2017, NUOVO LIBRO:
"Il movimento della Resistenza in Italia e i partigiani
sovietici" Ediz. italiana a cura di
Ljudmila Koroleva, direttrice della casa editrice russa
Gelios ARV presentazioni 2017
Marina Rossi Soldati dell’Armata Rossa al confine orientale 1941-1945
Con il diario inedito di Grigorij Žiljaev
Gorizia : Leg edizioni, 2014
Si veda in particolare il primo capitolo Partigiani
sovietici nelle file della resistenza italiana
(1943-1945): uno sguardo di sintesi
Mauro Galleni Ciao, russi. I partigiani
sovietici in Italia, 1943-1945
Venezia, Marsilio, 2001
Carla Capponi I partigiani sovietici nella
resistenza prenestina Comune di Palestrina,
Assessorato alla cultura, Biblioteca comunale Fantoniana,
Fondazione Cesira Fiori Palestrina, Comune, 1994
Vladimir Pereladov Il battaglione partigiano russo d'assalto
prefazione di Renato Giorgi (Angelo) - introduzione
di Remigio Barbieri
collana La Resistenza in Emilia-Romagna n.2
Bologna: Edizioni La Squilla, 1975
I partigiani sovietici della VI zona ligure
Genova : Italia-URSS, 1975 per conto dell’Associazione italiana per i rapporti
culturali con l'Unione Sovietica
Mauro Galleni I partigiani sovietici nella
Resistenza italiana Editori Riuniti
1967-1970 Prefazione di Luigi Longo
Gruppo di lavoro centrale per le questioni dell'antifascismo
della Direzione del PCI (a cura di) Partigiani sovietici nella
resistenza italiana 1966
Matteo
Peggio, dalla neonata redazione di Pandora tv a Mosca,
ha intervistato Massimo Eccli, che ha organizzato in
questi giorno una mostra fotografica dedicata ai
partigiani sovietici che combatterono in Italia
durante la Guerra di Liberazione. Riprese e montaggio
Luciano Mastropietro
Bello Ciao – documentario di Valeria Lovkova su Vladimir
Pereladov (2015)
L'associazione culturale Russkij
Mir di Torino prosegue l'opera di recupero della
memoria dei partigiani sovietici che combatterono in
Piemonte durante la guerra di liberazione 1943-45, a
fianco degli italiani, a cui aveva già dedicato il
documentario "Ruka ob ruku -
Fianco a fianco".
In questo nuovo progetto, la loro vicenda si lega
strettamente alla figura di Nicola Grosa che, ex
partigiano torinese, negli anni Sessanta andò per le
montagne piemontesi a recuperare i corpi di chi era
morto combattendo e aveva avuto sommaria sepoltura.
Questi resti furono poi tumulati nel Campo della
Gloria (Sacrario della Resistenza) del Cimitero
Monumentale di Torino e, tra i più di 900 corpi
recuperati da Grosa, molti sono quelli di partigiani
stranieri, per la maggior parte sovietici.
Il documentario parte da alcuni casi particolari (il
nipote di un partigiano georgiano che cerca la tomba
del nonno morto sul Colle del Lys, la storia dei russi
e degli ucraini fucilati in Valle d'Aosta al bivio tra
Nus e Fénis) per ampliare la visuale sul problema dei
sovietici tumulati come ignoti o con i nomi storpiati
e di cui si cerca di risalire alla vera identità, per
completare l'opera di Grosa e consegnare le loro
storie alla memoria dei contemporanei.
In un rimando continuo di immagini e suoni del passato
e del presente, sono due i temi importanti affrontati
dal documentario: la scoperta della figura del
torinese Nicola Grosa e della sua epica impresa di
seppellitore dei partigiani dispersi, con tutto il
valore che può derivarne in un'epoca così disattenta
alla memoria, e il contributo dato dai partigiani
sovietici alla Resistenza italiana, ancora così poco
noto.
Anna Roberti e Marcello Varaldi Ruka ob Ruku (Fianco
a fianco)
Poletaev, Musolishvili, Bujanov, Avdeev. Quattro eroi
sovietici caduti per la liberta’ italiana. Quattro
Medaglie d’oro al Valor militare. Da Mosca la Voce della Russia!
Bisogna essere grati all’Avvenire di aver introdotto il
tema del 25 aprile con un articolo che gia’ nel titolo
prende le distanze da quell’atteggiamento di sufficienza
e di indifferenza verso la Russia, oggi prevalente sia a
destra che a sinistra.
Nel suo “Sangue russo per l’Italia libera”
Castellanni ha voluto dare un taglio e un colore piu’
letterario che documentario alla storia di Fedor
Poletaev, un soldato sovietico che fuggito da
un campo nazista in Italia si era unito ad un
reparto partigiano che operava nella zona di Cantalupo
Ligure per cadere da eroe nel febbraio del 1945.
Pochi mesi piu’ tardi egli fu insignito della Medaglia
d’oro al valor militare.
Su Poletaev, di cui all’inizio non si conosceva il nome
esatto, sono stati scritti dei libri e girati dei film.
E’ il partigiano sovietico su cui si e’ posata una certa
attenzione dei media e forse della letteratura se e’
vero che Fenoglio si sia ispirato alla sua storia per
tratteggiare la figura di Volodka, il soldato russo che
compare in “Il partigiano Jonny”.
E’ forse per questo che Castellani scrive che Poletaev”
e’ l’unico partigiano straniero medaglia d’oro al valore
militare in Italia”.
I partigiani russi decorati in Italia con la Medaglia
d’oro al valor militare sono invece quattro: Fedor
Poletaev, Kristofor Musolishvili, Nikolai Bujanov, Danil
Avdeev. Un numero altissimo se pensiamo che in duecento
anni di storia la Medaglia d’oro al valor Militare e’
stata conferita a poco piu’ di duemila persone.
Quattro soldati che rappresentano al meglio quei
cinquemila cittadini sovietici che in
terra straniera non ebbero dubbi su chi fosse il nemico
da battere.
Le loro storie sono molto simili come leggiamo nelle
motivazioni del conferimento dell’ ultima onorificenza
concessa nel 1994
Danil Avdeev
Ufficiale della cavalleria sovietica, si sottraeva alla
deportazione nazista e attraverso la Svizzera, guidando
un gruppo di connazionali, dopo dura e arditissima
marcia, giungeva nelle prealpi Carniche in Friuli. Qui,
riuniva in un reparto unico tutti i cittadini sovietici
sfuggiti alla prigionia nazista e si metteva agli ordini
del comando Garibaldi del Friuli, operando con coraggio
e sagacia contro il comune nemico.
Nel novembre del 1944, durante la violenta offensiva
nazista lungo le valli dell’alto Tagliamento e
dell’Arzino, Danil Avdeev, con alcuni partigiani, nel
tentativo di far saltare la strada da dove irrompeva il
nemico, venne sopraffatto da ingenti forze naziste e
dopo strenua ed eroica difesa che permetteva lo
sganciamento dei partigiani italiani, cadde in un
sublime atto di eroismo donando la sua giovane vita alla
causa della liberazione d’Italia.
Pierlungo di Vito d’Asio in Friuli, 15 novembre 1944.
Kristofor Musolishvili invece era entrato in
contatto con i partigiani italiani dopo una fuga di
massa da un campo di concentramento nazista con un
carico di armi e munizioni. Una storia incredibile che
lui faceva raccontare agli altri per innata modestia.
Era nato in una povera famiglia di contadini, in un
villaggio sperduto fra i monti della Georgia.
Nell’ultimo combattimento della sua vita, prima di darsi
la morte per non cadere nelle mani del nemico, nelle
campagne del novarese riusci’ ad abbattere piu’ di
70 soldati nazisti e repubblichini. Era il dicembre del
1944.
La medaglia d’oro gli fu conferita dal presidente
Sagarat nel 1970. Una piccola delegazione, fra cui un
giornalista di Radio Mosca, si reco’ in Georgia per
consegnare l’onorificenza alla vecchia madre.
