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Traffici di armi per la distruzione
della Jugoslavia
1993–1999
I Nostri Inviati tra gli «Amici»
dell'Uck
La Caritas modello bresciano
Una storia in cui, incredibilmente, convivono
veri frati, falsi volontari e incalliti
mercanti d'armi. Tutti vecchie conoscenze
di Luca Rastello - "Diario"
da mercoledì 19 a martedì 25 maggio 1999
Milano – Pane amaro, marcio pane di
sant'Antonio. Strano che nessuno ricordi
questa sigla: «Il
pane di sant'Antonio», nota copertura
di traffici mortali nella guerra di Bosnia.
Di solito la si trova in calce a un simbolo
apparentemente pacifico con la croce e le
spighe, già macchiato di sangue italiano: il
sangue di Guido Puletti, Sergio Lana e Fabio
Moreni, assassinati il 29 maggio del
1993 sulla strada che da Gornji Vakuf porta a
Novi Travnik, nella Bosnia centrale. Eppure
ancora oggi, quando «Il pane di
sant'Antonio» si ripresenta sulle banchine
del porto di Ancona con il suo consueto
carico di morte, sembrano cadere tutti
dalle nuvole, a cominciare dai volontari della
Caritas, che manifestano sorpresa e
indignazione per l'uso indebito delle loro
insegne da parte dei trafficanti. Anche
l'usurpazione del nome Caritas, però, non è
una assoluta novità, come sanno molto bene
dalle parti di Brescia, capitale italiana
della produzione d'armi e, nello stesso tempo,
degli aiuti umanitari.
I fatti, quelli recenti: il 12 aprile
scorso, tre grandi camion con le insegne
Caritas, provenienti da Sarajevo e diretti a
Scutari, in Albania, vengono fermati
dalla guardia di finanza italiana al porto di
Ancona. È un controllo casuale, dovuto in
larga parte al ritardo nelle operazioni di
carico della motonave diretta a Durazzo su cui
i Tir devono essere imbarcati: i militari
italiani quasi non credono ai loro occhi
davanti all'arsenale che salta fuori sotto le
merci, peraltro avariate, catalogate come
aiuti umanitari. Due dei tre camion sono stati
modificati per nascondere in appositi tramezzi
uomini e armi, e dietro le patate in germoglio
e il mangime per polli scaduto, spuntano cose
come missili anticarro e antiaereo, mortai,
lanciagranate, un cannone senza rinculo, ma
anche valigette per puntamento e innesco di
ordigni elettronici a distanza: trenta
tonnellate di sofisticatissime attrezzature
per la produzione di morte che viaggiano con i
documenti dell'associazione
«Il pane di sant'Antonio», organo esecutivo
per gli aiuti umanitari della Caritas
francescana di Sarajevo.
«Siamo stati ingannati», dice Silvio Tessari,
uno dei responsabili Caritas che dall'Albania
aveva telefonato al porto di Ancona
sollecitando lo sdoganamento del convoglio:
«Il marchio su quel camion è solo
un'imitazione. Se qualcuno se ne appropria
commette un atto illegale di cui non siamo
responsabili».
Solo che non è la prima volta.
LA BRAVA GENTE E I FRATI.
I fatti, quelli antichi: «Il
pane di sant'Antonio» è l'organizzazione
diretta dal frate croato Bozo Blazevic
che si occupa di smistare gli aiuti umanitari
in Bosnia centrale nel corso della guerra
croato-musulmana del 1993. Centro logistico
delle operazioni di Blazevic e compagni è la Caritas
francescana di Spalato, diretta da padre
Leonard Orec, dove arrivano i convogli
dall'estero, in massima parte dall'Italia. «Il
pane di sant'Antonio» ha un suo agente di
collegamento in Italia: la signora
Spomenka Bobas, residente a Modena.
Proprio Spomenka viene in contatto con un
gruppo di preghiera costituitosi a Ghedi
(Brescia) intorno alla figura di Giancarlo
Rovati, industriale di grande prestigio
nella zona che si pone il problema di
intervenire in soccorso delle vittime di
guerra. È la fine del 1992, il gruppo di
Rovati conta cinque o sei membri, ma la
volontà è forte e i mezzi non mancano: il
contatto con Spomenka e i francescani
d'Erzegovina fornisce l'occasione per il salto
di qualità: «Grazie all'appoggio dei frati»,
raccontava Rovati, «eravamo in grado di
servire, viaggiando ogni settimana, oltre
sessanta località in Bosnia centrale». È
l'inizio della primavera del 1993, le Nazioni
Unite considerano la Bosnia centrale «zona
instabile», eufemismo che copre i più
spaventosi massacri di quegli anni, e hanno
sospeso i loro convogli in quell'area.
Rovati e compagni con il pane di sant'Antonio
viaggiano invece al ritmo di venti Tir la
settimana. L'associazione si chiama
«Caritas di Ghedi». Attenzione: non Caritas,
sezione di Ghedi ma, come se fosse tutto
attaccato, «Associazione Caritas di Ghedi».
«No», dice don Alberto Nolli, allora
responsabile della Caritas di Brescia, «non
erano Caritas, ma era brava gente e
permettevamo loro di usare quel nome. Sa, a
quel tempo era un po' come un lasciapassare,
aiutava...». Ecco come fu che il nome
dell'associazione di Rovati dovette cambiare.
Il 29 maggio del 1993 un piccolo
convoglio di un gruppo di volontari bresciani
viene contattato a Spalato da Spomenka Bobas e
padre Orec. Poiché vanno in Bosnia centrale, i
religiosi li pregano di consegnare quattro
pacchi a Vitez: con questa scusa li forniscono
di documenti con il marchio del pane di
sant'Antonio, un po' come se firmassero
l'ignara spedizione dei bresciani. A fare
da garante è Fabio Moreni, che collabora
con Rovati da qualche settimana e ora
accompagna i bresciani nel loro viaggio. Poche
ore dopo, appena transitati da Gornji Vakuf, i
cinque bresciani vengono intercettati da una
banda di irregolari bosniaci che sequestra il
carico e i documenti e uccide a freddo Moreni
insieme a Sergio Lana e Guido Puletti.
