https://www.cnj.it/home/it/informazione/jugoinfo/9611-9370-ancora-iniziative-critiche-sul-giorno-del-ricordo-2024.html
«Aggressione fascista a Padova: pestati una ragazza e due ragazzi». La denuncia arriva dai militanti di Potere al Popolo e Spazio Catai, che poi raccontano l'episodio. «Giovedì sera, in via Barbarigo, alcuni attivisti e attiviste dello Spazio Catai e di Potere al Popolo sono stati aggrediti da un gruppo di fascisti che stava affiggendo manifesti sulle foibe. Una ragazza e due ragazzi sono stati presi a pugni e calci anche una volta a terra, e si sono dovuti recare al pronto soccorso per lesioni al volto e un trauma cranico - raccontano - . Episodi come questo non sono nuovi a Padova e accadono sempre più spesso nel nostro paese. La responsabilità è anche di un contesto politico tollerante, per non dire connivente, con gruppi neofascisti e che ha pienamente legittimato questi nostalgici delle pratiche squadriste. Si pensi ai saluti romani di Acca Larentia, solo uno tra i tanti esempi. La cosiddetta "giornata del ricordo" è parte di questa legittimazione, che è anche istituzionale e mediatica».
Il corteo «Non possiamo permettere che si verifichino aggressioni e intimidazioni come quella di giovedì sera, né che qualcuno non sia al sicuro nelle strade della nostra città - chiudono. Per questo invitiamo tutta la città ad un corteo antifascista, venerdì 9 febbraio, con ritrovo alle 18 in piazza Garibaldi»
*10 Febbraio: Noi Ricordiamo tutto!*
Contestiamo fermamente l’operazione politica e di revisionismo storico che sono alla base del Giorno del Ricordo, istituito per ricordare le vittime delle foibe. Tale giorno viene celebrato non a caso il 10 febbraio, giorno in cui vennero firmati a Parigi, nel 1947, i trattati di pace tra l’Italia e le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale. Trattati che determinarono la perdita dell’Istria e della Dalmazia. Con tale operazione viene imposta al Paese, come verità di Stato, una narrazione mistificata e ideologica della vicenda riguardante le foibe. Una narrazione che fa propria la versione del revisionismo storico neofascista e che decontestualizza tale vicenda, occultando clamorosamente le vittime e le atrocità che subirono drammaticamente sia gli antifascisti che le popolazioni slave che vivevano in Venezia Giulia, Istria, Dalmazia e Carnaro.
Noi invece vogliamo ricordare tutto, a 360 gradi. La vicenda delle foibe è, infatti, ben più complessa di quella che ci vorrebbero imporre tramite una legge ideologica che reinterpreta in chiave negazionista la Storia di quel drammatico periodo, ribaltando i ruoli tra vittime e carnefici e negando le violenze e gli eccidi compiuti dagli italiani e dai tedeschi in quelle terre martoriate. Le foibe, utilizzate anche dai fascisti e dai nazisti, furono la conseguenza del clima di odio e violenza prodotto prima dalla dittatura del ventennio fascista e poi dall’occupazione nazifascista. Clima che si concretizzò con una feroce repressione nei confronti della popolazione slava che aveva convissuto pacificamente con quella italiana fino a quel momento, con i massacri, le fucilazione, le impiccagioni, i villaggi bruciati e i campi di sterminio in cui perirono soprattutto civili. Una feroce repressione che provocò la morte di circa 13 mila persone slave nei lager italiani, oltre a 2.500 persone durante azioni di combattimento e 1.500 civili uccisi in atti di rappresaglia dai nazifascisti.
Perché occultare clamorosamente tutto ciò? Perché non riconoscere che tra gli infoibati non ci furono solo vittime innocenti, ma anche torturatori e assassini che si macchiarono di crimini inenarrabili nei confronti della popolazione civile colpevole solo di non essere di lingua italiana o di opporsi prima al regime fascista e poi all’occupazione nazifascista? Ovviamente nessuno nega che ci siano stati anche eccessi, vittime innocenti, vendette personali, come spesso accade in questi casi, ma tutto ciò non può ribaltare il significato della Storia di quel periodo.