Peccato che la corrispondenza di Nikolai Kulikov non si
sia conservata nei nostri archivi, ma ricordo come
descrisse la madre dell’eroe. Una donna alta, il volto
scavato sormontato da una crocchia di capelli bianchi,
l’eterno vestito nero. Solo in quel momento comprese che
il figlio non sarebbe piu’ tornato.
Nikolai Bujanov, meno fortunato
dovette tentare la fuga per ben quattro volte. Ma nel
giugno del 1944 riusci’ a raggiungere la compagnia
“Chiatti” che operava sui monti di Castelnuovo dei
Sabbioni. In Ucraina la sua famiglia era stata
sterminata dall’invasore e in ogni scontro con i
tedeschi si sentiva che aveva un conto aperto con loro.
Dopo un mese il suo nome era diventato una leggenda e
come un eroe leggendario cadde con la mitragliatrice in
pugno riuscendo a porre in salvo i suoi compagni d’arme.
Poletaev, Musolishvili, Bujanov, Avdeev. Quattro eroi sovietici caduti per la liberta’
italiana. Quattro Medaglie d’oro al Valor militare.
(Fonte:
Sez. ANPI N. Bujanov) Nato a Moghilò Podoshi
(Ucraina) il 24 aprile 1925, caduto a Castelnuovo dei
Sabbioni (Arezzo) l'8 luglio 1944, soldato dell'Armata
Rossa.
Fatto prigioniero dai nazisti durante l'invasione
dell'Unione Sovietica, Bujanov, come non pochi giovani
soldati ucraini, era stato deportato in Italia.
Doveva essere inquadrato in quei reparti che avrebbero
affiancato tedeschi e repubblichini nelle attività
antipartigiane.
Una volta nel nostro Paese, Bujanov riuscì a disertare
e a trovare ospitalità presso una famiglia di San
Giovanni Valdarno (Arezzo).
Di qui, come da sua richiesta, il giovane ucraino fu
avviato alle formazioni partigiane operanti nel
Valdarno aretino.
Bujanov conquistò subito la fiducia dei partigiani
della 5a Compagnia "Chiatti" della Brigata
"Sinigaglia" e fu apprezzato per la sua modestia, per
la sua volontà di lotta e, soprattutto, per
l'eccezionale coraggio dimostrato in varie occasioni.
Coraggio confermato tragicamente, durante un
rastrellamento in cui era incappata la sua formazione
partigiana.
Benché avesse ricevuto l'ordine di ritirarsi, Bujanov
volle aspettare il nemico per fermarlo con il fuoco
della sua mitragliatrice.
Con il suo consapevole sacrificio personale, il
ragazzo assicurò ai suoi compagni della "Chiatti" la
possibilità di sganciarsi senza perdite e permise che
donne e bambini di Castelnuovo dei Sabbioni
(Cavriglia, Arezzo) fossero posti in salvo, in
territorio controllato dai partigiani.
Nella stessa zona il 4 luglio 1944 circa 200 civili
italiani erano stati massacrati da appartenenti alla
divisione SS "Herman Goering" e da soldati in uniforme
tedesca, che però parlavano con accento toscano
(fascisti travestiti...).
Idem per la vicina Civitella in Val di Chiana.
Nessuno dei responsabili è mai stato processato e
condannato.
Il due febbraio al mattino arriva da Pertuso una
staffetta del distaccamento "Villa" che ci porta il
seguente biglietto: Alle otto di stamattina siamo stati
attaccati al ponte di Pertuso da un centinaio di
tedeschi e mongoli. Abbiamo reagito uccidendone 5 e
ferendone 3, che sono stati portati via dai loro
compagni. Jack, Tigre,Toscano ed io ci consultammo sul
da fare e decidemmo di accerchiare il paese. Falco con
Ramis ed un gruppo di una diecina di uomini si recò a
prendere collegamento col distaccamento "Villa", Tigre
con quindici uomini si appostò in alto sopra Cantalupo
ed io con dieci uomini mi fermai sulla strada per
bloccarla. Verso mezzogiorno, quando avevamo completato
i nostri movimenti, la colonna dei tedeschi lasciò
Cantalupo in file compatte per dirigersi verso Cabella.
Nascosti dietro ad un muretto sulla strada, con dieci
uomini e con due mitragliatori attendevamo l'urto.
Raccomandai agli uomini di non sparare senza ordine. I
mongoli avanzavano in fila per cinque sulla strada. A
duecento metri si distinguevano già i loro visi rotondi
e giallastri e le loro maschingewhcr.
Quando furono a centocinquanta metri da noi, ordinai il
fuoco. I due mitragliatori e i nostri stens e fucili
cominciarono a sparare. In un attimo i mongoli si erano
dispersi, cacciandosi caricati sulla neve ai due lati
della strada, mentre qualche ferito si trascinava sulla
neve.
Dopo un po', il fuoco si rallentò, da parte nostra, per
non sprecare munizioni, poiché i mongoli erano quasi
invisibili nelle loro buche scavate nella neve. Appena
sospendevamo il fuoco i mongoli cominciavano ad
indietreggiare a gruppetti, facendo qualche passo e poi
buttandosi nella neve.
Ogni volta che uno si alzava per scappare una nostra
raffica lo salutava. Con noi vi erano alcuni russi, che
gridavano con tutta la la loro voce ai mongoli e ai
tedeschi di arrendersi. Anche noi italiani ci mettemmo a
gridare. lntanto i mongoli cercavano di indietreggiare
in massa.
Allora stimai opportuno contrattaccare. Ci dividemmo in
due gruppi e cominciammo ad avanzare cautamente, gli uni
sopra la strada, gli altri sotto. Mentre un gruppo
avanzava, l'altro sparava in modo da impedire ai mongoli
di reagire.
Ci avvicinammo così a cinquanta metri dai nemici, sempre
sparando e coricati nella neve.
Il combattimento però continuava accanito, e sarebbe
durato probabilmente fino all’esaurimento delle nostre
munizioni, il nemico ben armato resisteva, occorreva
capovolgere la situazione a nostro favore.
Ad un certo momento Fiodor, un russo che era con me,
urlando in lingua Russa (lingua che comprendevano i
cosìdetti mongoli [n.d.r.]) si slanciò avanti col suo
sten ormai quasi scarico fino a pochi metri dai mongoli,
terrorizzandoli sia per l’audacia della sua repentina
azione come per la sua figura gigantesca che troneggiò
sul nemico.
Molti alzarono le mani mentre l’eroico Partigiano
Sovietico Fjodor, colpito al cuore, cadeva morto.
Un primo gruppo di trenta fu subito disarmato. Venivano
di corsa verso dì noi con le mani alzate e coi visi
terrorizzati. Intanto ai nostri segnali, i nostri
cominciavano a scendere guidati da Ramis, da Tigre, da
Jack. Toscano nel fiume inseguiva qualche fuggiasco. Un
gruppo di mongoli si era rifugiato in una casa che fu
ben presta assediata da Tigre. Noi ci lanciammo avanti
verso Cantalupo dove un gruppo resisteva. Sei di questi
furono falciati dalle nostre raffiche unite a quelle di
Ramis, Michele, Leonzio e Condor. Di corsa ci mettemmo
ad inseguire alcuni fuggiaschi che si dirigevano verso
Pertuso.
Traversammo Cantalupo a gran velocità mentre la
popolazione, che aveva seguito il combattimento dalle
finestre, ci applaudiva al nostro passaggio. Di corsa
arrivammo fino a Pertuso sparando sui fuggitivi e
incontrammo Jack che era già sceso catturando una
diecina di mongoli.
In pochi minuti il combattimento era finito: quarantasei
prigionieri tra cui due marescialli, dodici morti nemici
ed i cinque feriti del mattino erano il bilancio della
nostra vittoria.
Fjodor giaceva, ormai ghiacciatio, nella neve rossa del
suo sacrificio.
