La disinformazione strategica su "foibe" ed
"esodo"
e il neoirredentismo italiano
documenti e link su "foibe" e
revanscismo italiano su Istria e Dalmazia (in ordine di importanza e/o attualità
e/o inverso di inserimento sul nostro sito)
aggiornamento
2018:
da quest'anno la nuova
documentazione è inserita nella
nuova sezione del nostro sito
internet nella categoria "Confine
Orientale" e sotto i tag pertinenti,
ad es.: revisionismo storico foibe
giorno del ricordo confine
orientale eccetera
dove potete trovare tantissimo
materiale legato a queste tematiche
ed anche i files alta definizione
dei pannelli
della mostra "TESTA PER
DENTE", da scaricare
TRUFFE, FUFFE E FASCISTI… I “PREMIATI” DEL GIORNO DEL
RICORDO. UN BILANCIO PROVVISORIO di Sandi Volk – da Diecifebbraio.info,
gennaio 2017
Il 30 marzo del 2004 il Parlamento
istituiva il Giorno del Ricordo (Legge 30
marzo 2004, n. 92) quale solennità civile
da tenersi ogni 10 febbraio al fine della
conservazione della memoria “...della
tragedia degli italiani e di tutte le
vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro
terre degli istriani, fiumani e dalmati
nel secondo dopoguerra...” (nonché “delle
più complesse vicende del confine
orientale”)... In occasione di ogni 10
febbraio la legge prevede iniziative “per
diffondere la conoscenza dei tragici
eventi presso i giovani delle scuole di
ogni ordine e grado”, nonché “la
realizzazione di studi, convegni, incontri
e dibattiti” e stabilisce che nella data
della ricorrenza vengano assegnati dei
riconoscimenti (una medaglia di metallo
con la scritta “L'Italia ricorda” e una
pergamena) ai parenti (fino al 6° grado)
di persone “soppresse e infoibate” e di
quelle soppresse “mediante annegamento,
fucilazione, massacro, attentato, in
qualsiasi modo perpetrati...” “in Istria,
in Dalmazia o nelle province dell'attuale
confine orientale” nel periodo tra l'8
settembre 1943 ed il 10 febbraio del 1947
(data di entrata in vigore del Trattato di
Pace degli Alleati con l'Italia che ha
sancito il passaggio di una serie di
territori appartenuti allo Stato italiano
a Jugoslavia, Francia e Grecia, nonché più
tardi a Somalia, Etiopia, Eritrea e
Libia), ovvero di coloro che persero la
vita tra il 10 febbraio del '47 ed il 21
dicembre del 1950 per le conseguenze di
deportazioni, torture o maltrattamenti. Il
termine entro cui si poteva presentare le
domande per i riconoscimenti è stato
fissato in 10 anni ed è scaduto nel 2015,
ma nel 2016 il parlamento lo ha prorogato
al 2025. ... Il numero totale delle persone alla cui
memoria sono stati attribuiti i
riconoscimenti è di 323. Un numero
estremamente deludente, inferiore persino
alla cifra di 471 “martiri delle foibe”
(per di più riferentesi agli uccisi nel
solo periodo immediatamente seguente l'8
settembre) riportata dalla stampa fascista
in occasione di quello che è stato in
realtà il primo Giorno del Ricordo, cioè
il 30 gennaio 1944, quando per decreto di
Mussolini in tutto il territorio della RSI
si tennero celebrazioni ufficiali di
questi “martiri” della “barbarie
slavobolscevica”... civili sono 63, ovvero
poco più del 19% del totale. Va tenuto
presente che tale definizione va presa con
cautela perché nei pochi casi in cui ho
avuto a disposizione fonti diverse è
risultato che le persone in questione non
erano affatto dei semplici ed innocui
civili... in concreto sono due possibili
antifascisti su 323 premiati (lo 0,62% del
totale!), e per giunta si tratta di
indipendentisti fiumani, quindi
evidentemente non catalogabili come
persone uccise perché difendevano
l'appartenenza della città all'Italia. Ci
sono poi 9 persone (il 2,79% del totale)
di cui non ho potuto trovare dati di una
qualche affidabilità su data e circostanze
della scomparsa, né sulle loro
appartenenze e qualificazioni. In tre casi
la scomparsa è invece avvenuta per mano
nazista, e una delle tre vittime è
addirittura caduta da partigiano. ... Coloro i cui corpi sono stati gettati
in una foiba sono 33 (10,22%) ...
per un totale di 61 persone (18,89%) la []
scomparsa non è attribuibile alle
formazioni della Resistenza e/o
jugoslave...
per ben 18 (5,54%) persone non abbiamo
alcun dato sul luogo della scomparsa...
... 3 persone ... vengono definite
fasciste, mentre negli elenchi e nelle
motivazioni del riconoscimento due vengono
presentate come semplici civili... Ci sono
poi le 6 persone ritenute responsabili di
crimini di guerra da parte della
Commissione statale jugoslava per
l'accertamento dei crimini di guerra. Il
caso più noto è quello di Vincenzo
Serrentino... responsabile, in qualità di
componente del Tribunale straordinario per
la Dalmazia, della morte di almeno 18
persone a Sebenico e dintorni... A
Serrentino gli jugoslavi imputarono anche
la responsabilità, proprio nella sua
qualità di “ultimo Prefetto di Zara
italiana”, degli arresti, delle uccisioni,
delle torture e di quant'altro subito
dalla popolazione civile della zona... ci
sono anche diversi appartenenti alle più
famigerate formazioni fasciste: 9 Camicie
Nere, 2 Brigatisti Neri e 1 squadrista
“della prima ora”...
... Fortunato Matiassi (di
Pisino): la stessa motivazione dice che fu
fucilato a Pisino il 4 ottobre dalle
truppe tedesche... Antonio Ruffini
[fu] “impiccato, quale partigiano, dalle
truppe naziste, il 31 marzo 1944 a
Gragarske Ravne (Slovenia)...”.
La celebre frase di Tito "Tuđe
nećemo - svoje ne damo" (Ciò che è
altrui non vogliamo - ciò che è nostro non
diamo), pronunciata sulla riviera dell'isola
di Lissa/Vis il 12 agosto 1944 all'inizio
delle operazioni per la liberazione della
Dalmazia, campeggiava dinanzi al municipio
di Vis su di un monumento che è stato
distrutto dal nuovo regime croato nel 1991.
Di
fronte ad una razza inferiore e barbara come
la slava, non si deve seguire
la politica che dà lo zuccherino, ma quella
del bastone. I confini
dell'Italia devono essere il Brennero, il
Nevoso e le Dinariche:
io credo che si possano sacrificare 500.000
slavi barbari a 50.000
italiani.
(Benito Mussolini a Trieste, 1920)
...
c'erano state, non dimentichiamolo, decine
di migliaia di vittime dell'occupazione
italiana dal 1941 al 1943,
e in quello stesso triste 1943, dal 4 ottobre in
poi, ci furono le vendette dei fascisti.
Che massacrarono 5000 civili e ne fecero
deportare altri 17 mila, con le rappresaglie
del reggimento
«Istria» comandato da Italo Sauro e da
Luigi Papo da Montona, della guardia
nazionale repubblicana (poi milizia
territoriale), della Decima
Mas di Borghese operante con
compagnie agli ordini di nazisti a Fiume,
Pola, Laurana Brioni, Cherso, Portorose, della compagnia
«mazza di ferro», comandata da Graziano
Udovisi, della Brigata
nera femminile «Norma Cossetto»
presso Trieste, della VI
brigata nera Asara e altri reparti.
Si macchiarono di tali crimini che la loro
ferocia fu denunciata persino dal Gauleiter
Rainer, il quale chiese ufficialmente, con un
telegramma al generale Wolff, il ritiro
della Decima Mas dalla Venezia Giulia a fine
gennaio 1945. Nel
documento si parla di «una moltitudine di
crimini, dal saccheggio allo stupro», dalle
stragi di massa agli incendi di interi
villaggi...
(Giacomo
Scotti
su Il Manifesto dell'11 febbraio 2009)
Attualità,
polemiche, iniziative
Nostro
volantino in occasione del presidio
tenuto a Verona l'11/6/2016
contro la proposta di
cittadinanza onoraria per il
golpista ucraino Porošenko: Tosi come Poroshenko
Chi si somiglia si piglia
Nella seduta dello scorso 25
febbraio il consiglio comunale di
Verona ha approvato l’OdG n.205 “Divieto
di concessione spazi pubblici
per attività revisioniste sulle
Foibe”.
L’Odg pone le basi per la
limitazione del diritto di libera
espressione e ricerca storica “ad
associazioni culturali, movimenti
politici o singole persone che
esplicitamente mistificano o
riducono la portata dell’immane
tragedia delle Foibe”. La
disposizione rappresenta un
precedente gravissimo per
l’Italia, ma è del tutto analoga
alle disposizioni che da anni
vengono emanate in Ucraina per
imporre a forza di legge la
narrazione
revisionista-revanscista degli
eventi della Seconda Guerra
Mondiale, criminalizzando i
partigiani e riabilitando i
nazifascisti. I veri
revisionisti amministrano città
e Stati, agli antifascisti e
agli internazionalisti viene
tappata la bocca.
A questa deriva non pongono alcun
argine né le istituzioni italiane
né tantomeno quelle europee, di
fatto impegnate anch’esse nella
revisione della Storia sulla base
della equiparazione tra Comunismo
e Nazifascismo e di una visione
slavofoba, specialmente antirussa,
che ha radici millenarie.
CONTRO IL REVISIONISMO PROMOSSO
DALLA UNIONE EUROPEA
DIFENDIAMO LA MEMORIA DEI PARTIGIANI
SOVIETICI E JUGOSLAVI
NO PASARAN!
Da un commento sul blog di Wu
Ming:
"Qualche mese fa ero alla coop a fare la
spesa, e mi cade l’occhio su un libro
esposto su uno scaffale (alla coop sono
intellettuali, quindi vendono anche i
libri). Si tratta di “Una grande
tragedia dimenticata. La tragedia
delle foibe” (che titolo
originale) di tale Giuseppina
Mellace. Mi colpisce la foto
in copertina. Non è proprio
proprio una foto, sembra piuttosto la
rielaborazione grafica di una foto. Però
cazzo. Quell’immagine mi ricorda
qualcosa, sono sicuro di averla già
vista. E non mi convince. Cerca che ti
cerca, finalmente oggi ho trovato questo.
E ti credo che non mi convinceva! Quella
foto non c’entra niente con le foibe.
Infatti si tratta di tre cetnici che
sgozzano un partigiano comunista a
Belgrado. La foto proviene dagli atti
del processo per collaborazionismo
contro Draža Mihailović nel 1946."
ANCORA POLEMICHE SUL NUMERO DEGLI
“INFOIBATI”: IL
LAPIDARIO DI GORIZIA
(di Claudia Cernigoi, 25 luglio 2014 – da
Diecifebbraio.info, anche su JUGOINFO)
LETTERA
AL PRESIDENTE NAPOLITANO di Miro
Mlinar, Presidente dell’Associazione dei
combattenti per i valori della lotta di
liberazione nazionale (ZDRUŽENJE
BORCEV ZA VREDNOTE NOB) di Cerknica
(Slovenia). Sulle manipolazioni
della fotografia in questione si veda
anche il dossier. Scarica
il pdf
della lettera (29
febbraio 2012)
Falsificazioni
e manipolazioni della documentazione
foto/video per il "Giorno del Ricordo"
IRREDENTIST
ORGANIZATIONS Pubblichiamo un capitolo
del libro di Ive
Mihovilović “Italian expansionist
policy towards Istria, Rijeka, and
Dalmatia (1945-1953) – Documents”
pubblicato dall’Istituto di economia e
politica internazionale di Belgrado
nel 1954 riguardante le
organizzazioni irredentiste italiane.
Il libro è la traduzione in lingua
inglese dell’originale in serbocroato
“Italijanska
ekspanzionistička politika prema
Istri, Rijeci i Dalmaciji
(1945-1953) – Dokumenti” Beograd,
Institut za medunarođnu politiku i
privredu, 1954. SCARICA
IN PDF IL CAPITOLO "IRREDENTIST
ORGANIZATIONS"
Dibattito
sulle dichiarazioni revansciste di
Napolitano e di altri soggetti
istituzionali / iniziative e polemiche
nei partiti comunisti e della sinistra
/ interventi di storici, intellettuali
e studenti / commenti a proposito
della fiction fascista "Il cuore nel
pozzo":
Maria Pasquinelli e
l'apologia del terrorismo Lettera
aperta al Comune di Trieste in
merito alla presentazione del libro su
Maria Pasquinelli (Claudia Cernigoi,
9.2.2013)
Dal volantino:
<< Riportiamo alcuni
nominativi di italiani
riconosciuti quali
“martiri delle foibe”.
- Cossetto Giuseppe,
infoibato nel ’43 a
Treghelizza, possidente,
segretario del fascio a S.
Domenica di Visinada,
capomanipolo MVSN (Milizia
Volontaria Sicurezza
Nazionale, sottoposta
direttamente ai tedeschi),
già squadrista sciarpa
Littorio;
- Morassi Giovanni,
arrestato a Gorizia nel
maggio ’45 e scomparso,
Vicepodestà e Presidente
della Provincia di Gorizia;
- Muiesan Domenico,
ucciso nel ’45 a Trieste,
irredentista, legionario
fiumano, volontario della
guerra d’Africa, squadrista
delle squadre d’azione a
Pirano;
- Nardini Mario,
ucciso nel ’45 a Trieste,
capitano della MDT (Milizia
Difesa Territoriale,
sottoposta direttamente ai
tedeschi), già XI Legione
MACA (milizia fascista
speciale di artiglieria
controaerei);
- Patti Egidio,
ucciso nel ’45, pare
infoibato presso Opicina,
vicebrigadiere del 2°
Reggimento MDT, già MVSN,
GNR (Guardia Nazionale
Repubblicana), squadrista;
- Polonio Balbi
Michele, scomparso
a Fiume il 3 maggio ’45,
sottocapo manipolo del 3°
Reggimento MDT;
- Ponzo Mario,
morto nel ‘45 in prigionia,
colonnello del Genio Navale,
poi inquadrato nel Corpo
Volontari della Libertà del
Comitato di Liberazione
Nazionale (antifascista) di
Trieste, arrestato per
spionaggio sul movimento
partigiano jugoslavo in
favore del fascista
Ispettorato Speciale di PS
(Pubblica Sicurezza,
sottoposta direttamente ai
tedeschi);
- Serrentino
Vincenzo, arrestato
nel maggio ’45 a Trieste,
condannato a morte da
tribunale jugoslavo e
fucilato nel ’47, ultimo
prefetto di Zara italiana,
membro del Tribunale
Speciale della Dalmazia che
comminava condanne a morte
con eccessiva facilità
secondo gli stessi
comandanti militari italiani
(“girava per la Dalmazia, e
dove si fermava le poche ore
strettamente indispensabili
per un frettoloso giudizio,
pronunciava sentenze di
morte; e queste erano
senz’altro eseguite”)...
>>
2010: NON
SANNO NEPPURE DI COSA STANNO
PARLANDO - Il
Presidente dell'ANVGD, Lucio Toth,
attacca Chiamparino per una mostra
basata sulla documentazione
fornita... dall'ANVGD
Sull'eccidio
della malga di Porzûs vedi anche
l'opuscolo-intervista a Mario
Toffanin: INTERVISTA AL
COMANDANTE GIACCA - scarica
l'opuscolo in formato PDF
(5MB)
Operazione
foibe a Trieste. Come si crea una
mistificazione storica: dalla propaganda
nazifascista attraverso la guerra fredda
fino al neoirredentismo (versione
online integrale della edizione 1997 del
libro
di Claudia Cernigoi)
A proposito del
pamphlet «Trattamento
degli italiani da parte Jugoslava dopo l'8
settembre 1943»
Roma
14/2/2011: La fondazione Italia
protagonista e l'Associazione
Nazionale Dalmata presentano
la ristampa anastatica del documento
ufficiale del governo italiano
presentato alla conferenza di pace di
Parigi del 1947 e poi distrutto
CARTOGRAFIA
PER PRINCIPIANTI Per chi
ignora, o vuole ignorare, “la
complessa vicenda del confine
orientale”, una selezione
cartografica, da testi originali,
per valutare l’evoluzione del
confine orientale italiano tra
occupazioni e guerre, con
pubblicazioni sia dell’era fascista
che relative alla guerra di
liberazione nazionale jugoslava...
Predsedniče Napolitano ja se sećam... svega! sećam
se kako su u periodu 1919-1922, fašisti
nasrtali na desetine domova kulture
"inojezičnih" naroda. sećam
se kako su fašisti palili i uništavali
sindikalna sedišta, zemljoradničke
zadruge, redakcije radničkih listova i
štamparije sećam
se kako su napadani, tučeni i ubijani na
desetine "slava" - političkih aktivista
i građana. sećam
se kako je posle puča 1922. godine,
fašističko nasilje postalo "ozakonjeno"
i kako je bilo planirano pravo etničko
čišćenje: zatvaranja slovenačkih i
hrvatskih škola, bezobzirna otpuštanja
sa posla, oduzimanje zemljišta,
zaključno sa prisilnom italijanizacijom
prezimena i naziva mesta sećam
se kako od 1941. godine, kada je
otpočelo italijansko ratovanje po
Jugoslaviji, pa do 1943., nije ostalo ni
jedno jedino selo a da kuće u njemu nisu
spaljene ili sravnjene sa zemljom, sećam
se da se nijednoj jugoslovenskoj
porodici nije desilo da joj jedan ili
više njenih članova, ne budu deportovani
u logore, ili streljani sećam
se kako je suzbijanje narodnog ustanka u
istri, 1943. godine, od strane
naci-fašističke sile, imalo cenu od
13000 mrtvih ili ranjenih žrtava sećam
se da su ti isti nacisti, 1944. godine,
u "foibama"(jamama), našli ne više od
200 leševa koji su se u celini ticali
pripadnika režima; a ne hiljada civila
"bačenih u foibe samo zato što su
italijani", kako naokolo navode
neoiredentisti. sećam
se kako je italijanska okupacija
Jugoslavije imala za posledicu više od
200.000 žrtava sećam
se kako je njih 11606, prvenstveno
starih ljudi i dece, umrlo od gladi i
bolesti u italijanskim koncentracionim
logorima sećam
se da za njih nije uveden nikakav "dan
sećanja", niti je podignut ijedan
spomenik ili dat naziv ulici u znak
sećanja na njih sećam
se kako su ova zbivanja bila odlučujuća
za uklanjanje desetina fašista i
kolaboracionista koji su potom bačeni u
foibe, i kako su uvek i samo ti uzroci
doveli do stvaranja društvenog stanja u
kome je došlo do do preterivanja i
ličnih osveta sećam
se kako je evropa oslobođena prvenstveno
zahvaljući milionima partizana i
komunista sećam se kako je Italija republika
koja je izrasla iz Pokreta otpora i
uzimam sebi slobodu, gospodine
Predsedniče, da i vas na to podsetim
LINK UTILI:
...
10 FEBBRAIO
1947 ANVGD
BASOVIZZA
CAMPI DI
CONCENTRAMENTO
ITALIANI CLN
di Trieste
NORMA COSSETTO
CRIMINALI DI
GUERRA CUORE
NEL POZZO
ESULI FOIBE
GIORNO DEL
RICORDO
MAGAZZINO 18
ONORIFICENZE
AGLI
“INFOIBATI”
PARTIGIANI
ITALIANI IN
JUGOSLAVIA
PARTIGIANI
JUGOSLAVI IN
ITALIA PORZÛS
“RIMASTI”
GRAZIANO
UDOVISI
VERGAROLLA ... Piccolo glossario sul Confine Orientale dal sito www.diecifebbraio.info
Indice: Prefazione di
Roberto Barontini / Premessa / I
- Il confine nord orientale
italiano / Un accenno alla
storiografia / Un confine mobile
/ La situazione delle
nazionalità / II - Il fascismo /
Il fascismo di confine / Il
fascismo antislavo e la
snazionalizzazione: cultura,
ideologia e politica / III - La
persecuzione antislava / Tappe e
strumenti principali / La
proibizione delle lingue slave /
L’italianizzazione di nomi,
cognomi e toponimi / La
liquidazione delle istituzioni
culturali: stampa, scuole,
associazioni / Il problema del
clero slavo / La bonifica etnica
/ Carte / Bibliografia
G. Scotti: numero
speciale de IL PONTE DELLA
LOMBARDIA, febbraio-marzo 1997
G. Scotti: L'urlo
della menzogna. L'infinita e
rancorosa "Giornata del Ricordo",
pp.173-273 del volume:
Confini orientali. Gli
italiani e i Balcani. Ed.
Casa della Resistenza, Verbania
Pol
Vice:
SCAMPATI O NO. I
racconti di chi "uscì vivo" dalla
foiba
Kappa Vu Edizioni, Udine 2005
dello stesso autore: SILENZI
E GRIDA. A PROPOSITO DI
NEOIRREDENTISMO.
Appunti preliminari alla stesura di
"Scampati
e no". Contiene brani
tratti da “FOIBE e FOBIE”, articolo
di GIACOMO SCOTTI su ‘Il Ponte
delle Lombardia”, n. 2,
febbraio/marzo 1997,
riportato dal periodico online
"Storia in network" (www.storiain.net),
numeri 30 e 31;
Ferdinando Gerra: L'IMPRESA DI
FIUME. RIVELAZIONI STORICHE SUL
TRATTATO DI RAPALLO E SULL'ACCORDO
SEGRETO CON IL MONTENEGRO. Voll. I+II
(Longanesi & C., 1975)
Commission
d'Experts pour l'Etude de la
Question de la Frontiere
Italo-Yougoslave: RAPPORT. Paris -
Palais du Luxembourg, 29 avril 1946
(Conseil des Ministres des Affaires
Etrangeres - C.M.A.E. (46) 5 - PDF
sul sito Diecifebbraio.info, 9MB)
Considérations
sur le Mémorandum et sur d'autres
Déclarations des Représentants
Yougoslaves à la Première Session du
Conseil des Ministres des Affaires
Etrangères à Londres en Septembre
1945 (Rome, Mars 1946 - PDF
sul sito Diecifebbraio.info, 5.3MB)
Quando
morì mio padre.DISEGNI
E TESTIMONIANZE DEI BAMBINI DAI
CAMPI DI CONCENTRAMENTO DEL
CONFINE ORIENTALE 1942-1943
(Sala Bolognese, 21 gennaio - 5
febbraio 2012)
<< Il governo italiano guidato dal ministro degli
esteri, il barone Sidney Sonnino,
entrò in guerra, come già accennato, in buona
parte per annettersi Istria, Dalmazia e
Albania. Appare quindi ovvio che le posizioni
del governo italiano sullo jugoslavismo e
l'unificazione jugoslava si dimostrarono
tutt'altro che amichevoli nonostante l'Italia
fosse diventata ufficialmente "alleata" del
regno Serbo.
Fu così che Sonnino, a guerra conclusa,
essendo falliti i suoi tentativi di bloccare
la costituzione del regno jugoslavo, cercò con
ogni mezzo di spezzarlo attraverso un blocco
economico, frenandone il riconoscimento da
parte degli altri governi e non ultimo l'invio
di missioni destabilizzanti.
Vennero avanzate presso i governi alleati
"...proteste jugoslave a
proposito dell'invio da parte
dell'Italia di agenti in Bulgaria per
creare complicazioni con la Serbia e in
questo modo suscitare all'estero
l'impressione che l'occupazione italiana
di Fiume e della Dalmazia era necessaria
per il mantenimento dell'ordine nei
Balcani. Si parlò d'ogni sorta
d'intrighi, di macchinazioni e di
operazioni spionistiche da parte
italiana..."(5).
