COORDINAMENTO NAZIONALE PER LA JUGOSLAVIA ITALIJANSKA KOORDINACIJA ZA JUGOSLAVIJU |
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TERRE IRREDENTE CON ALCUNE INTEGRAZIONI RISPETTO ALLA VERSIONE ORIGINALE (2006) ULTIMA REVISIONE: FEBBRAIO 2009 di A. Martocchia (responsabile politico del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia) |
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La
propaganda italiana sulle "foibe" e l'"esodo",
sempre affiorante nel
corso della Guerra Fredda e poi pesantemente
scatenata a livello di
massa dalla metà degli anni Novanta, è basata
su molte menzogne e
sull’uso di lenti di ingrandimento ad hoc che
fanno apparire come abnormi fatti
sostanzialmente assimilabili a quelli
accaduti ovunque durante la Seconda Guerra
Mondiale.
Questa propaganda ha due scopi: da una parte, è la vendetta morale di chi ha perso la guerra ma vorrebbe vincerla adesso dal punto di vista del giudizio storico; contemporaneamente, c’è un interesse geo-strategico molto concreto ad agitare queste questioni per esercitare pressioni ai danni dei nuovi piccoli Stati balcanici, sorti dallo squartamento della Jugoslavia. Essi non possono infatti efficacemente difendersi né dalle campagne propagandistiche né tantomeno dalle mire neocoloniali dei paesi limitrofi. Il contenzioso sul confine orientale dell'Italia, pur presentandosi a prima vista nella forma oscena del revisionismo storico, è insomma ben altro che non un semplice dibattito storiografico. Lo scopo che ci prefiggiamo con questo scritto è quello di fare luce anche sugli aspetti concreti, materiali della complessa querelle. Ritorneremo?
Roberto
Menia, oggi parlamentare della Repubblica, già
all'epoca doveva
la sua notorietà in particolare a certe
spedizioni in Carso, insieme ad
altri suoi camerati per demolire a colpi
di piccozza le targhe
bilingui dedicate alla liberazione dal
nazifascismo, ed agli insulti
razzisti rivolti a suoi noti concittadini di
lingua slovena, per i
quali si era beccato qualche denuncia penale.
Egli si vanta tuttora del
fatto che ogni anno, a ottobre, usa
festeggiare l'anniversario della
Marcia su Roma. Tra le "frasi celebri" di
Roberto Menia, cresciuto in
quegli ambienti triestini tra i cui slogan
spicca "Bilinguismo
mai!",
ricordiamo ad esempio: "L'Istria
diventi
pure un'euroregione. Purché torni
all'Italia",
ed
anche: "Abolire
il Trattato di Osimo, restituire a Trieste la
Zona B, annullare il
Trattato di pace in base al quale abbiamo
perso l'Istria, Fiume e
Zara, e finalmente chiedere la restituzione
della Dalmazia".(2)
Saltiamo al 30 marzo 2004, giorno in cui il Parlamento della Repubblica Italiana proclama la data del 10 febbraio "Giorno del ricordo". Per l'occasione, i deputati delle destre, e primi tra tutti i governativi di Forza Italia (sic) ed Alleanza Nazionale (sic), inclusi i suddetti Fini e Menia, festeggiano la votazione della legge tra brindisi e lacrime di gioia. Che cosa hanno da
festeggiare o da
commuoversi, quei deputati? Il 10 febbraio è
l'anniversario del
trattato di pace di Parigi (1947) con cui si
pose formalmente termine
alle ostilità della Seconda Guerra Mondiale
tra Italia e
Jugoslavia. Secondo il testo ufficiale, «la
Repubblica riconosce il 10
febbraio quale "Giorno del ricordo" al fine di
conservare e rinnovare
la memoria della tragedia degli italiani e di
tutte le vittime delle
foibe».
Di fatto dunque il 10 febbraio è
stato assunto come data simbolica dell'inizio
del cosiddetto "esodo
degli italiani da Istria e Dalmazia". Come
nelle tesi tradizionalmente
sostenute dalla pubblicistica di estrema
destra, inoltre, per questo
"esodo" viene addotta come causa la presunta
persecuzione, o "pulizia
etnica", attuata in quelle terre dagli slavi
contro gli italiani "in
quanto tali". Tale persecuzione sarebbe
esemplificata da orrendi
crimini di guerra quali, appunto, le "foibe".
Crimini
di guerra
sul "confine orientale" ed "esodo degli
italiani"
Le foibe
sono fenditure
profonde provocate dall'erosione
millenaria delle acque nelle rocce calcaree. Esse
sono sempre state
usate dagli abitanti delle zone carsiche per far
sparire ciò di cui
intendevano disfarsi: oggetti, carcasse di
animali, ma anche vittime di
tragedie private o delle violenze della storia. La
storiografia di
destra ha offerto versioni contraddittorie, ma
sempre truculente, su
presunte uccisioni di massa di "molte migliaia di
italiani", gettati
(vivi? morti?) in fondo alle "foibe" da parte dei
"comunisti slavi" nel
corso della Guerra di Liberazione. Tuttavia, del
contenuto di queste
presunte fosse comuni in termini di cadaveri poco
si riesce a capire,
nella ridda delle versioni propagandistiche. È
noto inoltre che le
foibe, il cui utilizzo viene correntemente
attribuito solo ai
partigiani di Tito, furono utilizzate per le
frettolose sepolture delle
vittime degli scontri armati da tutti quelli che
combatterono in quei
luoghi.
Durante la Guerra Fredda, sui media italiani la campagna sulle “foibe” emergeva occasionalmente, legandosi alle operazioni di propaganda psicologica dei servizi segreti - nella zona giuliana strutturati e cresciuti attorno alla Decima Mas, poi trasformatasi in Gladio: chi ricorda il "nasco" di Aurisina/Nabrezina, in Carso? La campagna sulle "foibe" era stata però iniziata dalla stampa nazista dell’Adriatisches Küstenland (Cernigoi 2002, 2005). Essa ha ripreso particolare enfasi dopo il 1991 come forma di pressione su Slovenia e Croazia, e si avvale oggi del contributo in senso revisionista di storici “democratici”, fino a lambire i libri di testo delle scuole dell’obbligo.(3) Per compiere l'operazione istituzionale denominata "Giorno del Ricordo", le autorità italiane si sono avvalse di consulenze storiche parziali, faziose, o di nessuna consulenza storica. Non è stato tenuto in alcun conto il lavoro degli studiosi non revanscisti: in particolare, è stato censurato il lavoro realizzato dalla Commissione mista italo-slovena.(4) Nel corso di dieci anni di studi e ricerche, questa commissione aveva elaborato un rapporto finale che, pur nei limiti che ciascuno può rilevare a seconda della propria personale prospettiva politico-ideologica, rappresenta comunque un punto d'incontro di diversi punti di vista su quelle vicende. Niente da fare. Il Presidente Ciampi quest'anno, nell'ambito delle celebrazioni del Giorno del Ricordo, ha attribuito una medaglia d'oro a Norma Cossetto, uccisa da antifascisti in Istria. La motivazione recita: «Giovane studentessa istriana, catturata e imprigionata dai partigiani slavi, veniva lungamente seviziata e violentata dai suoi carcerieri e poi barbaramente gettata in un foiba. Luminosa testimonianza di coraggio e di amor patrio». Nel suo recente libro "Dossier Foibe" Giacomo Scotti ha documentato come Norma Cossetto, figlia del podestà di Visinada, fosse la responsabile locale della Gioventù Universitaria Fascista (GUF). Norma Cossetto figura insieme ad altri fascisti e collaborazionisti nell'elenco dei 26 nominativi cui è stata attribuita l'onoreficenza per la Giornata del Ricordo 2006. Questa "luminosa testimonianza di amor patrio" rivendicò sempre il suo fascismo, tanto da inneggiare a Mussolini davanti a chi la catturò ed uccise. Dal verbale del capo dei Vigili del Fuoco di Pola non emerge nessuno dei particolari efferati che sono generalmente riferiti riguardo alla sua uccisione: Scotti elenca le contraddizioni; Ciampi invece, evidentemente, non se ne cura proprio. Neanche l'allora presidente Scalfaro si curò di verificare che cosa effettivamente era o non era stato trovato in fondo alla "foiba di Basovizza" quando, una decina di anni fa, firmò il decreto con cui questa veniva proclamata monumento di interesse nazionale. È stato mostrato (Cernigoi 2005) che non esiste alcun elemento concreto che possa far ritenere che in fondo alla foiba si trovino o siano stati trovati cumuli di cadaveri di italiani sterminati; al contrario, la foiba, svuotata nel primissimo dopoguerra da carcasse di animali e cadaveri di soldati morti in combattimento, fu destinata a discarica comunale (sic) dal sindaco democristiano di Trieste dell'epoca, Gianni Bartoli - il quale era, per inciso, anche il compilatore del primo elenco di "infoibati". A proposito di elenchi: non ce n'è uno che sia affidabile. Un trucco spesso usato è quello di definire "infoibati" tutte le persone scomparse, ma non si disdegnano le falsificazioni grossolane. All'inizio di marzo 2006 è stato reso noto un elenco di 1048 nominativi di persone deportate dalla provincia di Gorizia ad opera del IX Korpus nel maggio 1945. L'ANSA e molti quotidiani italiani ne hanno subito approfittato: "Quei 1048 nomi riemersi dalle foibe", titolava la velina di Paolo Rumiz su Repubblica del 10/3/2006. Eppure, tra i nomi contenuti nell'elenco ci sono 110 persone che sono ritornate vive e vegete; la stragrande maggioranza dei nominativi riguarda militari, nazifascisti o collaborazionisti - persino domobrani, cioè sloveni filo-fascisti - internati in Slovenia ed in parte, evidentemente, giustiziati, in parte morti per malattie. Manca l'ubicazione dei cadaveri. Secondo lo storico sloveno Boris Gombac, "gli architetti della tensione sul confine hanno usato questi elenchi a fini propagandistici".