La vittoria di Cantalupo portò il nostro morale alle
stelle. La stima della popolazione ed il timore del
nemico aumentò grandemente. Il tenente tedesco che era
riuscito a fuggire ferito con quattro uomini da
Cantalupo, raccontava a Borghetto di essere stato
attaccato da mille partigiani, mentre noi non eravamo
che sessantacinque nel combattimento.
Dall’interrogatorio dei prigionieri veniamo a sapere che
erano diretti a Carrega per catturare il comando di zona
e le missioni alleate.
Partigiani sovietici in
provincia di Roma (fonte)
, in Liguria (fonte)
, della Brigata "Caio" di Genova (fonte)
I fatti della Val Serina
Fonte:
Newsletter Ecumenici – Redazione di Serina (BG)
Anno VII° nr° 30, 18 agosto 2007
Martiri dimenticati della Resistenza
Prima parte
(Per il materiale raccolto si ringraziano sentitamente i
serinesi)
I partigiani della Brigata Giustizia e Libertà "XXIV
maggio" si stanziarono sulle pendici del monte Alben
(2019 m) raggiungibile da Oltre il Colle, Zambla
Alta, Serina e Cornalba. Un monumento posto
nel cimitero di Serina ricorda i 3 soldati russi
caduti per la liberazione dell’Italia dal
nazifascismo. Da via dei partigiani
si raggiunge più in sù, dopo qualche chilometro,
Cornalba, dove il 25 novembre 1944 la OP, agli ordini
del criminale Cap. Aldo Resmini, svolse un
rastrellamento che portò all'uccisione di dieci
partigiani. (...)
Verso le ore sette e trenta di sabato 25 novembre 1944
un reparto della compagnia OP di Bergamo, al comando del
tristemente noto capitano Aldo Resmini, inizia un
rastrellamento in Val Serina. La colonna, composta da
due camion scoperti e da un’autoblinda (circa 50
uomini), risale la valle ed appena prima della frazione
di Rosolo incrocia e blocca la corriera di line
Zambla-bergamo. Mentre si compie la perquisizione dei
passeggeri, sopraggiunge la seconda corriera. Vengono
fermati, riconosciute ed uccisi sul posto i partigiani
Giuseppe Biava, Barnaba Chiesa e Antonio Ferrari.
La colonna fascista si divide in due gruppi. Il primo
prosegue lungo la provinciale per Serina, il secondo
sale attraverso l’abitato di Passoni. Qui è fermato
Giovanni Bianchi e costretto a far da guida ai
rastrellatori verso Cornalba.
E’ chiaro l’intento dei militi di attaccare
contemporaneamente da destra e da sinistra chiudendo
l’abitato a “sacca”: l’unica via di uscita è costituita
dalle mulattiere che salgono sul monte Alben, che
verranno però tenute sotto controllo dalle mitraglie.
Frattanto il primo gruppo di fascisti giunge a Serina ed
effettua un breve rastrellamento nella zona centrale del
paese: molti uomini e giovani del posto si danno alla
fuga e riescono con difficoltà a raggiungere i sentieri
nei boschi. Qui viene fermato Lorenzo Carrara che è
costretto a salire sul camion militare. Il gruppo dei
repubblichini prosegue per Cornalba, ma sbaglia
direzione e prende per Valpiana, nella zona detta del
“ristoro” si accorge dell’errore e inverte la marcia;
ciò consente a diversi uomini di fuggire.
Intanto a Cornalba la notizia del rastrellamento giunge
attraverso due fonti: una telefonata alla trattoria
“della Serafina” e a viva voce, grazie all’avvistamento
dei fratelli Luigi e Carlo Carrara, che, usciti di buon
mattino per andare a caccia, scorgono la colonna
fascista sulla strada di Rosolo dalla zona di San
Pantaleone.
Il gruppo che sale da Passoni lancia un razzo di
segnalazione per dare l’allerta ai camerati provenienti
da Serina e immediatamente dopo apre il fuoco con armi
leggere.
Inizia una fuga precipitosa e disordinata verso le
pendici dell’Alben da parte dei partigiani e di giovani
di Cornalba. E’ molto probabile che da parte partigiana
non si risponda minimamente al fuoco nemico.
Ormai il primo gruppo di rastrellatori proveniente da
Serina ha raggiunto il piazzale della chiesa
parrocchiale di Cornalba. Partigiani e uomini in fuga,
che speravano di trovare via libera sulla sinistra del
paese, sono bloccati da un fuoco intensissimo: una
mitraglia è piazzata su di un prato, una seconda, ancora
più micidiale, sul campanile della chiesa. Sorte non
migliore aspetta chi cerca scampo verso la destra
dell’abitato: i fascisti, che ormai occupano tutto il
paese piazzano almeno due mortai e tirano sui fuggitivi,
favoriti anche dal fatto che la vegetazione – siamo alla
fine di novembre – è completamente spoglia.
Proprio con il mortaio viene colpito mortalmente il
comandante “Ratti” e ferito gravemente Gino Cornetti (un
giovane di Cornalba di appena diciassette anni), che
verrà “finito” immediatamente con due colpi di pistola.
Intanto sul lato sinistro dell’abitato, con estrema
difficoltà, riparandosi dietro le rocce e sfruttando la
nebbia piovigginosa che cala dalla montagna, altri
uomini in fuga raggiungono i sentieri alti e corrono
disperatamente verso la cima del monte Alben. In questa
fuga cadono mortalmente feriti Pietro Cornetti (fratello
di Gino), Battista Mancuso e Giuseppe Maffi.
Mentre ancora si spara in questa zona, non distante dal
centro abitato, è catturato il partigiano Franco
Cortinovis. Portato nella piazza del paese viene
sommariamente interrogato, violentemente malmenato e
ucciso sul posto dallo stesso Resmini.
Intorno alle ore dieci è dato il “cessate il fuoco”.
Inizia ora il rastrellamento nei prati, boschetti e
cascine sopra l’abitato: viene subito fatto prigioniero
Luigi Maver, che proveniva da Nembro in Valle Seriana.
Vengono pure catturati, nascosti in un anfratto di
roccia, due giovani di Cornalba, Egidio Bianchi e Luigi
Carrara: stanno per essere interrogati quando, non
lontano, viene fermato Callisto Sguazzi “Peter”.
Riconosciuto come partigiano, è immediatamente
assassinato da un tenente dell’ OP con due colpi di
pistola.
Il paese è nel terrore: vengono perquisite varie case,
si minacciano distruzioni e stragi, viene fatta saltare
la cabina elettrica.
Alle dodici la colonna lascia Cornalba con i prigionieri
Egidio Bianchi, Giovanni Bianchi e Luigi Maver che si
aggiungono a Lorenzo Carrara, catturato in precedenza a
Serina. Prima di lasciare la Val Serina, Resmini si
ferma al Municipio in Algua, e minaccia personalmente il
podestà ed il curato di Trafficanti, prospettando nuove
azioni di rastrellamento.
Inizia la pietosa raccolta dei cadaveri a Cornalba e le
salme vengono composte nella camera mortuaria del
cimitero: è stata vietata ogni cerimonia e imposta la
fossa comune.
Pur con la paura di nuove azioni contro la popolazione,
vengono fatte costruire delle bare e la commozione e la
partecipazione nell’omaggio ai caduti è generale.
Martedì 28 novembre si svolge la cerimonia funebre, che
è controllata e difesa da un gruppo di partigiani in
armi.
Egidio Bianchi, Giovanni Bianchi, Luigi Maver e Lorenzo
Carrara vengono riconosciuti amici e collaboratori dei
partigiani, selvaggiamente torturati nella caserma della
OP a Bergamo e incarcerati a S.Agata (Lorenzo Carrara
morirà, causa le torture subite, due anni dopo).
La formazione, dispersa sull’Alben, è faticosamente
ricomposta nella zona di Zambla, per iniziativa del
nuovo comandante “Renato”.