Stranamente è presente in zona proprio padre
Blazevic, il capo dell'organizzazione
francescana che si trova a Gornji Vakuf per
contrattare con il comandante bosniaco Goran
Cisic il rilascio di un altro convoglio
marcato pane di sant'Antonio, ben più
consistente di quello bresciano, da un paio di
giorni sotto sequestro. Blazevic non si fa
vedere dai volontari che ha segnato con il
proprio marchio mentre vanno alla morte. Ma
non si turba più di tanto: sei mesi dopo,
alla testa di un grande convoglio, viene
fermato su quella stessa strada, nello stesso
punto dove erano stati intercettati i
bresciani, al canyon di Opara. È il 22
dicembre 1993, a fermare il convoglio è
il comandante Goran Cisic, l'interlocutore di
padre Blazevic: la vecchia trattativa è andata
a buon fine, dato che Cisic non si scompone
quando sotto i generi alimentari chiamati
«aiuto umanitario» saltano fuori i soliti
lanciarazzi, mortai a treppiede eccetera. Si
limita ad arrestare i due giornalisti
italiani involontariamente testimoni dei
traffici in corso - sono Ettore Mo ed Eros
Bicic - e lascia ripartire
il carico verso la zona controllata dai croati
a cui era diretto. La morte dei tre ignari
volontari italiani era probabilmente un
segnale nel linguaggio tipico di questo tipo
di trattative, un messaggio in codice fra soci
in affari che non si sono ancora messi bene
d'accordo e forse vogliono alzare il prezzo.
LE VIE DELLA CONNIVENZA.
Guido, Sergio e Fabio sono morti, padre
Blazevic, amico personale del presidente
Tudjman, è parroco a Okucani in Slavonia
e minaccia in nome della sicurezza nazionale
croata chi prova a tirarlo in ballo, Rovati è
una potenza intercontinentale degli aiuti
umanitari e spedisce convogli in tutto il
mondo, dal Perù al Burundi alla Romania: è
comparso alla televisione italiana, a
Pinocchio, dove è stato definito «il volto
pulito dell'Italia, quello che ci piace
guardare». Ha continuato anche a lavorare con
i frati d'Erzegovina, ed è tornato a Gornji
Vakuf, per progetti di ricostruzione e per
portare il suo perdono agli assassini di
allora. Ovviamente la sua associazione non si
chiama più Caritas di Ghedi: il nome nuovo
è «Associazione 29 maggio», i nomi delle
tre vittime compaiono sui teloni dei Tir in
partenza per i cinque continenti.
Strana storia, quella del pane marcio di
sant'Antonio, e triste storia, quella della
leggerezza con cui si instaurano relazioni
pericolose quando a legittimare i gesti
avventati è la ragione umanitaria. L'interesse
per il volontariato non sempre risponde a
nobili ragioni, e l'uso strumentale delle
azioni di pace da parte di strateghi e
profittatori di guerra è ormai la regola, non
più l'eccezione. In queste condizioni
l'ingenuità è semplicemente un placido modo
della connivenza. Anche se, magari, sulle
strade dello sforzo di pace si verificano
formidabili conversioni, come quella dell'ex
maresciallo Germano Tessari, ben noto
ai lettori di Diario della settimana (1999,
numero 15) per il suo coinvolgimento nei
processi sui traffici d'armi del Sisde in Val
di Susa. Proprio a Scutari, centro della
missione in Albania della Diocesi di Susa,
Tessari si è recato in passato a portare aiuti
umanitari e mezzi da trasporto. Se lo ricorda
bene una suora della Fondazione Monsignor
Rosaz, a Susa. La polizia italiana segnala,
fra l'altro, il transito a Valona di mezzi
pesanti recanti, magari abusivamente, il
marchio della Sitaf, la società delle
autostrade del Fréjus, di cui l'ex
maresciallo è stato a lungo consulente per la
sicurezza, negli anni degli attentati e dei
miliardi pubblici intascati da comitati
d'affari in vario modo legati all'azienda.
Come si convertono gli individui si convertono
anche le grandi aziende.
Ma di quando in quando qualche pecorella
smarrita si fa cogliere in flagrante, sulle
banchine di Ancona, intenta ai vizi d'un
tempo.
©diario della settimana
---
Per i servizi segreti americani
l'Uck è legato alla mafia albanese e
autofinanzia la guerriglia con il traffico di
eroina
La via della droga passa per il Kosovo
Intanto i "basisti" dell'Esercito di
liberazione hanno trasformato Bari nel loro
quartier generale
di Elisa Carcano - La
Padania, 4 maggio 1999
Non c'è nessun nuovo indagato nell'inchiesta
condotta dal sostituto procuratore della
Repubblica di Ancona Cristina Tedeschini sui
tre tir bloccati dalla Guardia di Finanza e
dalla dogana nel porto di Ancona lo scorso 12
aprile (ma la notizia del sequestro è stata
data solo l'altro giorno): seppur carichi
d'aiuti umanitari per i profughi del Kosovo, i
camion trasportavano nei doppifondi un
enorme carico d'armi diretto all'Uck. Al
centro dell'interesse del magistrato ci
sarebbe per ora la figura di un prete,
probabilmente coinvolto nella vicenda. I tre
tir viaggiavano sotto
le insegne dell'organizzazione umanitaria
"Kruh Svetog Ante" (Il pane di
Sant'Antonio) di Sarajevo ed erano
diretti, secondo la bolla d'accompagnamento,
alla "Caritas" di Scutari (che però si è
chiamata fuori dicendo "quei camion non sono
nostri"). Il religioso potrebbe essere o
l'ultimo destinatario, in Albania,
dell'ingente quantitativo di armi ritrovato
sui tre tir o il penultimo intermediario,
sempre albanese, in grado di indicare a chi,
nel territorio controllato dall'Uck, avrebbe
dovuto essere consegnato alla fine le armi. Un
vero e proprio arsenale, con armi anche
sofisticate, di cui facevano parte fra l'altro
cinque valigette per puntamento e innesco
elettronico a distanza di ordigni, missili
anticarro e antiaereo, armi con puntamento
laser, bazooka, mortai, munizioni, esplosivi -
in gran parte dell'ex Urss e dell'ex
Jugoslavia - mitragliatrici belghe, cinesi e
americane e un gran numero di granate Usa. Il
presidente dell'organizzazione umanitaria
mittente, padre Stipo Karajica, ha già
dichiarato, attraverso il proprio procuratore
legale ad Ancona, che la "Kruh Svetog Ante" è
totalmente all'oscuro delle armi e che ha
solamente provveduto alla raccolta degli aiuti
affidandone l'invio a terzi. Quanto ai tre
autisti, bosniaci (ma uno di loro ha un
cognome tedesco), sono ancora in carcere
ad Ancona.