Non sorprende quindi se [il generale e
vice-comandante dell'esercito Pietro]
Badoglio mise a punto un progetto
di destabilizzazione su tutto il territorio
jugoslavo oltre che nelle zone già occupate
dall'esercito italiano nel momento in cui si
rese conto che tutte le potenze alleate,
sotto la spinta statunitense, avrebbero
riconosciuto e appoggiato il nuovo regno dei
serbi dei croati e degli sloveni proclamato
il 1 dicembre 1918.
Il progetto, allegato ad una lettera in cui
si richiede l'autorizzazione a procedere e
l'accesso ai fondi necessari, viene
recapitata a Sonnino da parte dello stesso
Badoglio il 3 dicembre 1918 (6).
Si tratta di un preciso piano
destabilizzante fondato sulla classicissima
strategia del divide et impera e
poggiante su tutte le forze in campo. Anche
i soldati italiani già presenti su suolo
dalmata, infatti, avrebbero dovuto
contribuire "fraternizzando" con le donne
slave, "...la cui facilità (...) favorirà
relazioni i cui risultati non possono che
essere benefici..." (7).
Il progetto era suddiviso in due zone
d'azione: l'una all'interno dei territori
sotto il controllo italiano, l'altra al di
fuori dei territori occupati. Per questa
seconda zona in particolare era stato
concepito tutto il piano:
"1. E' in preparazione
una numerosa squadra di agenti
intelligentissimi, ben orientati (...)
Già trovato gli individui adatti per
assumere la direzione di quanto si farà
in Slovenia, Croazia, Dalmazia. Spero
tra giorni di avere l'individuo adatto
anche per la Serbia (...)
2. Sto cercando contatto coi due
principali giornali di Lubiana
("Slovenski Narod" e "Slovenec") e coi
tre principali di Zagabria ("Obzor",
"Hrvatska Rijec'", "Novosti") cercando
di compiere su di essi opera di
convinzione .
3. Cercherò contatto diretto cogli
elementi malcontenti del passato regime"
Ma la previsione dei costi aiuterà
sicuramente a comprendere meglio le
dimensioni e la portata del progetto. Da
sottolineare come il clero risulti il
capitolo di spesa più cospicuo:
" - Squadra speciale.
Raggiungerà i 200 agenti divisi in 4
gruppi. Si può preventivare in media una
spesa minima di £ 10000 per agente (2
mesi di lavoro). Totale minimo 2.000.000
di lire.
- Stampa. Si può preventivare una spesa
di £ 150.000 per giornale. Dato che i
più malleabili sono tre soli... una
spesa di 450.000 lire.
- Clero. Lire 3.500.000 mila.
- Dirigenti ex regime. ...Da 2 a 500.000
lire.
- Nota. Risulta già a me (...) che la
propaganda unionista fatta dalla Francia
é accompagnata da larghissimi mezzi.
Questo spiega il numero di agenti ch'io
intendo prendere"
Sei giorni dopo aver ricevuto questa lettera,
Sonnino approvò il progetto.
L'obiettivo di Badoglio e Sonnino era chiaro:
volevano tentare in tutti i modi di fare
esplodere il neonato regno jugoslavo. >>
NOTE citate nel testo:
5 Ivo J. Lederer,
La Jugoslavia dalla conferenza di
pace al trattato di Rapallo, Il
Saggiatore, Milano 1966,
pag.82.
6 Badoglio a Sonnino, 3
dicembre 1918, n.90 Riservatissima
personale, Arch. gab.3687 (12/09/1918),
ASME, Roma.
7 Inutile
specificare il genere di risultati. Ciò
comunque dimostra come il così detto
"stupro etnico" riscoperto dalla stampa
di oggi con grande scalpore non abbia
certo come ultimo riferimento storico il
medioevo.
Sull'irredentismo
di Gianfranco Fini
L'8 novembre 1992
Gianfranco
Fini, segretario del partito
neofascista MSI-DN, veniva
ritratto al fianco di Roberto
Menia (allora segretario della
federazione MSI-DN di Trieste, noto
per le spedizioni in Carso con i
suoi camerati a demolire i monumenti
ai partigiani a colpi di piccozza),
al largo dell'Istria, nell'atto
di lanciare in mare bottiglie
tricolori recanti il seguente
testo:
<<
Istria,
Fiume, Dalmazia: Italia!... Un ingiusto
confine separa l'Italia dall'Istria,
da Fiume, dalla Dalmazia, terre
romane, venete, italiche. La Yugoslavia
[con la Y, sic] muore dilaniata
dalla guerra: gli ingiusti e
vergognosi trattati di pace del 1947
e di Osimo del 1975 oggi non
valgono piu'... E' anche il
nostro giuramento: "Istria,
Fiume, Dalmazia: ritorneremo!"
>>
Aggiornamento
21 febbraio 2009: Gianfranco Fini, oramai
Presidente della Camera dei Deputati, cioè
terza carica dello Stato italiano,
all'inaugurazione del monumento aNorma
Cossetto afferma: "Nostra intenzione è riportare in
terra d'Istria non il tricolore di Stato, ma
il dialetto, la memoria patria, la cultura,
senza spirito aggressivo (...)
ricordando però che l'Istria è terra veneta,
romana, dunque italiana." "Occorre (...) combattere quelle
piccole ma rumorose sacche di negazionismo o
comunque di revisionismo che continuano a
esserci, in uno spirito che deve essere
quello della verità storica." (fonte: il
Piccolo del 22/02/2009, prima pagina, e
ANSA)
Aggiornamento
21 settembre 2010:
<< Non a caso è stata scelta la data del
21 settembre per la visita di Fini a Zagabria
e Pola. Il
21 settembre del 1920, dunque 90 anni fa,
Benito Mussolini arrivò a Pola con i
suoi fascisti di Milano e Trieste. Tenne un
discorso al teatro "Politeama Ciscutti", pieno
di odio verso la popolazione slava. Quando
uscì dal teatro un lavoratore gli si avvicinò
dandogli due ceffoni e poi scappò. Di questo
evento gli storici italiani non hanno scritto
mai nulla.
Mussolini si vendicò. Il 23 e il 24 settembre
seguenti, i fascisti bruciarono la Camera
degli operai e la sede dei Club
internazionali, e devastarono la tipografia
del giornale "Il proletario".
L'indomani, nel corso degli scontri con i
fascisti, fu gravemente ferito un carabiniere.
Molti operai furono arrestati e poi
rilasciati. Due operai furono condannati:
Josip Vukic, croato, nato a Spalato (a 15 anni
di carcere) ed Edoardo Fragiacomo, italiano,
nato a Pola (a tre anni). >>
[Il testo che abbiamo sopra riportato
accompagna l'articolo-intervista: "Tomislav
Ravnic: Fini nije poželjan u Puli i Istri"
(Tomislav Ravnic, presidente dell' Unione
dei combattenti antifascisti per l 'Istria:
Fini e' indesiderato a Pola e in Istria"), a
cura di Armando Cernjul, pubblicato sul sito
http://www.parentium.com
.]
Recensione di
"Operazione foibe: fra storia e mito"
di Wu Ming
(tratto da:www.wumingfoundation.com)
Claudia
Cernigoi, Operazione "Foibe" tra storia e
mito, Kappa Vu, Udine 2005, pagg. 300,
euro 16,00
http://www.resistenzastorica.it,
http://www.kappavu.it, info@kappavu.it
Un libro fon-da-men-ta-le, che deve circolare,
che va diffuso con ogni mezzo necessario e letto
dal maggior numero di persone possibile. La
lettura spalanca il mondo davanti agli occhi.
Questo saggio è uno strumento di lotta, è
un'ascia di guerra dissepolta, alfine.
Claudia Cernigoi, dopo anni di ricerche, ha
riscritto e ampliato la sua opera del '97,
Operazione "Foibe" a Trieste. Ora il libro parla
anche dell'Istria e si chiama Operazione "Foibe"
tra storia e mito, lo ha pubblicato la Kappa Vu
di Udine nella collana "Resistenza storica".
Trecento pagine fitte e documentatissime, costa
sedici euro e sono ben spesi. Mooolto ben spesi.
Cernigoi ha passato a pettine tutti gli archivi
consultabili di qua e di là del confine. Il suo
libro smantella con rara e lucida spietatezza le
dicerie, le falsificazioni, le leggende
contemporanee e le buffonate che, modellate
dalla propaganda nazionalista sul confine
orientale, si sono fatte strada nell'opinione
pubblica senza mai essere messe in questione,
fino a spingere il Parlamento a istituire una
giornata commemorativa. Nel mentre, si è
realizzata una fiction campionessa d'ascolti
basandosi su fandonie che i vari "foibologi"
hanno preso di pacca da Questo è il conto!,
opuscolo in lingua italiana diffuso dai nazisti
sul Litorale Adriatico, subito dopo i venti
giorni del "potere popolare", nel 1943.
Operazione "Foibe" tra storia e mito deve
diventare IL testo di riferimento per chi voglia
occuparsi di "foibe" in modo scientifico, e non
sto parlando di geologi.
Cernigoi dimostra che le liste degli "infoibati"
sono state oggetto di pesanti manipolazioni. In
quegli elenchi, gli pseudo-storici delle "foibe"
(molti dei quali neofascisti: chi proveniente da
"Ordine Nuovo", chi coinvolto nel golpe Borghese
etc.) hanno infilato tutti i dispersi, compresa
gente che nel frattempo era tornata a casa, non
con le gambe in avanti o dentro un'urna bensì
viva e vegeta. I "foibologi" hanno aggiunto
anche i nominativi di partigiani e civili uccisi
dai nazifascisti. Come spiega molto bene
l'autrice, l'infoibamento fu teorizzato,
evocato, minacciato dal nazionalismo italiano
fin dall'inizio del secolo, per esser poi messo
in pratica durante l'occupazione nazifascista.
Va aggiunto che molti nomi di "infoibati" sono
doppi o addirittura tripli, sovente la stessa
persona figura "infoibata" in posti diversi, e
in un caso tre nominativi di presunti
"infoibatori" (Malvagi Partigiani
Slavo-Comunisti) figurano pure nella lista dei
relativi "infoibati"! Della serie: se la cantano
e se la ridono.
Una lista in particolare, quella degli
"infoibati" (in realtò comprensiva di tutti i
dispersi) della provincia di Trieste, dopo
attento esame registra una percentuale d'errore
superiore al 65%. Su 1458 nomi, ben 961 si
rivelano sbagliati!
Tutti gli altri caduti (e nemmeno questi furono
tutti "infoibati") erano torturatori della
Milizia di Difesa Territoriale o della X Mas,
massacratori vari, collaborazionisti, delatori,
etc. Di molti di costoro Cernigoi fornisce il
cursus honorum, ricavato da documenti e fonti
d'epoca. A conti fatti, viene smentita la
propaganda sugli ammazzati "solo perché
italiani". I motivi erano ben altri. Il
"feeling" non era antitaliano, ma antifascista.
Quanto alla soppressione del CLN di Trieste da
parte dei "titini", spesso citata come esempio
di politica fratricida tra nemici del fascismo,
Cernigoi spiega in modo chiaro che - a causa
della repressione tedesca - in città si
susseguirono ben tre CLN, molto diversi l'uno
dall'altro, l'ultimo dei quali composto da
loschi figuri di destra, anche ex-X Mas. Col
paravento dell'antifascismo, costoro cercavano
addirittura alleanze con residui del regime
fascista in funzione nazionalista e anti-slava,
inoltre preparavano - e in alcuni casi
eseguirono - attentati e azioni armate contro i
partigiani di Tito. Risulta abbastanza normale
che questi ultimi abbiano deciso di arrestarli,
portarli a Lubiana e colà processarli.
Per quanto riguarda i finti "infoibati", è
particolarmente buffo (si fa per dire) il caso
di Remigio Rebez, "il boia di Palmanova",
tenente della X Mas e feroce torturatore.
Condannato a morte dopo la Liberazione, gode
dell'amnistia di Togliatti (o meglio, della sua
interpretazione estensiva da parte dei
magistrati) e si trasferisce a Napoli, dove
muore addirittura nel 1996. La stampa triestina
dà notizia del suo decesso, gli dedica distici
elegiaci, ma si guarda bene dal dire ai lettori
che il suo nome figura sulle liste degli
"infoibati" fornite da vari storici di destra
come Papo, Pirina etc.
Un altro esempio di chi e cosa si possa trovare
in quegli elenchi: viene presentato come
"vittima degli slavi" tale Eugenio Serbo,
"capitano 57° Rgt. Art. Div., rimpatriato dalla
Germania fu catturato dagli Slavi e deportato
nei pressi di Lubiana; risulta deceduto il
14/12/44 a Leitmeritz".
Lapidaria, Cernigoi: "Leitmeritz è però il nome
tedesco di Litomerice, cittadina che si trova
nell'attuale Repubblica Ceca nei pressi di
Terezin, praticamente a metà strada tra Praga e
Dresda. Ci pare difficile che i non meglio
identificato 'Slavi' nominati da Papo siano
riusciti a deportare il capitano Serbo a Lubiana
e farlo morire nel 1944 in un lager tedesco".
Anche soffiando e gonfiando e gonfiandosi, come
la rana che vuol competere col bue, i
"foibologi" non sono mai riusciti a presentare
elenchi plausibili. L'ammontare complessivo
delle "vittime" non superebbe le 500 persone tra
Venezia Giulia e Litorale Adriatico. Il resto
("decine di migliaia di vittime" etc.) è
fantasy, non c'è nessun riscontro documentale.
L'anno scorso il ministro Gasparri parlò
addirittura di "milioni di infoibati", ma la
verità è che siamo ben lontani da quel
"genocidio per mano rossa" cercato disperamente
dalla destra per contrapporlo alla Shoah e poter
ricorrere al "benaltrismo" ogni volta che si
parla di leggi razziali, Salò, stragi etc.
Cernigoi non nega che vi siano state vendette
personali ma, ricostruendo il contesto e
riportando alla luce materiali d'archivio,
dimostra che si trattò di azioni individuali e
sporadiche, non certo di una politica di
sterminio o "pulizia etnica" da parte dei
partigiani jugoslavi.
Altre truffe sono i resoconti degli scavi
avvenuti nel dopoguerra, a opera di società
speleologiche che stavano alla destra fascista
come il negozio di fiori sta al Gruppo TNT. Più
ci si allontana nel tempo, più si moltiplicano i
morti trovati nella data foiba. Se, putacaso,
nel '46 erano otto, si può star sicuri che oggi
si dice che erano ottanta, e così via. La stessa
foiba di Basovizza, divenuta monumento nazionale
e frequente location di picchetti e
commemorazioni, è più un oggetto di propaganda
che di seri studi storici. Non è stato
dimostrato in alcun modo che in fondo a quella
cavità carsica sia finito "un numero rilevante
di vittime, civili e militari, in maggioranza
italiani, uccisi ed ivi fatti precipitare". Alla
sola Basovizza, Cernigoi dedica un capitolo che
pare la messa in scena di una lunga, macabra
pochade.
La "tragedia delle foibe" è una truffa
ideologica, e la cosa peggiore è che studiosi
come Cernigoi e Sandi Volk (autore di un altro
saggio importante e recensituro, Esuli a
Trieste. Bonifica nazionale e rafforzamento
dell'italianità sul confine orientale, Kappa Vu,
2005) sono praticamente i soli a confutarla con
gli strumenti della storiografia. La propaganda
di destra viene accettata a cresta bassa anche a
"sinistra", Bertinotti compreso. Tutt'al più si
tratteggia vagamente il contesto, si fanno dei
distinguo, gli eredi del PCI se ne chiamano
fuori dicendo "Noi coi titini non c'entriamo
niente" etc.
Invece andrebbe smantellato tutto, ma proprio
tutto, e senza alcun indugio.
Il libro si può acquistare on line, sul sito
della casa editrice, http://www.kappavu.it
Tratto da:
www.wumingfoundation.it
http://www.fgci.it/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=56
Il 10
febbraio si è celebrato il giorno del
ricordo. No, non quello della memoria (anche
se i due lemmi potrebbero sembrare, ai più
sprovveduti tra i lettori, comuni sinonimi);
quello c'era già. Ma è una memoria che appartiene agli
altri. Tutti gli altri: gli ebrei, gli
zingari, gli omosessuali, i comunisti, i
preti rossi, i partigiani... Un giorno che
ogni 27 gennaio ritorna con il suo corredo
dejavu di filo spinato, stivali,
vagoni piombati, divise a strisce e
numeri tatuati sul braccio. Suggestioni
belle e pronte, già divenute immaginario
collettivo, tanto da agevolare migliaia di
chilometri di pellicole, documentari, drammi
con effetti speciali alla Steven Spielberg.
Senza contare poi che quella giornata la si
celebra in virtù dell'Armata Rossa, che come
tutti ben sanno fu il braccio militare
dell'Impero del Male. Furono i ragazzi del
generale Zukov infatti ad aprire i
cancelli dei campi. No. Si
sentiva proprio il bisogno di qualcosa di
diverso, di "italiano". Di esclusivamente
italiano, di "nostro", insomma, qualcosa da
contrapporre alla memoria degli altri. In
fondo Auschwitz non è un monumento che ci
appartiene. Non del tutto, almeno. Come non
ci appartiene San Saba, quel bubbone così
politicamente scorretto che deturpa nel
cuore della Trieste riguadagnata all'Italia
il mito degli "italiani brava gente". Meglio
dunque seguire il consiglio del poeta
Carolus Cernigoy, che rivolgendo il pensiero
proprio alla Risera chiedeva ironico ai
triestini: "Su femo i bravi. / In fondo xe
un brusar / ebrei e sciavi." Gli altri,
appunto. Coloro che ben prima delle leggi
razziali varate nel 1938 si videro negare i
diritti più elementari di uomini e
cittadini. Chissà se pensieri simili a
questi hanno mosso il ministro Maurizio
Gasparri quando ha patrocinato, voluto,
richiesto l'istituzione di una "giornata
del ricordo", ispirato dalla "ferma
volontà" di un deputato di Alleanza
Nazionale, l'italianissimo e
triestinissimo Roberto Menia, "un autentico
patriota che ha voluto con forza questo
gesto di riparazione che il Parlamento ha
condiviso e che finalmente ricolloca nella
memoria collettiva pagine di storia a lungo
rimosse", come lo stesso onorevole ha
recentemente sottolineato sulle colonne del
"Secolo d'Italia". Il ricordo delle foibe,
dell'esodo di migliaia di istriani, fiumani
e dalmati ha perfettamente soddisfatto alla
bisogna. Era già pronto. Quale altra pagina
di storia avrebbe mai potuto coniugare
meglio tante ossessioni così care alla
Destra come il comunismo, l'orda slava,
l'amor di Patria che si spinge fino
all'eroico martirio, il sacrificio
dell'italianità e la subliminale (?)
convinzione che in fondo in fondo il
Fascismo ha pur sempre rappresentato (pur
con i suoi errori e le sue manchevolezze) la
luce dell'italica virtù contro la barbarie
dello straniero, e dello straniero slavo e
comunista in particolare ! Lo
sosteneva anche l'irredentista Ruggero
Timeus Fauro, in anni non sospetti (tra
il 1911 e il 1915), spiegando che "la
lotta nazionale è una fatalità che non può
avere il suo compimento se non nella
sparizione completa di una delle due razze che si
combattono.Se una volta avremo la fortuna
che il governo sia quello della patria
italiana, faremo presto a sbarazzarci di
tutti questi bifolchi sloveni e
croati"! E la fortuna l'hanno avuta.
Esercitandola per più di
vent'anni. Comunque ora l'occasione è
finalmente arrivata. Anche noi italiani
abbiamo la nostra giornata del ricordo,
guadagnandoci finalmente il posto tra
le vittime degli eccidi. Peccato che sia un
ricordo senza memoria. Se di ricordo si deve
parlare infatti, perché non ricodare tutto,
fino in fondo, senza paura? Davanti ai
"martiri delle foibe", in cui la follia
nazionalista fece cadere molti innocenti, si
rievochi anche l'incendio del Narodni Dom di
Trieste, nel 1920, o la strage di
Strunjan-Strugnano, del 1921, quando i
fascisti, tra Isola e Pirano, spararono da
un treno in corsa su di un gruppo di bambini
intenti a giocare, uccidendone due,
ferendone gravemente altri cinque. Si
ricordi l'allontanamento forzato dagli
uffici pubblici di tutti i dipendenti di
etnia slovena e croata in virtù delle leggi
speciali per la difesa dello Stato, varate
nel 1926. Non si dimentichino le umiliazioni
subite da coloro che dovettero cambiare
nome, che non poterono più parlare la loro
lingua, che videro violentata
l'identita dei loro paesi, in nome dello
svettante tricolore. Ricordiamo anche le
deportazioni di massa di civili nei campi
fascisti di Rab-Arbe in Dalmazia o di
Gonars, nella pianura friulana. Furono in
tanti a non tornare più a casa. Sull'orlo
delle foibe dovremmo avere il coraggio di
chiamare per nome, uno ad uno, tutti gli
11606 internati croati e sloveni, tra cui
moltissime donne e bambini, morti nei
lager italiani tra il 1941 e il 1943. La
verità, tutta la verità, soltanto la verità
potrà onorare la Storia. Ma forse il problema è un
altro, e ben lontana dalla verità è la
motivazione che sta alla base di
questa "giornata". Perché in fondo tutti
questi non sono i "nostri" morti. Sono
i morti degli "altri" e la loro memoria non
ci appartiene. Il 10 febbraio, da ieri, è
un'esclusiva squisitamente italiana. Parola
di Gasparri. E con parere quasi unanime di
tutto il Parlamento italiano. A chi dunque
il ricordo ? A noi !
(Angelo Floramo)
Intervista a
Claudia Cernigoi, autrice del libro:
Operazione foibe: tra storia e mito
Claudia Cernigoi è nata a Trieste nel 1959.
Giornalista pubblicista dal 1981, ha
collaborato alle prime radio libere triestine
e oggi dirige il periodico "la Nuova Alabarda"
Ha iniziato ad occuparsi di storia della
seconda guerra mondiale nel 1996, e nel 1997
ha pubblicato per la Kappa Vu il suo primo
studio sulle foibe, Operazione foibe a
Trieste. In seguito ha curato una serie di
dossier (pubblicati come supplemento alla
"Nuova Alabarda") su argomenti storici
riguardanti la seconda guerra mondiale e sulla
strategia della tensione. Nel 2002, assieme al
veneziano Mario Coglitore, ha pubblicato La
memoria tradita, sull'evoluzione del
fascismo nel dopoguerra (ed. Zeroincondotta di
Milano). Esce proprio in questi giorni
"Operazione Foibe. Tra storia e mito", edito
dalla Kappa Vu dell'editrice Alessandra
Kersevan. La monografia, ricchissima di
documentazione, è stata presentata a Trieste
lo scorso 7 febbraio.
La memoria lottizzata. In epoca di
revisionismi, riletture,
decontestualizzazioni, sembra proprio che il
dibattito gridato diventi l'unica possibilità
di intervento. Ma chi di storia si occupa
lascia che siano i documenti a parlare,
tacitando gli umori e gli isterismi di ogni
colore. "Operazione Foibe", con i suoi ricchi
apparati documentari, si prefigge questo
scopo. E'una ricerca che l'ha impegnata per
oltre sette anni, sette anni di meticolose
indagini seguite a una prima edizione, già di
per sé estremamente ricca e stimolante. Qual è
stata la motivazione che l'ha spinta (ogni
storico ne ha una!) e cosa ne è emerso ?