Sabato 1 dicembre 1944, quindi esattamente una settimana
dopo i fatti di Cornalba, si ebbe una nuova azione di
rastrellamenti in Serina ad opera dei militi della
Guardia forestale che provenivano dalla caserma di San
Pellegrino Terme.
In un primo conflitto a fuoco sulla strada che conduce
al comune di Dossena, nei pressi del Passo Crocetta,
veniva mortalmente ferito il partigiano Celestino
Gervasoni. Un altro gruppo di militi, partendo
dall’abitato di Serina, prese la direzione dell’Alben
sorprendendo in una baita alcuni partigiani che si
stavano preparando a lasciale la zona per raggiungere il
resto dei superstiti della brigata. Nell’imboscata
morirono tre partigiani di nazionalità russa, “Carlo”,
“Michele” e “Angelo”, e un giovanissimo partigiano
di appena diciassette anni, Mario Ghirlandetti. Un
altro partigiano russo, “Scialico”, ferito ad una
gamba veniva catturato e portato a Serina. Qui,
aiutato da alcune persone del paese, trovava rifugio
in una abitazione privata fino alla primavera del 1945
e ai giorni della Liberazione.
Il bilancio dei rastrellamenti del 25 novembre e del
primo dicembre 1944 fu quindi di quindici morti in campo
partigiano contro nessuna perdita di parte avversaria.
Il colpo fu tremendo per la brigata “24 maggio”, tanto
che la stessa corse il rischio di disgregarsi e
disperdersi definitivamente. Grazie al coraggio e alla
decisione del nuovo comandante (Fortunato Fasana,
“Renato”) e del gruppetto che rimase con lui (in tutto
una ventina di uomini), la formazione, dopo essersi
spostata in altra zona (Laghi Gemelli, in alta valle
Brembana), riuscì a ricostituirsi e a diventare una
delle più importanti e attive della Resistenza
bergamasca fino alle ultime vittoriose fasi della
liberazione di Bergamo.
Le attività della Associazione culturale Russkij Mir
Ormai sta scomparendo la generazione dei
combattenti che a rischio della vita propria e dei
propri congiunti si impegnarono contro la
sopraffazione, il razzismo e la disgrazia in cui era
caduta l'Italia.
Sono trascorsi 70 anni dalla fine della II Guerra
Mondiale e 50 dalla sistemazione di parte del Cimitero
Monumentale di Torino a "Sacrario della Resistenza",
in cui sono conservate le spoglie dei partigiani
caduti nella lotta al nazifascismo. Tra questi si
trovano una novantina di soldati venuti
dall'Unione Sovietica. Inizia così il libro "Dal recupero dei corpi
al recupero della memoria" scritto da Anna
Roberti, presidentessa dell'Associazione culturale
Russkij Mir di Torino, pubblicato da Imprex —
Edizioni Visual Grafika. A dispetto della
vergognosa propaganda con cui certi giornali nazionali
cercano di mutare l'atteggiamento della gente verso la
Russia, c'è ancora in Italia chi lavora per non
sciupare la memoria di quei militi russi che si
batterono insieme ai partigiani contribuendo alla fine
del fascismo.
Proprio in occasione degli imminenti anniversari
storici di aprile e maggio che accomunano Italia e
Russia, abbiamo deciso di intervistare Anna Roberti,
perché mai come in questo momento storico è giusto
ricordare il passato. Insomma, scrivere per non
dimenticare, scrivere perché la loro vita non sia
stata sprecata e continui a servire questo monito: la
libertà è una conquista da coltivare e non va mai data
per scontata.
- Non è la prima volta che l'associazione culturale
Russkij Mir si occupa dei partigiani sovietici, vero?
- Esatto. Dieci anni fa abbiamo realizzato il documentario "Ruka ob Ruku
— Fianco a fianco", nel quale raccontiamo
la storia dei partigiani sovietici in Piemonte.
In quell'occasione abbiamo scoperto che ne erano
passati più di 700 nella nostra regione e tra i 4mila
e i 5mila in tutta l'Italia. Molti di loro erano
arrivati nel nostro Paese dopo essere stati catturati
dai nazisti durante la Campagna di Russia. Molti erano
stati messi in carcere o mandati nei lager, e alcuni
erano stati costretti ad arruolarsi nella Wermacht.
Solo quasi al termine della guerra, non fidandosi di
tenerli in patria, Hitler ordinò di spostarli
all'estero. Tra il 1943 e nel 1944 vennero quindi
trasferiti in Italia e in Jugoslavia e in piccola
parte in Francia.
- L'approdo in Italia li convinse a entrare nelle file
dei partigiani?
- Quindi il libro mette un tassello in più nella
vicenda, anche personale, di questi soldati.
- Certamente. Il libro nasce dall'esigenza di
correggere gli errori nella compilazione in lingua
russa delle targhette sulle lapidi, che riportano nomi
e cognomi dei partigiani sovietici ospitati nel
cimitero di Torino. Con l'approssimarsi del 70°
anniversario della fine della II Guerra Mondiale,
avevamo chiesto al Comune di Torino rifare tutte le
targhette, per dare un giusto ricordo ai parenti che
vengono ogni anno in visita al Sacrario.
L'Amministrazione comunale ci ha così domandato di
fornire la documentazione in nostro possesso e da qui
è partita l'idea di elaborare il tutto in forma di
saggio.
- Nel libro troviamo le storie di questi militi?
- Attraverso l'incrocio meticoloso tra i database
russi, quelli dei Ministeri italiani e tante altre
fonti, abbiamo ricostruito le loro singole storie e di
alcuni abbiamo rintracciato anche la foto.
- Tra i tanti personaggi a quale è più affezionata?
- Tamara Firsova fu l'unica partigiana sepolta
a Torino. Una figura interessantissima, molto
"femminile" e con un destino tragico. Sposò il
partigiano Giuseppe Gioia, ne rimase incinta e
morì a ventun'anni dando alla luce il bambino.
---
Fianco a
fianco. Il 9 Maggio ricordando i partigiani sovietici
caduti in Italia per la liberazione dal nazifascismo
Furono
circa cinquemila i cittadini dell’ex-Unione
Sovietica che combatterono al fianco dei
partigiani in territorio italiano: di questi oltre
quattrocento sacrificarono la propria vita per la
Liberazione del nostro paese.
Catturati durante l’Operazione Barbarossa, con cui
la Germania nazista, l’Italia fascista e i loro
alleati aggredirono l’URSS nel 1941, si
ritrovarono in Italia con differenti ruoli: come
prigionieri, come ausiliari, o come lavoratori
dell’apparato bellico del Reich in territorio
italiano. Molti di loro riuscirono a fuggire,
spesso in maniera rocambolesca, andando ad
ingrossare le fila della Resistenza sin dal suo
nascere.
Il loro contributo, vista l’esperienza militare
acquisita nell’Armata Rossa, e il loro sprezzo del
pericolo, fu preziosissimo per l’attività
partigiana. Alla luce degli altri partigiani essi
incarnavano la prova vivente della possibilità di
sconfiggere il nazismo anche in condizioni
disperate, come aveva dimostrato la vittoriosa
battaglia di Stalingrado.
Nonostante la valenza di questa pagina della
nostra storia ed il ricordo conservato nelle zone
che ne furono interessate, in un clima di
revisionismo sempre più cupo quest’aspetto della
Resistenza è stato col tempo rimosso, ed il venire
meno dei testimoni diretti di quei fatti, ossia
gli italiani che combatterono al fianco dei
sovietici, ha contribuito ad indebolirne la
presenza tra le maglie della memoria sociale.
Considerando inoltre l’ostilità nei confronti
della Federazione Russa e la stigmatizzazione
negativa, spesso caricaturale, che ne fa
l’Occidente, si comprende di non poter
correre il rischio di consegnare all’oblio una
pietra miliare della storia condivisa dal
popolo italiano e dai popoli che di quella che fu
l'Unione Sovietica.
