Tre autori ricordano i bombardamenti NATO

1) Mauro Gemma
2) Alberto Tarozzi
3) Enrico Vigna


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24 MARZO 1999, INIZIAVA IL CRIMINE DELLA NATO CONTRO LA JUGOSLAVIA E LA PIÙ GRANDE INFAMIA DELLA REPUBBLICA ITALIANA

di Mauro Gemma, 24/03/2018
 
Il 24 marzo 1999, la NATO, senza mandato dell'ONU e con la partecipazione dell'Italia, governata allora da un esecutivo presieduto da Massimo D'Alema, scatenava una criminale guerra contro la Jugoslavia, provocando morte e distruzione.

L'anno dopo (nell'ottobre 2000) un colpo di Stato orchestrato da forze filo-imperialiste (che godevano anche dell'appoggio internazionale di settori della cosiddetta "sinistra radicale", con il Manifesto che arrivava addirittura a titolare "La Rivoluzione d'Ottobre") rovesciava il presidente Milosevic, per poi arrestarlo e consegnarlo al Tribunale dell'Aia che lo avrebbe fatto morire in carcere con accuse infamanti che, recentemente, lo stessa corte ha riconosciuto completamente infondate.
 
Nel frattempo, sarebbe iniziata la penetrazione della NATO ad Est, che l'avrebbe portata ai confini della Russia, oggi minacciata seriamente da una guerra di aggressione che, purtroppo, non sembra turbare più di tanto l'opinione pubblica italiana e neppure pezzi di quella "sinistra radicale" che, anche oggi, sembrerebbe accodarsi alle manovre propagandistiche della NATO (questa volta per quanto riguarda il Medio Oriente) e alle sue campagne all'insegna della russofobia.

Nell'occasione ripropongo un mio articolo, scritto esattamente due anni fa, che ritengo non abbia perso di attualità.
 

Sono passati 17 anni dallo scatenamento della guerra di aggressione alla Jugoslavia, che ha inaugurato la lunga catena di massacri e distruzioni che hanno caratterizzato tutte le innumerevoli campagne belliche della NATO destinate ad annientare interi popoli e Stati.

Il 24 marzo 1999,  l'Alleanza Atlantica, guidata dagli Stati Uniti (sotto la presidenza del più noto esponente del clan Clinton e in presenza di un'amministrazione “democratica” - in cui si distingueva per ferocia e cinismo il segretario di Stato Madeleine Albright - che si è macchiata dei più atroci crimini di guerra), senza alcun mandato delle Nazioni Unite (Russia e Cina minacciarono il veto nel Consiglio di Sicurezza, impedendone il pronunciamento favorevole), avviava la campagna militare, definita “Allied Force”, che, terminata due mesi dopo con la capitolazione delle autorità di Belgrado, avrebbe determinato in breve tempo il completo collasso della Repubblica Federale della Jugoslavia.

L'anno seguente, attraverso una “rivoluzione colorata”, finanziata in particolare dal faccendiere George Soros (e sostenuta anche, incredibilmente, da settori della “sinistra radicale” dell'Europa occidentale), il legittimo governo jugoslavo veniva rovesciato da un moto di piazza e il presidente Slobodan Milosevic arrestato (nel 2001) e deferito al Tribunale dell'Aia per un processo farsa, conclusosi con la sua morte in carcere; il Kosovo sarebbe stato trasformato in uno stato fantoccio, guidato dai capi delle bande di trafficanti di organi umani dell'UCK, che, in un clima intimidatorio di discriminazione nei confronti delle minoranze nazionali (a cominciare da quella serba), ha consentito la costruzione della più grande base militare USA del nostro continente, utilizzata anche come campo di prigionia, una sorta di Guantanamo europea.
Mentre la NATO avrebbe accelerato la sua “marcia trionfale” verso est, con l'incorporazione di quasi tutti gli ex stati socialisti dell'Europa centro-orientale, fino a incombere minacciosamente alle frontiere stesse della Federazione Russa, non esitando a tale scopo a sostenere un colpo di Stato in Ucraina che ha fatto calare nuovamente le ombre del nazifascismo in Europa, e ad appoggiare una guerra di sterminio contro le popolazioni russe e russofone del Donbass.