(5) Non è questa la sede per una disamina completa del lavaggio del cervello compiuto ogni anno a latere della "Giornata del Ricordo". Ci limitiamo qui a richiamare alcuni aspetti della disinformazione corrente, rinviando per l'approfondimento agli ottimi studi e materiali prodotti negli ultimi anni, frutto essenzialmente - in un contesto ufficiale ed accademico purtroppo tutto piegato alle opportunità politiche - del lavoro volontario di pochi intellettuali indignati.(6) Facciamo di nuovo qualche passo indietro. Dopo la fase "tardo-risorgimentale" - la Prima Guerra Mondiale, la italianizzazione forzata e l'irredentismo (si pensi all'"impresa di Fiume" di Gabriele D'Annunzio) - sotto il Fascismo l'occupazione coloniale di vasti territori, da Lubiana a Pristina (1941-1943), era stata particolarmente violenta. Vi erano campi di concentramento italiani in territorio slavo, ad esempio a Rab/Arbe, ma anche campi per prigionieri jugoslavi in territorio attualmente italiano, come a Gonars in Friuli.(7) Il tasso di mortalità in questi luoghi era molto alto. I crimini di guerra commessi dall'esercito d'occupazione italiano - villaggi bruciati, fucilazioni di massa, eccetera - sono regolarmente omessi dalle narrazioni ufficiali e "pubbliche". Essi non fanno, in effetti, parte della memoria collettiva degli italiani; ed i responsabili di quei crimini furono protetti e si riciclarono nell'Italia del dopoguerra.(8) Dopo l’8 settembre 1943, Trieste ed il suo entroterra divennero parte della regione del Terzo Reich denominata Adriatisches Küstenland. In questa regione i collaborazionisti di ogni “etnia” - fascisti italiani di Salò ma anche domobrani, ustascia e cetnici - si resero responsabili di crimini difficilmente riassumibili in questa sede... La risposta dei partigiani fu quella necessaria e giusta, e ben raramente sconfinò nelle vendette personali. Di fatto, queste ultime, regolarmente sottoposte a giudizio dai tribunali jugoslavi nel dopoguerra, causarono assai meno lutti (parliamo di cifre con uno o due zeri di meno) nella regione giuliana di quanto nello stesso periodo non successe, ad esempio, in Piemonte o in Emilia-Romagna - tanto per citare un dato: furono circa 20.000 i collaborazionisti passati per le armi solo a Milano e provincia. In un contesto italiano quale quello attuale, segnato da un revisionismo dilagante di segno nazionalista e revanscista, cadono nel vuoto le proposte, reiterate sia da parte slovena che da parte croata, di incontri ed atti simbolici per una definitiva riconciliazione delle tre parti: a Ciampi, o al suo successore, si chiede di rendere omaggio alle vittime slave dei campi di concentramento di Gonars o Rab/Arbe, o magari andare anche sui luoghi dove le truppe di occupazione italiane bruciarono villaggi e commisero eccidi di massa. Le controparti slovena e croata, dal canto loro, renderebbero omaggio alle "vittime delle foibe". Ciampi però non si degna nemmeno di replicare a Drnovsek e Mesic su queste ipotesi: d'altronde, anche lui fu soldatino dell'esercito di occupazione italiano nei Balcani, all'epoca - in Kosovo, per la precisione. Veniamo al cosiddetto "esodo da Istria e Dalmazia". Le ragioni di esso furono molteplici, ma non si può proprio dire, come fa certa storiografia neofascista/postcomunista, che esso fu dovuto ad una ostilità di carattere nazionale. Da una parte, il moto migratorio dalle campagne alle città in quell’epoca era generalizzato, e comportò ad esempio anche la emigrazione di triestini ed istriani verso città industriali più grandi, ed anche verso l’estero. Dall'altra, interagirono fattori di carattere politico-ideologico. Tra chi abbandonava la Jugoslavia c'erano: persone semplici, soggette alla propaganda anticomunista violentissima veicolata soprattutto dal clero; anticomunisti convinti; persone accusate o timorose di essere sotto inchiesta per collaborazionismo; ed anche veri e propri criminali fascisti. Non a caso in quel periodo Trieste pullulava - letteralmente - di esuli sloveni, croati e serbi legati ai movimenti fascisti e nazisti delle loro terre, che avevano anch’essi perso la guerra. Non solo: tra gli esuli di lingua italiana vanno annoverati i tanti "regnicoli", vale a dire quegli italiani della penisola trapiantati in Istria e Dalmazia solo da pochissimi anni, essenzialmente nel periodo tra le due guerre mondiali. Sparsi tra questi, anche fanatici irredentisti italiani, dei quali possiamo facilmente immaginare la posizione politica rispetto alla nascita di una Jugoslavia plurinazionale e socialista. Insomma, ad andarsene erano sia italiani che slavi, povera gente in cerca di fortuna e ricchi possidenti in fuga, persone che non nutrivano fiducia nella costruzione del socialismo o anche persone nient'affatto politicizzate, insieme a fascisti e - dal luglio 1948 in poi - anche comunisti filosovietici: dopo la Risoluzione del Cominform se ne andarono infatti tanti lavoratori, rappresentanti della classe operaia delle città e dei porti costieri, come ad esempio i portuali di Pola. Va detto poi che, in seguito al trattato di pace di Parigi, agli abitanti di Fiume, Istria e Dalmazia fu accordata la facoltà di scegliere in tutta onestà se accettavano la nuova sovranità jugoslava, o se preferivano andar via: per questo chi sceglieva di andarsene veniva tecnicamente definito optante, e non esule. L'afflusso di decine e decine di migliaia di persone a Trieste è durato molti anni, concentrandosi soprattutto tra il 1947 ed il 1954. In un certo senso esso non è mai smesso, per ragioni economiche come anche, oggigiorno, per gli effetti della distruzione della Jugoslavia. Tale afflusso ha pesantemente aggravato la crisi di una città che sin dalla fine della Prima Guerra Mondiale fatica a ritrovare un proprio ruolo ed una propria identità. Da grande porto della Mitteleuropa qual era, Trieste diventa infatti, nel 1918, un centro periferico e tutto sommato marginale del giovane Regno d'Italia; "importante" solo simbolicamente e come base di lancio delle "epiche imprese" degli irredentisti. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, che l'ha vista teatro di gravissimi eventi bellici, essendo collocata in una posizione geopolitica assai scomoda, Trieste sembra soffrire di una crisi esiziale. La popolazione, già scissa per ideali, culture e condizioni economiche differenti ed instabili, assiste con comprensibile diffidenza e risentimento all'afflusso di tanta gente da Istria e Dalmazia; gente per la quale bisognerà trovare alloggio e lavoro. In molti, in effetti, proseguiranno il loro viaggio ben oltre Trieste, fino alle Americhe ed in Australia talvolta, o almeno verso tante diverse regioni d'Italia. In tutto si parla di solito di circa 350mila persone.(9) Degli italiani rimasti in Jugoslavia, invece, o di quelli che addirittura ci si sono intenzionalmente trasferiti per convinzioni ideologiche, per decenni si è preferito non parlare. D'altronde, un aspetto piuttosto evidente, a tutt'oggi, nella problematica relativa agli istrodalmati, è quello della polarizzazione tra "esuli" e "rimasti". La comunità italofona, oggi stimata in circa 30mila persone, è in una posizione effettivamente difficile, con l'aria che tira dal 1989 in poi. Qualcuno di loro si ricicla e prova a spacciarsi per super-italiano, mettendosi in vario modo al servizio degli interessi di "oltrefrontiera"; qualcun altro prova, con fatica, a costruire relazioni di buona vicinanza con tutti, salvaguardando e valorizzando da una parte la propria radice culturale italiana, ma usando questa specificità soprattutto per il bene della sua terra - vale a dire, anche per la democratizzazione della Croazia e della Slovenia e per la integrazione in un contesto europeo nel quale, si presume, tutte le frontiere sarebbero destinate a cadere. È d'altronde innegabile che proprio queste fasce di popolazione, abitanti "a cavallo" dei confini e di etnia "altra", abbiano sofferto particolarmente per la situazione venutasi a determinare con le secessioni jugoslave, ovvero con la creazione di ulteriori frontiere in un'area nella quale nessuna frontiera può avere alcuna legittimità culturale o sociale.(10) Destra-sinistra-destra-sinistra
In
occasione del Giorno
del Ricordo 2006, in pieno centro a
Trieste si è svolto un corteo, animato da cori
inneggianti al duce e
saluti romani. Oltre un centinaio di
persone, appartenenti al
Gruppo Unione Difesa (GUD), hanno infatti voluto
celebrare a modo
loro, rivendicando la restituzione di tutti i
territori della
Venezia Giulia passati sotto la sovranità
jugoslava dopo la
guerra. In piazza Goldoni i manifestanti
hanno acceso alcuni
fumogeni per protestare sotto il consolato
croato. Dopo un
breve comizio tenuto dai due candidati della lista
«Prima gli
italiani» (sic), il corteo è tornato al punto di
partenza. Tra le
ragioni fondative del GUD c'è pure la volontà
di contrastare la
legge (38/2001) di tutela della minoranza
slovena.