Chi non vive a Trieste non può
conoscere il clima che si respira in questa
città che il poeta (triestino) Umberto Saba
definì "la più fascista d'Italia". Quindi devo spiegare che da noi le
campagne stampa o campagne politiche sulla "questione foibe" sono più o
meno cicliche. Tanto per fare un paio di esempi: una campagna si sviluppò a
metà anni Settanta, per fare da contraltare all'istruttoria e poi
al processo in corso per i crimini della Risiera di San Saba. In altri
periodi per contrastare le mobilitazioni per la legge di
tutela degli Sloveni in Italia. Otto anni
fa, quando per la prima volta ho iniziato ad
occuparmi seriamente di "foibe", era il momento in cui era iniziata una nuova
campagna, questa volta in parte come "risposta" di destra al processo
Priebke ed in parte, a mio parere, perché dopo lo sfascio della Jugoslavia
c'era chi aveva interesse in Italia a destabilizzare ulteriormente
Slovenia e Croazia che non vivevano una situazione proprio tranquilla, a
scopo neoirredentista. Il fatto nuovo, all'epoca, fu che da polemiche politiche si
era passati ad un più alto livello di scontro, se mi si passa
l'espressione: cioè era iniziata
un'inchiesta giudiziaria per
i cosiddetti "crimini delle foibe", e questa
inchiesta stava coinvolgendo ex partigiani che
avevano ormai raggiunto una certa età, ed a questo punto decisi che era il
caso di fissare dei paletti in merito ai presunti "crimini delle foibe",
dato che non mi sembrava giusto che quelli che all'epoca, non conoscendoli,
mi venne da definire "poveri vecchietti" (e voglio subito dire che i "poveri
vecchietti" che ho conosciuto in seguito a queste mie ricerche erano tutti
anziani sì, logicamente, ma pieni di energie e di voglia di fare) dovessero
venire messi sotto giudizio sulla base di inesistenti prove storiografiche,
come i libri di Marco Pirina e di Luigi Papo. Così presi in mano sia i
libri di Pirina, sia gli studi sugli "scomparsi da Trieste per mano
titina" (sia chiaro che certe terminologie non mi appartengono, ma le riporto
perché questa, purtroppo, è la vulgata vigente), per cercare di capire
l'entità reale del fenomeno "foibe". In base a questo è nato il primo
"Operazione foibe", che aveva come scopo essenzialmente spiegare che gli
"infoibati" non erano migliaia, né molte centinaia, nonostante quello che
si diceva da cinquant'anni. Per esempio, da Trieste nel periodo di
amministrazione jugoslava (maggio 1945), scomparvero perché arrestati dalle autorità, o
perché morti nei campi di internamento per militari, o ancora per
vendette personali, circa 500 persone, e non
le 1458 indicate da Pirina, che aveva
inserito tra gli "infoibati" anche persone ancora viventi oppure
partigiani uccisi dai nazifascisti.
"Tra storia e mito". E' il significativo
sottotitolo del suo libro. A sessant'anni di
distanza sembra ancora molto difficile
separare le due cose, o perlomeno impedire che
si influenzino a vicenda. E' facile per
chiunque voglia stravolgere i fatti vestire la
storia con i panni del mito. Il recente
dibattito stimolato dal discusso film in
uscita per Rai Fiction: "Il cuore nel pozzo",
ne è la più evidente dimostrazione. E proprio
questa incerta lettura intorbida la memoria e
agevola ogni possibile strumentalizzazione
politica. Accade ancora per Porzus, accade per
le foibe e per molte altre tragedie del
Novecento. Perché ? E' forse colpa della
controversa realtà di confine? O qui da noi la
storia indugia, stenta a passare... e quindi
diventa facile occasione di attualizzazione,
veicolandola nei labirinti del dibattito
politico?
Sulla questione delle foibe non è
mai stata fatta veramente ricerca storica. Altrimenti, come prima cosa, non
si parlerebbe di una "questione foibe", perché le persone che veramente
sono morte per essere state gettate nelle foibe istriane o carsiche sono
pochissime, rispetto non solo alle migliaia di morti (sempre per parlare del
territorio della cosiddetta "Venezia Giulia", cioè le vecchie
province di Trieste, Gorizia, l'Istria e Fiume) di quella enorme carneficina che fu
la seconda guerra mondiale, ma degli stessi morti per mano partigiana. Voglio
ricordare che la maggioranza di questi fatti si riferiscono a cose
accadute in periodo di guerra: ad esempio i circa 400 "infoibati" che furono
uccisi nell'Istria del dopo armistizio (settembre '43), non possono che
essere inseriti in un contesto di guerra. Però è da rilevare che mentre tutti
(storici e mass media, oltre a politicanti e propagandisti) si
sconvolgono all'idea di questi 400 morti, non battono ciglio di fronte alla
notizia storicamente dimostrata che il ripristinato "ordine nazifascista"
in Istria nell'ottobre '43 causò migliaia di morti, deportati nei lager,
paesi bruciati e rasi al suolo e violenze di ogni tipo. È come se ci fossero,
secondo certa storiografia, istriani di serie A e istriani di serie B,
cioè rispettivamente quelli di etnia italiana, la cui morte deve
destare orrore e scandalo, mentre per gli altri, quelli di etnia croata o slovena,
sembra essere stata una cosa "normale" che siano stati colpiti dalla
repressione nazifascista.
Al contrario uno dei pregi della sua ricerca è
proprio la "contestualizzazione dei fatti",
dalla quale è impensabile prescindere per
tentare almeno di capire il fenomeno nella sua
complessità. Come vanno contestualizzate le
foibe? Qual è la chiave per comprenderne i
significati storici, sociali... forse anche
antropologici?
Ho già accennato al fatto che le
foibe sono diventate appunto un
"mito", in quanto il
fenomeno in realtà è un "non fenomeno" che è
diventato tale a suon di propaganda. Che questa
propaganda sia stata sviluppata esclusivamente su fatti concernenti il confine
orientale (ricordiamo che in Francia, dopo la liberazione, ci
furono delle vendette contro gli italiani,
già occupatori, che erano stati fatti prigionieri,
però nessuno in Italia ha mai detto niente su questi episodi) ha
secondo me diversi significati. Il primo
è che i vari governi italiani
succedutisi negli anni (dalle guerre di indipendenza del Risorgimento, per intenderci)
hanno sempre tentato l'espansione ad est, quindi il fatto di avere perso,
dopo la fine della guerra, un bel pezzo di territorio
orientale ha significato una grossa
frustrazione per i nazionalisti. Inoltre ha pesato il
fatto che qui i vincitori erano non un esercito
considerato regolare e di una potenza come
potevano essere Gran Bretagna o Stati Uniti, ma si
trattava di un esercito popolare, partigiano, comunista, e composto da popoli
"slavi", considerati "inferiori" dal nazionalfascismo italiano. Quindi
nella frustrazione per la perdita della guerra vanno qui inserite anche le
componenti anticomuniste ed antislave. Grave mi è sembrato però leggere
l'Unità (non il Secolo d'Italia o Libero!) che (cito) parla di "odio degli
slavi verso gli italiani", generalizzando un concetto inesistente con
connotazioni oserei dire razziste. Come si
può attaccare la destra
xenofoba quando se la prende con gli
immigrati e poi esprimersi in questi termini? Quanto alla "contestualizzazione",
vorrei dire che è impossibile fare un'analisi unica di un fenomeno che non è un
fenomeno. Parliamo degli scomparsi da Trieste? Un centinaio di essi sono
stati condotti a Lubiana e probabilmente fucilati dopo essere stati
processati come criminali di guerra; centocinquanta o duecento sono
forse i morti nei campi di internamento per militari; una
cinquantina le vittime recuperate da varie
foibe e per le quali si ricostruì che erano state
uccise in regolamenti di conti e vendette. Però diciotto di questi
"infoibati" erano stati uccisi da un gruppo di criminali comuni che si
erano infiltrati tra i partigiani. Come si può contestualizzare una simile
varietà di cause di morte? Ecco perché secondo me non si può parlare di
"fenomeno" foibe. Quanto ad un'altra vulgata che va attualmente per la
maggiore, cioè che si trattò di repressione politica contro chi
poteva creare dei problemi all'instaurazione di un nuovo stato comunista,
secondo il mio parere se fosse stato questo il motivo delle eliminazioni, non
sarebbero state uccise così poche persone. Forse posso sembrare cinica mentre
lo dico, voglio chiarire che la mia è solo un'analisi storico-politica,
non intendo mancare di rispetto a nessuno. Ma teniamo presente che a Trieste
gli squadristi della prima ora, quelli che avevano la qualifica di "sciarpa
littoria" e veterani della marcia su Roma erano più di 400; 600 membri
contava l'Ispettorato speciale di PS (una struttura antiguerriglia che
lavorava come squadrone della morte in funzione repressiva antipartigiana), e non
contiamo poi le Brigate Nere, la Polizia non politica, la Milizia
territoriale. i funzionari del Fascio che rimasero al proprio posto. Se si fosse
voluto fare un "repulisti" politico, gli uccisi sarebbero stati dieci volte
tanto, ritengo.
"Su questa tragedia c'è stato un colpevole
silenzio della sinistra che dev'essere
rimosso". Sono le parole dell'onorevole
WalterVeltroni, sindaco di Roma, pronunciate
durante la sua recente visita alla foiba
di Basovizza. Come le interpreta ?
Tenendo anche conto del fatto che tale
silenzio (che non ha riguardato la solo
sinistra, in verità) ha anche permesso alle
destre di classificare ideologicamente tutti i
partigiani sloveni e croati (e non solo loro)
come infoibatori, permettendo anche di
rimuovere dalle coscienze degli italiani il
clima politico e culturale che per vent'anni
il regime fascista ha imposto a quelle terre,
perpetrando violenze fisiche e psicologiche di
estrema gravità !
Io sono dell'opinione che, ammesso
e non concesso che di foibe non si sia mai parlato
prima (cosa che non è vera, visto che di
libri - non solo di propaganda disinformativi, ma
anche seri come il primo studio di Roberto Spazzali, "Foibe un dibattito
ancora aperto", uscito nel 1992 - ne sono usciti molti), questo fatto non
può giustificare in alcun modo che adesso se ne parli senza cognizione di
causa, ma solo riprendendo le vecchie
notizie della propaganda nazifascista,
senza un minimo di senso critico.
Quanto ai crimini commessi
dall'Italia fascista, coloniale e
imperialista, in Africa come nei Balcani, fino a Grecia ed
Albania durante la guerra, su di essi sì è calato un pesante silenzio, una
censura totale, al punto che il buon documentario di Michael Palumbo,
"Fascist legacy" sui crimini di guerra italiani (e su come i criminali se
la sono cavata senza problemi) è stato "infoibato" dalla RAI che non ha
la minima intenzione di mandarlo in onda, dopo averlo acquisito. Però la RAI
finanzia sceneggiati televisivi di disinformazione sulle foibe:
questo dovrebbe essere un motivo di scandalo, non tanto che Gasparri promuova il
filmato che lui stesso ha ispirato un paio di anni fa.
Restiamo in tema. Quando l'onorevole Veltroni
ha deposto la rituale corona d'alloro anche ai
piedi del monumento che ricorda la fucilazione
di cinque sloveni fucilati per ordine del
Tribunale Speciale Fascista, ha suscitato lo
sdegno di Roberto Menia il quale ha affermato
che "mentre non vi e' nulla da dire per
cio' che riguarda le tappe di Veltroni alla
Foiba di Basovizza e alla Risiera, anche
se fatte con qualche decennio di ritardo, e'
evidente che non possono essere eletti a
martiri di una italianita' cattiva nel 1930,
coloro che erano dei terroristi macchiatisi di
reati di sangue e di omicidi. Questi non
possono essere contrabbandati per martiri ed
e' evidente che Veltroni sbaglia ed e'
sbagliata questa ricostruzione che e' la
ricostruzione che vuol fare la sinistra". Una
ulteriore dimostrazione di quanto
abbiamo detto fin'ora ?
È un dato di fatto che i martiri di
Basovizza siano stati fucilati dopo una sentenza di un
Tribunale speciale di uno stato non
democratico. Quindi prima di accettare acriticamente la
sentenza di questo Tribunale che li definiva "terroristi", io quantomeno
pretenderei, in democrazia, un nuovo processo, per determinare quali fossero
effettivamente le loro responsabilità concrete. Ma a prescindere da
questo, resta il fatto che la loro lotta era contro un regime
dittatoriale che, spero, nessun democratico
di oggi intende avallare come legittimo. Quindi
che loro fossero o no "terroristi", secondo me non ha la minima importanza da
un punto di vista storico. Erano degli antifascisti che lottavano contro
la dittatura: tutto qui. In Germania nessuno avrebbe il coraggio di
chiamare "terroristi" gli attivisti della Rosa bianca o Canaris che attentò,
senza successo a Hitler. In altri tempi, il tirannicidio era cosa
considerata corretta, in fin dei conti.
Alessandra Kersevan, il suo editore, ha
affermato di essere consapevole che i
risultati della ricerca non basteranno a
tacitare la propaganda antipartigiana che
continua con toni sempre più violenti, anche
da parte di alcuni autori ritenuti fino
a qualche tempo fa vicini alle tematiche della
Resistenza. L'auspicio è tuttavia che serva
acciocchè si affrontino tali tematiche con il
dovuto rispetto storiografico, tenendo conto
della documentazione presentata . E' in fondo
questo il valore civile della Storia, non le
pare?
...A
mia volta vi segnalo un articolo trovato
in rete (Osservatorio Balcani, moderati
dell'Ulivo). A parte l'informazione sulla
foiba di Basovizza (i documenti
angloamericani testimoniano che non vi
furono infoibati neppure i centinaia di
cui parla Scotti, come si dimostra nel
nuovo libro di Claudia Cernigoi), il resto
è molto interessante... Alessandra
Kersevan
La memoria
delle foibe in Istria: intervista a
Giacomo Scotti
10.02.2005
scrive
Andrea Rossini Un clima di
nazionalismo insopportabile sta inquinando i
rapporti tra Italiani, Croati e Sloveni.
Giacomo Scotti, giornalista e scrittore di
Fiume/Rijeka, racconta il clima di questi
giorni e nella propria analisi
contestualizza i fatti storici per i quali
oggi in Italia si celebra il giorno del
ricordo. Pubblichiamo ampi stralci
dell’intervista realizzata in collaborazione
con Radio Onda d’Urto
Osservatorio
sui Balcani: Cosa furono le foibe e quante
furono le vittime delle violenze avvenute
tra il ’43 e il ’47 a Trieste, in Istria e
Dalmazia?
Giacomo Scotti: Oggi il termine di infoibati
viene esteso a tutti quindi anche alle
persone che furono catturate in combattimento
negli ultimi mesi della seconda guerra
mondiale, per esempio i repubblichini della
Repubblica di Salò che operavano in Istria al
servizio della Gestapo e dei nazisti, o in
generale i caduti italiani negli scontri con i
partigiani nel territorio dell’ex Venezia
Giulia, quindi Istria e Quarnero. Qualche
centinaio di loro morì di stenti, o di
malattie nei campi di prigionia nei dintorni
di Ljubljana, e anche questi vengono messi tra
gli infoibati. I veri infoibati che sono stati
fucilati e i cui corpi sono stati gettati
nelle foibe sono verosimilmente alcune
centinaia. La storiografia dell’estrema destra
parla tuttavia di parecchie migliaia.
Osservatorio
sui Balcani: In Italia si parla per
l’appunto di una cifra che arriva in certi
casi alle 10.000 persone e oltre. Questa
cifra dunque secondo te non è corretta?
Giacomo Scotti: Non secondo me ma secondo gli
storici triestini che potremmo definire di
centro, come Galliano Fogar, e perfino secondo
alcuni esuli istriani, come per esempio l’ex
sindaco di Trieste, che hanno scritto libri
sull’argomento. Ci sono state due fasi. Dopo
la capitolazione italiana dell’8 settembre
1943 in Istria c’è stata una sollevazione,
un’insurrezione di contadini che hanno
assalito i Municipi, hanno assalito anche le
case dei fascisti, di coloro che facevano
parte della milizia volontaria della sicurezza
nazionale, degli agenti dell’OVRA (la polizia
segreta fascista, ndr) ammazzandone parecchi
nelle loro case, e alcuni gettandoli nelle
foibe. L’insurrezione istriana durò dal
settembre fino al 4 ottobre del ’43, quindi
circa 30 giorni. Dopo sono arrivati i Tedeschi
e hanno messo a ferro e fuoco l’Istria. Le
vittime dell’insurrezione erano per la maggior
parte gerarchi fascisti, ma ci sono andati di
mezzo anche degli innocenti, ci sono state
rese di conti fra gente che aveva dei conti da
regolare. Tuttavia non si può parlare di odio
antiitaliano, in un certo senso non si
facevano distinzioni. Prima ancora che
calassero le grosse divisioni tedesche in
Istria, i comandi italiani di Pola, ad
esempio, avevano consegnato ad un battaglione
di Tedeschi di 350 uomini una guarnigione di
15.000 soldati. I Tedeschi avevano messo
questa gente nei vagoni per deportarli in
Germania. I partigiani slavi, i partigiani per
modo di dire, questi insorti che avevano preso
i fucili gettati via dalle truppe italiane
oppure i propri fucili da caccia, hanno atteso
questi convogli diretti in Germania nella
stazione di Pisino, nel cuore
dell’Istria, assalendo due treni e liberando
circa 3.000 marinai italiani, cadetti.
Migliaia e migliaia di soldati italiani, non
solamente di stanza in Istria ma anche
provenienti dalla Croazia, disarmati, dopo l’8
settembre, che attraversavano l’Istria interna
per andare a Trieste, non quella costiera,
popolata in gran parte da popolazione
italiana, ma l’Istria interna popolata quasi
esclusivamente da popolazioni slave, sono
stati accolti e rifocillati da queste
popolazioni, che li hanno protetti per non
essere presi dai Tedeschi che nel frattempo,
ad ottobre, erano calati in gran numero da
Gorizia e dal Brennero. Ci sono anche
documenti, anche per esempio dell’episcopato
di Trieste, che attestano questa solidarietà,
quindi è falso sostenere che tutte le vittime
erano italiane e che dall’altra parte c’erano
solo i barbari slavi.
Osservatorio
sui Balcani: Nel maggio ’45 i partigiani
jugoslavi occuparono Trieste. Quei 40 giorni
vengono considerati e raccontati come il
culmine delle violenze antitaliane. Come va
inquadrato quel periodo?
Giacomo Scotti: In Istria la caccia al
fascista avvenne in quei trenta giorni del
settembre, e poi non si è ripetuta più. A
Trieste invece è avvenuta la seconda fase,
quella appunto dei 45 giorni. Qui ci sono
stati effettivamente episodi di pulizia etnica
perché la cosiddetta guardia popolare - di cui
facevano parte tra l’altro moltissimi
Italiani, triestini, goriziani e friulani – e
che a Trieste dava la caccia ai gerarchi, ai
fascisti, ha colpito anche molti antifascisti
la cui colpa era quella di battersi perché
Trieste restasse italiana. Da una parte c’era
l’idea di molti combattenti di costruire il
socialismo fino all’Isonzo, però c’era anche
molto nazionalismo da parte delle
truppe di Tito arrivate a Trieste, che erano
per la gran parte truppe della Quarta Armata,
Dalmati. Erano circa 12.000 partigiani, anche
se non si poteva più parlare di partigiani
perché l’esercito cosiddetto partigiano era un
esercito dei più potenti, che aveva ormai
800.000 uomini ben armati. Inoltre c’erano
alcuni reparti del Nono Corpus sloveno, quindi
uomini che avevano direttamente subito
angherie dal fascismo. Non dimentichiamo che
il fascismo oltre ad essersi annessi circa
600.000 Croati e Sloveni dopo la prima guerra
mondiale, nella seconda guerra mondiale aveva
occupato e si era annesso una parte della
Slovenia, creando la provincia di Ljubljana,
territori dove non c’era un solo Italiano.
Anche una parte della Dalmazia era stata
annessa dopo il 6 aprile ’41 all’Italia, era
stata occupata e migliaia e migliaia di
Dalmati Croati sono finiti nei ben 109 campi
di concentramento in Italia. Quindi c’era
rabbia, c’è stata anche vendetta, un
revanscismo da parte di questi soldati e sono
stati commessi crimini. Ho trovato un
documento in questo senso, un telegramma di
Tito inviato al comandante jugoslavo della
piazzaforte di Trieste che viene rimproverato
aspramente per non aver saputo controllare e
moderare questo regime di occupazione,
togliendogli addirittura il comando. Quanti
siano stati i
cosiddetti infoibati in questa fase non saprei
dirlo non avendo studiato il problema
direttamente, io mi sono occupato nei miei
libri della storia istriana, però stando a
storici triestini come Galliano Fogar che era
un azionista, oppure Raoul Pupo, oggi
professore universitario, si tratta anche là
di alcune centinaia di persone finite nella
foiba di Basovizza, che ora è diventata
monumento nazionale italiano. Di fronte a
queste vittime bisogna certamente inchinarsi.
Però bisogna anche dire che quelli che parlano
di 10.000 o 20.000 infoibati infangano le vere
vittime perché con le menzogne finisce che la
verità viene coperta e anche chi dice il vero
non viene creduto.
Osservatorio
sui Balcani: Dopo queste violenze ci fu
l’esodo da Istria e Dalmazia. In questo caso
si parla di 350.000 Italiani che sarebbero
partiti dopo il ’45. Si tratta di cifre
attendibili?
Giacomo Scotti: L’esodo complessivo
dall’Istria e dalla Dalmazia e da tutte le
terre che sono state date alla Jugoslavia in
virtù del trattato di pace del ’47 e della
sconfitta purtroppo dell’Italia, dopo
l’avventura nella quale l’aveva precipitata il
fascismo, è stato di 240.000 persone. Negli
ultimi dieci anni alcuni storici seri hanno
studiato questa questione, dopo il crollo del
comunismo, tra di loro addirittura uno storico
anticomunista, Zeljavic. Sono andati negli
archivi, hanno preso i registri dello stato
civile che ogni comune
nelle cosiddette province italiane dell’Istria
e della Dalmazia aveva, facendo ricerca. La
Dalmazia in definitiva era Zara, una città di
20.000 abitanti sotto l’Italia, una piccola
enclave. C’erano poi la provincia di Fiume,
che aveva tre comuni, con circa 50.000
abitanti, e la provincia di Pola, che ne aveva
300 e poco più. Se veramente fossero 350.000
gli esiliati, sarebbero il 90% della
popolazione che viveva in quelle zone,
compresi i Croati, e invece secondo il
censimento fatto dieci anni dopo la fine della
guerra c’erano ancora 180.000 Croati presenti
e oggi, a 60 anni dalla fine della guerra, ci
sono ancora 35.000 Italiani. Questi storici
hanno preso in mano i registri dello stato
civile e i registri delle Questure, che sotto
l’Italia erano precisissimi segnalando
addirittura chi era ebreo, chi era ariano, chi
non ariano, chi era antifascista ecc. Sono
dati italiani, dello Stato italiano che in
base al trattato di pace l’Italia ha dovuto
restituire alla Jugoslavia come preda di
guerra. Nell’esodo inoltre sono scappate
moltissime persone che non erano italiane,
20.000 Croati soltanto dall’Istria, perché non
volevano il comunismo, non volevano restare
sotto Tito. Molti Istriani poi, ad esempio,
che lavoravano come ferrovieri a Trieste e in
Italia e non volevano perdere il posto di
lavoro, se ne sono andati. Ci sono molti
motivi diversi, ma alla fine sono partite
240.000 persone. Tra queste c’erano, veniamo
alle cifre, 44.000 funzionari che erano venuti
dall’Italia negli ultimi 18 anni di presenza
italiana in Istria, maestri elementari,
insegnanti, questurini, carabinieri, finanza
ecc. che si iscrivevano nelle liste della
cittadinanza ma non erano autoctoni istriani o
dalmati o fiumani. Non li voglio certamente
togliere, ma questi erano 44.000. C’erano poi
20.000 Croati. Quindi quando si parla di
Italiani bisogna fare attenzione. Parliamo
degli Istriani, di qualsiasi nazionalità, non
erano soltanto Italiani i profughi.