Fu una campagna condotta unicamente dal cielo, costellata di atrocità inaudite, di massacri della popolazione inerme attraverso vigliacchi bombardamenti che non hanno risparmiato le strutture civili, come case, ospedali, scuole, fabbriche,  centrali e la stessa sede della Televisione jugoslava, ridotta in macerie, il 23 aprile 1999, da un'incursione che provocò 16 morti. A Belgrado furono allora colpite persino le ambasciate di paesi contrari all'avventura militare, come quella della Repubblica Popolare Cinese, con alcuni morti sotto le bombe: certo non un “errore” come ci si affrettò a comunicare, ma piuttosto un primo deliberato e minaccioso avvertimento, da parte dei fautori di un mondo “unipolare”, al grande paese socialista che stava emergendo come protagonista di primo piano della scena mondiale.

Si trattò di una campagna, iniziata molto tempo prima con l'avvio del processo di disgregazione della Jugoslavia socialista, e caratterizzata dalla massiccia intossicazione mediatica dell'opinione pubblica occidentale. Si era avviata così la stagione di quella “guerra di propaganda” che, in seguito, avrebbe distinto la preparazione di tutte le aggressioni imperialiste - da allora succedutesi nelle più diverse regioni del mondo e tragicamente in corso anche in questo momento - contro paesi e popoli che, come quello della Repubblica Federale della Jugoslavia, non intendono piegare la testa di fronte al “nuovo ordine mondiale” - con i massacri USA-NATO della popolazione civile sistematicamente presentati come “effetti collaterali”, mai come delitti deliberatamente portati a compimento.

A questa criminale impresa diede un apporto decisivo anche l'Italia - guidata allora da un governo di centro-sinistra presieduto da Massimo D'Alema - non solo con il supporto logistico ai 600 micidiali raid giornalieri contro le città e i villaggi jugoslavi, ma anche con la partecipazione diretta di piloti e aerei del nostro paese ai bombardamenti, smentita in un primo tempo dalle fonti ufficiali ma confermata da numerose testimonianze, a cui da parte governativa non si esitò a rispondere con arroganza.

Mai in seguito, dall'allora presidente del Consiglio (e da coloro che ne avallarono le scelte nel suo partito) sono venuti segnali di ripensamento autocritico rispetto a decisioni che hanno coinvolto il nostro paese in una vicenda bellica dalle così tragiche conseguenze, sul piano delle vittime civili (oltre 2.000 secondo alcune fonti), delle micidiali distruzioni che si proponevano di annientare ciò che rimaneva della Jugoslavia, ed anche dei devastanti effetti sull'ambiente, che non hanno risparmiato neppure le acque del Mare Adriatico che bagnano le nostre coste, inquinate da quell'uranio impoverito che, in quantità massicce, fu sganciato nel corso dell'aggressione.

Occorre opportunamente rammentare che fu proprio dalle basi USA-NATO collocate sul territorio italiano che partirono le operazioni di una impresa militare che violava tutte le più elementari norme del diritto internazionale, nel disprezzo assoluto del ruolo delle Nazioni Unite, della sua Carta costitutiva e dello stesso articolo 11 della nostra Costituzione repubblicana. Come pure non va assolutamente dimenticato che l'aggressione imperialista ebbe l'avallo sostanziale ((oltre che della gran parte dell'opposizione di centro-destra) di tutta la coalizione parlamentare che sosteneva il governo italiano e che allora non ne mise in discussione la tenuta, in un contesto vergognoso di ipocriti distinguo, patetiche giustificazioni e spudorate menzogne - smentite in seguito dalle più autorevoli testimonianze -, utili a criminalizzare la Jugoslavia aggredita, allo scopo, da un lato, di carpire l'appoggio dell'opinione pubblica e, dall'altro, di ridimensionare la portata dell'intervento italiano nella guerra.