Tuttavia, notiamo con preoccupazione come gli eredi politici di quel regime, mossi da un sentimento di rivalsa, e una parte di sedicenti democratici di ispirazione liberale tentino di distorcere la storia per assolvere i crimini del nazifascismo e infangare la lotta di Liberazione, trasformando impropriamente la vicenda delle foibe in una sorta di shoah italiana. Questa narrazione non solo rappresenta un clamoroso falso storico, ma è anche una chiara operazione politica intesa a sminuire il ruolo della Resistenza nel nostro Paese, con l'obiettivo di cancellare le radici popolari e antifasciste della nostra Repubblica. Fortunatamente ci sono storici che continuano a lavorare e documentare seriamente i fatti, senza farsi condizionare da letture ideologiche e dal negazionismo imposto da una legge di stato che reinterpreta tale vicenda per finalità che nulla hanno a che fare con la verità storica che noi, invece, rivendichiamo con forza contro ogni forma di revisionismo.
Per manifestare contro il Revisionismo di Stato invitiamo tutti a partecipare al presidio che si terrà sabato 10 febbraio, a partire dalle ore 11.00, dinanzi al Museo della Liberazione in via Tasso n. 145, un luogo altamente simbolico che ci ricorda non solo la ferocia nazifascista, ma anche l’eroismo dei martiri della Resistenza, portando un fiore in ricordo di coloro che combatterono per conquistare la libertà e la democrazia.
*Le Antifasciste e gli Antifascisti romani*
- Claudia Cernigoi, Storica del Confine Orientale (in remoto)
- Franco Giustinelli, Tecnico Scientifico dell’ANPI Terni
- Tatjana Rojc, Senatrice della Minoranza Slovena
A seguire dibattito
A cura di ANPPIA – Federazione di TERNI
Sanremo, l’appello di La Russa: “Invitare Umberto Smaila a parlare delle foibe”
di F. Q. | 8 Febbraio 2024
Invitare Umberto Smaila sul palco dell’Ariston durante l’ultima serata della 74esima edizione del Festival di Sanremo per “parlare qualche minuto delle foibe“. Questo è l’appello pronunciato dalla seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa. Il presidente del Senato ha sottolineato che la serata finale del Festival, sabato 10 febbraio, coincide con la Giornata del ricordo in memoria delle vittime delle foibe. E da qui è partita la sua richiesta diretta agli organizzatori di Sanremo. Smaila, l’artista e showman diventato eterno con il programma tv Colpo Grosso, è figlio di esuli fiumani.
“Vorrei fare un appello – dice La Russa – in questi giorni c’è Sanremo, un appuntamento nazional-popolare. Giustamente negli anni, e anche quest’anno, si parla di tanti eventi. Però l’ultima serata coincide con il 10 febbraio, Giornata del ricordo. Io credo che abbiamo visto invitare tanti bravissimi cantanti, anche non proprio giovanissimi, e credo che invitare il 10 Umberto Smaila a parlare qualche minuto delle foibe sarebbe uno schiaffo a qualche angolo di negazionismo che ancora resiste”, spiega il presidente del Senato.
La Russa ha pronunciato il suo appello a margine della proiezione dello speciale di Rai cultura “L’odissea giuliani-dalmata: dalle foibe all’esodo”, che si è svolta alla Camera. “Sarebbe un gesto che in qualche modo rappresenterebbe tutti quelli che votarono quella legge, cioè la quasi unanimità del Parlamento”, aggiunge il presidente del Senato riferendosi alle modalità di approvazione della legge che ha istituito la Giornata del ricordo, il 10 febbraio, e che fu voluta da La Russa 20 anni fa. “Io fui il secondo firmatario, ero capogruppo di An – ricorda – Fu molto complesso ottenere la quasi unanimità ma ci riuscimmo. Solo 12 di Rifondazione comunista votarono contro, tutti gli altri a favore”.
L'intervento della consigliera
"Si propone - spiega Pellegrino - di focalizzare l'attenzione a specifiche iniziative nelle scuole per individuare, in occasione della Giornata del Ricordo, solo alcuni degli accadimenti che composero, come recita la legge del 2004, la complessa vicenda del confine orientale, e cioè la tragedia delle foibe". "Nelle scuole - incalza la consigliera di opposizione - vanno raccontate e spiegate tutte le pagine oscure di quel terribile periodo, le efferatezze commesse dai nazi fascisti, la macabra geografia di morte dei lager di regime, anche in territorio italiano, incluso il fatto che nessuno dei generali italiani e dei gerarchi fascisti sia stato processato per i crimini di guerra commessi nell'allora Jugoslavia e che volutamente siano state rese mute le responsabilità politiche e penali di un segmento della storia nazionale la cui comprensione è imprescindibile per un futuro di pace autentica e senza confini". Pellegrino parla poi di "atrocità inimmaginabili che vanno oggi studiate e insegnate non enucleando solo una delle tante spaventose questioni, con l'intento di rinfocolare ostilità e contrapposizioni su cui certa politica è pervicacemente avvinta, ma a partire dall'invasione nazista e fascista della Jugoslavia nel 1941".