Anche quest'anno in occasione del 9 Maggio,
l'anniversario della vittoria sovietica sul
nazifascismo, l’associazione Russkij Mir di
Torino ha celebrato la memoria dei
partigiani sovietici sepolti nel Sacrario della
Resistenza del Cimitero Monumentale cittadino.
Abbiamo approfittato di questa occasione per
intervistare Anna Roberti, storica
animatrice dell’associazione Russkij Mir di Torino
ed il nipote di Michail Molčanov, – un partigiano
siberiano che combatté in Valle d’Aosta –
quest'anno presente alle celebrazioni torinesi.
Michail Molčanov fece parte della 3ª Brigata Lys,
appartenente alla 2ª Divisione Matteotti Valle
d'Aosta, la prima banda partigiana attiva nella
bassa Valle d’Aosta - Valle del Lys, nota anche
come Valle di Gressoney.
Riportiamo in corsivo le domande che abbiamo
sottoposto ad entrambi, indicando prima delle loro
risposte le rispettive iniziali - A.R. e S.M. -.
Insieme a Marcello Varaldi lei è autrice del
documentario “Ruka ob ruku. Fianco a fianco”,
documentario che tratta il tema dei partigiani
sovietici attivi in Piemonte. Può darne un sintetico inquadramento?
A.R.: Mauro Galleni, il primo che negli
anni Sessanta scrisse della partecipazione dei
soldati dell’Armata Rossa alla Resistenza
italiana, valutò che in Piemonte essi furono più
di settecento ma, ad oggi, un censimento completo
non è stato ancora fatto.
Erano dislocati soprattutto nella provincia di
Torino - in particolare in Valsusa - , in quelle
di Novara e Cuneo, ma anche nell'astigiano,
nell'alessandrino e nelle Langhe. Parteciparono
alle più importanti azioni, come la battaglia di
Gravellona, la difesa della Repubblica dell’Ossola
e l’incursione all’Aeronautica di Torino-Collegno
dell’agosto 1944 per l’approvvigionamento di armi.
Almeno 60 caddero in combattimento e si distinsero
in atti eroici, alcuni furono decorati, come Fedor
Poletaev e Pore Mosulišvili, insigniti dallo Stato
italiano della Medaglia d'Oro al Valor militare.
Il 25 Aprile 1945 i primi soldati ad entrare nelle
città italiane del Nord liberate non furono gli
americani, ma i sovietici insieme ai loro
compagni.
Con Mario Garofalo ha realizzato il
documentario “Nicola Grosa. Moderno Antigone”
premio “Memoria storica” al Valsusa Film
Festival. A Grosa ha dedicato anche la sua successiva
ricerca: “Dal recupero dei corpi al recupero
della memoria. Nicola Grosa e i partigiani
sovietici nel Sacrario della Resistenza di
Torino”. Perchè?
A.R.: Nicola Grosa, nato nel 1904 in una
famiglia torinese operaia e socialista, era
entrato nel Partito Comunista subito dopo la sua
fondazione; nel 1922 comandava la I Centuria degli
“Arditi del popolo” torinesi e scontò alcuni mesi
di reclusione per uno scontro con delle squadre
fasciste.
Conosciuto come “Comandante Nicola”, durante la
Resistenza divenne uno dei principali promotori
della lotta partigiana: fu commissario politico
della 46ª Brigata Garibaldi, successivamente
della II Divisione d’Assalto Garibaldi. Nel marzo
1945 fu nominato vice-commissario della III zona
(valli di Lanzo e Canavese).
Dopo la Liberazione, per ben quindici anni Grosa
fu organizzatore e presidente dell'A.N.P.I.
provinciale torinese e responsabile della “Sezione
Partigiani” presso l’Ufficio assistenza
post-bellica della Prefettura di Torino. Fu
altresì consigliere comunale comunista di Torino
dal 1951 al 1970, quando dovette ritirarsi per
motivi di salute.
L’impresa che gli procurò maggiore fama e
riconoscenza fu quella che, per anni e anni, lo
vide dedicarsi fisicamente al recupero delle salme
dei partigiani (italiani e stranieri) sparsi in
piccoli camposanti, in montagna, in pianura, sulle
colline, ovunque si fosse combattuto, affinché
fossero tumulati nel Campo della Gloria e poi nel
nuovo Sacrario della Resistenza del Cimitero
Monumentale di Torino.
Si ritiene che in tutto le salme da lui recuperate
siano circa novecento.
Per quanto riguarda gli stranieri, dai dati in
nostro possesso risultano disseppelliti da Grosa e
collocati nel Sacrario della Resistenza un
inglese, un tedesco, un austriaco, due francesi,
due polacchi, due cecoslovacchi, una decina di
jugoslavi e una trentina di sovietici, di
cui alcuni conosciuti col solo nome di battaglia.
Sono inoltre una sessantina i partigiani
completamente ignoti che Grosa disseppellì da
varie località del Piemonte e non è escluso che
anche alcuni di questi resti appartengano a dei
sovietici.
Per quest’opera gli fu conferita nel 1964 la
“Stella d’oro garibaldina” e anche un’onorificenza
da parte del Governo sovietico.
Nicola Grosa morì nel 1978, provato dai lunghi
anni trascorsi a raccogliere, a mani nude, i resti
di centinaia di compagni partigiani.
L'associazione Russkij Mir, a Torino, oltre a
promuovere dal 2005 la celebrazione del 9
Maggio, come sviluppa la propria attività di
ricerca e di ricostruzione storica?
A.R.: L’associazione Russkij Mir di
Torino, che ho diretto per 20 anni e di cui ora
sono Presidente onorario, fu fondata nel 1946 come
Italia-URSS, Associazione italiana per i rapporti
culturali con l'Unione Sovietica; si occupa di
diffondere la lingua e la cultura russa, delle
repubbliche ex-sovietiche e dei paesi dell'Est
europeo.
Da alcuni anni porta avanti un importante lavoro
di “memoria storica” incentrato sul contributo
russo-sovietico alla sconfitta del nazifascismo.
Nel 2003, sessantesimo anniversario della
Battaglia di Stalingrado, ha partecipato al
Concorso internazionale indetto dalla radio Golos
Rossii (La voce della Russia) e dalla città di
Volgograd-Stalingrado, vincendo il premio speciale
della giuria per i contributi scritti dai suoi
soci.
Nel 2004, alla vigilia delle celebrazioni del 60°
anniversario della vittoria sul nazifascismo,
sentendo nominare quasi esclusivamente lo sbarco
in Normandia e il ruolo degli alleati
anglo-americani, Russkij Mir ha deciso di
impegnarsi in un ambizioso progetto che
ricordasse, soprattutto ai giovani, i 30 milioni
di morti da parte sovietica e il fatto che per tre
anni, dal Giugno 1941 - invasione nazista
dell’URSS - al Giugno 1944 - sbarco degli
anglo-americani in Normandia -, il fronte
orientale fu l’unico a sostenere l’impatto delle
forze armate naziste e a tenerle impegnate,
contrattaccandole in maniera decisiva nell’estate
del 1943.
Altri fatti stavano cadendo nell'oblìo ma era
necessario che fossero ricordati: come il
notevole contributo dato dai partigiani sovietici
alla lotta di Liberazione in Italia, così
come che fu l’Armata Rossa ad "aprire i cancelli"
del lager di Auschwitz,
Tra l'Aprile ed il Maggio 2005, quindi, Russkij
Mir ha proposto un complesso programma di
iniziative sotto il nome di “Pabièda!/Vittoria!”,
con la collaborazione di importanti enti e
istituzioni italiane e russe.
Dal 2008 Russkij Mir, in collaborazione con il
Museo Diffuso di Torino, ha partecipato al "Giorno
della Memoria" presentando filmati storici
originali dalle serie di documentari "La Grande
Guerra Patriottica" di Roman Karmen, in lingua
originale con traduzione simultanea.