Da Ancona spostiamoci a Bari, diventata
importante snodo di guerriglieri dell'Uck. Nel
porto della città pugliese sono infatti
dislocati i basisti dell'Esercito di
liberazione del Kosovo che assistono i
combattenti, acquistano per loro i biglietti
di viaggi, forniscono cibo e acqua, provvedono
al trasporto dei volontari dalla stazione
ferroviaria al porto. Un'organizzazione, si
direbbe, svizzera. Come svizzera è
l'originaria appartenenza dei trenta camion
militari bloccati dalla Guardia di Finanza a
Bari. Guidati da autisti kosovari, gli
automezzi sono in attesa dell'autorizzazione
necessaria alla partenza per Durazzo:
trasportano sì generi alimentari ed altri
aiuti umanitari, ma una volta in Albania
non sarebbero più utilizzati come spola
per gli aiuti e rimarrebbero invece a
disposizione dell'Uck a scopi militari.
Finora, nel giro di quattro settimane, sono
passati dal porto di Bari tremila
combattenti kosovari: si imbarcano su
traghetti di linea diretti a Durazzo, da qui
poi raggiungono il confine con il Kosovo per
combattere contro i serbi. Secondo la Guardia
di Finanza il flusso è molto cambiato negli
ultimi giorni: da una fase caratterizzata da
una "chiamata alle armi" per certi versi
spontanea, si è passati ad un vero e proprio
viaggio verso il fronte organizzato nei minimi
particolari. Nei primi giorni, per esempio,
decine di uomini si presentavano già in tuta
mimetica nel capoluogo pugliese, ora invece
per non destare eccessivamente l'attenzione
delle forze di polizia, proprio i "basisti"
hanno disposto che i volontari dell'Uck
vengano in borghese.
Intanto in America mostra la corda il fronte
pro guerriglieri: ai due parlamentari Usa che
vorrebbero armarli e finanziarli con i soldi
dei contribuenti (il repubblicano Mitch
McConnell e il democratico Joseph
Lieberman), il "Washington Post"
replica, citando documenti dell'intelligence
statunitense e di altri paesi, con un articolo
in prima pagina secondo cui l'Uck "è
un'organizzazione terroristica che trae gran
parte delle sue risorse dal traffico di
eroina". Secondo questi documenti, agenti
antidroga di cinque nazioni (tra cui gli Usa)
ritengono che l'Uck abbia stretti legami con
il crimine organizzato albanese, responsabile
del traffico di eroina e cocaina verso i
mercati europei occidentali e, in misura
minore, verso gli Stati Uniti. La "mafia
albanese", scrive ancora il giornale, è legata
ad un'organizzazione per il narcotraffico con
base a Pristina in Kosovo, e ha tra i suoi
capi diversi responsabili del Fronte nazionale
del Kosovo, il braccio politico dell'Uck.
Questo cartello sarebbe oggi uno dei più
potenti del mondo, e gran parte dei suoi
proventi servirebbero a finanziare le armi
dell'Uck.
La "rotta" dell'eroina gestita dagli albanesi
del Kosovo attraversa Grecia, Jugoslavia,
Turchia e Bulgaria, è chiamata dagli agenti
dell'antidroga, "la strada dei Balcani". Il
75% dell'eroina sequestrata in Europa lo
scorso anno ha seguito questa rotta. "Un anno
fa erano semplici terroristi ed ora, per
politica, sono diventati combattenti per la
libertà", ha dichiarato al quotidiano un
agente antidroga americano.
8 marzo 1994
Il carico di armi della nave Jadran Express,
destinato alle milizie croate, fu
sequestrato nel 1994 nel Canale di
Otranto.
Furono rari all'epoca tali sequestri; molte di
più furono le navi che passando per i nostri
mari raggiunsero i destinatari – sempre solo
croati, nostri grandi alleati cattolici. Secondo
la Dia sarebbero state almeno 22 le navi
cariche di armi che, tra il 1992 e il 1994,
attraversarono le acque italiane, prima di
approdare in Croazia.
Dafermos
è stato bloccato a Istanbul: l'uomo si è
dichiarato consulente ufficiale del
governo della Croazia, e il suo arresto
ha scatenato una violenta protesta
diplomatica.
Le armi sequestrate alla Jadran Express furono
stipate alla Maddalena, dove comunque non
sono nella disponibilità dell’Italia, ma
della NATO.
Né sono rimaste tutte lì in questi anni ad
arrugginire: ad esempio, già il
18 maggio 2011 un grande quantitativo è stato
trasportato su quattro container imbarcati
segretamente sulla nave passeggeri [sic!]
Seremar da Olbia a Civitavecchia,
dopodiché se ne sono... perse le tracce.
In realtà la destinazione di quelle armi è un
segreto di Pulcinella, poiché tutti sappiamo che
anch'esse sono generosamente andate ad
insanguinare il Medioriente, e precisamente nelle
mani dei vezzeggiatissimi "ribelli di Bengasi",
i quali dopo avere ucciso Gheddafi tramite
linciaggio tuttora (2014) usano le stesse armi
per alimentare la carneficina in corso in Libia
e produrre naufraghi a Lampedusa.
Non contenti del disastro provocato in Libia con
l'aggressione del 2011, i governanti italiani
nell'estate del 2014 hanno annunciato che parte
delle armi rimanenti del carico della Jadran
Express saranno
"generosamente" passate ai curdi di Barzani e
Talabani (cioè ai curdi di destra).