Si dirà: i neofascisti ci sono sempre stati. La novità gravissima dal punto di vista politico, però, è il ruolo svolto dalla sinistra in queste vicende almeno a partire dalla metà degli anni Novanta. Era il 21 agosto 1996 quando, con un articolo sull'Unità, l'allora segretario del PDS di Trieste, Stelio Spadaro, sollevò a livello nazionale il "problema" delle foibe, auspicando una «severa autocritica» della sinistra, da lui ritenuta «colpevole di aver rimosso la tragedia delle foibe e i crimini di Tito». L'anno successivo, le dichiarazioni di Luciano Violante - allora presidente della Camera - sui "ragazzi di Salò" destarono ulteriori, più note polemiche. Il 18 marzo 1998 si svolse al Teatro Verdi di Trieste un incontro di Luciano Violante e Gianfranco Fini con gli studenti sulla storia della Venezia Giulia. In quella occasione Violante disse: "Ci sono state delle responsabilità gravi del movimento comunista e responsabilità gravi del movimento fascista: non si tratta di contrapporre una memoria all'altra, ma di capire e poi di misurarsi con l'altro sulla base della propria memoria". Anche per Fini era necessario "definire una memoria storica condivisa". Un netto dissenso sui contenuti del confronto fu espresso da 75 storici italiani, tra cui Angelo Del Boca, che in un documento denunciarono «l'infondatezza storica dell'argomentazione e l'inconsistenza delle richieste avanzate» da Violante e da Fini: «iniziative come quella di Trieste sono incompatibili con la verità storica e con i valori fondamentali della Costituzione».(11) Il momento più grave di questo ri-orientamento delle "sinistre" nel senso del revisionismo storico e del revanscismo nazionale si è avuto proprio attorno alla istituzione del "Giorno del Ricordo". Piero Fassino, segretario dei DS, ha rilasciato ignobili dichiarazioni in una conferenza stampa pubblica a Trieste poche settimane prima della votazione del provvedimento, il 5 febbraio 2004. Egli ha affermato testualmente che l'aggressione fascista alla Jugoslavia non giustificava né "la perdita dei territori" né l'"esodo degli istriani". Si è trattato della prima proclamazione palesemente irredentista da parte di un leader della sinistra italiana. Nella lettera inviata alla federazione degli esuli, distribuita nel corso della conferenza stampa, si legge: "Il PCI sbagliò perché non avvertì le tragiche conseguenze dell'espansionismo slavo, che nel vivo della lotta antifascista si era manifestato in comportamenti e linguaggi propri delle contese territoriali e nazionalistiche presenti da decenni in quelle terre". Il PCI avrebbe sbagliato a vedere la vicenda del confine orientale come una lotta tra fascismo ed antifascismo; essa andrebbe letta piuttosto come "una delle manifestazioni di quel nazionalismo pericoloso che ha prodotto tante sofferenze in questa parte dell'Europa e che torna a risorgere ogni tanto come s'è visto nel decennio scorso nei Balcani". Un riferimento alla recente guerra fratricida ed imperialista in Jugoslavia, alla quale però - si badi bene - Fassino ha partecipato attivamente, come esponente del governo D'Alema nel 1999. Dopo avere dato questo spettacolo senza precedenti a Trieste, gli esponenti del nazionalismo italiano di marca diessina ed ex-antifascista hanno coronato l'opera con il voto in Parlamento. Gli anni passano veloci. Insieme al "Giorno del Ricordo", anche vie e piazze della penisola vengono dedicate ai "martiri delle foibe"; vengono poi prodotti e trasmessi dalla televisione di Stato telefilm e spot di ispirazione slavofoba ed antipartigiana. La fiction "Il Cuore nel Pozzo", commissionata dal Ministro delle telecomunicazioni Gasparri,(12) rappresenta i partigiani slavi come efferati stupratori che danno fuoco agli asili d'infanzia; il suo attore protagonista, un cabarettista "di sinistra", ritiene che "la fiction ha fatto sapere a 12 milioni di italiani che cosa sono state le foibe". Nel corso della cerimonia per il "Giorno del Ricordo" tenutasi nel 2006 a Roma, in Campidoglio, è il sindaco Veltroni - che nel frattempo pare essere diventato "foibologo" per vocazione, visti gli interventi profusi sul tema persino su riviste femminili come Vanity Fair - a teorizzare che si deve "riconoscere il sopruso e la violenza di cui furono vittime non solo fascisti, ma anche antifascisti, semplici civili privi di una particolare convinzione politica. Italiani colpevoli solo di essere tali". Anche sul versante della "sinistra alternativa" le cose non sono proprio limpide. Nel settembre 2003, il prosindaco di Venezia Bettin, notoriamente vicino agli ambienti dell'ex Autonomia padovana ("Centri sociali del nordest"), ed il sindaco di Venezia Paolo Costa, con l'assenso, controfirmato, dell'assessore all'ambiente Paolo Cacciari (PRC), decretano il cambio di nome del Piazzale Tommaseo a Marghera, intitolato oggi ai "martiri delle Foibe". Parte del PRC locale, giustamente dissenziente, indice una manifestazione di protesta, ovviamente pacifica, contro il cambiamento revisionistico della toponomastica. Vi partecipano anche i Comunisti Italiani, I Verdi Colomba (Boato), i Cobas Scuola e la Rete Antirazzista. È il 28 settembre. I "Centri sociali del nordest" arrivano, prima minacciano e poi aggrediscono sia la rappresentanza di Rifondazione, sia un gruppo di AN, intervenuto ovviamente per motivi opposti, costituendo di fatto un servizio d'ordine di picchiatori alla cerimonia revisionistica. In cinque finiscono in ospedale. Una provocazione mirata, dunque, a rendere ingestibile la protesta di piazza, a difendere con la violenza la scelta di ribattezzare Piazzale Tommaseo, ad intimorire quei settori del PRC che caldeggiano coerentemente una rivalutazione dell'antifascismo e della memoria storica della Resistenza. L'azione degli squadristi dei centri sociali "Pedro" e "Rivolta" viene poi rivendicata dal loro capo, Luca Casarini: ''Noi personalmente approviamo la nuova intitolazione della piazza, perchè ci sembra importante non solo tornare in maniera critica su una delle pagine più tragiche della storia del '900 nel nostro paese, ma anche per togliere alla destra fascista qualsiasi alibi e vittimismo legato a questa vicenda... Risulta evidente che dentro Rifondazione si annidano alcuni personaggi nostalgici che hanno organizzato per il giorno della commemorazione una presenza in piazza per contestarla... Noi siamo contro lo stalinismo e il fascismo''.(12) In seguito a questo episodio, la maggioranza della Federazione PRC di Venezia promuove un incontro pubblico sul tema delle "foibe", al quale interviene lo stesso Bertinotti, rilasciando dichiarazioni inequivocabili. Bertinotti afferma che in passato la Resistenza sarebbe stata "angelizzata", e presunti gravi crimini sarebbero stati nascosti. È il 13 dicembre 2003. Nei mesi successivi, l'input bertinottiano sortisce il suo perverso effetto: da una parte viene aperto sulle pagine di Liberazione uno scivoloso dibattito sulla "nonviolenza", assurta a nuovo valore ri-fondativo della Rifondazione; dall'altro, la maggioranza del PRC in tante realtà locali si presta ad operazioni di segno revisionista, quali le ulteriori re-intitolazioni di vie e piazze - ad esempio a Cesena.(13) L'operazione prosegue fin dentro il VI Congresso del Partito, quello della nuova Bad Godesberg.(14) L'attacco finale di Bertinotti contro la "angelizzazione della Resistenza" viene portato a termine proprio a Venezia, dove era stato avviato.(15) Dalle divisioni tra comunisti alla distruzione della Jugoslavia Tra le tante amarezze di questi anni, dobbiamo dunque constatare come l'apice di questo revisionismo sia stato toccato proprio al tornante del 60.esimo anniversario della Liberazione. È stato raramente ricordato, per questo anniversario, che Trieste fu liberata dal IX Korpus jugoslavo, e che la popolazione slava era e resta una grande percentuale degli abitanti, soprattutto nei quartieri popolari, nelle periferie operaie e nei sobborghi carsici, che sono tuttora di lingua slovena. Nell'autunno del 2004, per i 50 anni di "Trieste italiana" sono state organizzate svariate iniziative, sulle quali le voci critiche da sinistra sono state poche e flebili. Eppure, nell'occasione Trieste ha dovuto subire cerimonie iper-militarizzate, nelle quali la componente slovena della città era assente. Nota bene: nel marzo 2006, il decreto attuativo della Legge di tutela 38/2001 per la minoranza slovena è stato bloccato dal governo italiano. Quella giocata da tale schieramento nazionalista bipartisan è una partita ambiziosa. Essa passa attraverso la demolizione della memoria della Resistenza, anzi attraverso la sua demonizzazione, per poter giungere alla cosiddetta "memoria condivisa": una lettura della storia nazionale che si vuole super partes, consistente nella archiviazione della dicotomia fascismo-antifascismo e nella equiparazione e scambio di ruolo tra vittime e carnefici. Lo scopo di tutto questo è la ri-costruzione di una coscienza nazionale, ricostruzione che passa attraverso la negazione di storia e valori dell'Italia democratica, dalla Resistenza ai rapporti con i paesi e popoli confinanti. Diciamocelo francamente: alla demonizzazione del movimento di Liberazione partigiano sul “fronte orientale”, effettuata dalle destre e dai moderati con finalità di propaganda anticomunista e nazionalista per decenni, la sinistra italiana non ha mai ribattuto con la necessaria controinformazione neanche in passato. Viceversa, nel tempo si sono rafforzate concezioni assurde; e si è preferito rimuovere la memoria della Resistenza