. All'eccidio parteciparono numerosi sacerdoti e frati
cattolici con la complicità di vescovi, con la connivenza del Primate,
arcivescovo Stepinac, recentemente beatificato, il tutto con l'implicito
beneplacito di Pio XII.
Crollato il suo regno, Pavelic scappò insieme ai suoi gerarchi e a 500
religiosi cattolici fra i più compromessi nell'eccidio, trovando rifugio a
Roma dove visse per tre anni nascosto nel Collegio di San Girolamo degli
Illirici, in Via Tomacelli, edificio protetto dalla extraterritorialità
vaticana. Non giunse a mani vuote, ma, come tutti gli ospiti che si
rispettino, portò un dono: l'oro, i gioielli e i titoli rapinati alle
vittime. Anche a Stepinac aveva lasciato un presente, trentasei casse
d'oro, che l'arcivescovo si fece incautamente scoprire un anno dopo dal
governo di Tito. Il Vaticano ricambiò il munifico omaggio facendo fuggire
questo criminale in Argentina nel 1949, vestito in abiti talari e munito di
adeguato passaporto. Con le stesse modalità la Santa Sede aiutò a fuggire
duecento ustascia e cinquemila delinquenti nazisti, l'aristocrazia del
crimine, fra i quali il Dottor Mengele, Walter Rauff, Adolf Eichmann, Erick
Priebke, Franz Stangl. A capo dell'Organizzazione di soccorso vaticana, che
attivò quella che gli alleati denominarono rat line, la via dei topi, vi
erano Draganovic, monsignore ed ex colonnello ustascia, e il vescovo Alois
Hudal, titolare in Roma della chiesa di Santa Maria dell'Anima, uomo di
fiducia di papa Pacelli. Le memorie di Hudal pubblicate in tedesco dopo la
sua morte, rappresentano la più dettagliata documentazione della via dei
topi: "compito svolto per incarico del Vaticano", come egli afferma.
Dell'oro croato nascosto in Vaticano correvano voci fin dall'immediato
dopoguerra nell'ambiente dei servizi segreti. Gli ustascia emigrati in
Argentina si confidarono con le autorità di quel paese, attivando la stessa
Evita Peron, subito partita per l'Italia allo scopo di convincere Pio XII a
rispettare gli impegni presi con Pavelic di restituirgli una parte del
bottino. Evita tornò a Buenos Aires a mani vuote perché l'oro non era stato
restituito, ma affidato in gestione al vescovo Alberto di Jorio, presidente
dello Ior, e al suo alter ego Bernardino Nogara.
La regia vaticana nella via dei topi viene documentata per la prima volta
da un rapporto - top secret - inviato il 15 maggio 1947 dall'addetto
militare Usa a Roma Vincent LaVista, al Segretario di Stato americano
George Marshall, che dettaglia le responsabilità vaticane e la
partecipazione di numerosi sacerdoti all'attività illegale e clandestina.
LaVista informa che grossi quantitativi di oro, trafugato alle vittime,
sarebbero stati occultati nei Palazzi Apostolici. Questo documento segue di
poco quello dell'agente speciale del Tesoro Usa Emerson Bigelow, che
documenta come nelle casse vaticane sia finito un quantitativo d'oro per un
valore di 200 milioni di franchi svizzeri, depredato dagli ustascia.
Analoga affermazione viene dalle memorie di James V. Milano, comandante del
430 distaccamento del controspionaggio dell'Us Army's Counter Intelligence
Corps, il quale aggiunge altri particolari a quelli già noti.
Il 22 luglio 1997 il quotidiano francese Nice Matin, pubblica un articolo
intitolato "Oro croato al Vaticano?" L'amministrazione americana indaga su
un trasferimento di ottocento milioni di franchi francesi", nel quale è
scritto: "Bill Clinton ha annunciato ieri che il Dipartimento del Tesoro
sta studiando il documento d'archivio che rivela che la Santa Sede ha
conservato dell'oro dell'antico regime fascista di Croazia. Secondo il
documento, diffuso da una rete televisiva americana, una parte rilevante
delle riserve d'oro del regime fascista croato, del valore di circa
ottocento milioni di franchi, sotto forma di lingotti d'oro, sarebbe stato
immagazzinato presso il Vaticano, verso la fine della Seconda guerra
mondiale, per evitare che venisse sequestrato dagli alleati... Secondo voci
insistenti queste riserve, essenzialmente costituite da lingotti d'oro, in
seguito sarebbero state dirottate, a cura del Vaticano, verso la Spagna e
l'Argentina. L'estensore del documento afferma comunque di ritenere che
queste voci siano state diffuse dal Vaticano per nascondere la verità:
secondo lui quese riserve non hanno mai lasciato la cttà pontificia". La
Santa Sede, attraverso il portavoce del ppa, Joaquin Navarro Valls,
smentisce tutto, definendo le notizie riportate dal quotidiano francese
"informazioni senza alcun fondamento".
La certezza che il tesoro ustascia si trovi ancora in Vaticano riceve il
crisma dell'ufficialità il 2 giugno 1998 dal Rapporto Usa stilato dal
sttosegretario di Stato Usa Stuart Eizenstat, che afferma, fra l'altro, che
gli archivi ustascia furono portati in Vaticano, così come oro e gioielli.
Aggiunge che "anche se non ci sono prove dell'implicazione diretta del papa
e dei suoi consiglieri, sembra inverosimile che essi abbiano del tutto
ignorato ciò che stava accadendo. Le autorità vaticane hanno affermato di
non avere trovato alcun documento suscettibile di fare luce sulla questione
dell'oro ustascia". La reazione ufficiale di parte vaticana, espressa dal
portavoce pontificio Joaquin Navarro Valls è: "il segretario dell'Istituto
San Girolamo, che era all'epoca Krunoslav Draganovic, ha forse utilizzato
quest'oro unicamente a proprio titolo, senza l'autorizzazione dell'Istituto
e senza che il Vaticano lo sapesse".
L'avvocata americana Keelyn Friesen, che coordina l'azione giudiziaria
contro lo Ior e gli altri accusati di complicità nell'imboscamento del
tesoro ustascia promossa da Zivkovic e dai suoi compagni, promette
battaglia dura ed esige giustizia. Una giustizia, che se deve suonare
condanna per l'indegno agire di uomini della Chiesa, chiama anche in causa
tutti i successori di Pio XII.
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