(a cura di Italo Slavo. Vedi anche:
Armi
italiane alla Libia, storia segreta/1
Dopo le rivelazioni di Globalist. Armi
provenienti da altre guerre che andavano
distrutte, e la stupidità degli
"spedizionieri" (giovedì 27 ottobre 2011)
e Armi
italiane alla Libia, storia segreta/2
Quel carico di armi sequestrato durante la
guerra nella ex Jugoslavia che prende la
rotta verso il sud Mediterraneo, tra Sirte e
Tripoli (domenica 30 ottobre 2011)
di Sergio Finardi, direttore del centro
internazionale di ricerca TransArms
(Chicago, USA) – inchiesta pubblicata per la
prima volta da
Altreconomia, nel blog "I signori delle
guerre".
Il
mistero della Maddalena
di Eugenio Roscini Vitali, 22/7/2011 )
Le
rotte segrete delle navi della morte
negli anni ’90
Il pentito della ’ndrangheta Fonti ha
parlato ai magistrati di altri viaggi della
Jadran Express
06/06/2011 – LA MADDALENA. Anni bui, di
traffici e di trame, gli anni Novanta. Le
armi sequestrate al petroliere Zhukov
vengono da quella stagione nella quale le
acque del Mediterraneo erano solcate da
navi-cargo cariche di fucili, razzi, bombe e
scorie nucleari. Un commercio oscuro che
alimentava guerre sanguinose ai Africa e nei
Balcani e risolveva i problemi di
spregiudicate aziende che smaltivano rifiuti
tossici a basso costo. Con le inconfessabili
complicità dei servizi segreti di molti
governi.
La Jadran Express, per esempio, non fece
solo quel viaggio nel quale, nel marzo del
’94 venne bloccata nello Stretto di Otranto.
Ne parla infatti anche il superpentito della
’ndrangheta Francesco Fonti che ha
raccontato alla magistratura il grande
business delle armi e delle scorie.
Così disse Fonti: «Le armi erano 75 casse di
kalashnikov, 25 casse di munizioni e 30 di
mitragliette Uzi. All’inizio del 1993 furono
caricate in Ucraina, dalla fabbrica
“Ukrespets Export”, a Odessa, a bordo della
nave Jadran Express che batteva bandiera
maltese, affittata per mio conto..... La
Jadran Express fece scalo a Trieste, dove le
armi furono quindi caricate su due camion e
trasferite nel porto di La Spezia, luogo in
cui furono trasbordate dentro un capannone
portuale, in attesa di essere reimbarcate
sulla nave Mohamuud Harbi».
Le armi finirono poi in Somalia e consegnate
alla fazione di Ali Mahdi. Era i traffici
sui quali stava indagando la giornalista del
Tg3 Ilaria Alpi, assassinata a
Mogadiscio il 20 marzo del 1994.
In questi oscuri affari sembra essere
entrata un’altra nave, la Lucina, che nel
luglio del 1994 fu teatro di una terribile
mattanza nel porto di Djendjen, in Algeria:
i sette uomini dell’equipaggio vennezo
sgozzati e sparirono 600 tonnellate di
carico. Secondo alcuni testimoni oculari,
quella nave era a Capo Ferrato, in Sardegna,
il 2 marzo del ’94, quando sparì un
elicottero della finanza con due militari a
bordo. Forse fu abbattuto.
Ma la storia di queste navi della morte
viene continuamente cancellata e riscritta.
Semplicemente cambiando nome. La Jadran
Express, per esempio, oggi si chiama
Hrvatska e batte bandiera croata. E la
Lucina, dopo essersi stata chiamata Pepito
oggi è la Joanne I e batte bandiera
panamense. (p.m.)
20 marzo 1994
A Mogadiscio, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin
sono eliminati dopo che hanno scoperto il
traffico di armi della “21 Oktoobar”,
l’ammiraglia della flotta Schifco, verso la
Croazia.
---
IL DOCUMENTO: Ilaria
Alpi - L'ultimo viaggio (Speciale di
RAI3 del 11/04/2015)
Sono passati ventuno anni dalla morte di
Ilaria Alpi, giornalista Rai e del suo
operatore Miran Hrovatin, uccisi in un agguato
a Mogadiscio il 20 marzo del 1994. Da allora
molti misteri, molti depistaggi, hanno tenuta
nascosta la verità sui mandanti, sugli
esecutori materiali, sul movente di quel
sangue. "Ilaria Alpi – L'ultimo viaggio" prova
ad accendere qualche nuova luce sull'inchiesta
che Ilaria stava facendo in Somalia sul
traffico internazionale di armi, ora che nuovi
documenti sono stati de-secretati e nuove
testimonianze acquisite. Cosa aveva scoperto
Ilaria Alpi durante il suo ultimo viaggio? Che
cosa le è stato impedito di raccontarci con
quell'ultimo agguato a Mogadiscio? Una
docu-fiction di Claudio Canepari prodotta da
Rai Fiction in collaborazione con Magnolia. (VIDEO)
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La scottante verità di Ilaria
Alpi
di Manlio Dinucci su Il
Manifesto del 09.06.2015 (rubrica
"L'arte della guerra")
La docufiction «Ilaria Alpi –
L’ultimo viaggio» (visibile sul
sito di Rai Tre [
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-77f45782-2361-40cd-a00a-1ede256a8794.html
]) getta luce, soprattutto grazie a prove
scoperte dal giornalista Luigi Grimaldi,
sull’omicidio della giornalista e del suo
operatore Miran Hrovatin il 20 marzo 1994
a Mogadiscio. Furono assassinati, in un
agguato organizzato dalla Cia con l’aiuto di
Gladio e servizi segreti italiani, perché
avevano scoperto un traffico di armi
gestito dalla Cia attraverso la flotta
della società Schifco, donata dalla
Cooperazione italiana alla Somalia
ufficialmente per la pesca.
In realtà, agli inizi degli anni Novanta,
le navi della Shifco erano usate, insieme a
navi della Lettonia, per trasportare
armi Usa e rifiuti tossici anche
radioattivi in Somalia e per rifornire di
armi la Croazia in guerra contro la
Jugoslavia.