Sergej Molčanov, qual'è secondo lei il
significato che assume attualmente il 9 Maggio
per la popolazione della Federazione Russa, e in
che modo vengono ricordati i cittadini
dell’allora Unione Sovietica che combatterono
nella Resistenza in Europa?
S.M.: Il 9 Maggio è una festa di tutto il
popolo: quasi in ogni famiglia c’è stato un caduto
durante la Seconda Guerra Mondiale, e per questo
non verrà mai meno il loro ricordo, così come
questa celebrazione. Il 9 Maggio, oltre alla
parata militare, in Russia si svolge la sfilata
del cosiddetto “Reggimento Immortale”: tutti i
parenti dei caduti sfilano in piazza con la
fotografia del loro caro morto durante la guerra.
La vicenda di suo nonno è oltremodo
significativa. Fatto prigioniero vicino a Mosca,
trasferito successivamente in Italia riuscì a
fuggire e ad entrare tra le fila delle brigate
partigiane. Tornato in Patria dovette passare
anche per i“campi di filtraggio” dove veniva
verificata l’attività svolta dai cittadini
sovietici che erano stati fatti prigionieri.
Qual è attualmente il livello di conoscenza di
queste vicende nella Russia attuale?
S.M.: Negli ultimi tempi i documenti del
KGB che riguardano la storia di quel periodo
vengono dissecretati e perciò storie analoghe a
quella di mio nonno vengono conosciute e trovano
riflesso in pubblicazioni, libri, film, articoli
eccetera grazie al lavoro di giornalisti ed
opinionisti.
Lei come percepisce il fenomeno del neofascismo
in alcune zone dell’ex-Unione Sovietica come gli
stati baltici e l’Ucraina?
S.M.: Ne sono colpito molto
sfavorevolmente. Il ritorno del fascismo è un
colpo inferto ai più profondi valori umani.
Ancora
oggi non esiste un elenco con i nomi di tutti i
partigiani stranieri che hanno combattuto in
Italia. Spesso, nel caso di quelli sovietici, la
loro storia, talvolta sconosciuta persino ai loro
familiari, è stata scritta nel corso degli anni
attraverso una ricerca che tuttora non può dirsi
conclusa, per quanto vari recenti contributi
abbiano fatto luce sulle vicende di tanti uomini
che, arrivati nel nostro paese come prigionieri di
guerra, sono divenuti protagonisti della
Liberazione.
Uno di loro è Michail Molčanov (1917–1990),
siberiano, veterano e decorato dell’Armata Rossa.
“Un soldato russo di nome Michele Magioano, il
quale prestava servizio presso il comando tedesco
di Ponte S. Martino in qualità di calzolaio”,
attestano i documenti della formazione valdostana
in cui ha combattuto.
La sua storia è stata portata alla luce dal
giornalista Rafael Gol’dberg dopo averne trovato
traccia negli archivi del KGB di Tjumen’ - Siberia
occidentale - , ora desecretati e dunque
liberamente accessibili.
Fino a quel momento i parenti di Molčanov sapevano
solo che Michail era stato catturato dai nazisti e
che, tornato in Unione Sovietica alla fine della
guerra era stato inviato in Tadgikistan presso un
campo di “filtraggio” dell' NKVD – in russo:
acronimo di Commissariato del popolo per gli
affari interni - , e soltanto nel 1953, aveva
fatto ritorno a casa.
Per Michail Molčanov la Seconda Guerra mondiale
era durata 12 anni.
Dai documenti presenti negli archivi del KGB,
risulta che Michail Molčanov, catturato dai
tedeschi il 18 Novembre 1941 nella regione di
Tver’, a ovest di Mosca, era rimasto in un campo
di prigionia fino al Febbraio 1942.
Era stato poi destinato al lavoro coatto per la
manutenzione delle strade nella regione di
Smolensk, nei ranghi del 102° Battaglione tedesco
del Genio, fino al Settembre 1943.
Nell’Ottobre, insieme a tutto il Battaglione, era
stato trasferito in Italia.
Durante gli interrogatori, il siberiano sostenne
che inizialmente si era ritrovato a Modane e poi,
dal Marzo 1944, in Valle d’Aosta presso il
presidio tedesco di Pont-Saint-Martin dove
lavorava come calzolaio per i tedeschi, essendo
questo il lavoro che aveva svolto prima della
guerra ed a cui si sarebbe dedicato anche in
seguito. Nel Novembre 1944 riuscì a fuggire e si
unì ai partigiani.
“Nel Novembre 1944 mi unii al distaccamento di
partigiani italiani comandato da Badéry, mi
trovavo nel battaglione del Comandante “Paul”.
Fino al Febbraio 1945 siamo stati sulle montagne,
nella zona di Pont-Saint-Martin, poi fino al
Maggio 1945 ho partecipato insieme a questa
Brigata partigiana a 5-6 grandi combattimenti
contro i tedeschi. Il 3 Maggio 1945 gli americani
fecero il loro ingresso a Pont-Saint-Martin e il
10 Maggio 1945 fui consegnato dagli americani al
Comando sovietico” riporta il verbale
dell’interrogatorio a cui fu sottoposto dal
Dipartimento di controspionaggio dell’Armata
Rossa.
Al momento della consegna al Comando sovietico
Michail Molčanov aveva con sé due importanti
documenti: il primo, sottoscritto dal Commissario
Nevio e dal Comandante della Brigata Badéry,
attestava che egli aveva partecipato alla
liberazione di Pont-Saint-Martin tra le fila dei
partigiani; il secondo, sottoscritto dagli
ufficiali americani certificava che una serie di
ex-prigionieri di guerra sovietici, tra cui
Michail, avevano volto le armi contro i tedeschi.
Michail non aveva mai accennato della sua
partecipazione al movimento di resistenza in
Italia e solo l’anno scorso, a 25 anni dalla sua
morte, la famiglia ha conosciuto questa sua
esperienza.
Così, suo nipote Sergej, classe 1968, ha deciso di
andare a fondo sulla vicenda e contattando Anna
Roberti, che da molti anni si occupa dei
partigiani sovietici attivi in Italia, ha deciso
di recarsi in Italia in occasione del 9 Maggio,
rendendo omaggio alla memoria del nonno, dei suoi
compagni e di tutto il movimento di
Resistenza.
Riportiamo di seguito una cronaca della visita in
Val d'Aosta di Sergej, nipote di Michail
Molčanov, durante la quale è stato accompagnato da
Anna Roberti che ha organizzato il suo soggiorno e
gli ha fatto da interprete: nella cronaca
ripercorriamo alcuni episodi significativi della
Resistenza e del ruolo dei partigiani sovietici
nella zona.
Una dei primi luoghi visitati dal nipote di
Molčanov è stato il bivio tra Nus e Fénis. Qui il
18 Luglio 1944 i nazisti, scortati da una
divisione della RSI avevano fucilato per
rappresaglia undici prigionieri partigiani
prelevati dalle carceri “Le Nuove” di Torino: di
questi, almeno cinque erano sovietici. I
loro corpi, inizialmente disposti in una fossa
comune nel cimitero di Fénis, erano poi stati
riesumati da Nicola Grosa – a cui è stato reso
omaggio durante le celebrazioni - e sepolti nel
1966 nel Sacrario della Resistenza del Cimitero
Monumentale di Torino.
Nel luogo della fucilazione, su di un grande masso
una lapide riporta i nomi dei caduti: in una
scultura adiacente costruita con del filo spinato
che celebra la loro memoria, Sergej ha legato il
Nastro di San Giorgio.
Seguendo le tracce della militanza partigiana del
nonno, successivamente Sergej ha raggiunto la
cittadina di Pont-Saint-Martin dove ha incontrato
Solange Soudaz, Assessore alla cultura del Comune
di Perloz e responsabile del Museo della
Resistenza dello stesso comune, e Marie Badéry,
figlia del comandante della III Brigata Lys
- in cui Michail aveva combattuto - e Presidente
della sezione ANPI “Mont Rose”.