Osservatorio
sui Balcani: Tu hai seguito un percorso
contrario a quello di cui stiamo parlando,
recandoti a vivere in Jugoslavia dopo la
seconda guerra mondiale. Negli anni recenti
per l’impegno pacifista che hai intrapreso
nel corso delle guerre in ex Jugoslavia
degli anni ’90 e anche in ragione della tua
nazionalità italiana hai trascorso anni
difficili... Come ti appresti a vivere
questa giornata che in Italia è stata
ufficialmente definita del ricordo, il 10
febbraio?
Giacomo Scotti: Io e molti altri, quasi tutti
gli Italiani qui, stiamo vivendo questi giorni
con molto disagio, ci sentiamo veramente
avviliti. Le destre, ovunque, i nazionalismi,
ad esempio il nazionalismo dei dieci anni di
Tudjman, durante il quale hanno cercato
addirittura di chiuderci le scuole italiane,
ci hanno perseguitato, ed ora questo
nazionalismo da parte italiana, che è
un’euforia insopportabile, con questi film che
dicono menzogne, queste cifre che dicono
menzogne, queste parate, ci avviliscono...
Questi nostri vicini, amici con i quali
viviamo qui nell’Istria, a Fiume, questi
Croati, ci dicono: “Noi che abbiamo subìto
un’aggressione durante la guerra, abbiamo
subìto 360.000 morti dall’occupazione
italiana, abbiamo subìto i campi di
concentramento italiani... Invece di chiederci
perdono ci attaccate ormai continuamente...”
Come può fare un Italiano che vive qua a
guardare in faccia questa gente? Con la quale
ogni giorno vive? Dopo la morte di Tudjman di
nuovo si era creato un clima di tolleranza, un
clima di convivenza pacifica… Invece di dare
agli esuli che hanno sofferto quella
soddisfazione di essere ricordati al di sopra
degli odi, al di sopra dei rancori, ora in
Italia si sfrutta questa giornata per fare una
campagna tremenda... Mi basta vedere la
televisione, leggere
i giornali – qui arriva il Piccolo di Trieste
– per esempio il Piccolo ieri diceva che alla
sala Tripcovich di Trieste è stato presentato
questo film sulle foibe...
Osservatorio
sui Balcani: La fiction di Rai Uno, Il cuore
nel pozzo?
Giacomo Scotti: Sì. Tutta la platea era
formata soltanto da aderenti al Fronte della
Gioventù, della Fiamma Tricolore, e di
Alleanza Nazionale. Voi sapete benissimo che a
Trieste Alleanza Nazionale non è quella di
Fini, si vantano di essere i picchiatori di
Via Paduina, insomma sono rimasti sempre i
soliti. Ebbene a un certo punto un soldato, un
repubblichino prende la pistola e ammazza due
persone, due partigiani, li ammazza dicendo
che con questo vuole evitare che la sua
fidanzata venga uccisa da loro. Ebbene è
scoppiato un applauso, di fronte alla morte di
questi due partigiani, di questi due slavi, è
scoppiato un applauso irrefrenabile. Quando
uno Sloveno, esponente della minoranza slovena
di Trieste, ha cercato di entrare nella sala
per protestare, lo hanno preso per il collo
gridando alla polizia italiana: “Buttate fuori
questa gentaglia.” Ecco questo è il clima che
si è creato a Trieste e già da molti giorni...
Il giorno della memoria viene celebrato il 10
febbraio, non ci siamo ancora ma è già
un’ubriacatura di odio, di revanscismo, dove
vogliamo arrivare con queste cose? La stampa
di qui riporta queste cose. Oggi per esempio
(5 febbraio, ndr) il Novi List di Fiume, che è
il giornale a più grande tiratura in Croazia,
titola: “Tutti gli italiani vittime, solo noi
Croati e Sloveni siamo stati i carnefici.”
Osservatorio
sui Balcani: Nelle settimane scorse, in
Croazia, c’è stato un attentato dinamitardo
al monumento di Tito, nella nativa Kumrovec.
Allo stesso tempo sono stati eretti [poi
rimossi] monumenti ad esponenti ustascia del
cosiddetto Stato Indipendente di Croazia di
Ante Pavelic, Budak e Francetic. Nella
Croazia del 2005 sono ancora forti i
movimenti e le tendenze di estrema destra?
Giacomo Scotti: La risposta te la posso dare
citando i risultati delle recentissime
elezioni presidenziali. A destra della
candidata dell’HDZ si è schierato uno che ai
tempi di Tudjman era tra i massimi esponenti
dell’HDZ, un erzegovese, Ivic Pasalic,
presentandosi come capo del Blocco Croato, che
ha raccolto tutte le sedici associazioni degli
ex combattenti della cosiddetta Guerra
Patriottica, gli ustascia, insomma la crema
della destra in camicia nera. Ha ottenuto solo
lo 0.5% dei voti. Questa è la destra ustascia
neofascista oggi in Croazia. Però è una destra
che ha ancora appoggi nei servizi segreti del
governo, l’HDZ non ha fatto pulizia nei suoi
ranghi, ancora la polizia segreta tudjmaniana
tira le fila nel sottosuolo. Tutti sanno dove
si trova Gotovina [il generale ricercato dal
Tribunale dell’Aja, ndr], ma nessuno lo va a
prendere, la Croazia è diventata ostaggio di
un cosiddetto eroe che sta facendo soffrire le
pene dell’inferno alla Croazia che non può
entrare in Europa finchè lui è latitante. Ma
tutti questi alla fine raccolgono solo lo 0,5%
dei voti, quindi la Croazia non è fascista, i
fascisti sono pochi, però sono terroristi,
mettono le bombe sotto i monumenti, provocano,
sono una piccola minoranza di terroristi.
Reality Foibe. Così iniziò
la stagione di sangue
Le stragi
istriane vanno inserite nel contesto storico
della guerra fascista e nazista alle
popolazioni slave. [....]
GIACOMO
SCOTTI Da "Il
Manifesto" di Venerdì, 04 Febbraio 2005
(ripreso da: http://www.contropiano.org/ )
Le stragi istriane vanno inserite
nel contesto storico della guerra fascista e
nazista alle popolazioni slave. Contro ogni
strumentalizzazione, ma anche contro ogni
rimozione «Si ammazza troppo poco», e «Non
dente per dente, ma testa per dente»,
raccomandavano nel 1942 i generali italiani
Marco Robotti e Mario Roatta. Furono 200.000
i civili «ribelli» falciati dai plotoni di
esecuzione italiani in Slovenia, «Provincia
del Carnaro», Dalmazia, Bocche di Cattaro e
Montenegro
Per una giusta
comprensione del fenomeno delle foibe
istriane - ma
comprensione non significa affatto
giustificazione di quei crimini - è
assolutamente necessario inserire la
questione nel contesto storico in
cui si verificò e nel quadro più ampio del
periodo tra la fine della
prima e lo svolgimento della seconda guerra
mondiale. Un periodo che fu
particolarmente tragico per una larga parte
della popolazione istriana
venutasi a trovare inserita nel territorio
di frontiera di un'Italia
asservita al regime fascista e perciò negata
a governare con giustizia
territori plurietnici, plurilingui e
multiculturali, spinta a
realizzare un preciso programma di
oppressione e snazionalizzazione dei
sudditi cosiddetti allogeni e alloglotti.
Ancor prima della firma del
Trattato di Rapallo del 1920 che assegnò
definitivamente l'Istria
all'Italia, quando la regione era soggetta
al regime di occupazione
militare, la popolazione dell'Istria si
trovò di fronte allo squadrismo
in camicia nera, importato da Trieste, che
si manifestò con particolare
aggressività e ferocia. Gli stessi storici
fascisti, tra i quali
l'istriano G.A. Chiurco, vantandosi delle
gesta degli squadristi e
glorificandole nelle loro opere, hanno
abbondantemente documentato i
misfatti compiuti - dagli assassinii di
antifascisti italiani quali
Pietro Benussi a Dignano, Antonio Ive a
Rovigno, Francesco Papo a Buie,
Luigi Scalier a Pola ed altri - alla
distruzione delle Camere del
lavoro ed all'incendio delle Case del
popolo, alle sanguinose
spedizioni nei villaggi croati e sloveni
della penisola, ecc. Questi
misfatti continuarono sotto altra forma dopo
la creazione del regime:
furono distrutti e/o aboliti tutti gli enti
e sodalizi culturali,
sociali e sportivi della popolazione slovena
e croata; sparì ogni segno
esteriore della presenza dei croati e
sloveni, vennero abolite le loro
scuole di ogni grado, cessarono di uscire i
loro giornali, i libri
scritti nelle loro lingue furono considerati
materiale sovversivo; con
un decreto del 1927 furono forzosamente
italianizzati i cognomi di
famiglia; migliaia di persone finirono al
confino. Nelle chiese le
messe poterono essere celebrate soltanto in
italiano, le lingue croata
e slovena dovettero sparire perfino dalle
lapidi sepolcrali, furono
cacciate dai tribunali e dagli altri uffici,
bandite dalla vita
quotidiana. Alcune centinaia di democratici
italiani, socialisti,
comunisti e cattolici che lottarono per la
difesa dei più elementari
diritti delle minoranze subirono attentati,
arresti, processi e lunghi
anni di carcere inflitti dal Tribunale
speciale per la difesa dello
Stato.
La sostituzione delle popolazioni
allogene
Mi è capitato per le mani un opuscolo del
ministro dei Lavori Pubblici
dell'era fascista Giuseppe Cobolli Gigli.
Figlio del maestro elementare
sloveno Nikolaus Combol, classe 1863,
italianizzò spontaneamente il
cognome nel 1928 anche perchè sin dal 1919
si era dato uno pseudonimo
patriottico, Giulio Italico. Divenuto poi un
gerarca, prese un secondo
cognome, Gigli, dandosi un tocco di nobiltà.
Questo signore, fu autore
di opuscoletti altamente razzisti, fra i
quali Il fascismo e gli
allogeni, (da «Gerarchia», settembre 1927)
in cui sosteneva la
necessità della pulizia etnica, attraverso
la sostituzione delle
popolazioni «allogene» autoctone con coloni
italiani provenienti da
altre provincie del Regno. Tra l'altro volle
tramandare ai posteri una
canzoncina in voga fra gli squadristi di
Pisino. Il paese sorge sul
bordo di una voragine che - scrisse il
Cobol-Cobolli - «la musa
istriana ha chiamato Foiba, degno posto di
sepoltura per chi, nella
provincia, minaccia con audaci pretese, le
caratteristiche nazionali
dell'Istria». Quindi chi, fra i croati,
aveva la pretesa, per esempio,
di parlare nella lingua materna, correva il
pericolo di trovar
sepoltura nella Foiba. La canzoncina di Sua
Eccelenza (testo dialettale
e traduzione italiana a fronte) diceva:
A Pola xe
l'Arena/ la Foiba xe a Pisin:/ che i buta
zo in quel fondo/ chi ga
certo morbin.
(A Pola c'è l'Arena,/ a Pisino c'è la
Foiba:/ in quell'abisso vien
gettato/ chi ha certi pruriti).
Dal che si vede che il brevetto degli
infoibamenti spetta ai fascisti e
risale agli inizi degli anni Venti del XX
secolo. Putroppo essi non
rimasero allo stato di progetto e di
canzoncine. Riportiamo qui, dal
quotidiano triestino Il Piccolo del 5
novembre 2001, la testimonianza
di Raffaello Camerini, ebreo, classe 1924.
«Nel
luglio del 1940, ottenuta la licenza
scientifica, dopo neanche un mese, sono
stato chiamato al lavoro "coatto", in
quanto ebreo, e sono stato
destinato alle cave di bauxite, la cui
sede principale era a S. Domenica
d'Albona.
Quello che
ho veduto in quel periodo, sino al 1941 -
poi sono stato trasferito
a Verteneglio - ha dell'incredibile. La
crudeltà dei fascisti
italiani contro chi parlava il croato,
invece che l'italiano, o chi si
opponeva a cambiare il proprio cognome
croato o sloveno, con altro
italiano, era tale che di notte prendevano
di forza dalle loro abitazioni
gli uomini, giovani e vecchi, e con
sistemi incredibili li trascinavano
sino a Vignes, Chersano e altre località
limitrofe, ove c'erano
delle foibe, e lì, dopo un colpo di
pistola alla nuca, li gettavano
nel baratro. Quando queste cavità erano
riempite, ho veduto diversi
camion, di giorno e di sera, con del
calcestruzzo prelevato da un
deposito di materiali da costruzione sito
alla base di Albona, che si
dirigevano verso quei siti e dopo poco
tempo ritornavano vuoti. Allora, io
abitavo in una casa sita nella piazza di
Santa Domenica d'Albona,
adiacente alla chiesa, e attraverso le
tapparelle della finestra
della stanza ho veduto più volte, di
notte, quelle scene che non
dimenticherò finchè vivrò (...). Mi chiedo
sempre, pur dopo 60 anni, come
un uomo può avere tanta crudeltà nel
proprio animo. Sono stati gli
italiani, fascisti, i primi che hanno
scoperto le foibe ove far
sparire i loro avversari. Logicamente, i
partigiani di Tito, successivamente,
si sono vendicati usando lo stesso
sistema. E che dire dei
fascisti italiani che il 26 luglio 1943
hanno fatto dirottare la corriera
di linea - che da Trieste era diretta a
Pisino e Pola - in un burrone
con tutto il carico di passeggeri, con
esito letale per tutti. (...) Ho
lavorato fra Santa Domenica d'Albona,
Cherso, Verteneglio sino
all'agosto del `43 e mai ho veduto un
litigio fra sloveni, croati e italiani
(quelli non fascisti). L'accordo e
l'amicizia era grande e l'aiuto,
in quel difficile periodo, era reciproco.
Un tanto per la verità,
che io posso testimoniare».
60mila slavi in fuga dall'Istria
Per gli slavi il risultato del ventennio
fascista e del triennio
bellico 1940-43 fu la fuga dall'Istria di
circa 60.000 persone.
Purtroppo a rafforzare il nazionalismo
anti-italiano fu ancora una
volta il fascismo mussoliniano che nella
seconda guerra mondiale portò
l'Italia ad aggredire i popoli jugoslavi.
Quell'aggressione tra il 6
aprile 1941 e l'inizio di settembre 1943 fu
caratterizzata dalle
brutali annessioni di larghe fette di
Croazia e Slovenia e da una lunga
serie di crimini di guerra. Per ordine dello
stesso Mussolini e di
alcuni generali si giunse alle scelte più
draconiane dei comandi
militari italiani. Ne derivarono «rapine,
uccisioni, ogni sorta di
violenza perpetrata a danno delle
popolazioni».
Nelle regioni della Croazia annesse
all'Italia dopo il 6 aprile `41 si
ripetè quanto avvenuto in Istria dopo la
Grande Guerra: si ricorse ad
ogni mezzo per la snazionalizzazione e
l'assimilazione, provocando
inevitabilmente l'ostilità delle
popolazioni. Nella toponomastica, per
cominciare da questo aspetto non cruento
dell'occupazione, fu recitata
una vera e propria tragicommedia, avendo
come regista il prefetto della
Provincia del Carnaro e dei Territori
Aggregati del Fiumano e della
Kupa, Temistocle Testa. Con suo decreto
dell'8 settembre 1941 fu
ordinato di «adottare senza indugio i nomi
italiani di tutti quei
luoghi (comuni, frazioni, località) che
erano da secoli italiani e che
la ventennale dominazione jugoslava ha
trasformato in denominazioni
straniere». Così località del profondo
territorio interno lungo il
fiume Kupa e nel Gorski Kotar divennero:
Belica= Riobianco, Bogovic =
Bogovi, Brusic = Brissi, Buzdohanj = Buso,
Crni Lug = Bosconero, Cabar
= Concanera, Glavani = Testani, Jelenje =
Cervi, Kacjak = Serpaio,
Koziji Vrh= Montecarpino, Medvedek = Orsano,
Orehovica = Nocera
Inferiore, Padovo = Padova, Pecine =
Grottamare e via traducendo o
inventando. Trinajstici, presso Castua,
divenne Sassarino in onore
della divisione «Sassari» che vi teneva un
reparto.
Ma ben presto, dopo aver battezzato città,
comuni, villaggi e frazioni,
si passò a distruggere col fuoco quelli, fra
di essi, che non
tolleravano l'italianizzazione né
l'occupazione. In data 30 maggio 1942
il Prefetto Testa, rese noto con pubblici
manifesti di aver fatto
eseguire l'internamento nei campi di
concentramento in Italia di un
numero indeterminato di famiglie di Jelenje
dalle cui abitazioni si
erano allontanati giovani maggiorenni senza
informarne le autorità. Ma
non si limitò alle deportazioni. Con un
manifesto si rendeva noto:
«Sono stase rase al suolo le loro case,
confiscati i beni e fucilati 20
componenti di dette famiglie estratti a
sorte, per rappresaglia». La
rappresaglia continuò.
Il 4 giugno gli uomini del II Battaglione
Squadristi di Fiume
incendiarono le case dei villaggi: Bittigne
di Sotto (Spodnje Bitinje),
Bittigne di Sopra (Gornje Bitnje), Monte
Chilovi (Kilovce), Rattecevo
in Monte (Ratecevo). A Kilovce furono
fucilate 24 persone.
Non c'è villaggio sul territorio di quelli
che furono chiamati
Territori Aggregati e/o Annessi a contatto
con l'Istria e la regione
del Quarnero, che non abbia avuto case
bruciate o sia stato interamente
raso al suolo; non ci fu una sola famiglia
che non abbia avuto uno o
più membri deportati oppure fucilati.
Centomila nei campi di
concentramento
Ha scritto lo storiografo Carlo Spartaco
Capogreco: «In Jugoslavia il
soldato italiano, oltre che quello del
combattente ha svolto anche il
ruolo dell'aguzzino, non di rado facendo
ricorso a metodi tipicamente
nazisti quali l'incendio dei villaggi, le
fucilazioni di ostaggi, le
deportazioni in massa dei civili e il loro
internamento nei campi di
concentramento». In particolare evidenzia
che il numero dei condannati
e confinati «slavi» della Venezia Giulia e
dell'Istria fu
particolarmente elevato, sicchè dal giugno
1940 al settembre 1943 la
maggioranza degli «ospiti» dei campi di
concentramento italiani era
costituita da civili sloveni e croati. Il
numero totale dei civili
internati dall'Italia fascista superò di
diverse volte quello
complessivamente raggiunto dai detenuti e
confinati politici
antifascisti in tutti i 17 anni durante i
quali rimasero in vigore le
«leggi eccezionali»; più di 800 italiani,
fra alti gerarchi civili e
comandanti militari, furono denunciati per
crimini di guerra commessi
durante la seconda guerra mondiale alla War
Crimes Commission
dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. I
campi di concentramento nei
quali furono rinchiusi più di centomila
civili croati, sloveni,
montenegrini ed erzegovesi erano disseminati
dall'Albania all'Italia
meridionale, centrale e settentrionale,
dall'isola adriatica di Arbe
(Rab) fino a Gonars e Visco nel Friuli, a
Chiesanuova e Monigo nel
Veneto. Non si contano, poi, i campi «di
transito e internamento» che
funzionavano lungo tutta la costa dalmata,
sulle isole di Ugliano
(Ugljan) e Melada (Molat). Quest' ultimo fu
definito da monsignor
Girolamo Mileta, vescovo di Sebenico, «un
sepolcro di viventi». In quei
lager italiani morirono 11.606 sloveni e
croati. Nel solo lager di Arbe
ne morirono 2.600 circa, fra cui moltissimi
vecchi e bambini per
denutrizione, stenti, maltrattamenti e
malattie. Il 15 dicembre 1942
l'Alto Commissario per la Provincia di
Lubiana, Emilio Grazioli,
trasmise al Comando dell'XI Corpo d'Armata
il rapporto di un medico in
visita al campo di Arbe dove gli internati
«presentavano nell'assoluta
totalità i segni più gravi dell'inanizione
da fame». Sotto quel
rapporto il generale Gastone Gambara scrisse
di proprio pugno: «Logico
ed opportuno che campo di concentramento non
significhi campo
d'ingrassamento. Individuo malato =
individuo che sta tranquillo».
Sempre nel 1942, il 4 agosto, il generale
Ruggero inviò un fonogramma
al Comando dell'XI Corpo in cui si parlava
di «briganti comunisti
passati per le armi» e «sospetti di
favoreggiamento» arrestati. In una
nota scritta a mano il generale Mario
Robotti impose: «Chiarire bene il
trattamento dei sospetti (...). Cosa dicono
le norme 4c e quelle
successive? Conclusione: si ammazza troppo
poco!». Il generale Mario
Roatta, comandante della II Armata italiana
in Slovenia e Croazia nel
marzo del 1942 aveva diramato una Circolare
3C nella quale si legge:
«Il trattamento da fare ai ribelli non deve
essere sintetizzato dalla
formula dente per dente ma bensì da testa
per dente».
Furono circa 200.000 i civili «ribelli»
falciati dai plotoni di
esecuzione italiani, dalla Slovenia alla
«Provincia del Carnaro», dalla
Dalmazia fino alle Bocche di Cattaro e
Montenegro senza aver subito
alcun processo, ma in seguito a semplici
ordini di generali
dell'esercito, di governatori o di federali
e commissari fascisti.
Potremmo citare altri documenti, centinaia,
che ci mostrano il volto
feroce dell'Italia monarchica e fascista in
Istria e nei territori
jugoslavi annessi o occupati nella seconda
guerra mondiale. Gli stupri,
i saccheggi e gli incendi di villaggi si
ripetevano in ogni azione di
rastrellamento. Mi limiterò, per l'Istria ad
alcuni episodi che
precedettero di pochi mesi i fatti del
settembre 1943.
Il 6 giugno 1942 furono deportate nei campi
di internamento in Italia
34 famiglie per un totale di 131 persone di
Castua, Marcegli, Rubessi,
San Matteo e Spincici; i loro beni, compreso
il bestiame, furono
confiscati o abbandonati al saccheggio delle
truppe, le loro case
incendiate, dodici persone vennero fucilate.
I deportati in Italia, i villaggi
rasi al suolo
Ancora più terribile fu la sorte toccata
agli abitanti della zona di
Grobnico, a nord di Fiume. Per ordine del
prefetto Temistocle Testa,
reparti di camicie nere e di truppe
regolari, irruppero nel villaggio
di Podhum all'alba del 13 luglio.
Rastrellata l'intera popolazione,
questa fu condotta in una cava di pietra
presso il campo di aviazione
di Grobnico, mentre il villaggio veniva
prima saccheggiato e poi
incendiato. Oltre mille capi di bestiame
grosso e 1300 di bestiame
minuto furono portati via, 889 persone
rispettivamente 185 famiglie
finirono nei campi di internamento italiani:
più di cento maschi furono
fucilati nella cava: il più anziano aveva 64
anni, il più giovane 13
anni appena.
Con un telegramma spedito a Roma il 13
luglio, Testa informò: «Ierisera
tutto l'abitato di Pothum nessuna casa
esclusa est raso al suolo et
conniventi et partecipi bande ribelli nel
numero 108 sono stati passati
per le armi et con cinismo si sono
presentati davanti ai reparti
militari dell'armata operanti nella zona,
reparti che solo ultimi dieci
giorni avevano avuto sedici soldati uccisi
dai ribelli di Pothum stop
Il resto della popolazione e le donne e
bambini sono stati internati
stop».