Anche se nella docufiction non se ne parla,
risulta che una nave della Shifco, la 21
Oktoobar II (poi sotto bandiera panamense
col nome di Urgull), si trovava il 10
aprile 1991 nel porto di Livorno dove era in
corso una operazione segreta di trasbordo
di armi statunitensi rientrate a Camp
Darby dopo la guerra all’Iraq, e dove si
consumò la tragedia della Moby Prince in
cui morirono 140 persone.
Sul caso Alpi, dopo otto processi (con la
condanna di un somalo ritenuto innocente
dagli stessi genitori di Ilaria) e quattro
commissioni parlamentari, sta venendo
alla luce la verità, ossia ciò che Ilaria
aveva scoperto e appuntato sui taccuini,
fatti sparire dai servizi segreti. Una
verità di scottante, drammatica attualità.
L’operazione «Restore Hope», lanciata nel
dicembre 1992 in Somalia (paese di grande
importanza geostrategica) dal presidente
Bush, con l’assenso del neo-presidente
Clinton, è stata la prima missione di
«ingerenza umanitaria».
Con la stessa motivazione, ossia che occorre
intervenire militarmente quando è in
pericolo la sopravvivenza di un popolo,
sono state lanciate le successive guerre
Usa/Nato contro la Jugoslavia,
l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, la Siria e
altre operazioni come quelle in corso nello
Yemen e in Ucraina.
Preparate e accompagnate, sotto la veste
«umanitaria», da attività segrete. Una
inchiesta del New York Times (24 marzo 2013 [
http://www.nytimes.com/2013/03/25/world/middleeast/arms-airlift-to-syrian-rebels-expands-with-cia-aid.html?_r=1
]) ha confermato l’esistenza di una rete
internazionale della Cia, che con aerei
qatariani, giordani e sauditi fornisce ai
«ribelli» in Siria, attraverso la Turchia,
armi provenienti anche dalla Croazia, che
restituisce così alla Cia il «favore»
ricevuto negli anni Novanta.
Quando il 29 maggio scorso il quotidiano
turco Cumhuriyet ha pubblicato un video
che mostra il transito di tali armi
attraverso la Turchia, il presidente
Erdogan ha dichiarato che il direttore del
giornale pagherà «un prezzo pesante».
Ventun anni fa Ilaria Alpi pagò con la vita
il tentativo di dimostrare che la realtà
della guerra non è solo quella che viene fatta
apparire ai nostri occhi.
Da allora la guerra è divenuta sempre più
«coperta». Lo conferma un servizio del New
York Times (7 giugno [
http://www.nytimes.com/2015/06/07/world/asia/the-secret-history-of-seal-team-6.html
]) sulla «Team 6», unità supersegreta del
Comando Usa per le operazioni speciali,
incaricata delle «uccisioni silenziose». I
suoi specialisti «hanno tramato azioni
mortali da basi segrete sui calanchi della
Somalia, in Afghanistan si sono impegnati
in combattimenti così ravvicinati da
ritornare imbevuti di sangue non loro»,
uccidendo anche con «primitivi tomahawk».
Usando «stazioni di spionaggio in tutto il
mondo», camuffandosi da «impiegati civili
di compagnie o funzionari di ambasciate»,
seguono coloro che «gli Stati uniti vogliono
uccidere o catturare».
Il «Team 6» è divenuta «una macchina
globale di caccia all’uomo». I killer di
Ilaria Alpi sono oggi ancora più potenti. Ma
la verità è dura da uccidere.
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Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
Da: Luigi Grimaldi <grimaldipress @
gmail.com>
Oggetto: Contributo di Luigi Grimaldi.
Richiesta Ospitalità per pubblicazione on line
Data: 14 giugno 2015 13:45:54 CEST
ILARIA ALPI E LA CIA: COSE DI COSA NOSTRA E
COSA LORO
di Luigi Grimaldi
In relazione all'importante articolo di
Manlio Dinucci pubblicato sul Manifesto del 9
giugno (La scottante verità di Ilaria Alpi
http://ilmanifesto.info/la-scottante-verita-di-ilaria-alpi/
), molto ripreso e dibattuto in rete, in cui
sono citato come consulente della docu-fiction
di Rai 3 "Ilaria Alpi L'Ultimo Viaggio",
vorrei esprimere la mia opinione.
Un esercizio molto di moda nel nostro paese, a
cominciare dal "lavoro" di Carlo Taormina, in
relazione al caso Alpi Hrovatin, è quello
della destrutturazione del lavoro di ricerca e
analisi di chi cerca la verità, senza
pretendere di possederla. In inglese
"debunkers", specialità tipica di coloro che
accusano di dietrologia e complottismo chi
mette in discussione le affermazioni di noti
bugiardi. Ognuno è libero di avere le proprie
opinioni e di criticare, ma anziché baloccarsi
a discettare su ciò che non è
il "caso" in questione (esercizio troppo
facile in assenza di argomentazioni fattuali)
ci si dovrebbe esercitare su ciò che è
stato e che è il caso Alpi Hrovatin.
Ci si esponga insomma se si vuole
intervernire. Per me la questione di fondo è e
rimane il ruolo della Cia nella vicenda Alpi.