in quelle terre, che fu una lotta squisitamente internazionalista, e mai di “pulizia etnica". I partigiani inquadrati nelle formazioni jugoslave erano in effetti di tutte le nazionalità - anche in Istria ed a Trieste - e le loro vittime (quelle della guerra e quelle di eventuali vendette personali) idem, poichè la guerra era tra fascisti ed antifascisti, non fra italiani e slavi. Le “pulizie etniche” nella storia le hanno fatte, e continuano a farle, solo i nazifascisti ed i loro epigoni. In Italia la sinistra porta delle responsabilità anche per non aver parlato abbastanza né del carattere colonialista ed imperialista del fascismo né dei crimini commessi da camicie nere ed ufficiali dell’esercito italiano all’estero, innanzitutto nei Balcani. Oggi essa preferisce evocare i “lager di Tito”: ecco allora che destra fascista e post-fascista e sinistra ex-comunista in queste campagne slavofobe si vanno alternando e sostenendo a vicenda, in un ping-pong alla ricerca di legittimazione e spazio in un sistema politico-istituzionale votato a nuove imprese coloniali, e ad un nuovo ruolo di media potenza regionale. La riscrittura della storia sul nostro “confine orientale” è strategica per la riconquista economica dei Balcani. Gli eventuali appassionati di una ipotetica disciplina, che denomineremo dietro(ideo)logia, andranno magari alla ricerca delle radici "ideali" (meglio: ideologiche, nel senso della falsa coscienza) che possano spiegare la persistente distanza tra la sinistra italiana ed il mondo jugoslavo. Una distanza fatta di ignoranza, diffidenza, non-comprensione. Per analizzare tali pregresse attitudini, questi appassionati dietroideologi possono sbizarrirsi a ricostruire all'indietro, fino alla rottura tra Jugoslavia e Cominform, nel 1948, o magari anche prima. La tensione tra comunisti di diverso orientamento - non sempre coincidente con l'appartenenza nazionalitaria! - a partire dal 1948 fu effettivamente forte; essa durò, nella sua forma più acuta, fin verso il 1953, quando nel PCI si ritenne di poter trarre ulteriore legittimazione nazionale, istituzionale e sociale posizionandosi sulla questione di "Trieste italiana" (Galeazzi 2005). A partire dal 1948 furono in gran parte rescissi i naturali legami tra comunisti italiani e comunisti jugoslavi - compresi i cittadini jugoslavi di lingua italiana presenti in Slovenia e Croazia, la cui bandiera è rimasta in tutti questi decenni il tricolore bianco, rosso e verde con la stella rossa al centro. Eppure attraverso quei legami scorreva la linfa dell'Italia partigiana, dell'antifascismo combattente. I cimiteri, nei quali a centinaia sono sepolti i partigiani jugoslavi che combatterono sulla penisola italiana (soprattutto nel centro Italia, ad esempio a Visso nelle Marche) sono stati da allora dimenticati, come dimenticati sono pure gli episodi eroici della lotta fianco a fianco sulle montagne dall'una come dall'altra parte dell'Adriatico.(16) Un'altra scuola dietroideologica potrebbe invece soffermarsi sull'attitudine nei confronti dei "socialismi reali". E, anche qui, non senza ragione: a sinistra paiono infatti essere di più gli appassionati dei libri neri del comunismo - al plurale, perchè ognuno si scrive o si immagina il capitolo che più gli aggrada e gli serve - che non gli estimatori dei pensatori comunisti e dei combattenti antifascisti. Questo vezzo autodistruttivo è, certo, particolarmente radicato nella cultura trotzkista, post-trotzkista e "socialista utopista"; ma altrettanto spesso ad attaccare su questo versante dei "crimini del comunismo" sono i nuovi convertiti alle magnifiche sorti e progressive del liberismo, e gli opportunisti di ogni risma. Comunque, queste pur esistenti radici "ideologiche" della distanza tra i due mondi, italiano e jugoslavo, oltre ad essere palesemente anacronistiche, restano sovrastrutturali, e non sono in grado di spiegare le ragioni concrete, materiali, della deriva e della non-comprensione delle attuali vicende balcaniche da parte della nostra sinistra. Cerchiamo allora, piuttosto, di capire quali interessi materiali si muovono dietro alle ideologie. Il "grande gioco" dei Balcani L'Italia è dentro fino al collo nella contesa imperialista apertasi con lo squartamento della Jugoslavia. Essa ha riconosciuto le secessioni - divide et impera -, ha partecipato alla aggressione militare, ha investito economicamente, ha occupato militarmente i territori. Il contingente più significativo, tra quelli italiani dislocati all'estero, è proprio quello nei Balcani. Il quadro a prima vista non presenta contraddizioni di carattere politico-militare con i nuovi Stati confinanti: la Slovenia è già dentro a NATO ed UE, tanto che aerei italiani ne pattugliano il territorio regolarmente (fatto simbolicamente grave); anche la Croazia è in ottimi rapporti sia con la NATO che con la UE, ed attende di essere inglobata in entrambe al più presto. Ma le contraddizioni non sono risolte con l'appartenenza alle medesime alleanze politico-militari: al centro del grande contenzioso nell'area ci sono infatti gli interessi di carattere strettamente economico, analizzabili seguendo le direttrici dei "corridoi". In particolare, relativamente alle aree che stiamo qui considerando, l'Italia ha un interesse strategico nelle modalità di realizzazione del Corridoio numero 5 - quello che dall'Ucraina andando verso ovest dovrebbe attraversare tutto il settentrione del nostro paese, fino alla Val di Susa ed oltre, con una diramazione al porto di Trieste - e nel completamento dell'asse costiero adriatico. Quest'ultimo è il sistema ferroviario e stradale che percorre tutta la costa adriatica sul versante balcanico, da Trieste fino in Grecia, e che ha attualmente forti insufficienze strutturali. Lo sviluppo turistico della costiera croata richiederebbe interventi urgenti, la "torta" degli appalti è cospicua, e l'Italia ha un ovvio interesse ad orientare (o impedire) gli investimenti come meglio le aggrada. Per l'interesse nazionale italiano è poi prioritario vincere nella contesa apertasi tra i porti dell'area istriana: Trieste è infatti soggetta alla fortissima concorrenza di Koper/Capodistria, Pula/Pola, e Rijeka/Fiume, città in veloce sviluppo in termini di infrastrutture, anche in quanto diramazioni del Corridoio 5. Notiamo per inciso che Pola ha assunto una importanza strategico-militare fondamentale, in quanto base per il controllo dell'Adriatico, come dimostra il movimento di ufficiali e basi militari USA da qualche anno a questa parte. In questo contesto, questioni come quella dell'acquisto della cittadinanza italiana per gli abitanti dell'Istria non sono questioni secondarie. Negli stessi giorni in cui i massmedia italiani letteralmente impazzavano per il "Giorno del Ricordo", il Parlamento italiano approvava disposizioni di legge che rimettono in discussione il Trattato di Pace del 1947, che ha fin qui regolato le materie relative a sovranità e cittadinanza in quelle aree! Il 9 febbraio il Parlamento approvava infatti definitivamente le "Disposizioni per l'acquisizione della cittadinanza italiana da parte dei connazionali residenti nelle Repubbliche di Croazia e di Slovenia e dei loro discendenti" (Legge 8/3/2006, n. 124). I beneficiari del provvedimento sono potenzialmente non solo tutti quelli che avevano cittadinanza e lingua d'uso italiane prima della guerra (circa 8000 di questi si sono già potuti avvalere di due provvedimenti transitori, risalenti risp. al 1992 ed al 2000), ma anche i loro discendenti, e senza limiti temporali per formulare la richiesta. Gli interessati stavolta non sono dunque solo gli appartenenti alle attuali minoranze in Croazia e Slovenia, di madrelingua sicuramente italiana (circa 30mila persone), ma anche il resto della popolazione autoctona slovena e croata, che l'Italia fascista costrinse ad imparare ed usare solo l'italiano e ad italianizzare i nomi ed i cognomi, ed i loro discendenti. D'altronde, che vuol dire "persone di lingua e cultura italiane"? "Gli sloveni e i croati che faranno frequentare ai propri bambini scuole italiane, al termine degli studi non avranno figli sloveni e croati che parlano italiano, bensì figli italiani nel senso proprio del termine".(17) Ecco che allora gli Amici della Terra di Trieste ne traggono inquietanti conclusioni: << Il Ministero degli Esteri italiano ha aperto da mesi nuove sedi consolari in Istria e Dalmazia prevedendo oltre 100mila richieste di persone desiderose delle possibilità di lavoro e assistenza connesse alla nuova cittadinanza. In forza di un'apposita legge costituzionale recente (n. 2/2000) questi neocittadini eleggeranno anche propri rappresentanti nel Parlamento italiano oltre che in quello sloveno e croato, concretando un regime anomalo di «doppia sovranità». L'iniziativa del Parlamento italiano infrange perciò i principi fondamentali del diritto internazionale ed europeo sulla sovranità e cittadinanza, sulla multilateralità e sull'inviolabilità dei trattati. Il fatto non ha precedenti ed è una vera e propria bomba politica innescata negli equilibri politici italiani, europei ed internazionali, che può destabilizzare sia i rapporti italo-sloveno-croati che le situazioni di tensione analoghe in Europa - da quella tedesca verso Polonia e Repubblica Ceca, all'ungherese verso Romania, Slovacchia e Serbia, a quelle dei Balcani tra serbi, musulmani, croati erzegovesi, albanesi, turchi e bulgari - e nelle principali aree di crisi extraeuropee, inclusa l'arabo-israeliana. (...) Sul caso è già stata presentata (13/2) dall'eurodeputata slovena Mojca Drcar Murko (18) un'interrogazione al Parlamento Europeo nella quale l'Italia viene accusata di violare oltre al diritto internazionale la sovranità statale della Slovenia >>.