Oggi, mentre il nostro paese è sul punto di partecipare all'ennesima operazione militare a guida USA/NATO, riteniamo doveroso rinfrescare la memoria su quella pagina oscura della storia patria, perché sono ancora troppi quelli che ne rivendicano la legittimità, come pure quelli che fingono di essersene dimenticati.


*Direttore di Marx21


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BOMBE SU BELGRADO, DECOLLATE DALL’ITALIA.. ERA IL 24 MARZO 1999

24/03/2018
di Alberto Tarozzi

Un altro anno è passato, ma il tempo non ci allontana da quel 24 marzo 1999. Qualcuno domanda: “Lontano da cosa?”.
Quei 78 giorni di bombe su Belgrado, 19 anni fa, subito vennero giustificati e quasi subito vennero dimenticati. Ma le tracce di quel passato ad ogni anno mostrano segni più profondi.

E’ dell’altro giorno la tragedia che diventa farsa. Il parlamento del Kosovo, lo stato partorito da una guerra e da anni di terrore, è stato luogo di scontri a base di lacrimogeni, che l’hanno trasformato nel palcoscenico di una sceneggiata fuori dell’ordinario. I kosovari albanesi in lite fra loro per un pugno di metri quadri. Gruppi denominati “guerrieri”, ma fino al 1998 nel libro nero del terrorismo, secondo la stessa Nato, poi assunti dall’occidente al rango di padri della patria di uno Stato che anche noi abbiamo riconosciuto. Uno stato che una accreditata rivista di studi geopolitici come Limes ha definito, tempo fa, “Stato delle mafie”, tanto per rendere l’idea. Un giudizio super partes, avallato dalla testimonianza di un generale Fabio Mini, che quella guerra combatté, con un ruolo autorevole, dalla parte della Nato e corredato dalla documentazione sui crimini contro i serbi, raccolta da una giudice svizzera, Carla Del Ponte, incaricata di far luce sui crimini di Milosevic.

All’origine del contenzioso odierno tra kosovari albanesi, al gusto di lacrimogeni, 80 km di metri quadri che una parte di quei guerrieri riconosce al Montenegro e che un’altra parte di loro ritiene intoccabili territori kosovari. Poveri loro, nessuno li ha avvertiti che il Montenegro adesso fa parte della Nato e che su quel fronte la festa è finita.

Tra Pristina e Belgrado, faticose ricuciture a corrente alternata paiono di quando in quando raffreddare le tensioni nei giorni pari, nel nome di un’entrata nella Ue. Poi la fiamma si riaccende, nei giorni dispari, perché mano misteriose assassinano un leader serbo kosovaro disposto al dialogo oppure perché quel buco balcanico che si chiama Serbia può fare gola alle superpotenze e la speranza del non allineamento ha i colori sfumati di un miraggio. Una tregua da qualcuno chiamata pace.

Il Kosovo oggetto di contesa di quella guerra, sopravvive nel segno della miseria e dell’abbandono, avendo come simbolo i pullman carichi di gente che se ne va da Pristina e dintorni, col biglietto di sola andata, Non sanno che festeggiare al ripetersi delle ricorrenze e giunti in terra Ue si sentono dire che se ne devono andare. Trattati come clandestini perché provenienti da un paese che ufficialmente non presenta elementi sufficienti di criticità.
La Serbia ha incassato qualche benemerenza a Bruxelles e a Berlino, quando ha soccorso i profughi lungo la rotta dei Balcani, ma le ombre della sera calano in fretta sulle genti di una Belgrado che taglia le pensioni per compiacere i guru dell’austerity che predicano a Francoforte. E cala in fretta sui malati di cancro che continuano a riproporsi, nel silenzio tipico di una autocensura delle vittime, conseguenze di bombe all’uranio impoverito o di quelle che hanno colpito i petrolchimici di Pancevo e le raffinerie di Novi Sad.