Più di qualcuno, certamente in buona fede, ma
in modo miope, continua a sostenere che un
coinvolgimento della Cia nel delitto di
Mogadiscio sarebbe un comodo schermo per le
responsabilità italiane. Non è così. Ritengo
sia un distinguo inconsistente . E' chiaro che
nulla di quanto è accaduto in Somalia,
traffici di armi e rifiuti, ma non solo,
sarebbe stato possibile senza un attivo
coinvolgimento dei servizi italiani e della
politica. Ma dov'è il confine tra intelligence
italiana e USA? Non c'è! Perché la Somalia era
"Cosa Nostra", fin dai tempi delle colonie
dell'impero.... Notizia ben chiara anche alla
CIA che al momento di attivare la propria
cellula a Mogadiscio (nell'agosto del 1993)
affianca al capo stazione un particolare
agente: non uno che parli il somalo o l'arabo,
ma Gianpaolo Spinelli: perché di origini
italiane, perché parla italiano e perché da
anni è l'agente di collegamento tra la CIA e
il Sismi a Roma (lo ritroveremo nel caso Abu
Omar a Milano e nello scandalo sullo
spionaggio Pirelli-Telecom-Sismi al fianco di
Mancini e Tavaroli). Dov'è quindi la
contraddizione??? Dov'è il problema? Se la
Somalia era "Cosa Nostra", nel senso
dell'Italia, i nostri servizi (o una fazione
all'interno di questi) sono da sempre "cosa
loro", nel senso dell'intelligence USA. E
allora tutto si spiega: mi riferisco in
particolare agli ostacoli giudiziari
all'accertamento della verità, come il caso
Gelle o i molti depistaggi a cui in questi
anni abbiamo assistito e che hanno dimostrato
una intensità, una continuità e un livello mai
visti se non per casi come Ustica, la strage
di Bologna, il Moby Prince. Sin dal primo
giorno dopo il delitto (chi conosce "le carte"
lo sa) si è depistato per accreditare la tesi
della rapina e escludere il delitto su
commissione, che invece prevede dei moventi: e
chi compie questo gioco di prestigio? Unosom,
la cellulla dei Servizi di informazione di
Unosom. E chi è Unosom? Unosom è "cosa loro",
la finta uniforme degli USA per le cosiddette
operazioni di ingerenza umanitaria a suon di
carri armati e di missili.Un coinvolgimento
mosso da “necessità nazionali” o maturate in
ambito Nato? Ci sono indizi sufficienti e
documentabili oltre ogni incertezza per
affermare che il duplice delitto di Mogadiscio
sia stato, per dirlacon le parole di Luciana
Alpi, la mamma di Ilaria,
concordato.Concordato in più sedi e a più
livelli, all'interno di uno scacchiere
internazionale ben definito e circostanziato
che appare abbastanza evidente analizzando il
contesto storico in cui matura. La
contemporaneità della guerra nella ex
Yugoslavia in primo luogo, il lavorio per
predisporre l'ingresso di paesi dell'ex blocco
comunista nella Nato (come Polonia e
Lettonia), i rapporti, che definire
contraddittori è davvero poca cosa, tra blocco
occidentale e paesi musulmani (leggi
Afganistan e Yemen), sono elementi che
costantemente emergono se si analizza con
lucidità la vicenda nel suo complesso,
guardando l'orizzonte senza limitarsi a far la
guardia al recinto dell'orto. La verità sul
caso Alpi fa ancora paura dopo 21 anni e
quanto si è messo in campo per impedire che
venisse alla luce, ivi comprese le inutili
conclusioni della commissione presieduta con
disinvoltura da Carlo Taormina e sostenute
dalla maggioranza di centro destra (anche se a
dire il vero la “sinistra” non ha brillato),
la dice lunga sul livello delle responsabilità
che ancora devono essere coperte. Le prove ci
sono. Il quadro è chiaro. Il disegno
leggibile: basterebbe che ognuno facesse la
sua parte fino in fondo.
---
“UN TRAFFICO D’ARMI PER CONTO
DELLA CIA”: L’ULTIMA VERITÀ SU ILARIA E
MIRAN
Un’imboscata per eliminare due cronisti
che facevano domande scomode. Le rivelazioni
sulla morte della Alpi e di Hrovatin in una
docu-fiction su Rai 3.
di DANIELE MASTROGIACOMO, su La
Repubblica del 10/4/2015
NESSUNA rapina o tentativo di sequestro.
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sono caduti in
un’imboscata. Un agguato studiato nei dettagli
per mettere a tacere due giornalisti diventati
troppo pericolosi. Grazie ad una soffiata
della parte dei Servizi italiani rimasta
legata al signore della guerra Mohammed Farah
Aidid, il Tg3 della Rai avrebbe raccolto
sufficienti indizi per smascherare un traffico
d’armi clandestino portato avanti da due noti
broker internazionali: il siriano Monzer
al-Kassar e il polacco Jerzy Dembrowski. Il
tutto in un territorio controllato dall’altro
signore della guerra somalo, Mohammed Ali
Mahdi, su cui avevano puntato gli Usa. Un
traffico svolto per conto della Cia e gestito
dalla flotta della società Schifco, donata
dalla Cooperazione italiana alla Somalia per
incrementare l’industria peschiera nell’Oceano
Indiano del Corno d’Africa. Non è facile
rievocare l’assassinio di Ilaria e Miran.
Soprattutto dopo 21 anni da quella tragica
esecuzione, avvenuta il 20 marzo del 1994 a
Mogadiscio. E’ stata esplorata in otto
processi, indagata da quattro Commissioni
parlamentari e conclusa, almeno da un punto di
vista giudiziario, con una condanna a 26 anni
nei confronti di un cittadino somalo, Hashi
Omar Assan, che molti credono innocente.
Con una docu-fiction elaborata in oltre un
anno di indagini che andrà in onda sabato
prossimo su Rai 3 alle 21,30, gli
sceneggiatori Claudio Canepari e Massimo
Fiocchi, per una produzione Magnolia, sono
riusciti a ripercorrere gli ultimi mesi di
lavoro e di vita di Ilaria Alpi. Con il titolo
“Ilaria Alpi - L’ultimo viaggio “,
realizzato anche da Mariano Cirino e Gabriele
Gravagna e raccontato dall’inviata Lisa Iotti,
il video si snoda in un racconto chiaro, dal
ritmo battente, con immagini del tutto inedite
sui 200 giorni trascorsi in Somalia dalla
giornalista del Tg3. Grazie alle riprese
conservate dall’operatore Rai Alberto Calvi
che ha sempre seguito con Ilaria l’operazione
Restore Hope, rinunciando all’ultima, fatale
missione, si scopre il lavoro costante della
collega.