Mazzolini: "Pellegrino si vergogni"
Capitano di complemento dell'Esercito, nonché giornalista Rai, Andrea Romoli ha nel suo curriculum un servizio dall'Ucraina (febbraio 2022) nel quale inviava immagini di un (presunto) bombardamento di Kiev operato dai Russi, immagini che però erano tratte da un videogioco. E' stato anche richiamato all'ordine dal suo direttore, Sangiuliano (oggi ministro) per avere commentato con parole vergognose ed irripetibili sulla sua pagina FB la vicenda del sacerdote comasco don Malgesini ucciso da un immigrato tunisino squilibrato (nel link del primo commento trovate l'articolo di Open che riporta i post cancellati da Romoli).
Romoli ha inoltre curato la pubblicazione di un libro contenente le memorie di un agente dei servizi italiani, Sergio Cionci, che rimase a Pola dopo l'annessione della città alla Jugoslavia e vi operò, quale "spia" del Sifar, fino al 1952 (con buona pace di coloro, Romoli in primis, che sostengono che "tutti" gli italiani furono cacciati da Pola con la violenza nel 1946 o poco dopo).
Romoli è da anni l'inviato di Rai2 nelle foibe (letteralmente: ci si cala dentro con caschetto ma senza guanti, a vedere le immagini), e già un paio di anni fa realizzò un servizio a proposito della "foiba di Gargaro" (Grgar, a una decina di chilometri da Gorizia), dove, con voce rotta (si presume per la discesa acrobatica con l'imbragatura, dato che la circostanza non lo richiedeva) ha parlato di 80 goriziani ivi infoibati, di cui riconosciuti 4, indicando una granata ben posta sulla parete rocciosa come residuo delle bombe gettate dai perfidi "titini" per distruggere le prove dei loro crimini, oltre ad un cerchio di filo spinato del diametro di circa 40 centimetri (così ad occhio) che sarebbe servito a legare i polsi degli "infoibati".
La cavità, così come filmata, risulta del tutto vuota (a parte la granata e il filo spinato), quindi si presume che se avesse contenuto cadaveri nel 1945 essi sono stati riesumati (e portati dove? non si sa, dato che non risultano recuperi da tale foiba. Per chi lo desiderasse, il link alla trasmissione si trova nel secondo commento.
Il collegamento con Gorizia (forse perché città natale del giornalista-soldato, figlio di Ettore Romoli, esponente missino più volte sindaco di Gorizia, che in tale veste nel 2010 portò il saluto istituzionale ad uno dei convegni di mistificazione della storia organizzato dalla Silentes loquimur di Marco Pirina, e parlamentare di Forza Italia) viene fatto anche nel più recente servizio, trasmesso lunedì scorso (link nel terzo commento), nonostante le cavità esplorate si trovino ben distanti da Gorizia, nell'Istria slovena a sud-est del confine di Villa Decani. Tale collegamento è espresso anche dallo speleologo goriziano Maurizio Tavagnutti, che ha spiegato di avere partecipato a questa spedizione perché in anni passati, esplorando grotte nella zona di Gorizia, aveva trovato dei resti umani e quindi gli era rimasta la curiosità di sapere perché quei resti erano in quei luoghi (come motivazione per andare ad esplorare grotte nel comune di Capodistria ci sembra quantomeno curiosa, ma chi siamo noi per giudicare?). L'altro speleologo che ha accompagnato Romoli è il capodistriano Franc Malečkar, che ha già al suo attivo diverse esplorazioni fatte in Slovenia con la Commissione che si è occupata negli ultimi trent'anni di recuperare i resti umani dalle grotte e dalle "foibe".