Ovunque, nella ex-Jugoslavia, fuoco sotto la cenere: Croazia, Bosnia, Macedonia ancora tregue col nome di pace.
Noi, Italia, quelli cha allora combatterono in prima linea e qualcuno di noi più in prima linea che mai, sul fronte della retorica.

Di quella scelta paga ancora oggi il prezzo Massimo D’Alema che, confermando la disponibilità delle basi italiane come rampe di lancio per i bombardieri Nato, di quei giorni fu protagonista. Ma oggi lui ha altre scelte da pagare: quelle di essere sceso in campo, alle recenti elezioni, convinto di avere dietro di sé masse a due decimali, dovendo poi constatare che poteva contare solo su di un gruppo di reduci da sconfitte a catena. Un destino amaro, senza neppure la consolazione di costituire un punto di riferimento italiano per i suoi amici americani della Fondazione Clinton, oggi declinante, a dispetto delle donazioni saudite.

Minore il prezzo pagato da Emma Bonino, che anticipava ogni bombardamento della Nato con suppliche di intervento bellico-umanitario. Memorabili solo per chi non dimentica, sue frasi come “Usa, aiutaci a punire i colpevoli” cui seguivano le bombe su civili innocenti.

Ma, sia pure con un grosso sforzo, proviamo a ricordarci anche di chi non aveva in ballo coinvolgimenti di parte. Come poteva essere la Presidenza Clinton per D’Alema oppure Georg Soros, teorico della dissoluzione dei Paesi a socialismo reale, presente a Belgrado con una sede della sua Open society e di cui la nostra Emma si dichiara ancora apertamente amica.

Se propaganda di guerra, in termini mediatici, significa soprattutto sottolineare i crimini di guerra di una parte in causa, quella da colpire, e farla breve sui crimini della parte che va sostenuta, come altrimenti definire le esternazioni di chi in quei tempi (1998/99) dichiarava, ad esempio sulla rivista “Vita” che “i cecchini serbi hanno ucciso un vecchio albanese, con i suoi due muli. Gli hanno sparato in pieno territorio albanese, poi i soldati di Milosevic ne hanno trascinato il cadavere in Jugoslavia” e poi via via tutto un “ci hanno detto”, “c’è il timore che”, costantemente abbinato a crimini dei serbi e soltanto dei serbi. A chi domanda se le guerre siano sempre le stesse, nel 99, sempre su “Vita” si risponde “Nei Balcani forse, perché la matrice è sempre quella, le pretese egemoniche serbe”. Con riferimento a crimini reali, purtroppo, e comunque credibili, anche quando non documentati da altre fonti. Impresa titanica, però, trovare nelle parole di quella persona riferimenti ad altri crimini dimostrabili, come le teste di serbi mozzate ed esibite in rete da terroristi musulmani, probabilmente di importazione, in terra bosniaca, ad anticipare la fioritura del terrorismo islamico da quelle parti, come testimoniato dalla costruzione di una moschea a Zenica, opera dei talebani.
E neppure troviamo l’episodio di una deportazione di oltre 100mila serbi espulsi dalle truppe croate dalle terre di Krajna, usati in parte da Milosevic per “ripopolare” il Kosovo e trovatisi due volte profughi nel giro di pochi anni. Cacciati prima dai croati e poi dai kosovari albanesi. La cosa avrebbe dovuto essere già da allora di dominio pubblico, se negli stessi articoli di “Vita” un cooperante italiano in Kosovo, Alessandro Pieroni, che pure non risparmia critiche pesanti alla Jugoslavia di Milosevic, ne riferisce ampiamente. Invece il riferimento ai crimini di guerra riconduce esclusivamente alla matrice serba; se qualcuno trovasse traccia di questa storia di perseguitati serbi nelle parole della persona di cui stiamo parlando lo preghiamo di segnalarcelo. Oltre tutto quella persona non era sulla linea del fronte come D’Alema a guerreggiare per una parte contro l’altra, ma doveva rappresentare una istituzione al di sopra delle parti. Ci riferiamo a Laura Boldrini allora rappresentante delle Nazioni Unite in terre balcaniche (Unhcr) e alle sue interviste, dove era facile trovare tracce delle colpe degli uni, mentre costituiva impresa ai limiti dell’impossibile trovare un riscontro delle colpe altrui.