(19) Eppure, per la Slovenia, che già fa parte della UE, le conseguenze pratiche della nuova legge italiana non saranno di grande rilievo. Diverso è il caso per la Croazia, dove, mentre scriviamo, la polemica divampa. Se la annessione della Croazia alla UE non fosse imminente, in Istria e Dalmazia si avrebbero presto centomila "europei" (gli italiani o dichiaratisi tali), e tutti gli altri sarebbero "extracomunitari", privati dunque dei diritti di mobilità, accesso al mercato del lavoro, eccetera, vigenti per chi possiede un passaporto della UE. Perciò le autorità croate hanno incominciato a fare i passi necessari per denunciare l'Italia alla Commissione Europea e al Consiglio d'Europa; hanno anche rinviato la firma della dichiarazione d'intenti per la costituzione dell'Euroregione tra Friuli Venezia Giulia, Slovenia, Carinzia austriaca, Istria e Quarnero. I rappresentanti ufficiali della comunità italiana in Croazia hanno reagito difendendo a spada tratta il provvedimento sulla cittadinanza italiana, e minacciando di... ritirare la fiducia al governo Sanader. Bisogna infatti ricordare che per "diritto di etnia" la "Unione Italiana" dispone di un parlamentare al Sabor, Furio Radin, il quale appoggia (che strano...) la coalizione della destra nazionalista, che fa perno sul famigerato HDZ. In effetti, la Croazia non ha alcun modo di impedire che la nuova legge italiana venga promulgata ed applicata: anche perchè essa è del tutto simmetrica rispetto a quelle leggi che regolano l'acquisto della cittadinanza croata per persone di "etnia croata" oggi abitanti in paesi vicini come la Bosnia-Erzegovina o anche in paesi lontanissimi (si calcola che in totale la Croazia abbia concesso la propria cittadinanza a più di un milione di persone non abitanti sul suo territorio). Paese fondato sul nazionalismo e l'identità etnica, la Croazia adesso paga il pegno del nazionalismo e dell'inglobamento demografico altrui. I "beni" Altra materia del contendere è quella dell'indennizzo dei beni nazionalizzati dal regime socialista, e di quelli abbandonati dagli "optanti". Anche essa era stata regolata negli anni da tutta una serie di accordi, a partire dal Trattato di pace (1947) fino agli accordi di Osimo (1975) e di Roma (1983), ma... Il punto è che, seppure ci siano ancora degli indennizzi da riscuotere in base a quegli accordi, essi non bastano più alle organizzazioni della "diaspora" giuliano-dalmata, strutturatesi e rafforzatesi nei decenni tanto da apparire oggi come vera e propria lobby di pressione in grado di condizionare le scelte di politica estera del nostro paese. Queste organizzazioni, infatti, hanno deciso di trarre il massimo profitto possibile dalla distruzione della Jugoslavia, e dunque di alzare continuamente la posta in gioco. << Le vecchie case, i ruderi, i piccoli poderi lungo la costa o sulle isole che i dalmati una volta erano costretti ad abbandonare per cercare fortuna altrove, oggi... valgono oro, complice lo sviluppo del turismo. Le casupole diroccate e i lotti che fino a qualche decennio fa sul libero mercato erano poco quotati, oggi hanno raggiunto prezzi a dir poco folli. Chi è rimasto in Dalmazia ed ha avuto la fortuna di non perdere i propri beni a causa delle nazionalizzazioni e delle confische del dopoguerra, oggi può venderli guadagnando un sacco di soldi... >>.(20) La questione della "restituzione dei beni" va al di là delle rivendicazioni di carattere nazionalitario: essa si inserisce infatti pure nel contesto delle rivendicazioni provenienti da svariati soggetti (dalla Chiesa Cattolica alla comunità ebraica a tutti i possidenti di un tempo), che chiedono la "restituzione" dei beni nazionalizzati in epoca socialista. In questa problematica generale si inserisce quella specifica degli italiani. Il Trattato di pace, nel 1947, assegnava all'Italia il dovere di risarcire i connazionali esuli come parte dell'indennizzo di guerra dovuto alla Jugoslavia. Per capire come la posta in gioco nel frattempo si sia trasformata facciamo un esempio concreto. Su Il Gazzettino del 7/2/2006 veniva raccontata la vicenda di una famiglia di esuli istriani, attualmente residente in provincia di Venezia. Essa è riuscita ad ottenere, a distanza di quasi sessant'anni, la condanna del ministero dell'Economia e delle Finanze a versare loro un indennizzo supplementare rispetto a quello a suo tempo percepito, a copertura parziale del valore delle proprietà immobiliari perdute e delle società commerciali possedute a Pola: si trattava di un piccolo impero economico, comprendente una trattoria, una linea di trasporti che collegava Pola a Parenzo, una ditta di autotrasporti, una che si occupava di vendita all'ingrosso, e ancora una rivendita di sali e tabacchi, una società che si occupava del commercio di carbone, legna e materiale da costruzioni... La prima cosa che possiamo notare è che la condizione sociale di una gran parte degli italiani abitanti Istria e Dalmazia prima del crollo del fascismo era quella dei benestanti. Si trattava degli esponenti di una borghesia mercantile, stanziata sulla costa, che aveva acquisito il proprio status sociale privilegiato sin dai tempi della Repubblica di Venezia. Questa borghesia si è vista espropriata e declassata all'improvviso, nel 1945, a vantaggio essenzialmente delle masse contadine, abitanti piuttosto l'entroterra e di idioma slavo. Orbene: per tutto il suo patrimonio, il ministero del Tesoro aveva liquidato alla suddetta famiglia di esuli poco più di 38 milioni di vecchie lire, pari ad un valore dei beni abbandonati, valutato al 1938 in 192mila lire. I beni sono stati cioè rivalutati "soltanto" di 200 volte, a fronte di una svalutazione monetaria che supera oggi il coefficiente di duemila. L'avvocato di famiglia sta portando avanti il contenzioso per ottenere il massimo possibile, in questo caso dallo Stato italiano. Il 18 gennaio 2006, il Ministro Fini ha avviato alla Camera l'iter di un progetto di legge riguardante il ri-calcolo degli indennizzi degli "esuli".(21) L'iniziativa era in effetti rimasta "in sospeso" per anni, ed ha suscitato malumori nella lobby degli esuli il fatto che Fini se ne sia ricordato solo quasi alla scadenza della Legislatura. Due le ragioni possibili: da una parte, c'è un evidente utilizzo della questione come elemento di propaganda elettorale; dall'altra, in termini quantitativi la materia del contendere rischia di rivelarsi poderosa, determinando per lo Stato italiano una previsione di spesa notevole, della quale nessun governo si fa volentieri carico. Perchè - è bene ricordarlo - a forza di vezzeggiare gli esuli, lo Stato italiano nel secondo dopoguerra ci ha rimesso un sacco di soldi! Solo fino al 1975 lo Stato aveva già speso 49 miliardi di lire per costruire complessi edilizi per 8.326 famiglie, senza contare gli alloggi IACP. L'O.A.P.G.D. - Opera per l'Assistenza ai Profughi Giuliani e Dalmati - trovò lavoro in poco tempo a 60.542 persone. Gli esuli già dipendenti pubblici venivano riassunti automaticamente presso enti similari con continuità di servizio e con il pagamento degli stipendi anche per il periodo di disoccupazione dovuto all'esodo... Essi usufruivano inoltre di tutti i benefici degli ex combattenti. Potevano partecipare ai concorsi per l'assunzione presso gli uffici pubblici fino all'età di 55 anni. Godevano di finanziamenti per reimpiantare le loro aziende (sono stati così erogati più di tre miliardi ad un migliaio di aziende). Specifici mutui erano concessi dallo Stato ad interesse minimo e con un pagamento trentennale. Ed ancora: per i giovani esuli furono spesi nove miliardi e mezzo per edilizia scolastica e borse di studio mirate; fino al 1956 gli studenti giuliano-dalmati erano esentati dalle tasse scolastiche e, in certi casi, anche dal servizio militare. Per i pensionati era riconosciuto il servizio prestato nell'esercito austro-ungarico durante la guerra 1914-1918, nonché quello civile prestato sotto l'Austria e nello stato libero di Fiume, e tutto il lavoro eventualmente prestato sotto l'amministrazione jugoslava - beninteso, senza il versamento dei contributi. Per non parlare delle pensioni di guerra e di tante altre regalìe e benefici. Questo il trattamento riservato dallo Stato italiano agli "esuli" del periodo fino al 1954.(22) Altro discorso è quello relativo ai beni degli esuli istriani abbandonati all'indomani del Memorandum di Londra (1954), che riconobbe l'autorità jugoslava nella zona B del Territorio libero di Trieste (TLT), dunque nella zona nord occidentale dell'Istria, oggi divisa tra le due nuove repubbliche. Il risarcimento di tali beni non era incluso nel Trattato di pace; perciò nel 1983 i governi italiano e jugoslavo raggiunsero un accordo secondo il quale la Jugoslavia avrebbe dovuto pagare una somma di 110 milioni di dollari in 13 date annuali, ritardate dal 1990, per i beni degli esuli della zona B. Prima della dissoluzione nel 1991, la Jugoslavia aveva pagato le prime due rate, portando il debito a 93 milioni di dollari, spartito poi tra Zagabria e Lubiana nella misura di 37 e 56 milioni rispettivamente. Pur non rispettando lo scadenzario, la Slovenia ha comunque versato tutta la somma su di un conto aperto presso la filiale della Dresdner Bank in Lussemburgo: l'Italia non l'hai mai ritirata. La Croazia ha offerto di fare la stessa cosa per i suoi 37 milioni: Roma si è rifiutata di indicare un conto bancario apposito. Secondo Stipe Mesic, presidente della Croazia, in base agli accordi di Osimo la Croazia ha ancora "verso l'Italia un debito di 34 milioni di dollari e desidera saldarlo non appena Roma fornirà il numero di conto sul quale effettuare il versamento. In tal modo saranno chiuse tutte le questioni che si riferiscono alla seconda guerra".(23) Le associazioni degli esuli ciurlano nel manico, sostenendo che l'accordo del 1983 sarebbe invalido per l'inadempienza della controparte, e richiedono non più il risarcimento, ma la restituzione dei beni abbandonati dopo il 1954. E non c'è solo la questione dei "beni abbandonati": l'Italia pone anche un problema in materia di libero accesso al mercato immobiliare. Il mercato