Solo la lettura degli atti desecretati,
assieme alle testimonianze dello stesso Calvi,
di Franco Oliva, l’ex funzionario della
Farnesina spedito in Somalia per mettere
ordine nell’attività della Cooperazione e
vittima a sua volta di un attentato a cui è
scampato per miracolo, il lavoro di Ilaria e
Miran prende corpo e forma. Le rivelazioni di
un ex appartenente alla “Gladio”, rete
clandestina anticomunista, riempiono infine
quei vuoti che né la magistratura né la
Commissione di indagine erano riuscite a
colmare, aprendo la strada all’agguato per
rapina o sequestro.
Con uno scoop finale, grazie al contributo del
giornalista Luigi Grimaldi. Quello che fa
intuire il movente di un duplice omicidio.
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin si erano
avvicinati troppo ad un traffico che doveva
restare segreto: riguardava anche la
spedizione in Somalia di una partita di 5000
fucili d’assalto e 5000 pistole da parte degli
Usa. Ufficialmente. Ma in realtà, attraverso una
triangolazione che aggirava l’embargo
decretato dal Consiglio di Sicurezza
dell’Onu nel 2002, una partita destinata
alla neonata federazione croata-bosniaca
durante la guerra nell’ex Jugoslavia.
Due differenti carichi, trasferiti da
navi della Lettonia a navi della Shifco
sempre al largo della Somalia, sono
segnalati in due rapporti delle Nazioni
Unite del 2002 e del 2003. Il primo avviene
il 14 giugno del 1992; il secondo nel marzo
del 1994: è identico a quello registrato a
bordo della “21 Oktoobar”, l’ammiraglia
della flotta Schifco, la cui rotta è
tracciata dai Lloyds fino al porto iraniano
di Bandar Abbas. Di qui, avrebbe preso il
largo verso la Croazia a bordo di un’altra
nave. Ilaria a Miran moriranno pochi giorni
dopo.
La “Farax Oomar”, l’altra nave della
Schifco, con a bordo 2 italiani e ormeggiata
a Bosaso su cui indagava la giornalista Rai,
era ostaggio del clan di Ali Mahdi. Serviva
come garanzia del pagamento della tangente
per il traffico d’armi Usa-Italia destinato
a Zagabria. Ilaria Alpi ignorava tutto
questo. Ma aveva dei sospetti. Cercò di
chiarirli nella sua ultima intervista al
sultano di Bosaso: gli chiese se la “Farax
Oomar” ormeggiata in porto era sotto
sequestro. Una domanda fatale.
Nella docu-fiction basta osservare la reazione
del capo tribù. Ilaria e Miran verranno
attirati in una trappola con una telefonata di
cui si ignora l’autore. Lasciano il loro
albergo e si avventurano nella parte sud di
Mogadiscio per raggiungere l’hotel Amana.
Fanno qualcosa che non avrebbero mai fatto se
non davanti a qualcosa di eccezionale. Dopo un
agguato verranno freddati entrambi con un
colpo alla nuca. Una vera esecuzione. Per
mettere fine a quella curiosità e al riparo un
segreto imbarazzante.
1995–1996
Maggio 1996: a Minorca viene trovato impiccato
l'inviato di Le Figaro Xavier Gautier, 35 anni.
Le circostanze della morte sono misteriose. Si
occupava del traffico di armi e mercenari tra
Italia, Austria, Somalia, Croazia e Bosnia. Del
quale era probabilmente informato anche Marco
Mandolini, parà morto il 13 giugno precedente.
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TROPPI DUBBI SUL PRESUNTO
SUICIDIO DELL' INVIATO DI LE FIGARO. NEL
CASO SAREBBE COINVOLTO ANCHE UN MERCENARIO
ITALIANO
di Ulderico Munzi, sul Corriere
della Sera del 22 maggio 1996
Il giallo di Xavier, penna anti armi
Impiccato il reporter che denuncio' le
forniture militari all' ex Jugoslavia
In una sua inchiesta la mappa del traffico tra
Italia, Austria, Croazia e Bosnia
Il precedente di un giornalista inglese
PARIGI . Avvolta nel mistero, la morte
violenta del giornalista Xavier Gautier, 35
anni, angoscia tutti i suoi colleghi del
"Figaro", di cui era uno dei piu' validi
inviati speciali. Suicidio o omicidio? Per
ora, non c' e' alcuna risposta, anche perche'
il fatto si e' svolto a Ciudadela, nell' isola
di Minorca, alle Baleari. La seconda ipotesi,
quella dell' omicidio, puo' essere
giustificata solo dalle inchieste svolte da
Xavier Gautier nell' ex Jugoslavia: aveva
indagato, sul finire del 1994, sul traffico di
armi in favore di bosniaci e croati. Un
traffico in cui si distinguevano austriaci e
italiani e, a quanto pare, si delineava la
figura di un misterioso mercenario, nostro
connazionale. Un articolo molto dettagliato di
Gautier era apparso sul Figaro del 6 gennaio
1995. I parenti del giornalista, soprattutto
il padre e la sorella, sono convinti che
Xavier sia stato assassinato. Una circostanza
strana: qualche altro giornalista, che si era
interessato del traffico di armi, come l'
inglese Jonathan Moyle in Cile, ha
trovato la morte per impiccagione. Ma
procediamo con ordine. Il corpo e' stato
scoperto da un amico domenica scorsa.
Apparentemente, Gautier si era tolto la vita
stringendosi una corda al collo dopo averla
assicurata a una trave del soffitto. La villa
che aveva affittato e' situata in una zona
abbastanza isolata di Ciudadela. Sul muro
esterno e' stata trovata una scritta in
italiano: "Traditori, diavoli rossi". E queste
parole fanno sorgere i primi dubbi sul
suicidio, dubbi che non sono condivisi dalla
polizia locale. Le parole sono state vergate
da qualcuno che ha usato la mano destra. Di
corporatura robusta, il giornalista era
mancino. Ancora un fatto sconcertante: le sue
mani erano legate, i suoi piedi strusciavano
sul pavimento e sulla sua camicia, tracciate
con precisione, c' erano alcune croci. Il
giudice spagnolo Jose' Maria Escrivano,
secondo alcune fonti, e' ancora incerto sulle
cause della morte di Xavier Gautier. In
sostanza, sarebbe propenso a credere all'
ipotesi dell' omicidio. Dopo aver passato
molto tempo in Medio Oriente e poi nell' ex
Jugoslavia, il giornalista poteva essere in
preda a una forma di depressione? La sua ex
moglie, che abita a Mahon, sempre nell' isola
di Minorca, dice di averlo incontrato venerdi'
sera di ritorno da Barcellona e di averlo
trovato in condizioni normali. Era in attesa
di un contratto da un editore spagnolo.