Pure di quanto commesso dalla Nato e sulle sue conseguenze o comunque su colpe non solamente serbe, esistevano ed esistono testimonianze in base alla quali rivedere eventualmente le posizioni di un tempo. Pensiamo ai reportage di Ennio Remondino, Massimo Nava, Sigfrido Ranucci, Elena Ragusin, Aldo Provvisionato, Tommaso Di Francesco, Michele Santoro, Massimo Serafini, Giuseppe Zaccaria, Angelo Mastrandrea, Lorenzo Sani, Fulvio Grimaldi e anche alle testimonianze di chi riteneva che quella guerra avesse un senso come Alberto Negri o Tony Capuozzo.

La stessa Amnesty, che non crediamo possa essere ritenuta colpevole di pregiudiziale antiamericanismo stese un dossier critico e molto dettagliato e ancora in questi giorni dichiara che sussistono ostacoli alla consegna degli autori di crimini di guerra alla giustizia per “una costante mancanza di volontà politica in tutti e sei i paesi” (Croazia, Serbia, Kosovo, Macedonia, Bosnia, Montenegro).

Peraltro la memoria fa brutti scherzi anche dove non te lo aspetteresti. E così sul fronte pacifista, dove pure si rifiutano il concetto-ossimoro di guerra umanitaria e i contatti con D’Alema, proprio per quegli eventi, si sente parlare di “guerra IN Kosovo”. In realtà quella guerra venne fatta a proposito del Kosovo e anche nel Kosovo si sviluppò, ma gran parte dei raid aerei ebbero come obiettivo Belgrado e altre città della Jugoslavia di allora, perché lì era prioritario colpire, distruggere l’economia per le generazioni presenti e l’ambiente a riguardo delle generazioni future.

24 marzo, l’anno prossimo saranno vent’anni. C’è chi preferisce dimenticare. Fatti suoi. Noi ricordiamo e speriamo solo che il ventennale non sia costituito da giorni in cui si abbia a rompere una delle tanti fragili tregue che vedono la sopravvivenza di quei luoghi e di chi li abita.


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24 MARZO 1999 - 24 MARZO 2018: PER NON DIMENTICARE - ENRICO VIGNA

Saturday, 24 March 2018

A cura di Enrico Vigna- Forum Belgrado Italia

“…la guerra non è una canzone, che si può dimenticare
 la guerra è una favola funesta, che ogni giorno si manifesta…”     ( Milena N. Kosovo, 12 anni )
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…Ho appena dato mandato al comandante supremo delle forze alleate in Europa, il generale Clark, di avviare le operazioni d'aria (ndt: bombardamenti aerei…) sulla Repubblica Federale di Jugoslavia…Tutti gli sforzi per raggiungere una soluzione politica negoziata alla crisi del Kosovo sono falliti e non ci sono alternative all'intraprendere l'azione militare…”.

Così, il 23 marzo 1999, l'allora Segretario generale della NATO J. Solana, davanti ai mass media del mondo, decretava l'inizio della fine della “piccola” Jugoslavia e del popolo serbo in particolare…

L'aggressione alla Repubblica Federale di Jugoslavia/ Serbia…era motivata dalla necessità di fermare una “pulizia etnica”, un “genocidio” e ripristinare i “diritti umani” nella provincia. Perché queste furono le tre basi fondanti su cui la cosiddetta Comunità Internazionale: cioè gli otto paesi più ricchi della Terra, cioè il loro braccio armato, la NATO (in quanto i governi dei 2/3 dell'umanità tra voti contrari e astensioni, erano contrari alla guerra) hanno decretato l'aggressione alla Jugoslavia il 24 Marzo 1999.
La realtà sul campo è esattamente il contrario delle verità ufficiali raccontate dalla NATO, dall’UNMIK, dall’OSCE o dalla cosiddetta Comunità Internazionale.