immobiliare della Croazia è
ancora chiuso, in teoria, ai cittadini di quei
paesi stranieri, tra cui
l'Italia, con cui non sussiste un sistema
bilaterale di accordi di
reciprocità; inoltre, tutti gli stranieri
hanno bisogno, per comprare,
di un permesso del Ministero degli
Esteri previo giudizio del
dicastero della giustizia. Zagabria si dice
disposta a rivedere questa
normativa non prima nel 2009, quando il
mercato dovrebbe essere
compiutamente liberalizzato in vista
della piena adesione del
paese all'UE. La prudenza fin qui
mantenuta dalla Croazia è
comprensibile: gli stranieri che arrivavano,
subito dopo la
proclamazione della "indipendenza", pieni di
soldi in valuta pregiata,
avrebbero potuto letteralmente saccheggiare
tutti i beni immobili del
paese in poche settimane. Ma oggi, anche le
residue restrizioni
protezionistiche ancora in vigore sono
facilmente aggirabili. A
giudicare dai numeri forniti dalle
agenzie immobiliari, il mercato
sottobanco s'è mosso, eccome. Si stimano
in 30-40 mila le case
passate per vie traverse nelle mani
di cittadini non croati: basta
firmare qualche contratto in più e pagare
per la documentazione
necessaria. Nel catasto si continua a far
figurare ad esempio il
vecchio proprietario, ma i nuovi arrivati
vengono iscritti, eredi
inclusi, come usufruttuari a vita. Esiste
poi un altro escamotage:
aprire un'azienda e intestarvi l'immobile
appena acquistato.
Secondo il quotidiano Novi List, di recente
con questi trabocchetti "la metà
delle case vendute nella
città vecchia di Rovigno sono state
acquistate da cittadini
italiani". Fate bene
attenzione: "all'inizio
degli anni Novanta,
quando in Croazia è scoppiata la guerra,
gran parte dei
proprietari di case e appartamenti a
Rovigno erano cittadini di
nazionalità serba, i quali hanno deciso
di lasciare il Paese e
nella paura di perderli hanno deciso di
venderli a basso prezzo. E
naturalmente gli italiani hanno sfruttato
queste possibilità".(24)
Senza commento.
Gli italiani, di origine autoctona o meno, non sono dunque assenti da questa "corsa all'oro". E vengono agevolati da "oltreconfine" un po' con pressioni politiche verso la Croazia, affinchè essa liberalizzi subito il mercato, un po' con agevolazioni e provvedimenti talora scandalosi. Lo scorso novembre, l'importante 'Privredna banka Zagreb' (Pbz), che in effetti da qualche anno è parte del gruppo italiano BancaIntesa, decideva di offrire "agli appartenenti della comunità nazionale italiana in Croazia e ai simpatizzanti della cultura e della lingua italiana"(25) prestiti bancari più favorevoli rispetto a quelli offerti agli altri cittadini croati. Concretamente l'accordo, sottoscritto tra la banca e l'Unione degli italiani (UI), prevedeva tra l'altro mutui a interesse ridotto per gli "italiani" rispetto ai "non-italiani" per l'acquisto della casa, ed analoghe agevolazioni per i prestiti per l'acquisto di automobili, per il consumo, per il rosso su conti correnti e altri servizi bancari. Il vicepresidente dalla Pbz spiegava candidamente alla stampa che ''il gruppo bancario intende rafforzare la presenza in Istria e a Fiume e proprio tramite l'UI''. La decisione della Pbz ha subito suscitato uno scandalo enorme. Mentre il quotidiano Glas Istre di Pola rivelava che la decisione era stata presa dalle autorità centrali di BancaIntesa, il presidente della repubblica Stipe Mesic sosteneva che ''tutti i cittadini dovrebbero avere pari diritti quando si avvalgono dei servizi bancari... penso che non sia giusto che una comunità nazionale abbia dei diritti particolari''; il premier Ivo Sanader dal canto suo si dichiarava preoccupato per "la politicizzazione del sistema bancario, che noi non possiamo permettere''. Di fronte alle ovvie e crescenti polemiche, l'iniziativa rientrava. Pressioni Il 17 gennaio 2006 a Strasburgo, la delegazione europarlamentare di AN - partito di governo in Italia, al quale appartiene il Ministro degli Esteri - chiedeva di ''sospendere i negoziati di adesione (della Croazia) all'UE fin quando le autorità croate manterranno il divieto per i cittadini comunitari di nazionalità italiana di accedere al mercato immobiliare''. Come altra condizione per l'adesione si poneva ovviamente ''il pieno risarcimento per i beni sequestrati alle migliaia di cittadini di origine italiana espulsi dal territorio croato dal 1946'', nonchè il riconoscimento ''delle deportazioni, delle atrocità, dei massacri e della pulizia etnica contro migliaia di persone di origine italiana, perpetrate dal regime comunista di Tito dal 1946''.(26) Il giorno dopo, sempre a Strasburgo, organizzata dall'Unione degli Istriani e con la partecipazione dell'europarlamentare neofascista Romagnoli, della Fiamma Tricolore, si teneva una manifestazione per chiedere l'istituzione di un arbitrato internazionale europeo "che stabilisca l'invalidità e la nullità di tutti gli accordi italo-jugoslavi e di conseguenza riconosca formalmente il pieno diritto di proprietà sui loro beni illegalmente sottratti ed il diritto alla loro restituzione senza vincolo alcuno".(27) La delegazione veniva ricevuta dalla presidenza dell'Europarlamento e dal Commissario all'Allargamento Olli Rehn e tutte le istanze venivano poi inviate alle istituzioni internazionali. L'iniziativa era inoltre sostenuta con una mozione bipartisan dai parlamentari Roberto Damiani (gruppo misto, primo firmatario), Ettore Rosato, Roberto Menia, Marco Boato, Giovanni Bianchi, Luana Zanella, ed altri. Qualche settimana dopo «abbiamo avuto una serie di contatti e incontri estremamente proficui e il più significativo è quello con il presidente della Commissione per la Cooperazione e la sicurezza in Europa (CSCE), il senatore americano (SIC) Sam Brownback, che si è dimostrata persona estremamente sensibile verso ogni sorta di violazione dei diritti di proprietà...».(28) Fini, da Ministro degli Esteri, ha ripetutamente ammonito che la Croazia per poter entrare nella Unione Europea dovrà saldare il presunto debito verso gli esuli istriani: essa "deve prima pagare i conti con la storia".(29) "Non accadrà come accadde quando la sinistra al governo disse frettolosamente di si' all'entrata della Slovenia in Europa''.(30) Secondo Berlusconi, "pur avendo aperto le porte alla Croazia nell'iniziare la trattativa di ingresso nella Comunità Europea, la coalizione (...) sarà sempre assolutamente ferma nel pretendere dalla controparte croata il rispetto e la libertà necessarie per aderire alla compagine europea, primo fra tutti il diritto per gli Italiani ad acquistare beni immobili in Croazia".(31) "Noi siamo in una posizione che dobbiamo assolutamente sfruttare. La Croazia può entrare solo con il nostro accordo. Intendiamo avvalerci di questo perchè non ci devono essere discriminazioni", ha detto il presidente del Consiglio nel corso della celebrazione in Quirinale per il 10 Febbraio, non perdendo occasione per ricordare che "il comunismo è stato l'impresa più disumana e criminale della storia".(32) Gustavo Selva, da Presidente della Commissione Esteri della Camera, ha dal canto suo affermato che l'Italia oggi ha il potere di aprire una vertenza con la Croazia per ottenere contestualmente sia gli indennizzi agli esuli e agli eredi sia il riconoscimento morale degli "orrori perpetrati contro gli italiani": "l'entrata della Croazia nella Unione Europea passa attraverso il potere di veto che l'Italia può e deve opporre qualora non vengano accettate queste condizioni minime".(33) Il riconoscimento che tutti questi esponenti della destra chiedono è insomma un riconoscimento morale... ma anche tanto, tanto materiale. La pressioni sulla Croazia non vengono solo da parte italiana. In base ad un accordo raggiunto con l'Austria nell'autunno 2005, la Croazia avrebbe dovuto pagare ricompense agli esuli di lingua tedesca che abbandonarono il territorio e persero le proprietà in seguito alla sconfitta del nazifascismo.(34) Stando ad alcune stime, la Croazia dovrebbe in particolare far fronte a circa mille richieste di indennizzo da parte di attuali cittadini austriaci. In seguito al parere sfavorevole della Corte costituzionale, dopo il disappunto manifestato anche dall'estero (a cominciare dalla Repubblica Ceca, da dove dopo la fine dell'occupazione nazista fuggirono centinaia di migliaia di tedeschi della regione dei Sudeti), e dopo il pronunciamento pubblico del presidente Mesic - nettamente contrario ai contenuti dell'accordo, definito "un precedente pericoloso" non solo per la Croazia - il governo croato ha rinunciato a portarlo dinanzi al Sabor (parlamento) ed ha annunciato invece una legislazione universale per tutte le richieste di risarcimento, che siano provenienti dall'estero o dall'interno.