Nel solo Comune di Castua subirono
spedizioni punitive diciassette
villaggi; furono passate per le armi 59
persone, altre 2311 furono
deportate e precisamente 842 uomini, 904
donne e 565 bambini; furono
incendiate 503 case e 237 stalle. Sempre
nella zona di Fiume, il 3
maggio 1943, reparti di Camicie Nere e di
fanteria rastrellarono il
villaggio di Kukuljani e alcune sue
frazioni, portarono via tutto il
bestiame, saccheggiarono le case,
deportarono la popolazione e quindi
appiccarono il fuoco alle abitazioni, alle
stalle e agli altri edifici
"covi di ribelli". Nei campi di internamento
finirono 273 abitanti di
Kukuljani e 200 di Zoretici.
Queste sanguinose persecuzioni
indiscriminate contro la popolazione
civile slava furono denunciate anche da
eminenti personalità politiche
italiane di Trieste, tra cui i firmatari di
un Promemoria presentato il
2 settembre 1943 da un "Fronte nazionale
antifascista" al Prefetto
Giuseppe Cocuzza. Era passato un mese e
mezzo dalla caduta del regime
fascista. Nel documento, si fa una denuncia
drammaticamente
circostanziata delle vessazioni, arresti,
devastazioni ed esecuzioni
sommarie «operate con grande discrezionalità
da bande di squadristi che
avevano goduto per troppo tempo della mano
libera e della compiacenza
di certe autorità». Nell'iniziativa era
evidente, oltretutto, un
«diffuso senso di paura per una vendetta»
che avrebbe potuto abbattersi
indiscriminatamente sugli Italiani
dell'Istria come reazione «alla
tracotanza del Regime e dei suoi uomini più
violenti che in Istria e
nella Venezia Giulia avevano usato strumenti
e atteggiamenti fortemente
coercitivi nei riguardi delle popolazioni
slave».
<<
...Il film "II cuore nel pozzo" e’ in
effetti la continuazione della propaganda
fascista sui crimini nelle foibe, che va
avanti dal 1943 ai giorni nostri... >>
Intervento
del giornalista e scrittore Armando
Černjul
alla conferenza stampa della Presidenza
dell'Unione delle associazioni dei
Combattenti antifascisti, convocata a
Pola il 4.02.2005.
Riassunto dell'ampio testo
"Foibomania nei media e libri italiani"
preparato per la tavola rotonda sulle
vittime delle foibe.
Del film
italiano "II cuore nel pozzo" del regista
Alberto Negrin
prodotto dalla RAI, non posso dir niente
perche' non I'ho visto. Stando
pero’ a certi articoli apparsi sulla stampa
italiana e croata e'
evidente che il film parla dei crimini dei
partigiani di Tito e della
riabilitazione del fascismo italiano, temi
questi da anni cari al
centrodestra al governo e all’estrema
destra. Pero' questa stessa RAI
negli scorsi 15 anni ha mandato in onda
numerose trasmissioni e servizi
nei quali vengono falsificati i fatti
storici. Infatti sulle tre reti
di questa TV stataIe, in vari periodi di
tempo, sono stati presentati i
crimini nelle foibe commessi, come piu'
volte sottolineato, dai
partigiani di Tito sugli Italiani solo
perche' erano di nazionalita’
italiana, anche se si sa molto bene che
nelle foibe finivano Croati,
Sloveni, Tedeschi e aItri. In base a queste
trasmissioni nelle foibe
sarebbero stati buttati 3.000, 5.000, 17.000
Italiani...! Dunque alla
RAI o non sanno o non hanno ancora deciso
quanta gente sia finita nelle
foibe, poiche’ tirano in ballo cifre
differenti e presentano i
comunisti di Tito e i partigiani come
criminali genocidi.
Nel contempo non hanno voluto mostrare al
pubblico italiano il
documentario "Fascist Legacy" prodotto dalla
BBC inglese nel quale sono
illustrati i massacri commessi dai fascisti
italiani, trasmesso due
anni fa dall’emittente televisiva italiana
La 7. In base ai dati
trovati nell’archivio delle Nazioni Unite
dallo storico Michael
Palumbo, un americano di origini italiane, i
fascisti in Jugoslavia,
Albania, Grecia, Etiopia. Libia, Francia e
Russia uccisero oltre un
milione di persone. Solo nel territorio
dell’ex Jugoslavia ne uccisero
circa 300.000.
Il film "II cuore nel pozzo" e’ in effetti
la continuazione della
propaganda fascista sui crimini nelle foibe,
che va avanti dal 1943 ai
giorni nostri. Dapprima si inizio' con
articoli su giornali e riviste,
poi, dopo la II guerra mondiale si passo' ai
libri per proseguire con
articoli su quotidiani e mensili, nonche'
con trasmissioni radio e
televisive.
Gia’ da diversi anni voglio richiamare
I’attenzione sulla foibomania
nei media e libri italiani. Pero' in Croazia
I’argomento non interessa
a nessuno tranne che ai combattenti
antifascisti o a qualche
giornalista. Cio’ non deve meravigliare
considerato che il Governo, il
Parlamento e i vertici statali non hanno
reagito al varo, un anno fa,
della legge italiana con cui il 10 febbraio
e’ stata proclamata
Giornata del ricordo delle vittime delle
foibe e dell’esodo degli
Italiani istriani, fiumani e dalmati. Nella
legge si dice, come riporta
I'agenzia ANSA, che nelle foibe finirono
17,000 persone. Con queste
falsita' hanno tentato di parificare le
vittime del nazifascismo in
Istria.
Ogni crimine, e cosi’ anche quelli delle
foibe in Italia e sul suolo
dell'ex Jugoslavia, va condannato. Pero’ i
crimini prima di tutto
devono venir accertati da storici obiettivi.
Purtroppo in Italia la
maggioranza di essi falsifica i dati mentre
nell’ex Jugoslavia e anche
nella Croazia indipendente, non hanno fatto
quasi nulla. Pertanto e'
difficile seguire Ia foibomania in Italia,
specie la sua presenza sui
media che e' molto massiccia rnentre le case
editrici fanno a gara a
chi stampa piu' libri sul tema.
Inoltre le citta', le province, le
regioni e lo stato italiano finanziano le
associazioni dei cosiddetti
esuli che stampano libri e riviste e che
hanno pretese verso i
territori croati!
Tra i primi autori che dopo la II guerra
mondiale hanno scritto dei
crimini nelle foibe c’erano persone nate o
che hanno le radici
nell’odierna Croazia e che hanno gonfiato i
numeri degli infoibamenti.
Essi sono Luigi Papo e il sacerdote Flaminio
Rocchi, e altri e piu'
tardi a loro si sono aggiunti Giorgio
Bevilacqa, Marco Pirina e altri.
Papo, vicepresidente dell’Unione degli
Istriani a Trieste ed ex
comandante della Guarnigione delle milizie
fasciste a Montona ha
scritto diversi libri e centinaia di
articoli firmandosi con vari
pseudonimi. A seconda delle necessita’
socio-politiche, nelle foibe
gettava 7063, 3739 o addirittura 16.550
vittime. Si tratta dello stesso
Papo che nel 1994, in una trasmissione della
RAI, era stato presentato
come testimone di quando durante la guerra
venivano ammazzati gli
Italiani, e come scrittore ricercatore. Ha
dichiarato che in base alle
sue ricerche, dopo il 1 maggio del 1945
nelle foibe erano finiti 3.739
ltaliani e dal 1943 al 1945 tra Trieste e I'
lstria 16.550. Piu' tardi
ha cambiato i numeri affermando che alcuni
di essi "sarebbero stati
buttati nelle foibe".
Undici anni dopo la RAI realizza il film "II
cuore nel pozzo" che sara’
trasmesso il 6 e il 7 di questo mese sulla
prima rete!
Uno degli autori piu' giovani e’ Marco
Pirina, che ha scritto diversi
libri sulle foibe e peggior bugiardo sul
tema del suo "professore"
Papo, di cui il piu' sporco e’ intitolato
"Genocidio". Si tratta di un
estremista di destra, suo padre era un
u-comandante fascista fucilato
in guerra dai partigiani. Papo e Pirina
hanno preparato materiale per
I’atto di accusa a Roma, dove dei crimini
sono stati accusati gli
antifascisti di Croazia e Slovenia. Papo a
Roma era testimone al
processo contro Oskar Piškulić, giudicato in
contumacia.
Va detto che i vertici delle cosiddette
associazioni degli esuli, con
l’aiuto del neoirredentismo e della destra
al vertice del potere
politico italiano, hanno definito il piano
di stampare questi libri in
tiratura limitata. Hanno anche accolto la
proposta che bisognava
trovare uno scrittore che "infiammasse”
I’opinione pubblica, lo hanno
trovato nel giornalista e scrittore di
successo Arrigo Petacco di cui
I’editore Mondadori (un tassello dell’impero
editoriale di Berlusconi)
nel 2002 ha pubblicato il libro "L'esodo
degli Italiani d’lstria,
Dalmazia e Venezia Giulia". Il libro ha
avuto diverse edizioni e
I’autore e’ stato premiato. Questo e' un
libro pieno di falsita' e
accuse. Cosa dire ancora dell'autore di
molti libri? Per questa
occasione e' sufficiente affermare che
Petacco, servendosi della
letteratura di quegli storici e di altri
falsificatori, ha scritto che
i partigiani di Tito tra il 1943 e il 1945
gettarono nelle foibe
migliaia di vittime innocenti, piu’ di tutto
Italiani, quindi qualche
tedesco, ustascia, cetnici e Neozelandesi
delle unita’ britanniche. In
base ai suoi scritti nelle foibe istriane
sono finiti 10.000 o 20.000
oppure 30.000 persone.
L’editore berlusconiano Mondadori pubblica
il libro di Petacco e nei
giorni scorsi ha stampato un libro
sull’esodo e sulle foibe di cui e’
autore Gianni Oliva. Allo stesso tempo il
premier italiano grida "Mai
piu’ il fascismo e il comunismo" mentre pone
in rilievo il dittatore
fascista Mussolini che secondo lui non
avrebbe commesso crimini fuori
dall’Italia.
Oltre a cio', la sinistra italiana o
meglio il centro sinistra dopo
essersi inchinata ai neofascisti, ha
cominciato a inchinarsi anche
dinanzi ai monumenti eretti ai fascisti. E
per i crimini delle foibe
danno la colpa ai partigiani di Tito, in
primo luogo Croati, Sloveni e
Italiani. Ultimamente si fanno sentire certi
politici e giornalisti
croati con interventi a favore della
gentaglia neofascista e di quanti
vorrebbero riabilitare iI nazifascismo. Da
Pola a Fiume, da Zagabria a
Zara e Spalato parlano e scrivono contro i
combattenti antifascisti
come dei peggiori criminali. Riportero' il
caso piu' fresco. Il critico
cinematografico e scrittore Jurica Pavičić
di Spalato, nel magazine del
quotidiano "Jutarnji List" ( 22.01.2005) ha
pubblicato l'articolo
intitolato "Tito ucciso dalle sue armi".
Occupandosi di Tito e di
Tudjman ha scritto tra l'altro: "l’uno e I'
altro hanno attuato la
pulizia etnica delle minoranze, Tito degli
Italiani e Tedeschi e
Tudjman dei Serbi." E’ chiaro che Pavičić ha
ascoltato I'intervento di
un anno fa al Parlamento croato di Furio
Radin (oppure ne ha letto) e
probabilmente non e’ cosciente di aver
scritto falsità e calunnie!!!
Della pulizia etnica a danno degli Italiani,
molto prima di Radin e
Pavičić hanno parlato e scritto anche i
politici, scrittori e
giornalisti italiani appartenenti
all'estrema destra piu' radicale.
"GIORNO
DEL RICORDO" 2008:
LA PROVINCIA DI FOGGIA "CONFONDE"
AUSCHWITZ E LE FOIBE
manifesto
propagandistico stampato ed affisso dalla
Provincia di Foggia per il "Giorno del
Ricordo" 2008
Impressioni di febbraio
La Giornata del Ricordo si avvicina. E gli
amministratori rovistano negli scaffali.
Il manifesto, affisso in un
centinaio di copie in città, è celeste e
azzurro.
Impaginato con evidente fretta,
esteticamente respingente. Vi si legge:
“10 febbraio, Giornata del Ricordo...”.
Cinque foto completano l’opera: del filo
spinato, un volto di donna e – in
basso a sinistra – dei bambini. Bambini,
alcuni molto piccoli. Vestiti alla
stessa maniera, con dei camici a righe.
Fotografati in gruppo, sullo
sfondo di un muro di pietra. Palesemente
prigionieri.
La foto è di quelle più che famose. È
uno scatto celeberrimo,
paragonabile alla morte del repubblicano
spagnolo o a quella del ghetto di
Varsavia.
È una testimonianza di Auschwitz.
Superfluo dire: non c’entra nulla con le
foibe. Nulla con l’esodo istriano. Nulla
di nulla neppure con la Giornata del
Ricordo.
Stallone aveva finito le fotografie
tristi e, non avendo quella di
Campilongo a portata di mano, ha pensato
bene di ricorrere ai bimbi ebrei.
Siamo laici e umanisti. Comprendiamo le
debolezze, anche quando queste
appartengono alle più alte cariche
amministrative. L’ignoranza allo
stato brado, un arguto tentativo di
parificazione, un’urgenza tecnica,
un’ansia amministrativa colmata alla
meno peggio.
Qualunque sia il motivo che ha spinto la
Provincia di Foggia ad onorare i
“martiri” delle foibe con una foto di
Auschwitz, beh, noi
lo comprendiamo. E ne facciamo tesoro.
Giacché è il segnale più evidente di
quanto andiamo dicendo da
anni, oramai.
La Giornata del Ricordo è un semplice
contraltare alla Giornata della Memoria,
una sorta di commemorazione riparatrice,
una ricorrenza
strappata ad un governo compiacente da
una pattuglia di neofascisti, più o meno
mascherati. Sul corpo vivo di un Paese
immemore. E che, oltretutto, come la
nostra amministrazione provinciale ha
dimostrato in maniera lampante, non sa
di cosa di stia parlando. Noi lo
sappiamo, l’abbiamo sempre saputo. Per
questo abbiamo il coraggio e sentiamo il
dovere, da quattro anni a questa parte,
di denunciare la mistificazione
della Storia e il miserabile tentativo
di “pacificazione” nel segno di un
presunto doppio orrore: quello
nazista e quello comunista, quello
repubblichino e quello partigiano.
Ma la Storia non si riscrive a suon di
fiction. Questo deve essere chiaro,
molto chiaro, ai nostri revisionisti.
Siamo disponibili a parlare di quello
che successe dopo la fine della Seconda
guerra mondiale esclusivamente a patto
che il dibattito cominci da quello
che è successo prima. Altrimenti è
semplice propaganda.
8 febbraio 2008 – Laboratorio Politico
Jacob – via Mario Pagano, 38 –
Foggia
www.agitproponline.com
Cari
compagni, ritengo
necessario operare delle precisazione in
merito ai fatti de La
Sapienza di questi giorni. Come tutti
sappiamo, l'iniziativa provocatoria di
Forza Nuova di svolgere un dibattito (?!)
revisionista nella facoltà di Lettere sul
tema delle foibe, è stata la risposta dei
fascisti al nostro convegno
del 13 maggio nella stessa facoltà. Soprattutto
a causa dell'aggressione
fascista di via de lollis, è stato
creato un evento mediatico (con
l'università presa d'assalto da
giornalisti di tv e carta stampata tutti i
giorni a tutte le ore) basata su una
grande falsificazione dei fatti. In primo
luogo, infatti, si è cercato di sostenere
la tesi dello scontro tra gruppi di
opposte fazioni e quindi degli opposti
estremismi in lotta tra loro, quando
invece si è trattato di una aggressione
fascista in piena regola. Sul punto stiamo
preparando un vero e proprio dossier di
controinformazione, partendo dai fatti e
dalle testimonianze raccolte, per sfatare
questa diceria. L'altra
grande mistificazione è stata quella
condotta da diversi esponenti politici,
ampiamente ed acriticamente ripresi da
diversi organi di stampa, i quali hanno
affermato che il nostro convegno del 13
maggio avrebbe avuto natura
"negazionista", circostanza assolutamente
non rispondente al vero, come facilmente
dimostrabile. Purtroppo è passata questa
versione dei fatti presso molte testate
anche "titolate" quale ad es. il Corriere
della Sera. Per tale
ragione vi allego un
volantone che abbiamo preparato e
diffuso insieme ad i compagni di
Militant e di A Pugno Chiuso per cercare
di ricondurre a verità la vicenda, e
soprattutto per riportare la discussione
al suo ambito originario, ovvero la
battaglia di revisionismo storico e
culturale condotta dalla destra con la
complicità di una certa sinistra. Abbiamo
inoltre formalmente intimato il Corriere
della Sera, di adempiere al proprio dovere
di rettifica, avendo riportato notizie non
rispondenti al vero, e finalmente
nell'edizione di ieri è comparsa la lettera
con
la quale Hobel e la Kersevan, gli
storici intervenuti al nostro convegno,
hanno potuto chiarire la natura di tale
iniziativa, connotata da una
rigorosissima impostazione storica, e
denunciare le mistificazioni della stampa. Vi prego,
per tali ragioni, di dare
massima
diffusione al presente allegato, che
è già stato ripreso dalla maggioranza dei
siti di informazione e di movimento e
dalle strutture della scena antifascista. A presto, Giordano
(Laboratorio Politico Resistenza
Universitaria - Roma; email circolata in
internet il 3/6/2008)
___________________________________
Pdci: Aggressione fascista alla
Sapienza
Ufficio Stampa
Roma 27 maggio 2008
"La segreteria nazionale del Pdci esprime
la sua più viva preoccupazione e condanna
con forza l'ennesimo atto di stampo
fascista avvenuto oggi a Roma alla
Sapienza. Alcuni ragazzi che attaccavano
manifesti sono stati aggrediti da persone
armate di coltelli e bastoni. Ora alcuni
di loro sono in ospedale per le ferite
riportate e uno dei ragazzi sembra in
gravi condizioni. Secondo i testimoni
l'attacco è stato premeditato ed è opera
di militanti di Forza Nuova,
organizzazione della destra estrema. A
Roma, dopo la vittoria di Alemanno, fatti
del genere si stanno susseguendo
quotidianamente ed hanno sempre, come
obiettivo, immigrati, gay e giovani di
sinistra. E' un'escalation inquietante di
rigurgiti di violenza fascista. Ai ragazzi
feriti, ai loro compagni ed ai familiari
va la solidarietà piena del Pdci".
________________________________________
Il segretario della Federazione di Roma
del PdCI Fabio Nobile: Aggressione alla
Sapienza, basta con assalti neofascisti
Roma 27 maggio 2008
C'è ancora qualcuno che vuol provare a
definire aggressioni di questo genere come
episodi di bullismo? Ormai è chiaro che
siamo di fronte a aggressioni di stampo
neofascista. L'aggressione ad alcuni
giovani di sinistra da parte di militanti
di Forza nuova è l'ennesimno atto
dall'uccisione di Biagietti all'assalto a
Villa Ada, fino agli episodi di questi
giorni. Tutti questi casi hanno visto
partecipi militanti di gruppi diversi ma
con il denominatore di essere tutti di
estrema destra. Con l'aggressione di oggi,
però, si è fatto un ulteriore salto di
qualità poiché direttamente militanti di
Forza nuova, in pieno giorno e in assoluta
libertà, hanno aggredito ragazzi che
avevano il solo torto di attaccare
manifesti. Basta con le provocazioni
neofasciste. Bene ha fatto la facoltà di
Lettere a ritirare l'autorizzazione alla
scandalosa assemblea sulle foibe dove
avrebbe dovuto partecipare il neofascista
Roberto Fiore.
________________________________________
Sapienza, la verità non si
arresta! (28.05.08)
Sono ore convulse, dove poco è il tempo
per scrivere, ma molto è il
tempo che serve per raccontare. Per
raccontare in primo luogo la verità
sui fatti accaduti la mattina di ieri, la
verità sulla violenza subita,
la verità sociale e politica che continua
a tenere lontani neofascisti e
squadristi dall'università la Sapienza.
Proviamo a procedere con ordine. La
presidenza di Lettere e filosofia,
lo storico moderno, compilativo e
mediocre, di nome Guido Pescosolido,
autorizza un convegno di Forza nuova
all'interno della facoltà. Inutile
dire che il preside, il mediocre, ha fatto
finta di non sapere, di non
aver capito, peggio si è protetto dietro
lo scudo del pluralismo
culturale: che ognuno parli, tanto parlare
e far parlare non costa
nulla, anzi frutta molti soldi e poco
importa quali sono i gesti e le
pratiche politiche che accompagnano il
parlante. Mediocre nel mestiere,
mediocre nella vita, questo preside
piccolo piccolo che semmai merita un
posto nella segreteria tecnica, fotocopie
e fotocopie da fare.
In modo tempestivo, lunedì mattina,
occupiamo la presidenza, dopo sette
ore il pro-rettore Frati revoca
l'autorizzazione e il preside piccolo
piccolo se ne torna a casa con la sua
borsetta da uomo mediocre. Usciamo
dalla facoltà e ci ritroviamo
telefonicamente qualche ora dopo, voci
fidate ci raccontano di un'attacchinaggio
di Forza nuova lungo le mura
della città universitaria. 5 macchine,
armati, of course (fa parte del
galateo politico del tempo presente). La
notte trascorre, tutto si fa
più chiaro.
Sono le 13, è martedì, e noi usciamo dalla
città universitaria per
attacchinare e promuovere un'iniziativa
sulle trasformazioni della
formazione nella crisi della
globalizzazione: radicalizzazione
dell'autonomia, differenziazione, vuoti
del mercato delle competenze,
tanti temi e molti problemi per capire
dove muove l'università che
cambia. Passano pochi minuti e due
macchine (forse noleggiate) ci
raggiungono, scendono in tanti, scendono
con tante armi: spranghe, mazze
ferrate, catene, qualche coltello. Sono
attimi durissimi. Alcuni di noi
sono feriti (punti in testa e spalle
rotte), ma loro, adulti (alcuni
ultra quarantenni) e armati vanno via,
vanno via.
In tre in ospedale, molti di noi
interrogati, la giornata procede dentro
la facoltà di Lettere e in un corteo
forte, pieno di studenti (almeno
duemila), pieno di indignazione. Una
giornata in cui in molti hanno
deciso di rompere il silenzio, tra
professori e ricercatori, molte le
parole in nostra di difesa, potente la
ricerca di verità. Eppure,
puntuale la controffensiva mediatica: "è
stata una rissa, uno scontro
tra opposte fazioni". Ma di quale opposte
fazioni si parla! Da una
parte, la nostra, c'è l'università, gli
studenti, dall'altra un manipolo
di militanti e di squadristi che con
l'università non centrano nulla,
aggressori violenti e razzisti, funzionari
politici di un partito che
dovrebbe essere fuori legge. Inutile dire
che alla finzione mediatica si
è accompagnato l'arresto di Emiliano e
Giuseppe, due studenti della
Rete, aggrediti alle spalle e feriti.
D'altronde all'arresto deve
seguire la bugia e alla bugia l'arresto,
il circolo è vizioso.
Ma un passo importante si sta compiendo in
questi giorni all'università
di Roma la Sapienza: il partito di Forza
nuova, sulla base della
sollecitazione dei movimenti, viene
considerato illegale da
un'istituzione pubblica. Se esistesse
un'opposizione in Italia, in
seguito ai fatti di questa mattina si
potrebbe pensare una campagna
politica vincente per ottenere lo
scioglimento delle forze politiche
neo-squdriste e razziste. L'opposizione
non c'è, ma ci sono i movimenti,
ci sono le persone in carne ed ossa, c'è
la voglia di verità, il
desiderio di giustizia, e non saranno le
finzioni e le menzogne a
cancellarli.