Dopo 19 anni dove sono la cosiddetta “pulizia etnica”, il “genocidio”, “le fosse comuni” con le decine di migliaia di albanesi kosovari dentro?
Quando, secondo i documenti CIA, FBI, OSCE, Unmik, NATO… a tutt’oggi: 
sono stati ritrovati 2108 corpi di tutte le etnie; 
secondo l’UNCHR i primi profughi sono stati registrati il 27 marzo 1999, cioè 3 giorni dopo l’inizio dei bombardamenti; 
sono stati uccisi dal giugno ’99 in poi 3.000 serbi, rom, albanesi jugoslavisti, e di altre minoranze; sono stati rapiti 1300 serbi; oggi si sa (tramite le memorie della ex procuratrice del tribunale dell’Aja per la Yugoslavia, Carla Del Ponte) che loro sapevano dei 300 serbi rapiti dalle forze terroriste dell’UCK portati in Albania per estirpare loro gli organi ad uno ad uno.

 

Ora viviamo come in gabbia, prigionieri, ma gli stranieri dicono che siamo liberi...”.                    

Jovan 10anni, enclave di Gorazdevac, Kosovo

24 marzo 2018 – Anniversario dell’aggressione della NATO alla Repubblica Federale Jugoslava

Il 24 marzo, ricorrono 19 anni dall’inizio dell’aggressione NATO alla Repubblica Federale di Jugoslavia.
Durante questa aggressione, che è durata 78 giorni, migliaia sono state le vittime, un gran numero sono state feriti e resi invalidi permanentemente.
Durante l’aggressione NATO contro la Repubblica Federale di Jugoslavia dal 24 marzo al 10 giugno 1999, l’aviazione della NATO ha effettuato numerosi attacchi, bombardando civili e obiettivi non militari.
Molti bambini sono periti durante questi attacchi, e sono anche  morti molti malati ricoverati negli ospedali, passanti, persone nelle strade, nei mercati, nelle colonne dei profughi.
Sono stati distrutti ospedali, abitazioni, scuole, ponti, chiese, monasteri.
Questi attacchi sono stati cinicamente definiti dagli ufficiali della NATO come danni collaterali, benché si trattasse di attacchi il cui obiettivo era di distruggere il morale della popolazione con l’intimidazione intenzionale come strumento.
Ecco alcuni esempi di bombardamenti in cui le vittime sono stati i civili :

4 aprile : stazione di riscaldamento urbano a Belgrado (un morto)
12 aprile : treno viaggiatori nella gola di Grdelica (20 morti)
14 aprile : una colonna di profughi in Kosovo (73 morti)
23 aprile : la sede della Radio-Televisione di Serbia (16morti)
1 maggio : un ponte in Kosovo (39 morti)
3 maggio : un bus nei pressi del villaggio Savine Vode in Kossovo (17 morti)
7 maggio : la città di Nis (17 morti)
8 maggio : un ponte a Nis (2morti)
13 maggio : un campo profughi in Kosovo (tra 48e 97 morti)
19 e 21 maggio : la prigione Durava nel Kosovo (23 morti)
30 maggio : il ponte nella città di Varvarin sul fiume Morava, durante una religiosa (10 morti tra i    quali una liceale Sanja Milenkovic  e un prete della locale chiesa)