(35) Si tratta in pratica di approvare alcune modifiche alla "legge sulla denazionalizzazione", il che dovrebbe avvenire entro l'estate 2006. Le modifiche di legge estenderanno anche ai cittadini di paesi esteri e ai loro eredi la facoltà di rivendicare beni a suo tempo espropriati; esse si limiteranno però ai soli casi non coperti dai trattati - quindi: nessuna rimessa in discussione del trattato di Osimo, e non sarà possibile alcun nuovo accordo interstatale separato. Dunque, anche gli esponenti degli "esuli di lingua tedesca", dopo aver goduto dello spettacolo sanguinoso della guerra fratricida in Jugoslavia, possono finalmente reclamare indietro i "loro" beni, proprio come fanno i tedeschi dei Sudeti ai danni della Repubblica Ceca, o come fanno gli esuli italiani di Istria e Dalmazia. Tra tutti questi esiste una convergenza di fatto, che si sta trasformando in una alleanza di respiro transnazionale, potenzialmente aperta ai tanti "gruppi etnici" le cui classi dirigenti furono a suo tempo collaborazioniste del nazifascismo. La tedesca "Bund der Vetriebenen" (Lega degli esuli) ha reso noto a Berlino che intende cooperare con gli esuli italiani, "soprattutto in vista della costituzione di un 'Centro contro le espulsioni'." Erika Steinbach, presidente della BdV, ha anche annunciato il suo appoggio ad una iniziativa della "Unione degli Istriani" per una "Giornata europea del ricordo di tutte le vittime delle espulsioni".(36) Particolarmente attivo a sostegno di tutte le rivendicazioni revansciste degli esuli sconfitti della II G.M. è lo statunitense di cui sopra, Sam Brownback. Egli "è già intervenuto personalmente (...) condannando le discriminazioni di Varsavia nei confronti dei diritti degli esuli tedeschi espulsi in circa cinque milioni dall'attuale area geografica della Polonia e da qui è partito l'invito rivoltogli dall'Unione degli Istriani di verificare le gravi discriminazioni e i «furti» a danno degli esuli istriani, fiumani e dalmati espropriati illegalmente delle loro proprietà. Intanto ci sono alcune importanti adesioni alla richiesta di arbitrato internazionale europeo per dirimere la questione dei beni, proposta sempre dall'Unione degli Istriani. L'eurodeputato bavarese di origine boema, Bernd Posselt, presidente della Südetendeutsche Landsmannschaft (l'Organizzazione degli oltre tre milioni di esuli tedeschi dai Sudeti) ha aderito alle richieste e all'orizzonte, anche in vista del prossimo raduno dei Sudeti in programma per il primo fine settimana di giugno a Norimberga, al quale una delegazione dell'Unione degli istriani è stata invitata, c'è proprio un vertice tra esuli tedeschi ed istriani, proposto dalla presidente della Federazione delle Associazioni tedesche, la deputata al Bundestag Erika Steinbach, peraltro molto vicina al cancelliere Angela Merkel..."(37) Conclusione Le
questioni legate al "Giorno del Ricordo" non hanno
dunque solamente una
rilevanza di carattere morale ed ideologico, ma
sono invece questioni
di grande concretezza ed attualità negli equilibri
politici
internazionali. Una volta di più, sotto al velo
della battaglia delle
idee si cela quel fondo di ragioni ed interessi
materiali che, in
particolare, i comunisti farebbero bene a tenere
sempre presenti nelle
analisi. L'ipotesi
secondo
cui le tesi revisioniste sarebbero enfatizzate per
mere ragioni
elettorali e di politica interna(38) ci appare,
purtroppo,
consolatoria. Essa non è in grado di spiegare il
ruolo perverso giocato
anche dalle sinistre in queste
vicende. Riduttivo è anche pensare
che ci troviamo semplicemente di fronte alla
esplosione "fuori tempo
massimo" di un revisionismo storico che, dopo
l'Ottantanove, non trova
più freni e può dunque riscrivere la storia del
Novecento ribaltando i
ruoli tra vittime e carnefici. Ci sono
sicuramente anche queste
due componenti, quella elettorale e quella
culturale, beninteso: ma c'è
qualcosa di più grave e di più
fondamentale. Stiamo parlando di
concrete rivendicazioni materiali, sempre
suscettibili di trasformarsi
in vere e proprie rivendicazioni territoriali, in
un contesto europeo
nel quale i confini tra i paesi sono stati messi
irresponsabilmente in
discussione, ed allegramente delegittimati, anche
"da sinistra", dopo
il 1989.
Ha
spiegato l'ambasciatore italiano a Zagabria: "Per
quanto attiene alla questione
dell'accesso dei cittadini italiani al mercato
immobiliare e alla
concessione della cittadinanza italiana, tutti
i partiti hanno le
stesse posizioni e pertanto non è una
questione di campagna elettorale.
Anche se l'Italia avesse un Governo
completamente diverso queste due
questioni rimarrebbero di primaria
importanza... Si tratta di interessi
nazionali e bisogna sottolineare che i partiti
politici italiani sono
concordi sulle due questioni."
"Se si tratta di una politica a lungo termine allora non si può essere troppo ottimisti sulla prospettiva dei rapporti tra Croazia e Italia", commenta amaro l'intervistatore.(39) Con l'istituzione del "Giorno del Ricordo" l'Italia si tuffa nel contenzioso balcanico, da protagonista nel conflitto tra nazionalismi. Gli ingredienti ci sono tutti: falsificazione della storia, partiti nazionalisti al potere, razzismo televisivo, revanscismo ed irredentismo nelle dichiarazioni dei leader politici, truppe fuori confine, canaglia fascista nelle piazze. L'Italia nei Balcani ha interferito, ha bombardato, ha sfruttato economicamente; adesso, essa fa con l'Istria quello che l'Albania fa con il Kosovo, la Bulgaria con la Macedonia, la Croazia con l'Erzegovina... Altrove, la Germania fa lo stesso con Kaliningrad ed i Sudeti - e questa sarà magari materia di preoccupata riflessione in altra sede, o almeno lo auspichiamo. È insomma in atto in tutta Europa una inversione degli esiti della Seconda Guerra Mondiale, inversione che vede proprio nella martoriata area balcanica, drammaticamente orfana della Jugoslavia multinazionale ed antifascista, il suo epicentro geografico ed il suo punto di massima espressione. E Trieste è già Balcani. Il quadro delle pressioni, delle rivendicazioni, dei concreti atti di ingerenza ed interferenza da parte italiana nei confronti di Croazia e Slovenia, dunque, si è arricchito e si è acuito nelle ultimissime settimane. Le due piccole repubbliche jugoslave, che non a caso godettero dello sconsiderato, immediato riconoscimento italiano per la loro "indipendenza" - pagata al prezzo di una guerra civile i cui strascichi persistono -, non hanno il potere contrattuale né l'importanza geopolitica della grande Jugoslavia, viceversa devono assoggettarsi a tutti i "diktat" esterni per poter accedere ai "salotti buoni". Le classi dirigenti di queste repubbliche a sovranità limitata constano di una borghesia compradora succube dell'imperialismo straniero. Reazionarie per vocazione, esse non conoscono altro linguaggio che quello nazionalista. Esse non sono pertanto in grado di rispondere alle pressioni e provocazioni italiane né sul piano della difesa della memoria storica antifascista - perchè proprio sul revisionismo e sul revanscismo antipartigiano ed antijugoslavo hanno "inventato" se stesse - né tantomeno sul piano della giustizia sociale e della difesa della propria indipendenza - perchè la loro religione è quella del "libero mercato". Esse non possono quindi mettere freni alla prepotenza del capitale straniero. Il nazionalismo rappresenta per loro la sola possibile, falsa coscienza della loro precaria condizione ed incerta identità. In termini socialmente meno gretti e politicamente più auspicabili, una vera risposta al neoirredentismo italiano potrebbe venire dalla alleanza tra antifascisti ed antimperialisti delle diverse nazionalità. La contraddizione è infatti, come sempre, una contraddizione sociale e materiale; lo scontro, come sempre, è scontro di classe. Teorici e propagandisti borghesi non forniranno mai una soluzione delle contese tra borghesie nazionali, perchè loro stessi sono parte del problema. D'altro canto, il fatto che le splendide ville di Abbazia/Opatija o di Laurana finiscano in mano agli arricchiti locali, o addirittura alla mafia polacca, non è meno triste di una eventuale riappropriazione da parte dei possidenti, italiani o austriaci, di un tempo. Altrettanto negativo è il fatto che straordinari tratti di costa, dove per decenni erano sorte le colonie di villeggiatura delle imprese cooperative e statali della Jugoslavia, siano adesso depredati da imprenditori tedeschi o catene alberghiere anglosassoni. Contrastare il revanscismo italiano non implica alcun tipo di indulgenza verso le attuali classi dirigenti croate e slovene, tantomeno verso la grande speculazione transnazionale. Ma è soprattutto sbagliato assumere atteggiamenti del tipo "tanto peggio tanto meglio" - "hanno distrutto il socialismo, che vadano in malora" - perchè l'euforia revanscista può avere conseguenze assai gravi per tutti. I danni causati in Italia, prima ancora che in Slovenia o Croazia, dalle campagne revisioniste e revansciste degli ultimi anni sono già molto pesanti in termini tanto politici quanto culturali-ideologici. Per chiudere con le parole del noto accademico massone Augusto Sinagra, legale di fiducia di Licio Gelli ed avvocato dell'accusa nella causa contro Piskulic ed altri (quel "processo per le foibe" dissoltosi come neve al sole per la provata inconsistenza della denuncia: Cernigoi 2002): "il disfacimento della Jugoslavia (...) riapre per l'Italia prospettive un tempo impensabili, per dare concretezza all'irrinunciabile speranza di riportare il Tricolore nelle terre strappate alla Patria dal diktat e dal trattato di Osimo".