Abbiamo già avuto modo di parlare della "aggressione", in realtà un vandalismo, subito dalle tre auto della "troupe della Rai" che accompagnava Romoli, mentre la quarta auto, quella con targa slovena di Franc Malečkar era rimasta "indenne" (in effetti, a vedere il servizio in cui Romoli, i due speleologi che lo accompagnavano e una quarta persona venivano filmati dall'alto, presumibilmente da un drone e non da una persona volante, ci si domanda il motivo di andare con quattro macchine per così poca gente): non ritorneremo qui sul punto, che abbiamo già trattato in altra pagina, anche se rimane sempre la domanda su come il guidatore sia riuscito a rientrare in Italia con il parabrezza fracassato e gli specchietti divelti, senza incorrere al confine nei controlli istituiti dalle recenti leggi "emergenziali" e presentando denuncia in Italia anziché in Slovenia. E non possiamo che stigmatizzare l’uscita di pessimo gusto del soldato-giornalista nell’intervista a Radio Capodistria, cioè che dopo avere scoperto l’atto vandalico “è stato un po’ come se ci avessero ributtato dentro” (cioè nella foiba): considerando che nella “foiba” ci erano entrati con le loro gambe e con le stesse ne erano usciti, dichiarare una cosa del genere significa non avere alcun rispetto per chi nelle foibe ci è finito dentro veramente.
Si diceva che nel servizio si vedono le esplorazioni di due cavità, ambedue nei pressi di Podpeč (la prima viene indicata in Bremce, la seconda in Vilevica, di ambedue postiamo le schede tratte dal catasto speleologico sloveno, foto 1 e 2). Nella prima (profonda una ventina di metri) Malečkar ha asserito che quando lui era giovane (più tardi si è riferito agli anni '80) i suoi colleghi speleologi avrebbero trovato diversi teschi umani: avvisata la polizia, i teschi umani sarebbero stati prelevati (non le altre ossa) e sostituiti da teschi animali (che avrebbero coperto le ossa umane), operazione che lo speleologo attribuisce alla polizia che voleva celare le prove del massacro: ma le ossa umane si troverebbero ancora sotto il pietrisco che costituisce il fondo della grotta (quanto tutto questo sia credibile, non sta a noi giudicare).
Mentre assistiamo a questa narrazione non sembra tanto di vedere un documentario, quanto una (brutta) sceneggiatura teatrale, oltretutto interpretata male dall'attore Romoli nelle sue ansanti parole traboccanti di enfasi:
"qua sotto (pausa) hanno trovato la morte (pausa) decine forse centinaia di persone (pausa) cammini (pausa) su un tappeto di pietre (pausa) sai che qua sotto ancora ci sono (pausa) i resti di esseri umani (pausa) questa grotta senti (pausa) l'odore (pausa) della morte (pausa) e del terrore".
La terza foto è il fermo immagine dei teschi animali che secondo i nostri esploratori ricoprirebbero i resti umani sui quali hanno camminato. Ma sembra un po' difficile che centinaia di persone possano essere state gettate in una grotta che ha un'imboccatura come quella che si vede nella quarta foto postata.
Così come ci sembra ardita la spiegazione di Malečkar sul fatto che si sia trovato un pezzo di stivale (un tacco che Romoli sostiene che sia appartenuto ad "una persona buttata sotto"): la gente è caduta, dice lo speleologo, è rotolata, e perciò i corpi sono stati coperti dalle pietre che sono franate loro addosso mentre ai lati sono rimaste le cinture e le scarpe. Come se le pietre avessero operato una svestizione dei cadaveri e una misteriosa forza centripeta provocata dalla caduta avesse gettato ai lati gli abiti...?????? (ma dove ha studiato fisica questa gente?).
Poi c'è la scena delle croci: ad un certo punto, fuori dalla grotta, Malečkar dice di aspettarlo, si allontana e ritorna con una grossa croce di legno in spalla: croce che, a suo dire, sarebbe stata posta a segnalare l'ingresso della grotta appena esplorata e che veniva gettata via per cattiveria umana, quindi i tre esploratori pietosi decidono di porre di nuovo la croce al suo posto: nel fermo immagine leggiamo la targhetta della croce che si riferisce alla grotta di Vilenica (a noi sembrava si fosse a Bremce...), ma non si riesce a leggere il motivo per cui quella croce sarebbe stata posta in quel luogo (foto 5). Un'altra croce appare subito dopo, ma questa, dice Malečkar, sarebbe quella di Vilenica (le due grotte sono un po' distanti, in quanto la prima si trova a nord di Brezovica, la seconda ad est di Podpeč), e non sappiamo se l'abbiano messa a posto.