La partita, però, va vinta fino in fondo
ed è per questo che è decisivo
avere i nostri fratelli Emiliano e
Giuseppe liberi subito, altrettanto
dare vita quest'oggi ad una grande
assemblea pubblica. Alle ore 9:00
presidio a P. Clodio, in attesa del
processo per direttissima, alle ore
14:30 assemblea pubblica nella facoltà di
Lettere. Giovedì, invece,
fondamentale essere in tante e tanti
presso l'entrata della facoltà (a
partire dalle 8:30), per impedire che gli
squadristi possano tornare e
che mettano piede dentro l'università.
La verità non si arresta, la Sapienza sarà
libera,
Emiliano e Giuseppe liberi subito!
Rete per l'autoformazione -- Sapienza,
Roma
www.uniriot.org
# FOIBE,
REVISIONISMO DI STATO E AMNESIE DELLA
REPUBBLICA Video
intervista ad Alessandra Kersevan
Lo scorso 5 febbraio, in
un clima teso da minacce fasciste e dal
diniego della Biblioteca Comunale da
parte della giunta PD del Comune di Pisa, si
è svolta la presentazione del libro
"FOIBE, REVISIONISMO DI STATO E AMNESIE
DELLA REPUBBLICA - Atti del convegno
foibe: la verità", con una articolata
relazione della ricercatrice storica
Alessandra Kersevan.
In quella giornata abbiamo intervistato
Alessandra Kersevan sui temi toccati dal
volume e dalla ricerca che da anni storici e
ricercatori militanti come lei portano
avanti con encomiabile determinazione,
nonostante l'ostracismo bipartisan e le
minacce di una destra reazionaria sempre
piu' aggressiva.
Vi proponiamo questa breve intervista come
contributo alla incessante lotta
antirevisionista che comunisti, antifascisti
e democratici conseguenti portano avanti da
decenni nel nostro paese. A cura
della Rete dei Comunisti di Pisa
# Contro
l'imperante falsificazione della storia:
contributi video in occasione della
"giornata del ricordo" 10 febbraio
2009. Conversazione, in occasione
della "giornata del ricordo", con Alessandra
Kersevan, coordinatrice della collana
Resistenza storica che ricostruisce le
vicende del confine orientale, il
nazionalismo italiano, il fascismo, il
nazismo e le foibe. Un contributo importante
contro l'imperante falsificazione della
storia.
Le
foibe tra mito e realtà. Intervista ad
Alessandra Kersevan
Viste le
molte imprecisioni e le ricostruzioni false
e tendenziose (nonché clamorosamente errate
dal punto di vista storico) che
circolano in questi giorni sulla controversa
questione delle foibe anche sulla stampa
locale, riproponiamo un'intervista
realizzata due anni fa [dunque nel 2007]
da Alessandro Doranti alla storica
Alessandra Kersevan e pubblicata sul
periodico locale Trentagiorni.
Un'intervista che torna prepotentemente
d'attualità.
Non è mai stato semplice trattare la questione
delle foibe: stereotipi consolidati,
revisionismo, metodologie di lavoro inesatte e
giochi politici dei vari schieramenti hanno
sempre invaso il terreno della ricerca
storica. In questi ultimi anni è stata
ottenuta la costruzione di una verità
ufficiale, fin troppo sbrigativa e di comodo,
che ha dato il via a commemorazioni,
monumenti, lapidi, intitolazioni di strade.
Alessandra Kersevan, ex insegnante ed oggi
paziente ricercatrice di storia e cultura
della sua regione, il Friuli, da anni lavora
al recupero della memoria storica in merito
agli avvenimenti del confine orientale.
A Trieste la
storia non comincia il 1° maggio 1945… Sì, Sembra un'osservazione banale, eppure di
fronte a tante cose che sono state scritte in
questi anni sulle vicende del confine orientale
occorre chiarire e ricordare che il fascismo in
questa regione è stato più violento che in
qualsiasi altra parte d'Italia: sloveni e
croati, oltre cinquecentomila persone che
abitavano le terre annesse dallo stato italiano
dopo la prima guerra mondiale furono oggetto di
persecuzioni razziali e ogni tipo di angherie:
divieto di usare la loro lingua, chiusura delle
scuole, delle associazioni ed enti economici
sloveni e croati, arresto degli oppositori,
esecuzioni di condanne a morte decise dal
Tribunale Speciale. Con l'aggressione
nazifascista alla Jugoslavia, nel 1941, la
nostra regione divenne avamposto della guerra e
le persecuzioni contro sloveni e croati, anche
cittadini italiani, divennero ancora più gravi:
interi paesi furono deportati nei campi di
concentramento come Arbe/Rab, oggi in Croazia,
ma allora annessa all'Italia dopo l'aggressione
alla Jugoslavia, Gonars in provincia di Udine,
Renicci di Anghiari in provincia di Arezzo,
Chiesanuova di Padova, Monigo di Treviso,
Fraschette di Alatri in provincia di Frosinone,
Colfiorito in Umbria, Cairo Montenotte in
provincia di Savona e decine e decine di altri,
praticamente in tutte le regioni d'Italia. Fra 7
e 11 mila persone, donne, uomini, bambini,
intere famiglie, morirono in questi campi, di
fame e malattie. A Trieste nel 1942 fu istituito
per la repressione della resistenza partigiana
l'Ispettorato Speciale di Polizia per la Venezia
Giulia, che si macchiò di efferati delitti
contro gli antifascisti in genere, ma
soprattutto contro sloveni e croati.
Da chi è
stato inaugurato l'uso delle foibe? Ci sono testimonianze autorevoli (per
esempio dell'ispettore di polizia De Giorgi,
colui che nel dopoguerra fu incaricato dei
recuperi dalle foibe) che furono proprio uomini
dell'Ispettorato speciale, in particolare quelli
della squadra politica, la cosiddetta banda
Collotti, a gettare negli "anfratti del Carso"
degli arrestati che morivano sotto tortura.
Comunque andando anche più indietro nel tempo,
già durante la prima guerra mondiale, che fu
combattuta soprattutto in queste terre, le foibe
venivano usate come luogo di sepoltura "veloce"
dopo le sanguinose battaglie, e nell'immediato
dopoguerra i fascisti pubblicavano testi di
canzoncine in cui si minacciava di buttare nelle
foibe chi si ostinava a non parlare "di Dante la
favella".
Che funzione
aveva la Banda Collotti? La banda Collotti era la squadra politica
dell'Ispettorato speciale guidata appunto dal
commissario Gaetano Collotti. Con la sua squadra
batteva il Carso triestino per reprimere la
resistenza che già nel '42 era iniziata in
queste zone. Si macchiarono di efferati delitti,
torturando e uccidendo centinaia di persone.
Come Resistenzastorica stiamo pubblicando con la
casa editrice Kappa Vu la ricerca di Claudia
Cernigoi sulla banda Collotti. Nel corso di
alcuni anni di ricerche Cernigoi è riuscita a
trovare una quantità consistente di
documentazione. Eppure in questo dopoguerra
nessuno, neppure gli istituti storici di Trieste
e di Udine, avevano pubblicato nulla
sull'argomento. Definiamo le
foibe. Chi ci è finito dentro? Donne?
Bambini? Quanti in tutto? Perché c'è così
grande attenzioni su queste esecuzioni,
mentre in altre zone ce ne furono in numero
assai maggiore? Nelle foibe non sono finite donne e bambini,
i profili di coloro che risultano infoibati sono
quasi tutti di adulti compromessi con il
fascismo, per quanto riguarda le foibe istriane
del '43, e con l'occupatore tedesco per quanto
riguarda il '45. I casi di alcune donne
infoibate sono legati a fatti particolari,
vendette personali, che non possono essere
attribuiti al movimento di liberazione. Questo
diventa evidente quando si vanno ad analizzare i
documenti, cosa che purtroppo la gran parte
degli "storici" in questi anni non ha fatto,
accontentandosi di riprendere i temi e le
argomentazioni della propaganda neofascista. Va
detto inoltre che i numeri non sono
assolutamente quelli della propaganda di questi
anni: è ormai assodato che in Istria nel '43 le
persone uccise nel corso della insurrezione
successiva all'8 settembre sono fra le 250 e le
500, la gran parte uccise al momento della
rioccupazione del territorio da parte dei
nazifascisti; nel '45 le persone scomparse, sono
meno di cinquecento a Trieste e meno di mille a
Gorizia, alcuni fucilati ma la gran parte morti
di malattia in campo di concentramento in
Jugoslavia. Uso il termine "scomparsi", ma
purtroppo è invalso l'uso di definire infoibati
tutti i morti per mano partigiana. In realtà nel
'45 le persone "infoibate" furono alcune decine,
e per queste morti ci furono nei mesi successivi
dei processi e delle condanne, da cui risultava
che si era trattato in genere di vendette
personali nei confronti di spie o ritenute tali.
C'è poi l'episodio della foiba Plutone, da cui
furono estratti 18 corpi, in cui gli
"infoibatori" erano appartenenti alla Decima Mas
e criminali comuni infiltrati fra i partigiani,
e furono arrestati e processati dagli stessi
jugoslavi. Insomma se si va ad analizzare la
documentazione esistente si vede che si tratta
di una casistica varia che non può corrispondere
ad un progetto di "pulizia etnica" da parte
degli jugoslavi come si è detto molto spesso in
questi anni.
La grande attenzione a questi fatti è funzionale
alla criminalizzazione della resistenza
jugoslava che fu la più grande resistenza
europea. Di riflesso si criminalizza tutta la
resistenza, e si è aperto il varco per
criminalizzare anche quella italiana, come sta
dimostrando ora Pansa con i suoi libri.
Gli studiosi
delle foibe. Chi sono? Sono di svariati generi. Quelli che noi
chiamiamo un po' ironicamente i "foibologi" sono
tutti esponenti della destra più estrema,
alcuni, come Luigi Papo hanno fatto addirittura
parte della milizia fascista in Istria, di
coloro cioè che collaborarono con i nazisti
nella repressione della resistenza. Altri, più
giovani, come Marco Pirina, sono stati esponenti
di organizzazioni neofasciste negli anni della
strategia della tensione (lui per esempio
risulta coinvolto nel golpe Borghese). Poi c'è
il filone degli storici che facevano riferimento
al CLN triestino (organizzazione non collegata
con il CLNAI) che fu il massimo organizzatore
dell'"operazione foibe" a Trieste nel
dopoguerra. Mentre può essere abbastanza facile
capire le manipolazioni della "storiografia"
fascista, è molto più difficile difendersi dalle
manipolazioni della storiografia ciellenista,
perché questi hanno un'aura di antifascismo che
fa prendere per buone tutte le cose che
scrivono. In realtà leggendo i loro libri ti
accorgi che sono citazioni di citazioni da altri
libri (spesso memorie di fascisti) non
sottoposte a verifica. Il problema è che su
tutta questa questione delle foibe ha pesato nel
dopoguerra il clima della guerra fredda: voglio
ricordare che un importantissimo documento di
fonte alleata agli inizi del '46 diceva:
sospendiamo, non avendo trovato nulla di
interessante, le ricerche nel pozzo della
miniera di Basovizza, ma perché gli Jugoslavi
non possano dire che è stata tutta propaganda
contro di loro, diremo che lo abbiamo fatto per
mancanza di mezzi tecnici adeguati. Ha pesato e
pesa inoltre molto la questione dei confini, e
il sentimento delle "terre ingiustamente
perdute", che anche se con toni un po' diversi,
coinvolge anche gli storici che fanno
riferimento politicamente al centro sinistra. Ci
sono però anche tantissimi storici seri. Per
"seri" intendo quelli che non si accontentano di
quello che è già stato scritto, ma che cercano
nuova documentazione, la analizzano, la
confrontano con quanto è già stato pubblicato e
inseriscono gli avvenimenti nel contesto in cui
sono avvenuti. Questo è il metodo storiografico
che tutti dovrebbero usare, ma, sembrerà
incredibile, nella questione della foibe e
dell'esodo anche storici accademici e
"blasonati" si sono lasciati andare a metodi da
propagandisti più che da storici, preferendo le
citazioni di citazioni di citazioni, piuttosto
che la fatica della ricerca. La foiba di
Basovizza. C'è una lapide che commemora le
vittime, eppure la storia sembra molto
diversa… La documentazione esistente, una
documentazione piuttosto corposa, dice che nella
miniera di Basovizza non ci furono infoibamenti.
Già nell'estate del '45, quindi pochissimo tempo
dopo i pretesi infoibamenti, gli angloamericani
procedettero per mesi a ricognizioni nel pozzo
della miniera (infatti non si tratta di una
foiba in senso geologico), in seguito alle
denunce del CLN triestino che diceva che
dovevano essere stati infoibati alcune centinaia
di agenti della questura di Trieste. Poiché non
fu trovato nulla di "interessante", nei primi
mesi del '46 le ricerche furono sospese, come ho
già spiegato prima. Tutto questo risulta da una
gran quantità di documenti di fonte alleata,
negli archivi di Washington e di Londra. Quindi
nella "foiba" non ci sono i "500 metri cubi" di
infoibati che sono scritti nella lapide, e
neppure i duemila infoibati citati in libri.
Dopo che Claudia Cernigoi ha riportato
questi documenti nel suo libro "Operazione foibe
a Trieste" la cosa dovrebbe essere evidente a
tutti che si occupano dell'argomento. Ma si fa
finta di niente. Il comune di Trieste adesso ha
ristrutturato il monumento sulla foiba e presto
verrà il presidente del Senato Marini a
inaugurarlo. La menzogna vive ormai di vita
propria, e non si riesce a fermarla. Le leggende
sulle foibe. Ho già spiegato che le biografie della gran
parte degli uccisi sono di persone coinvolte a
vario titolo nel regime fascista prima e
nell'occupazione nazista poi. Come ben mette in
luce Claudia Cernigoi nel suo libro, in una
città come Trieste il collaborazionismo
interessò tantissime categorie di persone, e
molti di quelli che vengono definiti "civili"
erano in realtà e collaborazionisti, delatori di
professione, spioni di quartiere che
denunciavano gli ebrei. Per esempio ai
rastrellamenti sul Carso con la banda Collotti
partecipavano anche persone che non erano
ufficialmente appartenenti alla questura. Come
gruppo di Resistenzastorica abbiamo condotto una
ricerca sulla vicenda di Graziano Udovisi,
conosciuto come "l'unico ad essere uscito vivo
dalla foiba" e presentato come una vittima "solo
perché italiano". Da questa ricerca è emerso,
oltre alla assoluta falsità del suo racconto,
che egli dal '43 al '45 era stato tenente della
Milizia Difesa Territoriale, in un gruppo dal
nome significativo di "Mazza di Ferro",
specificamente preposto alla repressione della
guerriglia, e che nel '46 fu condannato per
crimini di guerra a 2 anni e 11 mesi di
reclusione. Eppure nel 2005 Graziano Udovisi è
diventato "uomo dell'anno", premiato con l'Oscar
della Rai per una sua intervista a Minoli, che
lo ha presentato come uno che è stato
"infoibato" "solo perché italiano. Come ho già
detto: storici, giornalisti e tutti coloro che
scrivono di queste cose in questi anni di
Giornate del Ricordo, dovrebbero sapere che
intorno a queste vicende c'è tanta propaganda, e
che quindi bisogna informarsi bene prima di
scrivere. L'atteggiamento
della destra e della sinistra. Non si vede una grande differenza. La destra
fascista ha trovato in questo argomento la
possibilità di ribaltare il discorso delle
responsabilità nella seconda guerra mondiale,
passando da carnefici a vittime, con la
possibile riabilitazione dei repubblichini di
Salò ecc. La sinistra ha trovato l'occasione per
prendere le distanze dal proprio passato
partigiano, con tutta una serie di distinguo e
di "ammissioni" in cui le foibe erano funzionali
in quanto venivano attribuite a partigiani, sì,
ma "slavi" (e si sa che il razzismo antislavo è
molto diffuso) e quindi la resistenza italiana
poteva restarne fuori. La miopia di una simile
posizione la si vede oggi, con un'operazione
come quella di Giampaolo Pansa, che attacca
direttamente la resistenza italiana.
C'è da dire, inoltre, che l'"operazione foibe" è
funzionale alla politica estera italiana,
tradizionalmente "espansionistica" verso la
penisola balcanica. Anche in questo senso,
centrodestra e centrosinistra non si
distinguono. Noi di Resistenzastorica abbiamo
una raccolta impressionante di dichiarazioni di
esponenti del centro sinistra in senso
neoirredentista, cioè tese alla rivendicazione
delle "terre perdute", tema che oltre ad essere
stato sempre tipico della destra, sembrerebbe
oggi anche antistorico, nel momento
dell'allargamento dell'UE. Eppure le
dichiarazioni ci sono, anche di personaggi come
Fassino. Che cosa
significa oggi commemorare i morti delle
foibe? Come ho spiegato, commemorare i morti nelle
foibe significa sostanzialmente commemorare
rastrellatori fascisti e collaborazionisti del
nazismo. Per gli altri morti, quelli vittime di
rese dei conti o vendette personali, c'è il 2 di
novembre. Che cosa
andrebbe fatto per restituire dignità alla
memoria storica del paese? Per quanto riguarda la dignità del paese,
credo che l'unica cosa da fare sia smettere
quella convinzione nazionale che gli italiani
siano sempre stati "brava gente", che dovunque
sono andati hanno portato la civiltà, anche
quando bruciavano i villaggi della Croazia, o
impiccavano i ribelli libici. Gli italiani
debbono rendersi conto che la repubblica
italiana non ha mai fatto veramente i conti con
le responsabilità del fascismo. Dietro al
discorso delle foibe c'è proprio l'interesse di
continuare a nascondere queste responsabilità.
Infatti la proposta italiana di incontro
trilaterale fra i presidenti di Italia,
Slovenia, Croazia, sui luoghi della memoria,
inserendo la Risiera di San Sabba, il campo di
concentramento di Gonars (o quello di Arbe) e la
foiba di Basovizza, non è altro che un tentativo
di gettare fumo negli occhi, di far dimenticare
i crimini di guerra italiani in quei territori
equiparando la foiba di Basovizza alla Risiera,
unico campo di concentramento nazista con forno
crematorio, in cui morirono oltre 3000 persone,
soprattutto partigiani italiani, sloveni e
croati, o ai campi di concentramento in cui
morirono almeno settemila sloveni, croati,
serbi, montenegrini. Il presidente della
Repubblica dovrebbe andare di propria iniziativa
ad Arbe in Croazia, o a Gonars a rendere omaggio
alle vittime del fascismo, e a chiedere scusa
agli ex jugoslavi. Questo dovrebbe essere la
prima cosa da fare. Poi dovrebbe far pubblicare
i risultati della commissione storica
italo-slovena, che il governo italiano si era
impegnato a pubblicare ma non ha mai fatto. Poi
il governo di centro sinistra potrebbe obbligare
la RAi a trasmettere in prima serata il
documentario "Fascist legacy / L'eredità
fascista", sui crimini di guerra italiani in
Etiopia, Libia e Jugoslavia. Questo documentario
della BBC fu acquistato nell'89 dalla RAI, ma
mai trasmesso.
INTERPELLANZA APERTA
Al
Ministro degli Esteri
Franco Frattini
Premesso che in data 23
maggio 2009 una nutrita delegazione
dell’Unione degli Istriani si è recata nella
Repubblica di Slovenia nel villaggio di Lokev
(Corgnale), asseritamene per rendere omaggio
“agli infoibati italiani e stranieri” nei
pressi della grotta Golobivnica, non riuscendo
ad arrivare fino all’imbocco della grotta
stessa, che si trova su un terreno privato;
Rilevato che la delegazione
dell’Unione degli Istriani era accompagnata da
alcuni rappresentanti istituzionali locali, ma
soprattutto dal Sottosegretario del ministero
dell’Ambiente Roberto Menia e dal Console
italiano a Capodistria, Carlo Gambacurta;
Atteso che, senza voler
entrare nel merito dell’iniziativa specifica,
giova sottolineare che l’Unione degli Istriani
contesta pubblicamente il Trattao di Pace di
Parigi e rivendica apertamente la necessità di
rimettere in discussione i confini all’interno
dell’Unione europea essendo di fatto
fortemente contraria all’attuale assetto
comunitario;
Preso atto, con personale
rammarico, che la città di Trieste a fine
giugno ospiterà il prossimo G8 Esteri;
Il sottoscritto
consigliere regionale Interpella pubblicamente
il signor ministro per sapere
1. Se fosse al corrente
della presenza di un esponente del Governo
Italiano e di un funzionario del Ministero
degli Esteri all’iniziativa descritta in
premessa.
2. Se ritiene che ad
esponenti del Governo Italiano e funzionari
nominati dal Ministero degli Esteri che
ricoprono incarichi di rappresentanza
effettiva dello Stato Italiano all’estero sia
consentito partecipare a manifestazioni
pubbliche a titolo personale o privato.
3. Se ritiene opportuno che
rappresentanti del Governo Italiano o
funzionari del Ministero degli Esteri
partecipino - a titolo personale o privato -
ad iniziative settarie, promosse da soggetti
che perseguono e praticano attivamente
il conseguimento di obiettivi contrari allo
spirito comunitario, a decisioni sancite da
trattati internazionali ed alle politiche
dell’Unione Europea in materia di
intangibilità dei confini nazionali così come
sanciti dal Trattato di Pace.
Trieste, 25 maggio 2009
Igor
Kocijancic (*)
Consigliere regionale del
FVG
(*)
Partito della Rifondazione Comunista
Essere
infoibati a Viterbo...
In merito
ai comunicati stampa [emessi nel
2009 dall'ANPI di Viterbo] vanno
segnalati i due inerenti alla questione
foibe, principale veicolo per gli attacchi
mistificatori del revisionismo strumentale
contro la Resistenza. Il primo riguarda
l’intestazione al volontario viterbese in
Jugoslavia Carlo
Celestini di un cippo in
piazza Martiri foibe istriane di Viterbo,
che lo vuole, appunto, “sacrificato nelle
foibe” nel 1945. Dalla documentazione
conservata all’Archivio di Stato di
Viterbo non emerge affatto che questi sia
stato infoibato e non si riesce a capire
su quali basi l’Amministrazione comunale
di Viterbo abbia svolto le pratiche per
l’intestazione. L’altro caso riguarda
invece Vincenzo
Gigante, un poliziotto
pugliese di stanza a Fiume cui l’estate
scorsa l’Associazione nazionale Polizia di
Stato (Anps) di Capranica ha solennemente
intestato la propria sezione, in quanto
infoibato dai comunisti di Tito nel 1945.
Anche qui, non si capisce su quali basi,
mentre sono proprio gli enfatici reportage
dei giornali sulla cerimonia
d’intestazione a suscitare seri dubbi. In
ambedue i casi non c’è stata risposta da
parte dei diretti responsabili. Su
Celestini, gli esponenti della maggioranza
al Comune di Viterbo tacciono; su Gigante,
l’Anps non ha emanato alcuna nota a
seguito del nostro comunicato, né i
giornali che hanno riportato la cerimonia
sono tornati successivamente
sull’argomento. Tuttavia, per ambedue gli
interventi, ci sono arrivate alcune
lettere, prive, va da sé, di
documentazione sulle questioni sollevate
ma in compenso ricche di insulti e accuse
d’ogni tipo, che non hanno fatto altro che
suffragare ulteriormente l’infondatezza di
operazioni che di storico non hanno nulla.
Che conclusioni trarne?