La zona fu colpita del terribile bombardamento
alleato del 23 Agosto 1944 che provocò 130 morti,
300 feriti e la distruzione di tutti gli edifici
adiacenti.
Proprio nel luogo dell’appuntamento, Piazza 1°
Maggio, i partigiani si ritrovarono al momento
delle Liberazione, dopo essere scesi dalle
montagne.
Imboccando il cosiddetto “Sentiero della Libertà”
la visita è proseguita a Perloz, un comune
abbarbicato a 660 metri d’altezza e composto da
una costellazione di circa sessanta villaggi:
Perloz è stato decorato nel 1995 con la Medaglia
di bronzo al Valor Militare “per l’indomita lotta
della popolazione intera contro i nazifascisti”:
nel capoluogo la delegazione ha visitato il Centro
di Documentazione e Museo della Resistenza
“Brigata Lys” insieme a Giorgio Fragiacomo,
già maestro elementare e volontario del Museo.
Sergej ha donato al Museo moltissimo materiale
sulla vita del nonno partigiano: fotografie, copie
degli interrogatori cui suo nonno fu sottoposto al
ritorno in patria e nei quali aveva narrato la sua
esperienza partigiana e la copia di alcuni rari
documenti.
La tappa successiva è stata la frazione di Marine
di Perloz, dove nella Piazza intitolata alla III
Brigata Lys si trovano il busto che ricorda il
comandante Bono Badéry ed il monumento alla
Brigata, sul quale sono incisi i nomi dei
combattenti: dopo quelli degli italiani, si legge
“più 54 forestieri”.
Pare che tra questi vi fossero anche un
australiano e un polacco.
Davanti al monumento, Sergej ha posato per terra
un bicchiere di vodka coperto con una fetta di
pane di segale, e vi ha acceso di fianco una
candela “per le anime dei caduti”.
Nella frazione si trova anche la grande “Campana
Aurora”: suona tutti i giorni alle nove e un
quarto per ricordando il momento il cui, l’8
Dicembre 1943, fu sparato il primo colpo di fucile
contro i nazifascisti. Questo fatto concise con la
creazione della prima banda partigiana di Perloz.
L'ultimatum per la chiamata alle armi della RSI
era scaduto e tre carabinieri stavano salendo
verso la frazione per catturare alcuni renitenti:
Bono Badéry e altri quattro compagni, aprirono il
fuoco mettendo in fuga i militi. La campana è
intitolata ad Aurora Vuillerminaz “Lola”,
partigiana fucilata a Villeneuve il 16 Ottobre
1944 e vuole, col suo nome, essere simbolo della
rinascita dopo la notte del nazifascismo ed un
monito, che non renda possibile il ripetersi
dell'immane tragedia della guerra.
Non lontano dalla frazione si trova l’abitazione
di Alfredo Vuillermoz, figlio del partigiano
Zeffirino Vuillermoz, membro della Brigata Lys.
Suo figlio ha accolto cordialmente Sergej ed il
resto del gruppo: purtroppo suo padre, ormai
deceduto, non gli aveva mai accennato dei
sovietici presenti nella Brigata, cosa che invece
aveva fatto Bono Badéry con sua figlia Marie,
parlando esplicitamente di un russo che in patria
lavorava come calzolaio.
A comporre la Brigata Lys erano due battaglioni:
uno comandato da Bono Badéry, l’altro da Paul
Juglair. Oltre il borgo di Marine, lungo una
stretta strada con innumerevoli tornanti -
costruita solo dopo la guerra - , il gruppo è
salito nella zona delle “baite”, dove si erano
acquartierati questi due battaglioni e che Michail
Molčanov aveva sicuramente frequentato, anche se
al momento non è stato chiarito a quale dei due
distaccamenti fosse stato destinato.
Dopo una camminata in mezzo ai boschi Sergej ha
raggiunto i luoghi dove si trovavano due delle
basi dei partigiani della Brigata Lys, nei pressi
dell’alpeggio di Mont Rot: qui, su un grosso
masso, è stata incisa una scritta che ricorda i
300 partigiani - di cui venti caduti - che
facevano parte della Brigata.
Solange e Marie, le figlie di due degli uomini che
combatterono al fianco di Molčanov
hanno descritto a suo nipote Sergej quali fossero
le condizioni di vita per i partigiani: la cucina
all’aperto, il riposo nel fienile e nella stalla,
la fontana per bere e lavarsi, e le grotte , nelle
quali in caso di pericolo, essi si rifugiavano o
nascondevano le armi.
Di ritorno a Torino, il 9 Maggio il nipote del
siberiano ha partecipato alla ormai tradizionale
commemorazione dei partigiani sovietici sepolti
presso Sacrario della Resistenza del Cimitero
Monumentale cittadino prendendo parola per
ricordare suo nonno e i suoi compagni e per
sottolineare quanto la vittoria sul nazifascismo
sia stata possibile grazie al sacrificio e alla
lotta di molti popoli.
Monumenti:
Monumenti ai partigiani georgiani in Valsusa Monumento
a due georgiani della 113.a Brigata Garibaldi caduti
in Valsusa (nell'immagine: il nipote di Taras
Zakaraja).
Il cippo che ricorda i caduti Vachtang Gagnidze e
Shota Namiceishvili si trova a Borgata Muni (frazione
di Condove); nei pressi si trova anche il piazzale
(con relativo cippo) intitolato al Distaccamento
georgiano della 113° brigata Garibaldi.
La borgata, che si trova a 1.108 metri d’altitudine, è
raggiungibile da Condove in circa 20 minuti di auto
salendo per la strada piena di tornanti che attraversa
Sigliodo e Laietto. Poco prima di giungere a
Pratobotrile, girare a sinistra per Muni (Moni). In
caso di difficoltà, chiedere informazioni alla
Trattoria dei Prati, sulla destra prima di arrivare a
Pratobotrile.
Via Partigiani Georgiani (nell'immagine: il
nipote di Taras Zakaraja).
La “Via dei Partigiani Georgiani” (con relativo
monumento al suo imbocco) si trova a Condove e inizia
all’incrocio con via Moncenisio.
Il monumento ricorda i Caduti della brigata “Bolero” e le
vittime civili cadute nella battaglia avvenuta il 30
ottobre 1944, a Casteldebole frazione di Bologna (fonte).
Nella “battaglia di Casteldebole” caddero i sovietici Karaton
e Grigori assieme ad una ventina di partigiani
italiani.
Le spoglie di Karaton e di un altro caduto ignoto furono
traslate il 25 maggio 1945 al cimitero di Zola Predosa
dove si trovano tuttora.
Monumento ai Caduti della Brigata Bolero nella battaglia di
Casteldebole
Poletaev
e gli altri sovietici caduti al fianco dei partigiani
italiani commemorati a Milano:
Fallen Soviet soldiers remembered in Italy
May 9, 2012 (Radio
Voice of Russia) – The Soviet soldiers who fell in
fighting Nazism are being remembered in Italy. In Milan,
the personnel of the Russian Consulate General laid
wreaths at the seven graves at central cemetery of the
city, the graves where Red Army soldiers who fought
together with Italian guerrilla fighters are buried.
Similar ceremonies were also held in Turin, Trieste,
Venice, Palestrina, and also in Genoa, at the monument
to Hero of the Soviet Union, Fyodor Poletayev, who
fought in the local resistance movement during the war.
Born in the Ryazan region, southeast of Moscow, he
performed a feat of heroism by drawing the enemy fire
upon himself and thus saving the lives of his Italian
comrades-in-arms.