Non è che un piccolo numero delle vittime civili dell’aggressione NATO.
Come esseri umani e come persone coscienti, abbiamo un obbligo morale di rendere omaggio a queste vittime e a tutte le altre vittime dell’aggressione.
In questa lunga lista di vittime menzioniamo la piccola Milica Rakic, una bimba di 2 anni della periferia di Belgrado, così come le piccole vittime della bombardamento della sezione infantile dell’ospedale Misovic a Belgrado e molti altri.
La rete stradale e ferroviaria distrutte, altrettanto un gran numero di fabbriche, di scuole, ospedali, installazioni petrolchimiche, di monumenti e siti culturali.
Il danno diretto è stato stimato in 100 miliardi di dollari americani.
Intere regioni della Serbia e in particolar modo, il Kosovo sono stati inquinati a causa dell’uso dell’uranio impoverito. 
Le conseguenze per la popolazione e soprattutto per i nuovi nati si manifestano in orrende malformazioni che si acutizzano con il passare del tempo.

Decine di migliaia di serbi resistenti, continuano a vivere in enclavi, tuttora protetti per evitare violenze ed assalti.

L’aggressione della NATO contro la R.F. di Jugoslavia ha rappresentato un colpo senza precedenti all’ordine giudiziario internazionale, ai principi delle relazioni internazionali e alla carta delle Nazioni Unite.
A seguito delle motivazione e delle sue conseguenze, quest’aggressione ha rappresentato il primo  avvenimento globale più importante dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Si è trattato di una guerra contro l’Europa, le cui conseguenze si vedono oggi. 
L’aggressione contro la Jugoslavia ha lastricato la strada per l’utilizzo unilaterale della forza nelle relazioni internazionali ed ai successivi attacchi all’Afghanistan, all’Iraq, alla Siria, alla Libia e in questi mesi i venti di guerra sono in Ucraina, ai confini della Russia.  
Durante questa aggressione una stretta alleanza tra la NATO e l’organizzazione terroristica, chiamata Armata di Liberazione del Kosovo (UCK) è stata realizzata, garantendo a questi ultimi la trasformazione da terroristi a governanti dell’attuale stato fantoccio del Kosovo.
Le conseguenze di questa alleanza si sono continuate a manifestare anche in questi 16 anni,  attraverso la continuazione di forme di intimidazione e terrorismo contro la popolazione serba ed ogni altra popolazione non albanese in Kosovo e Metohija; tra cui anche attacchi e distruzioni di monumenti della cultura cristiana, antifascista e jugoslavista.
La dimostrazione più evidente di tutto quanto sopra descritto sono stati gli avvenimenti accaduti dal 17 al 19 marzo 2004, quando i terroristi albanesi hanno cacciato altre migliaia di serbi dalle proprie case e distrutto altre 35 chiese e monasteri serbi risalenti al medio evo.
Le conseguenze di questa aggressione sono molteplici: 
presenza e rete di collegamenti e di cellule jihadiste nei Balcani, sono documentati in alcune centinaia gli jihadisti kosovari partiti da lì per la Siria e la Libia, in questi ultimi anni.
L’impossibilità a tutt’oggi del rientro in Kosovo di 250.000 tra serbi e altre minoranze non albanesi, che furono cacciati dopo l’arrivo dell’UNMIK e della KFOR.
Pochissimi dei 150, tra chiese e monasteri, che sono stati distrutti, dal 10 giugno 1999, è stato ricostruito e tutto ciò malgrado le promesse fatte.
Sono tutti indifferenti nei confronti di tutto ciò ? 
I Balcani, la Serbia e i paesi della regione necessitano di pace, di stabilità e di sviluppo.
Tutto ciò è possibile solo nel rispetto delle risoluzioni dell’ONU, sancite tra le parti nel 2000, alla cessazione dei bombardamenti, in particolare la Risoluzione 1244 che assicurava le garanzie ed i diritti uguali per tutte le popolazioni dell’area. 
MA ESSA E’ TUTTORA CALPESTATA E RIMOSSA.

Enrico Vigna, 24 marzo 2018                                                        

Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali
                                                               
Forum Belgrado Italia – Assoc. SOS Yugoslavia-SOS Kosovo Metohija

S.O.S. Yugoslavia
S.O.S. KOSOVO METOHIJA