(tratto da:
"1945-2010: 65° della Liberazione. Una
nuova stagione per l’Anpi. Appello per il
tesseramento al Comitato provinciale di
Viterbo", di Silvio Antonini, Segretario e
Portabandiera, ANPI Viterbo - per
contatti: anpi.vt @ libero.it )
Viterbo:
davvero Carlo Celestini è stato
“sacrificato nelle foibe”?
di Silvio Antonini*
Sono passati quasi dieci anni esatti da
quando l’amministrazione comunale di
Viterbo ha dedicato la piazza (o largo)
fuori porta Faul ai “martiri delle foibe
istriane”, nella logica di contrassegnare
le principali vie d’accesso al centro
cittadino con intestazioni che non lascino
alcun dubbio al forestiero circa
l’orientamento politico e i propositi del
Comune. Ai margini di questa piazza, una
pleonastica targa di peperino aggiunge: “A
perenne ricordo di migliaia di italiani
sacrificati con la sola colpa di essere
italiani”. Nel 2001, l’intestazione si
arricchisce di un cippo su cui è scolpito
“In ricordo del nostro concittadino Carlo
Celestini, sacrificato nelle foibe.
Viterbo marzo 1922 - Djakovo maggio 1945”.
Non è il caso di tornare nuovamente a
controbattere l’infondatezza di cifre
improbabili o di asserzioni strumentali
che nulla hanno di storico. Sapendo però
delle regole della cosiddetta “operazione
foibe”: intestazioni di vie e monumenti e
assegnazioni di medaglie effettuate con
disinvoltura, senza la pur minima ricerca
storiografica, ho deciso di fare delle
verifiche, soprattutto perché quel
cognome, Celestini, mi era tutt’altro che
nuovo.
Mi sono così rivolto al direttore della
Biblioteca Comunale di Viterbo Giovanni
Battista Sguario: a lui esponenti locali
d’Alleanza Nazionale avevano commissionato
la ricerca su questa persona ai fini
dell’intestazione. La risposta è stata che
la documentazione allora utilizzata, di
cui lui aveva posseduto copia che ora non
riesce a recuperare, si trova all’Archivio
di Stato di Viterbo (Asvt). Mi reco sul
posto e cerco nel fondo Gabinetto della
Prefettura. Qui però, alla lettera C della
serie Caduti e Dispersi in Guerra, non
esiste alcun fascicolo sul Celestini. Tra
l’altro, m’informano gli impiegati
dell’Archivio, ai tempi di tale ricerca
questo fondo non era ancora inventariato;
buste e fascicoli non erano censiti:
nessuno potrebbe quindi sapere riguardo
eventuali smarrimenti.
L’unico documento sul Celestini che si
trova all’Asvt è nella documentazione del
Distretto Militare di Viterbo, ivi
depositata alla chiusura del distretto
stesso. Trattasi di un foglio matricolare
(n. 10243) contenente notizie che mettono
fortemente in dubbio i motivi
dell’intestazione. Emerge subito
un’ovvietà, trattandosi di foglio
matricolare: il Celestini era un militare,
non un semplice cittadino infoibato “con
la sola colpa di essere italiano”. Poi,
guardando la paternità, si apprende che lo
stesso è figlio di Crescenziano Celestini,
personaggio nel quale mi ero imbattuto
durante gli studi sui fatti viterbesi del
1921-’22, quando questi, fascista
“antemarcia”, era, assieme al fratello
Giulio, dirigente del Fascio di
Combattimento di Viterbo. Le camicie nere
viterbesi in quel periodo non trovavano
agio nella vita politica cittadina; per
questo motivo chiedevano aiuto alle
delegazioni forestiere che, a loro volta,
nel 1921, si macchiavano dei delitti
Antonio Prosperoni (2 maggio) e Tommaso
Pesci (10 luglio). Crescenziano Celestini
sarà poi impiegato alla Provincia,
funzionario zelante pure durante la Rsi,
ma non per questo epurato, tanto che è
nell’elenco degli impiegati ancora negli
anni ’50. Il figlio Carlo perciò non
proveniva dalla cosiddetta “zona grigia”
ma da un ambiente familiare spiccatamente
fascista. Difatti, il foglio matricolare
informa che questi parte volontario (molto
probabilmente per convinzioni politiche)
per il 56° Reggimento Fanteria di Venezia,
con la ferma d’anni due, dal 5 dicembre
1940. Il 6 aprile dell’anno dopo è
imbarcato per l’Albania (Durazzo).
L’ultimo aggiornamento del foglio - ciò
significa che da lì in poi il Distretto
non ha più ricevuto informazioni - è del
13 ottobre 1947 e dice: “Disperso in
occasione di eventi bellici in Croazia” a
seguito dell’8 settembre 1943. Da
nessun fatto né luogo tra quelli riportati
qui, nell’unico documento a nostra
disposizione che ne parli, si evince un
infoibamento, né “disperso in Croazia”
equivale a “sacrificato nelle foibe”,
cavità carsiche del territorio istriano.
Sul cippo in suo ricordo è dato Djakovo
come luogo di morte. Secondo quanto
riferitomi da Sguario, che mi ha
gentilmente citato a memoria alcuni
particolari, sarebbe stato scelto questo
luogo poiché da qui il Celestini inviava
la sua ultima lettera ai familiari, nel
gennaio 1945 (almeno all’epoca delle
ricerche di Sguario due sorelle del
Celestini risiedevano a Milano). Se questo
rispondesse al vero, per quale motivo sul
cippo il decesso è postdatato di quattro
mesi? Djakovo inoltre si trova in
Slavonia, regione croata ai confini con la
Serbia, territorio – m’informa Sandi Volk
della Biblioteca Nazionale Slovena e degli
Studi di Trieste - di pertinenza tedesca
durante l'occupazione della Jugoslavia.
Qui non si sono verificati infoibamenti;
siamo assai lontani dall’Istria: sarebbe
come dire “sacrificato nel Viterbese”
riferendosi ad un tale venuto a mancare,
grossomodo, tra l’Emilia e la Lombardia.
Il foglio ci dice - come abbiamo visto -
che il Celestini era un volontario,
circostanza che Sguario ricorda anche per
il dopo 8 settembre. Facciamo presente
che, per quanto riguarda gli occupanti
italiani, sono proprio i volontari
fascisti a distinguersi per ferocia
nell’opera di rastrellamento, distruzione
villaggi e deportazione delle popolazioni
slave. Ragion per cui un volontario finito
nelle mani della Resistenza jugoslava
riusciva difficilmente a farla franca,
aldilà delle responsabilità del singolo.
In conformità a ciò, l’ipotesi più
plausibile è che il Celestini nel periodo
1943-’45 fosse ancora volontario in
Jugoslavia (Croazia, stando al foglio) per
il fronte nazifascista - non è dato sapere
in quale reparto (camicie nere, X MAS, SS
italiane etc.) - e che fosse caduto in
combattimento o, se vogliamo prender per
buona la data del maggio 1945, giustiziato
dai partigiani, dai civili, oppure
deceduto successivamente in un campo di
concentramento. Non vi è invece
documentazione sul fatto che sia finito
nelle foibe istriane, tanto è vero che non
è menzionato in nessuno degli elenchi
redatti in merito. C’è sì un soldato della
provincia di Viterbo finito nelle foibe in
quei frangenti, ma si tratta di Valentino
Trauzzola di Lubriano, guarda caso un
volontario fascista della Rsi (si veda:
Luigi Catteruccia, Cominciò l’8
settembre in Jugoslavia l’odissea di
migliaia di soldati, inserto di
“Biblioteca e Società”, XIV, 1995, 23).
In conclusione - nel rispetto dovuto ad
una persona morta in giovane età, senza
che i familiari ne ottenessero la salma o
almeno notizie sulle circostanze della
morte, e di cui ignoriamo responsabilità
individuali - è lecito sospettare che il
Celestini sia stato scelto
nell’intestazione per un solo motivo: è, a
quanto pare, l’unico viterbese di idee
fasciste disperso in Jugoslavia durante la
seconda guerra mondiale. Da qui, senza
perderci troppo tempo, è stato a lui
conferito il ruolo toponomastico di
“sacrificato nelle foibe con la sola colpa
di essere italiano”, che ciò fosse vero o
meno.
* Segretario e Portabandiera Anpi Comitato
Provinciale di Viterbo.
Viterbo 6/02/2009
Replica ad
Aldo Quadrani in merito
alla lettera pubblicata su “il Nuovo
Corriere Viterbese”, 8 febbraio 2009, p.
9.
Su “Il Nuovo Corriere Viterbese”
dell’8 febbraio è comparsa una replica di
Aldo Quadrani, dirigente del Circolo Reale
di Viterbo, in merito al mio intervento
sull’inattendibilità storica
dell’intestazione a Carlo Celestini di
piazza Martiri delle foibe istriane, che
lo stesso giornale aveva pubblicato
integralmente – e per questo lo ringrazio
– il giorno prima.
Il Quadrani, dicendosi altresì disgustato,
definisce il mio scritto “neppure degno di
replica anche per le tante inesattezze
riportate”, dimenticandosi però di
scrivere quali sarebbero queste
inesattezze. Io ho citato tutte le fonti
alle quali ho fatto riferimento, documenti
fruibili da tutti, anche a meno dei tre
chilometri di distanza sui quali
l’esponente monarchico ironizza. È difatti
sufficiente andare alla Biblioteca
Comunale degli Ardenti e all’Archivio di
Stato di Viterbo. Qui, ad es., ci si può
rivolgere per sapere sulle vicende
belliche del Celestini, chiedendo del
fondo Distretto Militare, serie Fogli
Matricolari, n. 10243. Piuttosto: il
Quadrani di quale documentazione dispone?
E soprattutto: è in grado di esibirla?
Lo stesso Quadrani che poi fa una gaffe,
quando dice che Djakovo - il luogo del
decesso riportato sul cippo del Celestini
- si trova in “Slovenia, che allora faceva
parte della Croazia”. Ma Djakovo, come
avevo scritto, è in Slavonia, regione ai
confini con la Serbia, ancor oggi nel
territorio croato, mentre la Slovenia, che
con la Croazia non c’entra nulla, è uno
stato che nel dopoguerra farà parte della
federazione jugoslava e che oggi è
indipendente, e nel quale comunque non ci
sono foibe.
Infine, il Quadrani informa in merito alle
circostanze che portarono alla scelta del
nome di Celestini - un tassello assai
importante -, parlando di un convegno,
tenuto dai monarchici viterbesi nel 1997,
dal quale “scaturì la presenza e la
scomparsa di Carlo Celestini”. Che sia
stato presente e poi scomparso è ovvio, lo
dice il foglio matricolare, ma in base a
quale documentazione si stabilì che fosse
stato infoibato e soprattutto che Djakovo
si trovasse in Istria?
Inverosimilmente, con questa nota,
l’indiscusso leader dei monarchici locali
rafforza la tesi sull’infondatezza storica
di quell’intestazione.
Silvio Antonini
Segretario e Portabandiera
ANPI CP Viterbo
Viterbo 8/02/2009.
Sabato 18 luglio, a Capranica (Vt), è
stata inaugurata la locale sezione
dell’Associazione Nazionale Polizia di
Stato (Anps), alla presenza delle autorità
politiche, civili e religiose del posto.
La sezione è stata intestata al
vicebrigadiere Vincenzo Gigante, poiché
“vittima delle foibe istriane”. Nei
resoconti della cerimonia usciti sui
giornali locali, però, non si fa
minimamente cenno alle circostanze di
questo infoibamento. Insospettisce a tal
proposito soprattutto l’articolo comparso
su “Nuovo Viterbo oggi”, che titola: La
Polizia omaggia il brigadiere Gigante,
Collaborò con il commissario Palatucci nel
salvare 5 mila ebrei, Finì infoibato il 16
giugno del 1945 per mano dei comunisti di
Tito, (21 luglio 2009, p. 10). Il giornale
edito da Giuseppe Ciarrapico muove
l’accusa infamante contro la Resistenza
jugoslava di aver infoibato addirittura
una persona che aveva salvato migliaia di
ebrei. Nel resoconto, il giornalista Marco
Tartarini scrive che Gigante, nato in
provincia di Lecce nel 1906, durante la
seconda guerra mondiale è a Fiume con
l’incarico di vigilanza nel porto franco.
Quella che però nel titolo è data come
notizia certa: la collaborazione con il
commissario Giovanni Palatucci nel salvare
gli ebrei dallo sterminio, nel testo è in
realtà semplicemente ipotizzata e
l’articolo, per tre colonne su sei, parla
delle gesta di Palatucci, anziché
argomentare le motivazioni
dell’intestazione Anps, cioè
l’infoibamento di Gigante. Su questo punto
si dice soltanto che i familiari del
vicebrigadiere - cui va comunque tutto il
rispetto che si deve a chi ha perso un
proprio caro - nel timore di ritorsioni,
abbiano distrutto tutta la documentazione,
“difatti – scrive Tartarini -, alla data
odierna nessuna traccia è pervenuta se non
una vecchia tessera ferroviaria rilasciata
dall’allora Regio Ministero dell’Interno,
da cui si è potuto riprendere una giovane
foto in borghese del Gigante, da cui il
ritratto in effige incorniciata, oggi,
nella sede di Capranica a lui intitolata
dell’Associazione Nazionale Polizia di
Stato”. Qui, dopo aver mandato a farsi
benedire sintassi e ortografia, si ammette
In sostanza che sulle circostanze della
morte di Gigante non vi siano documenti e
che per l’intestazione sia stata
sufficiente una fototessera!
Pensando che il vicebrigadiere avesse
qualche relazione con il nostro
territorio, mi sono recato all’Archivio di
stato di Viterbo per cercare il nome sui
fogli matricolari, senza però trovarne
traccia: il poliziotto evidentemente non
aveva alcun rapporto con il Viterbese, men
che mai con Capranica.
Mi sono quindi rivolto altrove, per
verificare se Gigante figurasse in qualche
elenco d’italiani infoibati. Mi ha
risposto Claudia Cernigoi, l’autrice di
Operazione foibe, informandomi che un
Vincenzo Gigante, nato nel 1906, è
elencato tra i poliziotti fucilati a Fiume
nel 1945. Coincidono con l’intestatario
della sezione di Capranica il nome, il
cognome, l’anno di nascita, la professione
e, presumibilmente, il luogo di stanza. Da
questa informazione si evince però che,
innanzitutto, Gigante non è stato
infoibato ma fucilato e che, come luogo di
morte, figura Fiume, e a Fiume non ci sono
foibe, cioè le cavità carsiche naturali
del territorio istriano. Stando a questi
dati, inoltre, sono ignote le
responsabilità di Gigante durante il
conflitto, aspetto tutt’altro che
trascurabile soprattutto per la
professione che questi svolgeva.
Un’associazione può intestare le proprie
sedi a chi ritiene più opportuno. Certo,
in questo caso, i poliziotti di Capranica
potevano semplicemente dedicare la sezione
a Gigante, perché collega caduto in guerra
e basta, ma siccome si sono mosse accuse
infamanti contro i partigiani jugoslavi,
senza uno straccio di prova, sarebbe bene
che l’Anps e i giornali che con enfasi
hanno dato spazio alla cerimonia
pubblicassero anche la documentazione su
cui si è basata l’intestazione.
In conclusione va ricordato che c’è, in
realtà, un Vincenzo Gigante senza ombra di
dubbio degno di mille intestazioni. È un
omonimo e corregionale del poliziotto: si
tratta di un comunista, perseguitato
durante il ventennio e Partigiano nelle
Brigate Garibaldi a Trieste. Catturato su
delazione nell’autunno 1944, il partigiano
Gigante sarà orribilmente torturato dai
nazifascisti e poi bruciato nel forno
crematorio della risiera di San Sabba.
Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Silvio
Antonini
Segretario
e Portabandiera
Anpi Cp
Viterbo
AGGIORNAMENTI 2011:
Sulla
pubblicazione
dell’elenco dei viterbesi “infoibati”
Nel 2001, l’Amministrazione comunale di
Viterbo aveva intestato un cippo in largo
Martiri delle foibe istriane a Carlo
Celestini “sacrificato nelle foibe”. Due
anni fa abbiamo redatto un comunicato
stampa per dimostrare che, in base a
documentazione inconfutabile, le
circostanze dell’infoibamento non
risultassero affatto. Il Comune di Viterbo
non ha mai risposto.
Durante le celebrazione del Giorno del
ricordo 2010, però, il consigliere
comunale di maggioranza Maurizio Federici
aveva parlato di “dodici martiri, nati a
Viterbo e provincia, che da alcune
ricerche storiche risultano deceduti a
seguito di deportazione, fucilazione o
infoibamento”. Così avevamo inoltrato
all’assessore una lettera per sapere circa
i nomi di questi dodici, senza ottenere
risposta.
Stamattina, con una conferenza
stampa tenuta da Federici assieme ad altri
esponenti del locale centrodestra, sono
stati pubblicati questi nomi che,
frattanto, sono
diventati
diciotto. Faremo al più presto
ricerche a riguardo, in quanto la
storiografia, come tutte le scienze,
comporta rigore, serietà e scrupolosità
che possono venir meno in un semplice
scambio di battute.
Tralasciando ora il fatto che nella
conferenza stampa, almeno da quanto
riportano i giornali, non si sia fatto
cenno delle politiche antislave del
fascismo, né del martirio cui sono state
sottoposte le popolazioni balcaniche
occupate dai fascisti (deportazioni e
fucilazioni di massa, distruzioni di
interi villaggi etc.), veniamo ai dati
forniti nell’elenco dei nomi. Nessuno di
questi elencati - va da sé tutti soldati -
risulta inoppugnabilmente infoibato e,
“probabilmente infoibato” non
necessariamente significa effettivamente
infoibato. Per alcuni si dice
esplicitamente che le cause della morte
sono ancora in fase di accertamento, per
altri si parla di fucilazione o decesso a
seguito di internamento, mentre per
qualche caso è notizia certa il solo
avvenuto decesso, anche a distanza di anni
dalla fine del conflitto! In sostanza, è
sufficiente la sola circostanza di essere
venuti a mancare nei Balcani per essere
definiti “infoibati con la sola colpa di
essere italiani”. Un infoibamento ormai
esteso a tutte le possibili cause di
morte. Senza contare che nei Balcani, dopo
l’8 settembre 1943, i soldati italiani, a
migliaia, sono stati fucilati, deportati
nei campi di sterminio o sono deceduti nei
campi di prigionia per mano dei
nazifascisti.
Proprio in merito a Celestini, la scheda,
sospettosamente breve, riporta soltanto:
“CELESTINI Carlo, di Crescenziano, nato a
Viterbo nel 1922, scomparso, infoibato nel
1945 a Dyakovo”. Il Comune, in tutta
evidenza, non intende rendere pubblica la
documentazione su cui si basò
l’intestazione del cippo, né motivare a
riguardo. In compenso, Federici, parlando
delle celebrazione del 10 febbraio,
annuncia: “Deporremo un mazzo di fiori al
monumento dedicato a Carlo Celestini, un
martire delle foibe”. Come dire: alla
faccia vostra!
Fermo restando il rispetto e la pietà che
si debbono a tutti i morti, siamo sempre
più palesemente dinanzi ad un uso,
quantomeno, scorretto delle fonti, privo
anche dei più basilari criteri
storiografici, sacrificati nel nome di
opinioni e convinzioni personali, con
l’obiettivo politico di diffamare la lotta
partigiana.
Silvio Antonini
Segretario e Portabandiera
Anpi Cp Viterbo
Estratto
dal Resoconto del Congresso del
Comitato provinciale Anpi di Viterbo:
Sabato 29 gennaio 2011, presso la sede
dell’associazione Viterbo con amore, via
Cavour, 97, si è riunito il Congresso del
Comitato provinciale (Cp) Anpi di Viterbo,
in vista del 15° Congresso nazionale, che
si terrà a Torino il 24-27 marzo. Hanno
partecipato all’evento oltre trenta
persone tra cui molti giovani e
giovanissimi che mai si erano avvicinati
all’Associazione. (...)
In merito al Giorno del ricordo, il
documento del Cn denuncia il fatto che la
ricorrenza si sia trasformata in
celebrazione “dell’orgoglio fascista”.
Come Cp Viterbo affermiamo che
l’istituzione di questa ricorrenza sia già
di per sé strumentale, poiché finalizzata
a denigrare l‘Antifascismo, la lotta
partigiana e le popolazioni slave: siamo
l’unico paese europeo ad aver fatto
assurgere ad evento luttuoso un trattato
di pace dopo una guerra che aveva visto
l’Italia come aggressore di popoli vicini
e, per giunta, sconfitta. Ormai è palese
come l’ “operazione foibe” non si basi
affatto su criteri storiografici, anche
quelli più basilari (abbiamo trattato più
volte l’argomento, sia a livello locale
sia nazionale), ma su faziosità
ideologiche e etniche, un tempo
appannaggio dell’estrema destra, divenute
istituzionali per ragioni politiche. In
base a ciò, chiediamo che il 10 febbraio
diventi la Giornata dell’amicizia tra il
popolo italiano e quelli balcanici,
contro la xenofobia e le guerre.
(...)
Sulle questioni locali: il Cp intende fare
una proposta circa la toponomastica del
Comune di Viterbo, nello specifico sul
largo Martiri delle foibe istriane e sul
cippo che vi ricorda Carlo Celestini,
viterbese “sacrificato nelle foibe”. Due
anni fa siamo intervenuti pubblicamente
denunciando il fatto che dalla
documentazione dell’Archivio di Stato non
risulta affatto che questi sia stato
infoibato, chiedendo spiegazioni
all’Amministrazione comunale, per
un’intestazione fortemente sospetta di
arbitrarietà, pure grossolana. Non abbiamo
ottenuto risposta alcuna. È altresì
inaccettabile, in termini di cifre e
verità storica, quanto scritto sulla targa
posta nel largo in questione, che riporta
di “migliaia di italiani sacrificati con
la sola colpa di essere italiani”.
Chiediamo, quindi, che quel largo cambi
intestazione per essere dedicato ai Viterbesi
vittime del fascismo, a partire
da quelli assassinati negli anni Venti
(Antonio Prosperoni, Tommaso Pesci e
Antonio Tavani) su cui si dispone di
abbondante quanto inconfutabile
documentazione. In questo largo, un cippo
potrebbe ricordare proprio Tommaso Pesci,
contadino ucciso, senza motivo, con un
colpo dritto in faccia sparato da un
fascista orvietano, mentre era inerme
sull’uscio di casa, in via Lucchi, il 10
luglio 1921 (inaugurazione del
gagliardetto fascista). Nel 90°
anniversario dei fatti, Viterbo renderebbe
omaggio a un suo cittadino, i cui
familiari non ottennero giustizia.
Il Congresso ha rappresentato un’occasione
per il ridefinire l’assetto del Consiglio
direttivo. È riconfermato l’incarico di
Presidente a Renato Busich. Con la morte
di Rosa Mecarolo, era rimasto vacante
l’incarico della Presidenza onoraria, ora
affidato a Nello Marignoli, Partigiano
viterbese combattente in Jugoslavia,
iscritto Anpi dal 1947. Marignoli, assente
per motivi di salute, ha ringraziato della
nomina per telefono. È stato eletto
consigliere Francesco Antonaroli che,
ormai da anni attivo per l’Anpi, ha dato
prova di serietà e impegno costante.
L’iscritto Carlo Boccolini è stato,
invece, eletto nel collegio revisori
conti.
Per il resto, è confermato l’organico
emerso dal Congresso straordinario del
2009.
Il Direttivo del Comitato provinciale Anpi
Viterbo
Per infangare
la Resistenza il TG3 manomette le foto dei
crimini italiani nella Slovenia occupata
Nei video mostrati il 10 febbraio 2010 dai
telegiornali di Rai 3 e su Linea Notte, tra
filmati e immagini sulle foibe sono state
subdolamente inserite anche foto che
documentano invece i crimini italiani nella
Slovenia occupata.