Dunque, che ci faceva la croce con la targhetta Vilenica alla grotta di Bremce? (o quantomeno questo è quanto appare nel filmato).
Aggiungiamo che nell'intervista al Piccolo (edizione di Gorizia 19/1/24) Tavagnutti aveva parlato di un "crocifisso" presso la foiba vicino alla quale era avvenuto l'atto vandalico, quindi Vilenica) e che a Radio Capodistria (intervista del 19/1/24) Romoli aveva detto che "Sopra la foiba erano state collocate due grandi croci che segnavano il luogo e commemoravano i morti, poste dal governo sloveno ovviamente, ma entrambe le croci erano state abbattute. Noi ne abbiamo tirata su una, l’altra era in un dirupo e non siamo riusciti a recuperarla. Tirare giù una croce è un atto pesante: è la croce di un cimitero, perché la gente è ancora là sotto". Come se le croci si trovassero ambedue presso la grotta di Vilenica.
Ma proseguiamo con la parte del servizio che parla dell'esplorazione della grotta Vilenica, il cui accesso si vede nella foto 6.
In questa grotta, profonda 3 metri e che si espande per 9 (come da scheda nella foto 2), secondo Malečkar sarebbero stati trovati (nel corso di ricognizioni della Commissione incaricata dei recuperi dei resti umani nelle cavità della Slovenia) taccuini (forse intendeva dire i portafogli, portafoglio in dialetto istriano si dice tacuìn) ed occhiali, ma questi oggetti sarebbero stati portati a Lubiana e lì fatti sparire. Non si sa se oltre agli oggetti sarebbero stati recuperati anche resti umani, dato che arrivati nella grotta Malečkar dice "tutto questo terriccio sono i resti delle persone", e poi indica due "falangi", la seconda delle quali, provvidenzialmente rimasta bene in evidenza proprio sopra un piccolo cumulo di pietre (foto 7), viene immediatamente identificata come "falange umana" dall'improvvisato patologo Romoli che aggiunge (sempre con la voce rotta di circostanza) "qui sotto hanno trovato la morte (pausa) decine (pausa) decine di esseri umani".
Poi viene trovato un bossolo di pistola, e da buon militare esperto di armi Romoli immediatamente decreta: "probabilmente l'hanno usato per uccidere le persone"; ed ancora, Tavagnutti trova una "collanina, un vecchio ricordo di qualcuno che è morto qui dentro", ma subito il perito Romoli lo corregge: "no, no è un rosario guarda c'è la croce (pausa) questo l'ha tenuto in mano quando è morto (pausa) la persona lo ha tenuto in mano negli ultimi istanti di vita (pausa) terribile".
Più avanti, sempre in questa grotta Romoli trova "pieno di ossa là sotto", e Malečkar gli dice di venire avanti "non l'ho spostato fin che tu non vieni, una falange", spiega, indicando con una mano le dita dell’altra mano per farsi capire meglio, e poi Romoli, avanzando annuncia:
"abbiamo trovato (pausa) un'altra vertebra (non era una falange, n.d.r.?) umana (pausa) eccola qua (ansimando)". Nel fermo immagine (in FOTO vediamo anche questa vertebra ben posata sul pietrisco, quasi in esposizione.
La Vilenica, spiega Malečkar, sarebbe l'unica grotta su cui si sarebbe espressa la Commissione di ricerca dei resti umani nelle grotte: durante un'offensiva tedesca i partigiani avevano con sé dei soldati tedeschi prigionieri, li hanno fatti entrare nella grotta, uccisi e fatto esplodere la cavità; perciò pochi resti trovati in superficie, le ossa sbalzate via dall'esplosione ed una colata di pietra avrebbe ricoperto i corpi. A parte che nella pagina con la lista delle fosse comuni in Slovenia (vedi link al commento 3) risulta quanto appare nella foto 9, quindi nessun recupero né, sembra, stima, sarebbe stato fatto su eventuali salme in questa grotta (così come per la grotta Bremce, come nella foto 10 tratta dalla stessa pagina), tutta questa descrizione male si adatta ad una grotta che, come abbiamo visto, sarebbe profonda tre metri e si sviluppa per nove.