Bibliografia essenziale Spartaco Capogreco: "I campi del Duce", Einaudi, Milano 2004 Claudia Cernigoi: "Le foibe tra storia e mito" , dossier n.6 de La Nuova Alabarda", Trieste 2002 (www.nuovaalabarda.it) Claudia Cernigoi: “Operazione Foibe tra storia e lito”, ed. KappaVu, Udine 2005 (l'edizione 1997 è anche online, alla pagina: https://www.cnj.it/FOIBEATRIESTE/index.htm ) Avio Clementi: "POKRET! Il "Matteotti" in Bosnia 1943-1944", ed. ANPI, Roma 1989 Costantino Di Sante (a cura di): "Italiani senza onore. I crimini in Jugoslavia e i processi mancati (1941-1951)", ed. Ombre Corte, 2005 Marco Galeazzi: "Togliatti e Tito. Tra identità nazionale e internazionalismo", Carocci 2005 Ovidio Gardini: "Canta canta burdél (Canta canta ragazzo). Una storia tante storie 1943-1945", Maggioli Editore, Rimini 1987 Alessandra Kersevan: "Un campo di concentramento fascista. Gonars 1942-1943", ed. KappaVu , Udine 2003 Gianfranco Piazzesi: "La caverna dei sette ladri", Baldini & Castoldi, Milano 1996 Giacomo Scotti: "Dossier Foibe", Piero Manni Editore, 2005 Giacomo Scotti: "Tre storie partigiane. Dalla Macedonia alle Alpi, dappertutto italiani", ed. Kappavu, Udine 2006 Pol Vice: "Scampati o no. I racconti di chi 'uscì vivo' dalla foiba", ed. KappaVu, Udine 2005 Davide Rodogno: "Il nuovo ordine mediterraneo. Le politiche di occupazione dell'Italia fascista (1940-1943)", Bollati Boringhieri 2003 Sandi Volk: "Esuli a Trieste. Bonifica nazionale e rafforzamento dell'italianità sul confine orientale", ed. KappaVu, Udine 2004 Note (1) https://www.cnj.it/immagini/meniafini.jpg . (2) La Voce del Popolo, 28/2/2006. (3) Persino il sito dell'ANPI di Roma ospita pagine di clamorosa disinformazione sulle "foibe": http://www.romacivica.net/anpiroma/DOSSIER/Dossier1a8.htm . (4) Istituita nel 1990 proprio perchè lavorasse sul tema delle relazioni fra i due popoli, dalla seconda metà dell'Ottocento fino al 1956: http://www.kozina.com/premik/indexita_porocilo.htm#kazal . (5) Il Piccolo, 14/3/2006. (6) Ad esempio: Cernigoi 2005, Pol Vice 2005, Scotti 2005. (7) Si vedano: Potocnik 1979, Kersevan 2003, Capogreco 2004, http://www.gonarsmemorial.org/ , https://www.cnj.it/documentazione/campiconcinita.htm . (8) Per approfondimenti si vedano ad esempio: Brignoli 1973, Di Sante 2005, http://www.criminidiguerra.it/html/DocumentiE.htm , http://muceniskapot.nuovaalabarda.org/ , il documentario della BBC "Fascist Legacy". (9) Per ogni approfondimento si rimanda a: Volk 2004. (10) Su questa cultura transfrontaliera ha scritto pagine di notevole spessore Fulvio Tomizza. I suoi libri sono scevri dell'accanimento ideologico e slavofobo di alcuni autori più recenti e, disgraziatamente, più in voga (E. Bettiza, S. Tamaro, A.M. Mori...). (11) Fonte: M.Mo. su Il Manifesto del 10/2/2006. (12) Vedi La Stampa del 18/4/2002. (13) ANSA 30-SET-03 ; http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2830 ; http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2838 . (14) Per le fonti si veda: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3179 ; http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4271 . (15) Durante il
Congresso, un importante ordine del giorno
contro il revisionismo
storico connesso al "Giorno del Ricordo"
viene respinto dalla
maggioranza bertinottiana. Se ne legga
l'ottimo testo alla pagina: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4308 . (16) Si vedano: Scotti 2006, Clementi 1989, Gardini 1987, https://www.cnj.it/PARTIGIANI/ . Tanti italiani furono inquadrati, in proprie specifiche formazioni, nell'Armata di Tito: ricordiamo con gratitudine l'eroismo della Divisione Garibaldi guidata da Giuseppe Maras. (17) Fabrizio Radin, oggi candidato alla carica di vicesindaco di Pola, al quotidiano "Primorske novice" nel 1992; fonte: La Voce del Popolo, 28/2/2006. (18) La eurodeputata slovena, che appartiene all'Alleanza dei liberaldemocratici europei (Adle), ha parlato nientemeno che di ''una rioccupazione di territori che l'Italia aveva ceduto'' a seguito dei trattati seguiti alla seconda guerra mondiale (ANSA 13/2/2006). Si veda il suo sito internet: www.drcar-murko.si/en/index.php . (19) Fonte: Il Gazzettino 17/02/06, rubrica Lettere. (20) La Voce del Popolo, 18/2/06. (21) Nella sua introduzione in Aula, Fini spiegava: "Da una verifica degli indici di svalutazione ISTAT, comparati con quelli stabiliti dalla legge 5 aprile 1985, n.135, ci si rende conto che gli indennizzi finora concessi sono, in taluni casi, del tutto irrisori... L'unito provvedimento... (istituisce) una Commissione per il riordino della disciplina sulla materia degli indennizzi" ( http://www.camera.it/_dati/leg14/lavori/schedela/trovaschedacamera.asp?PDL=6273 ). (22) Fonte: Gianni Ursini, da un articolo di Flaminio Rocchi su "Il Piccolo" del 30 agosto 1975. (23) La Voce del Popolo, 20/01/2006. (24) Il Piccolo, 9/3/2006. (25) Così l'ANSA del 14/11/2005. (26) ANSA, 17/01/2006. (27) La Voce del Popolo, 20/1/2006. (28) Il presidente dell'Unione degli Istriani, Lacota, su Il Piccolo del 31/3/2006. (29) La Voce del Popolo, 11/2/2006. (30) Dichiarazione di Fini a Trieste, 17 ottobre 2005. (31) La Voce del Popolo, 11/2/2006. (32) Repubblica online, 10/2/2006 - http://www.repubblica.it/2006/b/sezioni/politica/foibe/foibe/foibe.html . (33) Ufficio Stampa di AN, Regione Marche, 13/02/2006. (34) Vedi: http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/56086 . (35) Si vedano le agenzie ed i giornali croati del 25-26/1/2006: http://www.consolatospalato.org/archivioNOTIZIE/1trim2006/Risarcimenti26gennaio2006.htm . (36) "Manovra a tenaglia. La collaborazione italo-germanica degli esuli", su german-foreign-policy.com - 13 aprile 2005 - http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/52462 . (37) Il Piccolo, 31/3/2006. (38) Vedi ad es. Di Francesco sul Manifesto, 11/2/2006. Di fatto, la stessa lobby degli esuli si muove con strategia bipartisan. Un documento della Federazione degli Esuli stilato "per le forze politiche in occasione delle prossime elezioni politiche", datato 21 marzo 2006, inviato a Prodi e Berlusconi con richiesta di incontro, richiede la costituzione di un "Tavolo di Concertazione" a livello di Presidenza del Consiglio. Tale tavolo dovrebbe tra le altre cose servire per espandere ulteriormente la recente normativa sulla cittadinanza! (39) La Voce del Popolo, 10/3/2006. Altre fonti: Mailing lists Jugoinfo ( http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/ ) e Tera de confin ( http://it.groups.yahoo.com/group/tera_de_confin/ ), giornale La nuova Alabarda ( http://www.nuovaalabarda.org/ ). L'autore ringrazia Pino Catapano, Claudia Cernigoi, Alessandra Kersevan e Jasna Tkalec per gli utili commenti e correzioni al testo. |
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Coordinamento
Nazionale per la Jugoslavia - onlus
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