Poletayev was posthumously awarded Italy’s top military
decoration, the Gold Medal of Military Valour. (TASS)
2014
(Fonte: Sez. ANPI N. Bujanov) Venerdì 9 maggio
2014, in occasione del 69esimo anniversario della resa
incondizionata della Germania nazista e della vittoria
sul mostro nazifascista di cui l'Italia fascista fu
complice nelle guerre di aggressione e di sterminio,
presso il Memoriale Sovietico del Cimitero Maggiore di
Milano nel quartiere di Musocco, cerimonia
commemorativa in ricordo dei Caduti Sovietici nella
Grande Guerra Patriottica (1941-1945) in
collaborazione con i consolati russo e armeno di
Milano e l'ANPI (Associazione Nazionale Partigiani
Italiani). Nella stessa mattinata un'analoga cerimonia
si è tenuta presso il Cimitero Militare Britannico del
Parco di Trenno. La commemorazione è poi proseguita al
Campo Partigiano della Gloria. Sono intervenuti
Alexander Nurizade (Console della Federazione Russa),
Pietro Kuciukyan (Console Onorario dell'Armenia) e
Roberto Cenati (Presidente dell'ANPI della Provincia
di Milano). Rinfresco finale presso il consolato russo
di Milano.
(Fonte: Sez.
ANPI N. Bujanov) Sabato 9 maggio 2015, in
occasione del 70esimo anniversario della resa
incondizionata della Germania nazista e della vittoria
sul mostro nazifascista di cui l’Italia fascista fu
complice nelle guerre di aggressione e di sterminio,
presso il Memoriale Sovietico del Cimitero
Maggiore di Milano nel quartiere di Musocco,
cerimonia commemorativa in ricordo dei Caduti
Sovietici nella Grande Guerra Patriottica (1941-1945)
in collaborazione con i consolati russo, bielorusso e
armeno di Milano e l’ANPI.
La commemorazione è poi proseguita al Campo Partigiano
della Gloria.
Sono intervenuti Alexander Nurizade (Console della
Federazione Russa), Pietro Kuciukyan (Console Onorario
dell’Armenia), una diplomatica della Bielorussia e
Roberto Cenati (Presidente dell’ANPI della Provincia
di Milano).
(Fonte:
Fonte: pagina
FB di Anna Vetrova) Sabato 9 maggio
2015, in occasione del 70esimo anniversario della
Vittoria, cerimonia a Clauzetto (PN) per
commemorare il sacrificio di Danil Avdeev
2015
(Fonte: Sez.
ANPI 68 Martiti di Grugliasco TO) Venerdì 22
maggio 2015: I PARTIGIANI SOVIETICI NELLA RESISTENZA
ITALIANA
Москва/Mosca maggio 2016: Mostra
sui "garibaldini" russi nella Resistenza
italiana Pisa 15 settembre 2016: convegno
sui Partigiani georgiani nella Resistenza
italiana dal sito dell'Università di Pisa: link1,
link2 Muni (Condove, TO) 1 ottobre 2016: Commemorazione
della 113ª Brigata Garibaldi e di Shota
Namiceishvili ... verranno anche quest’anno ricordati i
partigiani della 113ª Brigata Garibaldi caduti
combattendo per la liberazione dell’Italia dal
regime nazi-fascista. La commemorazione
assume quest'anno un carattere speciale
perché, in seguito ad una ricerca storica
condotta dalla Presidente onoraria
dell'Associazione Russkij Mir di Torino, Anna
Roberti, il partigiano georgiano caduto a Muni
è stato identificato con certezza e, durante
la cerimonia, verrà inaugurata la targa con il
suo nome, Shota Namiceishvili, e la
data della sua morte, il 15 aprile 1945. Per
rendere omaggio al sacrificio di questi
giovani venuti da così lontano a combattere
contro le truppe nazi-fasciste, il piazzale
della borgata verrà intitolato alla “113ª
Brigata Garibaldi - Distaccamento Partigiani
Georgiani” e si scoprirà la targa ad essa
dedicata... (fonte: Anna Roberti) Udine 30/9--10/10/2016: I
partigiani sovietici nella Resistenza
italiana / Inaugurazione venerdì 30 alle
16 a palazzo di Toppo Wassermann
IN UN’ESPOSIZIONE LE STORIE DEI PARTIGIANI
SOVIETICI DURANTE LA RESISTENZA IN FRIULI E IN
ITALIA
[a cura di Università degli Studi di Udine,
Servizio Comunicazione] Il Centro
interdipartimentale di ricerca sulla cultura e
la lingua del Friuli (Cirf) dell’Università di
Udine ospita la mostra del Fondo ZurArt (Fondo
per il sostegno delle iniziative culturali) “I
garibaldini russi nella Resistenza italiana”,
dedicata al contributo che durante la seconda
mondiale dettero i tantissimi volontari
provenienti dalle Repubbliche socialiste
sovietiche al movimento antifascista in
Italia. L’esposizione di fotografie e
documenti è curata da Massimo Eccli (docente
del Ginnasio 1409 di Mosca). La mostra sarà
inaugurata venerdì 30 settembre alle 16,
nella sala del consiglio di palazzo di Toppo
Wassermann, in via Gemona 92 a Udine, e sarà
visitabile fino al 10 ottobre, tutti i
giorni dalle 8 alle 20. «La mostra – sottolinea il direttore del
Cirf, Paolo Bartolomeo Pascolo – è tra i
progetti speciali voluti dal ministero per gli
affari esteri della Federazione Russa, ed è
una pietra miliare nei rapporti Italia Russia.
La mostra, itinerante, era stata allestita
a Mosca nello scorso mese di maggio,
ma grazie all’interessamento del Cirf, sarà
riproposta a Udine, per raggiungere, nel
mesi di dicembre, il palazzo del Consiglio
Europeo a Strasburgo». All’inaugurazione porteranno i saluti il
direttore del Cirf, Paolo Bartolomeo Pascolo,
il sindaco di Udine, Furio Honsell, Anna Maria
Zilli, dirigente scolastica dell’Istituto
“Bonaldo Stringher” di Udine e dei Licei di
Gorizia, Provvidenza Delfina Raimondo, già
prefetto di Udine, nonché le Autorità
civili e combattentistiche presenti. Alle
16.15 l’intervento sui “Partigiani sovietici
in Friuli” di Paola Del Din, partigiana
medaglia d’oro al valor militare, presidente
emerita della Federazione italiana dei
volontari della libertà e componente
dell’Associazione partigiani Osoppo. Dalle
16.45 interverranno Massimo Eccli, Guglielmo
Cevolin, dell’Università di Udine, Mihail
Talalaj, scrittore e storico russo, Marco
Ferrentino, docente in Kazakhstan. «Alla Resistenza italiana – ricorda Paolo
Bartolomeo Pascolo – parteciparono attivamente
nei distaccamenti partigiani circa cinquemila
sovietici, prigionieri della coalizione anti
Hitler. Alcuni fra i più noti patrioti
sovietici che parteciparono alla Resistenza
furono Fedor Poletaev Nicholatos Brawlers,
Daniel Avdeev, Fore Mosulishvili, che
ricevettero dall'Italia, per l'impresa sul
campo di battaglia, una medaglia d'oro al
valor militare. Il titolo di eroe dell'Unione
Sovietica fu assegnato a Fedor Poletaev, Fore
Mosulishvili, Mehdi Hussein-Zade. Ancora,
Vladimir Pereladov, “Capitano russo”, giocò un
ruolo importante nell'organizzione della
Resistenza nel nord Italia e nella creazione
della Repubblica partigiana di Montefiorino». L’iniziativa è organizzata con
l’associazione “Umanità dentro la Guerra”,
dedicata a Ferdinando Pascolo “Silla’”, alla
quale si sono unite l’Associazione nazionale
partigiani d’Italia (Anpi), l’Associazione
partigiani Friuli-Osoppo, la Federazione
italiana volontari della libertà (Fivl), con
il patrocinio del Comune di Udine. Valsusa
(TO) 8 dicembre: visita in Italia del
nipote del partigiano georgiano Taras Zakaraja la
notizia su facebook l'articolo
Dal
Caucaso alla Val di Susa. Il partigiano
georgiano Taras Zacharajadi
Maurizio Vezzosi e Giacomo Marchetti
la nostra sezione sui Monumenti
ai partigiani georgiani in Valsusa