Va anche aggiunto che nulla di nuovo sotto il sole, in questo servizio, dato che già nel lontano 2000 l'allora deputato di AN Roberto Menia presentò una interrogazione parlamentare basandosi su dichiarazioni del 1999 rilasciate da Malečkar nel corso di un convegno a Ronchi, relative all'attività della Commissione slovena di cui sopra. Menia nominò (la trascrizione è piena di refusi che riportiamo pedissequamente) "la grotta Vilenca presso Praproce è una grotta orizzontale lunga circa 100 m (sarebbero 3, abbiamo visto) con una fessura all'entrata. Sotto i massi, fatti esplodere per ricoprire le salme, sono stati trovati più teschi, protesi dentarie e oggetti vari (taccuini, scarpe, ...)" ed anche "Bremce presso Crnotice è un sistema di tre pozzi di corrosione connessi tra loro, profondi 23 metri. Al fondo sono state trovate numerose ossa umane, tranne i teschi, e ossa di animali con i quali si voleva mascherare i fatti".
Tali descrizioni (riprese dall'intervento di Malečkar a Ronchi) sono in palese contrasto con quanto appare nella pagina sulle fosse comuni (che dovrebbe essere aggiornata, mentre Malečkar sembra essere rimasto alle sue descrizioni di 25 anni fa). Di conseguenza concordiamo del tutto con quanto lo speleologo capodistriano ha dichiarato alla fine del servizio di Romoli: "se le cose storiche non sono chiarite del tutto aumenta solo l'odio nazionale",
Verissimo: e allora perché egli stesso fa di tutto per NON chiarire le "cose storiche", come dimostra il servizio di Romoli che per realizzarlo si è basato sostanzialmente sulle sue dichiarazioni ?
24 Ottobre 2023
"In una recente circolare delle prefetture indirizzata ai sindaci e agli uffici scolastici provinciali si sollecitano tutte le scuole a dar vita a iniziative “per diffondere la conoscenza” della “spirale di violenza che esplose all’indomani della firma dell’armistizio e che, per i successivi quattro anni, si scatenò su molti italiani inermi e incolpevoli, residenti nei territori ad est di Trieste, con durissime e atroci rappresaglie dai contorni di una vera e propria pulizia etnica”.
Queste sollecitazioni rappresentano una gravissima forzatura della verità storica, delle leggi vigenti, della stessa autonomia scolastica. Non è certo in discussione la condanna e la giusta memoria delle foibe, ovvero della tragedia dell’esodo, di cui alla legge sul Giorno del ricordo. Ma non è vero che le foibe riguardarono solo gli italiani, che pure furono i più colpiti, e non è vero che si trattò di pulizia etnica. La circolare inoltre ignora colpevolmente e consapevolmente “la più complessa vicenda del confine orientale”, così nominata all’articolo 1 della legge stessa. Si ignora cioè l’aggressione italiana alla Jugoslavia del 6 aprile 1941, la repressione bestiale della resistenza locale a tale invasione da parte dei comandi militari italiani, le stragi dei civili in particolare sloveni, le colpe dei criminali di guerra italiani, il ruolo dei partigiani per la liberazione dell’Italia dall’invasore nazista, il lager triestino della Risiera di San Sabba, i crimini della X MAS sul confine orientale, i campi di concentramento fascisti in Italia, a Gonars e Visco, dove erano internati croati e sloveni. Così facendo e così ignorando, si deforma la storia.
È sconcertante che si invitino le scuole alla conoscenza e all’approfondimento di questi temi che riguardano il Giorno del Ricordo, cioè il 10 febbraio, e non ci sia analogo invito per la Giornata della Memoria, istituita con legge 211 del 2000 “al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”. Il silenzio su tale giornata, che peraltro avviene il 27 gennaio, cioè prima del Giorno del Ricordo, a fronte dell’invito a ricordare le sole foibe, rivela la natura faziosa e strumentale dell’operazione didattica, funzionale soltanto a una narrazione delle tragedie di quegli anni tesa a screditare la Resistenza.
Per di più nella circolare dei Prefetti si chiede di contabilizzare tali iniziative scolastiche “entro e non oltre il 20 ottobre prossimo” su richiesta del Consiglio dei Ministri e del ministero dell’Interno. In sostanza le scuole devono comunicare alle prefetture, cioè al governo. Insomma, è una forma di costrizione e di controllo del governo stesso sull’attività delle scuole, mettendo così in discussione i principi dell’autonomia scolastica e della libertà di insegnamento di tutti i docenti.
Per queste ragioni chiedo al governo e al Ministro dell’Interno di ritirare la circolare e recedere da questa pratica faziosa e pericolosa".
Gianfranco Pagliarulo