Approfittando di un anno sabbatico, Xavier s'
era impegnato a scrivere la biografia di un
rocker americano e sembrava ormai essersi
distaccato dall' esperienza bosniaca, sulla
quale aveva anche scritto tre libri. Com' e'
saltata fuori la "presenza" del mercenario
italiano? Pare che Gautier ne abbia parlato in
passato e anche di recente con la moglie e con
alcuni amici. E il personaggio sarebbe
conosciuto anche negli ambienti diplomatici di
Parigi. Il padre e la sorella di Xavier
giungeranno oggi a Ciudadela. Vogliono
incontrare il giudice Escrivano per
convincerlo, in base ad elementi in loro
possesso, che il loro congiunto e' stato
ucciso. Quali sono gli indizi in favore del
suicidio? Uno di essi appare importante.
Gautier avrebbe comprato la corda con la quale
aveva deciso d' impiccarsi. E' stato trovato
lo scontrino nelle sue tasche. Ma, come ci fa
osservare il rappresentante consolare francese
alle Baleari, chiunque puo' averglielo messo
nelle tasche. A detta di altri testimoni, il
giornalista del Figaro, negli ultimi tempi,
dava l' impressione d' essere tormentato.
Viveva in una casa senza luce elettrica e si
mostrava scontroso nei rapporti con la gente.
Si puo' dedurre che era depresso? Certo, come
si si puo' dedurre il contrario, ossia che
temeva per la sua vita. I poliziotti spagnoli
sostengono che la morte e' avvenuta per
rottura delle vertebre cervicali e che Xavier
s' era legato le mani per evitare di
sciogliere i nodi del cappio nel momento
estremo. Ma perche' mai avrebbe scritto quelle
parole sulla facciata di casa: "Traditori,
diavoli rossi"? E poi perche' in italiano? Il
giallo e' lontano dalla soluzione.
ALTRI LINK:
Sono
stato dio in Bosnia. Vita di un mercenario
Profilo di Roberto Delle Fave. Documentario,
regia di Erion Kadilli (2010, 80').
VIDEO: Xavier Gautier - German TV Report (Die
Reporter) - English subtitles
https://www.youtube.com/watch?v=3zf-g0LJJzo
CACCIA A DIAVOLO ROSSO (settembre 27, 2013 by
redazione)
Di: Pier Paolo Santi & Francesco Sinatti
http://www.inchiostroscomodo.com/?p=98
“DIAVOLO ROSSO”: un depistaggio? (settembre
30, 2013 by redazione)
Di: Pier Paolo Santi & Francesco Sinatti
http://www.inchiostroscomodo.com/?p=110
HUNTING FOR “ RED DEVIL” (dicembre 16,
2013 by redazione)
by: Pier Paolo Santi & Francesco Sinatti
... In May 1996, a prominent journalist of
the French headline “Le Figarò” dies under
mysterious circumstances. Xavier Gautier
during the last years of his life has dealt
diligently with a big arms trafficking from
Bosnia. A long, complicated, stressful and
very dangerous investigative report. Gautier
managed to publish a good article on the
subject trotting out mercenaries, especially
Italians, and a trafficking that starting
from Bosnia was spreading in
Austria, Italy and Somalia...
Gautier would have met an informer,
that probably was Roberto Delle Fave, a
mercenary that fought in the
Serbo-Croatian war. It may be a coincidence
(properly constructed, in our opinion), but
it seems that the informer was exactly
nicknamed “Red Devil”. Was the
writing “Red devil, traitor” a warning to
the mercenary that, by informing a French
journalist, betrayed a self-professed
organization? Was the alleged mercenary in
contact with some NATO military? ...
Marshal Marco Mandolini, parachutist of
the Folgore, was found brutally killed on
the cliff of Romito, Livorno
(Tuscany). It was June the 13th 1995...
As a matter of facts the marshal was not the
same, neither psychologically nor
physically, after he came back from the
mission “Ibis” in Somalia. Still the
family asserts that Mandolini spoke
regarding some comrades dead under
suspicious circumstances in Somalia...
Mandolini was directly linked with another
victim of this story: the marshal Vincenzo
Li Causi, a man of the Italian
Intelligence (Sismi) operating in Somalia.
Li Causi was also the informer of Ilaria
Alpi, the murdered journalist...
The entrepreneur from Piemonte, Gian
Carlo Marocchino makes the scene as
ambiguous protagonist in the murder of
Ilaria Alpi. Many have written about this
case so we don’t want to repeat its
chronicle, but we want to make simple
questions: it is said that Marocchino at the
time of the facts was strictly linked to the
Italian Intelligence. It is also said that
he would own a small but lethal private
army, consisting of 150 soldiers. The
arsenal made clear the degree of
professionalism and the intents of the team:
Kalashnikov, Browning 50 e M16. The key word
in the following sentences will be: MER – CE
– NA – RIES... Strange analogies with what
some time after this would have happened in
Croatia and in Bosnia, where it is said that
the humanitarian convoys were mostly used to
cover for trafficking of any kind (arms and
organs included)...
If it existed, what happened to the private
army of Marocchino after the operation in
Somalia? Did they work also in Croatia and
Bosnia? A new link? We are going to address
these questions to the appointed public
prosecutor. It is certain that if we read
the Acts of the “Parliamentary Committee
of Inquiry about the deaths of Ilaria Alpi
and Milan Hrovatin, April the 20th 2004”,
page 44, we can find a possible joining link
between the business in Somalia and the ones
in Croatia. The link is represented by Guido
Garelli, the shady operator, strictly
linked to American and Italian
Intelligence...
http://www.inchiostroscomodo.com/?p=350
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