Nel suo articolo "La
malastoriografia" in Revisionismo
storico
e terre di confine Alessandra
Kersevan già aveva documentato un
caso analogo: sul Messaggero Veneto,
tre anni fa avevano usato una
immagine della fiction "Il cuore nel
pozzo" apponendo la didascalia:
"Immagini d'epoca. [sic]
Rastrellamenti di partigiani
jugoslavi contro la popolazione"
[sic].
(segnalato da Alessandra Kersevan, che
ringraziamo)
GIORNO DEL
RICORDO DELLE FOIBE E DELL’ESODO E
DELL’AMNESIA STORICA
La giornata commemorativa del 10 febbraio è
stata istituita con la legge 30 marzo 2004,
n. 92, “in memoria delle vittime delle
foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle
vicende del confine orientale”. Lo scopo di
questo “ricordo” avrebbe dovuto essere lo
studio e la diffusione della conoscenza
degli avvenimenti al confine orientale
d’Italia tra il 1943 ed il 1947 (fino alla
firma del Trattato di pace, il cui
anniversario cade proprio il 10 febbraio).
Già la scelta della data costituisce di per
se stessa uno stravolgimento storico: la
firma del trattato di pace vista non come la
fine della guerra ma come il giorno in cui
l’Italia (che aveva perso una guerra che lei
stessa aveva cominciato, particolare che
nessuno ricorda) dovette rinunciare ad un
parte del suo territorio.
Fin dalla prima celebrazione, avvenuta nel
2005, abbiamo visto come la ricorrenza
invece di essere un’occasione di
approfondimento della storia è stata subito
monopolizzata da associazioni nazionaliste
ed irredentiste (Lega Nazionale, Unione
degli istriani, Associazione Nazionale
Venezia Giulia e Dalmazia) e da forze
politiche di destra più o meno estrema
(Forza Nuova, Alleanza Nazionale, ed ora il
PDL dopo che AN vi si è sciolta) con il
risultato che il 10 febbraio è diventato,
secondo una definizione (che condividiamo)
dello storico Sandi Volk, il “Giorno
dell’orgoglio fascista”.
Infatti nelle celebrazioni, sia ufficiali,
sia delle singole associazioni, sentiamo
l’ostinata continua descrizione della
ferocia dei partigiani (quelli comunisti) e
dell’Esercito jugoslavo, che viene
considerato non come uno degli eserciti
alleati ma trattato alla stregua di un
esercito di occupazione, e nel contempo
vengono del tutto cancellate le
responsabilità del fascismo nel conflitto;
vediamo gerarchi fascisti,
collaborazionisti, persino acclarati
criminali di guerra descritti come “martiri”
ed “eroi” in quanto “soppressi e infoibati”
da forze jugoslave. Perché la legge prevede
anche una onorificenza per questi “soppressi
ed infoibati”, e pazienza se abbiamo visto
“premiare” anche torturatori, o semplici
militari collaborazionisti dei nazisti morti
in combattimento, o ancora persone delle
quali non si conoscono neppure le modalità
della morte, mettendo tutti i nomi in un
gran calderone di “vittime degli slavi”. Il
fatto che negli ultimi anni non si siano
neppure resi pubblici i nomi di coloro che
hanno ricevuto questa onorificenza fa
pensare che addirittura si temano obiezioni
sulla liceità di queste attribuzioni. E
però, nonostante le modalità piuttosto sui
generis dei riconoscimenti, evidentemente le
cose non sono andate come si aspettavano i
promotori della legge (primo ideatore
Roberto Menia), visto che nel sito del
Consolato italiano di Madrid leggiamo che
“finora, dopo 5 anni di lavoro della
commissione, è pervenuto soltanto un
limitato numero di domande a fronte del
potenziale, elevato numero delle persone
destinatarie del riconoscimento (circa
10.000, secondo le stime (stime inesatte,
ndr), furono le persone che persero la vita
la vita per infoibamento)”; e quindi
“d’intesa con la Presidenza del Consiglio
dei Ministri e con il Ministero Affari
Esteri, si ritiene pertanto opportuna una
capillare azione d’informazione anche
all’estero, ove si trasferirono
numerosissime famiglie di esuli dall’Istria,
Fiume e Dalmazia, i cui discendenti
potrebbero beneficiare della Legge di cui
trattasi”. Come ammettere che si sta
raschiando il fondo del barile dopo il flop,
che si è dimostrata essere questa
iniziativa.
A fronte di tutta di questa propaganda e
disinformazione, di diffusione di odio
antijugoslavo ed anticomunista, di insulti
alla Resistenza, un gruppo di storici (tra i
quali chi scrive) ha in questi anni cercato
di “resistere”, in collaborazione di volta
in volta con l’Anpi, con partiti di sinistra
(i soli Rifondazione Comunista e Comunisti
italiani), con le Università e con i Centri
sociali, con organizzazioni giovanili e di
base, organizzando e partecipando ad
iniziative di informazione storica per
cercare di porre un freno alle falsità
dilaganti che vengono a tutt’oggi diffuse.
Dopo un lavoro ormai più che decennale di
attività di informazione e di una vera e
propria “resistenza storica” (spesso siamo
stati tacciati di “negazionismo”, abbiamo
subito contestazioni pesanti e tentativi di
impedirci di parlare), piano piano il nostro
discorso si è allargato al punto che lo
storico Jože Pirjevec, accademico di fama e
(fatto non indifferente) non comunista ha
pubblicato per l’Einaudi lo studio “Foibe.
Una storia d’Italia”, libro che ha creato un
grande scompiglio.
Infatti il 30 gennaio scorso due consiglieri
regionali del PDL del FVG (Roberto Novelli e
Edoardo Sasco) hanno lanciato un attacco a
Pirjevec che viene accusato di “negare che
la tragedia delle foibe sia da attribuirsi
alla volontà di effettuare una pulizia
etnica premeditata, frutto di un’azione
politica tesa all’eliminazione di quanti si
opponevano all’annessione alla Jugoslavia
dopo la fine della seconda guerra mondiale”;
di non avere preso “in considerazione fatti
storicamente assodati”, perché le sue
affermazioni “stridono con le testimonianze
di tutte le persone che hanno vissuto il
dramma dell’esodo dall’Istria e l’opera di
epurazione perpetrata dai soldati titini
durante e dopo la fine del secondo conflitto
mondiale, secondo le quali le foibe
rappresentano a tutti gli effetti fenditure
carsiche in cui i partigiani jugoslavi
gettarono i corpi dei nemici”.
Come si vede, mentre Pirjevec ha scritto un
libro di quasi 400 pagine basandosi su fonti
storiche accertate come documenti ufficiali,
gli specialisti del PDL, l’ingegnere Sasco
ed il perito agrario Novelli si arrogano il
diritto di decidere che, dato che le
conclusioni di Pirjevec “stridono” con “le
testimonianze” (non si sa bene di chi), è lo
storico ad essere inattendibile e non la
vulgata da rivedere.
A sua volta il PDL nazionale (il
responsabile della Consulta Cultura del
partito, Fabio Garagnani e la vice Paola
Frassinetti) propone di “istituire un albo
nazionale di associazioni autorizzate a
recarsi negli istituti scolastici a parlare
del fenomeno delle foibe e dell\'esodo
istriano-giuliano-dalmata”, in modo da
“evitare che l’argomento venga affrontato
nelle scuole da associazioni gestite da
comunisti” (sic). Cioè non si chiede che chi
intende parlare nelle scuole di questo
argomento abbia la preparazione storica
necessaria per farlo, ma semplicemente che
non sia “comunista”. Così un Marco Pirina
che riempie i suoi libri di falsità (assieme
alla moglie Annamaria D’Antonio è stato
recentemente condannato dalla sezione civile
della Cassazione a risarcire i danni per
diffamazione a tre ex partigiani da loro
accusati senza alcuna prova di avere
“infoibato” civili italiani) potrebbe andare
a parlare agli studenti, non essendo
“comunista”, mentre uno storico che si è
specializzato sull’argomento non potrà farlo
se l’associazione che lo propone è “gestita
da comunisti”.
Potremmo ora semplicisticamente affermare
che ci troviamo in pieno regime, perché
impedire la parola in base alle idee
politiche è fascismo puro, e poi chi è che
decide se un’associazione è “comunista”, o
se è “comunista” chi parla, ma vorremmo
invece cercare di essere costruttivi ed
invitare i democratici, gli esponenti della
cultura, tutti coloro che hanno a cuore la
verità storica e la libertà di parola, gli
antifascisti, ad opporsi a questo sfacciato
tentativo di imbavagliare e censurare
l’informazione storica, ad esprimere la
propria solidarietà al professor Pirjevec ed
a tutti gli studiosi che in questi anni, fra
innumerevoli difficoltà, hanno studiato e si
sono fatti carico di rendere noto il
risultato dei loro studi spesso non
“graditi” perché diversi da ciò che per
sessant’anni la propaganda ha diffuso.
febbraio 2010
> >
20-GEN-10 17:09 > >
FOIBE: CASSAZIONE, NON PROVATO
COINVOLGIMENTO PARTIGIANI > >
EX ESPONENTE DEL FUAN MARCO PIRINA
CONDANNATO PER DIFFAMAZIONE
> > (ANSA) - ROMA, 20 GEN - Nessuna
prova è fornita dagli autori del
> > libro 'Genocidio' - Mario Pirina e
la moglie Anna Maria D'Antonio -
> > sul coinvolgimento, nella
deportazione e nella scomparsa nelle foibe
> > di civili italiani, dei partigiani
che combatterono contro i
> > nazifascisti nelle valli friulane
del Natisone insieme alle forze
> > jugoslave del maresciallo Tito
trail 1943 e il 1945. Lo sottolinea
> > la Cassazione - sentenza 706 della
Prima sezione civile -
> > confermando la condanna al
risarcimento dei danni da diffamazione a
> > carico di Pirina (ex esponente del
Fuan ed ex militante della Lega
> > Nord poi passato a Forza Italia) e
della moglie che, ora, dovranno
> > risarcire tre partigiani indicati
nel libro, pubblicato nel 1995
> > anche con fondi erogati dalla
Regione Friuli, come deportatori e/
> > ocollaborazionisti. In
particolare, la Cassazione ha respinto il
> > ricorso di Pirina e della
D'Antonio confermando, in quanto "del
> > tutto congrua e niente affatto
contraddittoria", la sentenza emessa
> > nel gennaio del 2004 dalla Corte
di Appello di Trieste.
> > Ad essere stati diffamati e
indicati con l'epiteto di
> > "collaborazionisti", da loro
ritenuto offensivo, erano stati gli ex
> > partigiani Mario Sdraulig,
Giuseppe Osgnach e Francesco Pregelj. I
> > loro nomi - nel libro -erano
riportati insieme a un elenco di 85-90
> > persone indicate come
"responsabili di deportazioni e/o
> > collaborazionisti del IXcorpus e
delle armate titine" senza che per
> > nessuno di loro fosse indicato il
"reato specificamente commesso" e
> > senza l'indicazione di una
specifica documentazione storica che
> > potesse suffragare l'accusa di
coinvolgimento nella scomparsa di
> > civili italiani. Il libro di
Pirina e D'Antonio, ricorda la
> > Cassazione citando il verdetto
d'appello, si limita solo a una
> > "generica e complessiva
indicazione di fonti, lumeggiando come veri
> > i fatti affermati" ma senza
consentire al lettore "di apprezzare le
> > conclusioni per quello che erano":
la "personale valutazione"degli
> > stessi autori del testo. La
maggior parte delle fonti citate, ad
> > esempio, si esaurisce nella sola
indicazione di testate locali come
> > 'La famiglia parentina' o 'La voce
del Friuli Orientale'. E per gli
> > archivi vale lo stesso discorso:
non una rassegna di materiali ma
> > solo 'Archivi Ozna di Lubiana' o
'Centro studi storici di Rovigno'.
> > Citando ancora la Corte di
Appello, la Cassazione rileva che "la
> > scelta operativa degli autori non
solo ha impedito ogni
> > approfondimento circa l'effettiva
esistenza dei fatti e delle
> > condotte in base alle quali" i
partigiani erano stati"indicati come
> > responsabili di collaborazionismo
o dideportazioni di persone con
> > sentimenti di italianita",
mapersino di"capire se Osgnach, Pregelj e
> > Sdraulig furono solodei
collaborazionisti dei 'titini' o anche dei
> > responsabili della deportazione di
avversari politici". La Suprema
> > Corte, infine, prendendo atto che
"la vicenda esaminata si iscrive
> > nel retaggio di un contesto
storico caratterizzato da efferatezze ed
> > abomini solo tardivamente
proclamati e nelle conseguenti tensioni
> > derivatene", ha stabilito che le
spese legali saranno pagate da
> > tutte le parti in causa. I
partigiani e le loro famiglie avevano
> > affidato la loro difesa
all'avvocato Fausto Tarsitano, scomparso lo
> > scorso febbraio. (ANSA).
dal "Manifesto" del 21-01-2010
"Foibe non
provato il coinvolgimento dei partigiani"
Nessuna prova è fornita dagli autori del
libro "Genocidio" - Mario Pirina e la moglie
Anna Maria D'Antonio - sul coinvolgimento,
nella deportazione e nella scomparsa nelle
foibe di civili italiani, dei partigiani che
combatterono contro i nazifascisti nelle
valli friulane del Natisone insieme alle
forze jugoslave del maresciallo Tito tra il
1943 e il 1945. Lo sottolinea la cassazione
- sentenza 706 della Prima sezione civile -
confermando la condanna al risarcimento dei
danni da diffamazione a carico di Pirina (ex
esponente del Fuan ed ex militante della
Lega nord poi passato a Forza Italia) e
della moglie che, ora, dovranno risarcire
tre partigiani indicati nel libro
(pubblicato nel 1995 anche con fondi erogati
dalla Regione Friuli) come deportatori e o
collaborazionisti. In particolare, la
Cassazione ha respinto il ricorso
confermando la sentenza emessa nel gennaio
del 2004 dalla Corte di Appello di Trieste.
Segnaliamo
questa iniziativa
dell'Unione Istriani che per il
tramite del suo presidente
Massimiliano Lacota criminalizza
pubblicamente studiosi, attivisti e
gruppi di militanti che non si
"conformano" alla storiografia del
regime. Peraltro, nelle sue
"liste di proscrizione", Lacota mette
nello stesso mazzo cose completamente
diverse tra loro - studi scientifici e
volantini estremistici, iniziative
politiche di carattere collettivo e
prese di posizione individuali - per
suscitare una indignazione cieca ed
umiliare una volta di più l'esigenza di
un confronto razionale, che entri nel
merito dei dati storici. (a cura di
Italo Slavo, febbraio 2010)
NEGAZIONISMO:
LA
PROPAGANDA MILITANTE
Nel corso di un'affollata conferenza
stampa in data odierna, il presidente
dell'Unione degli Istriani Massimiliano
Lacotaha presentato al pubblico ed ai
giornalisti presenti in sala una copsicua
documentazione sull'attività negazionista
e sulla propaganda militante diffusa in
occasione dello scorso 10 Febbraio.
Nell'allegato PDF una sintetica
fotocronaca con la riproduzione delle
principali evidenze documentali
(13/2/2010) http://www.unioneistriani.it/3t-data/files/1298.pdf
Nella sua visita in
Friuli Lei si fermerà anche a Faedis,
uno dei paesi della Repubblica
partigiana del Friuli Orientale,
un’esperienza importantissima ed
esaltante della guerra di liberazione,
in cui gli abitanti di queste terre
poterono, prima della fine della guerra
e della vittoria sul nazifascismo,
sperimentare alcuni tratti di democrazia
e di autogoverno, dopo oltre vent’anni
di dittatura fortemente centralistica,
che aveva represso in particolare le
numerose minoranze presenti nella nostra
regione, prime fra tutte quella slovena.
A questa esperienza, sviluppatasi dalla
collaborazione delle varie componenti
della Resistenza, diedero un
determinante contributo i partigiani
garibaldini, e fra essi molti erano gli
aderenti a quel partito comunista
italiano, di cui lei stesso ha fatto
parte per decenni.
Faedis è anche il comune
in cui si trovano le malghe di Topli
Uorch, nome effettivo del luogo in cui
avvenne l’eccidio che va sotto il nome
di Porzûs. Il programma che Lei seguirà
non prevede, così è stato detto, la sua
salita alle malghe. Io immagino che
questo avvenga, molto opportunamente,
per evitare il possibile disagio che
alla più alta figura istituzionale della
Repubblica verrebbe dal rendere omaggio
ad una lapide, che contiene molti nomi
che non c’entrano con l’eccidio stesso.
Penso che un ruolo, in questa scelta,
possa aver avuto anche la consapevolezza
che, prima di istituire alle malghe un
monumento nazionale, quella di Porzûs
sia una vicenda che vada ancora indagata
e chiarita. Infatti i processi che si
susseguirono negli anni cinquanta e che
videro imputati e condannati decine di
partigiani e di gappisti garibaldini,
avvennero nel periodo più buio della
guerra fredda, quando l’attacco alla
resistenza garibaldina e comunista era,
in Italia, nel suo punto più alto, con
l’istruzione di centinaia di processi
contro partigiani, di cui quello di
Porzûs fu sicuramente il più imponente.
Questo processo fu finalizzato
precisamente alla messa fuori legge del
partito comunista sotto l’accusa di
“tradimento della patria”, obiettivo che
non venne raggiunto soltanto per
l’impegno del comitato di difesa, di cui
fece parte anche il senatore Terracini,
e per la continua mobilitazione
antifascista e solidarietà che si creò
intorno agli imputati. Solidarietà e
impegno che tuttavia non furono
sufficienti a evitare la condanna e la
prigione preventiva di tanti di essi.
Nei decenni successivi
si è detto che la verità
processuale È la
Verità. Le posso assicurare, signor
Presidente, che le cose non stanno così.
L’analisi della corposa documentazione
processuale e di altra documentazione
anche di fonte alleata resa disponibile
negli ultimi decenni, dimostrano che le
cose intorno all’eccidio di Porzûs sono
molto diverse da come sono state
riproposte. Purtroppo, ciò che risulta è
che, con molta probabilità, alcuni
comandanti osovani e fra questi anche
Bolla, ebbero comportamenti di intesa
con il nemico nazifascista, con
trattative che costituirono un serio
pericolo per le formazioni garibaldine.
Si è detto, in questi
ultimi anni, dopo che queste intese e
trattative non poterono più essere
nascoste e confuse, che tutto questo fu
fatto in difesa dell’italianità delle
terre del confine orientale
dall’invadenza slava. Ma Lei sa, signor
Presidente, che queste terre fra il ’43
e il ’45 non erano già più Italia,
essendo state annesse dal Terzo Reich.
Lei sa, signor Presidente, che in queste
terre esisteva una forte componente
slovena che aveva sofferto molto
dall’Italia fascista. Lei sa, signor
Presidente, che le forze della
resistenza jugoslava facevano parte
dell’alleanza antinazifascista e che la
direttiva del CLNAI era quella della
collaborazione con i partigiani “slavi”.
Lei sa, signor Presidente, che queste
trattative dei comandanti osovani con
tedeschi e repubblichini, fra cui la X
Mas, avvennero contro quelle che erano
le precise direttive del Comitato di
Liberazione Alta Italia e del Corpo
Volontari della Libertà, che
considerarono tradimento, senza mezzi
termini, le trattative di qualsiasi tipo
con il nemico. Soprattutto se queste
trattative avvenivano senza aver
avvisato le altre componenti della
Resistenza e, anzi, alle spalle di una
di queste componenti, come succedeva in
queste trattative osovane a danno dei
garibaldini. Lei sa che questo processo
non sarebbe mai dovuto avvenire perché
per farlo dovettero venire violati
articoli del trattato di pace e leggi
della nuova repubblica, fra cui
quell’amnistia che va sotto il nome di
Togliatti, che servì alla
“pacificazione” liberando i fascisti
epurati, ma, a causa di un’applicazione
ingiusta di una magistratura a quel
tempo ancora molto compromessa con il
passato regime, non evitò l’arresto e la
detenzione di tanti partigiani.
L’eccidio di Porzûs,
compiuto da partigiani gappisti a danno
di partigiani osovani, si può giudicare
che non sia stato un grande momento
della storia della Resistenza, ma
isolandolo dal contesto in cui avvenne e
accettando in maniera acritica i
risultati di una Giustizia che a quel
tempo si dimostrò sicuramente non
obiettiva, non si fa un grande servizio
alla verità e alla giustizia storica.
Le chiedo, quindi, che
prima di istituire il monumento
nazionale a Porzûs, la sua Presidenza
favorisca la formazione di una
commissione di ricercatori storici che
analizzino la vasta documentazione
esistente, onde arrivare a una
ricostruzione il più possibile obiettiva
della vicenda della malghe di Porzûs,
stabilendo anche chi e quanti furono gli
uccisi e perché, e arrivare finalmente –
se i risultati della ricerca lo
consentiranno, come io penso – alla
riabilitazione di molti di quei
partigiani che furono ingiustamente
condannati.
Udine, 27 maggio
2012
Alessandra
Kersevan
A PROPOSITO DI "MARTIRI DELLE
FOIBE" di Claudia Cernigoi, 6.10.2016 (fonte)
Tra gli "infoibati" triestini troviamo
anche queste due persone, Bruno Lubiana
(nelle Brigate Nere, autista del federale del
fascio repubblicano di Trieste Edgardo Sambo)
e Giuseppe Mungherli (maresciallo
dell'MDT ma anche brigatista nero e già nella
Decima Mas). I due furono arrestati nel maggio
1945, il primo incarcerato a Lubiana e forse
fucilato nel gennaio 1946, il secondo
arrestato da partigiani di Longera ed
incarcerato a Sesana, ma di lui si persero le
tracce.
Mungherli e Lubiana, ai quali ogni 10 febbraio
le autorità civili e militari porgono omaggio
in quanto "martiri delle foibe", avevano fatto
parte, nella primavera del 1944, di una sorta
di squadrone della morte annesso alla Decima
Mas e comandato dal capitano Beniamino Fumai:
«copertosi d’infamia» nel periodo repubblicano
specialmente nelle zone d’Ivrea e Novara,
responsabile di rastrellamenti, uccisioni ed
atti d’inaudita ferocia, fu condannato
all’ergastolo, come leggiamo nel quotidiano la
Voce Libera del 24/5/47. Nei fatti, «esisteva
un gruppo che si chiamava Mai Morti ed era
composto da 43 ragazzi triestini e pugliesi,
in divisa grigioverde, che arrivarono a La
Spezia dal Lago Maggiore. Erano comandati da
un ragazzo barese, alto e atletico, fama di
ballerino e bevitore: Beniamino Fumai, uno che
da giovane aveva militato nelle squadre
d’azione e poi, dopo l’8 settembre, si era
messo a capo di una specie di corte dei
miracoli, dando ai suoi il permesso di fare
razzia quando andavano a catturare gli
antifascisti o a perquisirne le case. Li aveva
tenuti a battesimo Christian Wirth il tedesco
che stava alla Risiera di San Sabba. Avevano
girato per l’Italia settentrionale, con le
divise della Decima Mas, e una loro base era a
Verbania. Dopo tante, troppe violenze, quel
gruppo venne sciolto dagli stessi nazisti il
10/5/44», scrive Piero Colaprico in calce al
romanzo da lui scritto a quattro mani con
Pietro Valpreda, "La primavera dei Maimorti"
(Tropea 2002), riassumendo quanto ricostruito
da Ricciotti Lazzero nel suo "La Decima Mas"
(Rizzoli 1984).
Dopo lo scioglimento dei Mai Morti, Fumai andò
a comandare il battaglione Sagittario della
Decima Mas, mentre molti dei suoi accoliti
entrarono nelle Brigate Nere: come Mungherli e
Lubiana, appunto.
Ricordiamoci anche di questi personaggi quando
parliamo di "innocenti infoibati sol perché
italiani".